«Sprovvisto
di tutto, tranne di una grande fiducia in Dio»: così Papa Giovanni
Paolo II riassumeva il ritratto morale di fra Andrea Bessette, in
occasione della di lui beatificazione, il 23 maggio 1982. Il Santo
Padre aggiungeva: «Dio si è compiaciuto di dotare di un'attrattiva
e di un potere meraviglioso quest'uomo semplice, che aveva conosciuto
la sventura di essere orfano con i suoi dieci fratelli e sorelle, che
era rimasto senza denaro, senza istruzione, con una salute
mediocre... Non stupisce che si sia sentito vicinissimo a san
Giuseppe, lavoratore povero ed esule, tanto intimo con il
Salvatore... Ricorrendo a san Giuseppe, ed anche davanti al
Santissimo, praticava lui stesso, a lungo e fervidamente, in nome
degli ammalati, la preghiera che insegnava loro».
Alfredo
Bessette nasce il 9 agosto 1845 a Saint-Grégoire d'Iberville, vicino
a Montreal (Canada). Bambino gracile, sopravvive grazie alle cure
della madre. I suoi genitori sono persone molto semplici, sprovvisti
di beni terreni ma ricchi di virtù. Il Sig. Bessette, falegname, è
un lavoratore accanito. Ahimè, muore ben presto, schiacciato
dall'albero che stava abbattendo, e lascia una vedova con dieci
figli, che vivono in una capanna di legno di circa 7 metri per 5. La
Signora Bessette, prostrata di primo acchito, tuttavia non si
scoraggia; sostenuta dai fratelli e dalle sorelle, si consacra
all'educazione dei figli. L'anima di Alfredo sboccia al contatto di
una madre tanto affettuosa e generosa, che parla di Gesù, di Maria e
di Giuseppe, con tanta dolcezza e tanta fede. Ma il bambino ha
soltanto dodici anni quando la mamma, spossata dalle veglie e dalla
stanchezza, minata dalla tubercolosi, si spegne a sua volta. Alfredo
è accolto dagli zii Nadeau, che lo considereranno ben presto come il
loro proprio figlio. Dimostra loro la sua riconoscenza attraverso un
atteggiamento ubbidiente e generoso. Il curato del luogo, don
Provençal, nota la purezza dei suoi sentimenti e la sua carità poco
comune; prendendolo particolarmente a benvolere, lo prepara
accuratamente alla prima Comunione, insegnandogli ad invocare san
Giuseppe, patrono del Canada.
Ma
i coniugi Nadeau sono poveri e, per guadagnarsi il pane, Alfredo si
fa assumere da un calzolaio. Avendo ivi contratto una malattia dello
stomaco che conserverà per tutta la vita, passa al servizio di un
contadino, il Sig Ouimet. Lì, comincia ad imporsi un regolamento di
vita spirituale. Alzato molto presto per fare la Via Crucis e pregare
a lungo, recita parecchi rosari nel corso della giornata e si
intrattiene spesso con san Giuseppe, confidandogli i suoi lavori, la
sue pene e le sue gioie. Si consacra anche alla penitenza. Alla morte
del Sig. Ouimet, Alfredo viene accolto quale apprendista da un
fabbro. Malgrado la sua poca salute, diventa abilissimo in questo
mestiere. A vent'anni, il giovane si reca negli Stati Uniti e trova
un posto in una filanda. Lavoratore laborioso, servizievole con
tutti, conserva una condotta morale ineccepibile, malgrado
l'atmosfera deleteria della fabbrica. Ma il regime dell'industria
nuoce alla sua salute; lascia perciò la filanda per una fattoria,
dove ritrova il lavoro all'aria aperta. Tuttavia, dopo aver
ricuperato le forze, si fa nuovamente assumere in una filanda.
«Sono
deciso!»
Durante
gli anni di instabilità negli Stati Uniti, Alfredo conserva la
nostalgia del paese natio e rimane in relazione con don Provençal.
Nel luglio del 1869, riceve da lui una lettera che lo sconvolge: il
sacerdote gli propone di entrare in convento, come semplice frate.
Certo, la vita religiosa lo attira. Ma la sua salute gli permetterà
di essere accettato e di perseverare? Non è riuscito a stabilizzarsi
da nessuna parte! Per sei mesi, prega san Giuseppe di illuminarlo.
Finalmente, in una domenica di dicembre, il giovane va a
Saint-Césaire e si reca immediatamente nella canonica, dove il
vecchio Curato lo riceve a braccia aperte: «Hai riflettuto bene,
Alfredo? – Signor Curato, sono deciso, mi farò monaco». Insieme,
rivolgono un'ardente preghiera riconoscente a san Giuseppe.
Nell'autunno
del 1870, Alfredo si reca al Noviziato della Congregazione della
Sacra Croce a Montreal. L'Istituto, allora recentissimo, deve la sua
origine ad un sacerdote della diocesi di Le Mans (Francia), don
Moreau; conta fra i suoi membri sacerdoti e monaci, missionari ed
insegnanti. Alfredo viene accolto con grande bontà dal Padre
Superiore, cui don Provençal ha scritto: «Le mando un Santo per la
sua comunità». Abituato a tutti i generi di lavori, il giovane
compie a cuor leggero i vari compiti che gli vengono affidati, in
unione con Gesù di Nazareth, sotto lo sguardo di san Giuseppe. Il 27
dicembre, riveste l'abito e assume il nome di fra Andrea, in ricordo
di don Andrea Provençal. Il nuovo Fratello viene nominato portinaio
del convitto presso cui si trova il Noviziato.
Ma
la sua salute si rivela ben presto talmente precaria, che i Superiori
parlano di non fargli pronunciare i voti. Un giorno in cui Monsignor
Bourget, vescovo di Montreal, va a visitare il convitto, fra Andrea
gli si butta ai piedi, supplicandolo di intervenire perchè sia
ammesso a pronunciare i voti. Con semplicità, gli rivela il suo
desiderio di servire Dio ed i fratelli in compiti modesti e gli
comunica la sua devozione speciale per san Giuseppe, in onore del
quale sogna di costruire un oratorio in cima alla vicina collina. Il
prelato, che ha anch'egli il desiderio segreto di far edificare una
chiesa monumentale intitolata a san Giuseppe, risponde con
benevolenza: «Non abbia paura, lei sarà ammessa a pronunciare i
voti». Così, con stupore dei suoi fratelli in religione, che lo
considerano un minus habens, pronuncia i voti il 28 dicembre 1871.
Messo
alla porta
Ammesso
ufficialmente alla Congregazione, fra Andrea continua il servizio di
portineria presso il Convitto di Nostra Signora, vicino al
Mont-Royal. Alla fine della vita, dirà argutamente: «Dopo il
noviziato, i Superiori mi hanno messo alla porta... Ci sono rimasto
per quarant'anni, senza andarmene». Passa la maggior parte delle
giornate in un bugigattolo stretto, il cui mobilio si compone di un
tavolo, alcune sedie ed un sedile. Rimane lì, attento alle necessità
di ognuno, sorridente, servizievole. Eppure, il suo compito non è
facile. Suonano continuamente: il Frate riceve i visitatori, li fa
entrare nel parlatorio, poi corre attraverso l'istituto per cercarvi
il monaco o l'alunno interessato. Talvolta si fa strapazzare, perchè
il monaco richiesto è indisponibile. Capita così che il visitatore
se ne vada sbattendo la porta. Tali disappunti provocano talvolta in
fra Andrea delle impazienze di cui si pente poi amaramente. In
serata, quando cessa l'andirivieni, si dedica al penoso lavoro,
sempre da ricominciare, della pulizia del pavimento dei parlatori e
dei corridoi. Fino a tardi, sta in ginocchio e lava, incera, lucida,
al lume di candela. Finito il lavoro, si intrufola nella cappella e
cade in ginocchio davanti alla statua di san Giuseppe; poi, davanti
all'altare, si consacra ad una lunga preghiera.
Fra
Andrea esercita anche gli incarichi di addetto alla biancheria, di
infermiere e di barbiere; si intrattiene amichevolmente con gli
alunni, aiutandoli nella loro vita spirituale. Quando può farsi
sostituire da un confratello in portineria, la sua più grande gioia
consiste nel salire fra i rovi sulla vicina vetta del Mont-Royal.
Ivi, in una profonda preghiera, si dedica, in fondo al cuore, ad un
dialogo segreto con san Giuseppe. Dopo esser ridisceso dalla collina,
riprende il lavoro con una grande fedeltà al dovere del suo stato,
senza nulla di straordinario. La sua umiltà consiste nell'accettare
di essere dove Dio l'ha messo, compiendo il suo lavoro assolutamente
banale, seguendo le orme di san Giuseppe.
«San
Giuseppe, diceva Papa Paolo VI, si presenta a noi sotto gli aspetti
più inattesi. Avremmo potuto supporre in lui un uomo potente o un
profeta... Invece, si tratta di tutto ciò che si può immaginare di
più ordinario, di più modesto, di più umile... Siamo sulla soglia
di una poverissima bottega di artigiano di Nazareth. Ecco Giuseppe,
che appartiene alla discendenza di Davide, è vero, ma senza che ciò
comporti un titolo o un motivo di gloria... Vediamo, tuttavia, nel
nostro umile e modesto personaggio, una docilità stupefacente, una
prontezza di obbedienza e di esecuzione eccezionale. Non discute, non
esita, non fa valere diritti o aspirazioni... Il suo compito è
quello di educare il Messia al lavoro, alle esperienze della vita. Lo
custodirà ed avrà la prerogativa sublime – niente di meno – di
dover, proprio lui, guidare, dirigere, aiutare il Redentore del
mondo...
«In
tal modo, i grandi disegni di Dio, le imprese provvidenziali che il
Signore propone al destino umano, possono coesistere con le
condizioni più banali della vita ed appoggiarsi su di esse. Nessuno
è escluso dalla possibilità di compiere, e di compiere
perfettamente, la volontà divina... Nessuna vita è banale,
meschina, trascurabile, dimenticata. Per il fatto stesso che
respiriamo e che ci muoviamo nel mondo, siamo esseri predestinati a
qualcosa di grande: al Regno di Dio, agli inviti di Dio, al
colloquio, alla vita ed alla sublimazione con Lui, fino a diventare
«partecipi della natura divina» (ved. 2 P. 1, 4)... Colui che
adempie correttamente ai doveri del proprio stato, dà a tutta la sua
attività una grandezza incomparabile» (19 marzo 1968).
Vita
ordinaria ma fervore straordinario
San
Giuseppe ha avuto una vita terrena assolutamente banale. Ormai in
Cielo, ottiene abbondanti grazie a favore di coloro che si affidano a
lui. In capo a circa quindici anni di una vita religiosa oscura e
laboriosa, fra Andrea riceve dal Padre putativo di Gesù la grazia di
compiere miracoli. In questo modo, la Sapienza divina si compiace
talvolta di comunicare una parte della propria potenza ad uno
strumento umile e docile, per il massimo bene degli uomini. Conscio
della propria debolezza, fra Andrea, lungi dal trarre vanto dal dono
ricevuto, ripete senza posa che non è se non l'agente di san
Giuseppe, e nient'altro. «Quel che posso fare di prodigioso, dice, è
un semplice favore che Dio mi concede per aprire gli occhi del mondo.
Ahimè! Il mondo continua a rimanere cieco!»
Una
notte, mentre sta al cappezzale di un alunno malato di difterite, fra
Andrea riceve un'ispirazione: senza far rumore, scende nella
cappella, prende una medaglia di san Giuseppe e risale. «Fratello,
perchè mi ha lasciato? Soffro molto. – Non soffrirai più»,
risponde il monaco che si mette a strofinare la gola del ragazzo con
la medaglia, pregando in pari tempo san Giuseppe. L'ammalato si
assopisce. All'alba si sveglia e grida: «Fratello, sono guarito!»
Effettivamente, nel corso della mattinata, si constata che non c'è
più traccia della malattia. Qualche tempo dopo, fra Andrea va a
trovare il direttore del convitto che gli dice: «Da un mese, ho una
ferita alla gamba che non guarisce. La piaga ha un brutto aspetto, e
mi preoccupo all'idea di tutto il lavoro che mi attende in ufficio. –
Faccia una novena al padre putativo del Divino Maestro; nove giorni
ci separano appunto dalla di lui festa. – Insomma, lei si aspetta
un miracolo da san Giuseppe? – Ma certo!» Arriva la festa di san
Giuseppe e, in quel giorno, la piaga è completamente sparita; con
stupore di tutti, il direttore si reca nella cappella.
«Lo
lasci fare!»
La
voce dei primi miracoli compiuti da fra Andrea si sparge rapidamente
in tutta la città e gli ammalati cominciano a presentarsi nella
speranza di una guarigione. Ben presto, l'affluenza è tale che il
Superiore se ne preoccupa ed assegna a fra Andrea, per riceverli, un
locale inagibile e miserabile. Ma, desiderando far cessare
l'accoglienza dei malati, va a trovare il vescovo di Montreal. Questi
gli chiede: «Se dicesse a fra Andrea di non ricevere più gli
ammalati, lo farebbe? – Sicuramente! – E allora lo lasci fare. Se
l'opera che compie viene da Dio, si svilupperà; in caso contrario,
crollerà da sè». Così, la sfilata degli ammalati continua. Se
guarisce i corpi, il monaco si preoccupa soprattutto della salvezza
delle anime. Ad un malato che lo va a trovare, afferma: «Se vuole
che san Giuseppe la guarisca, lasci la donna con cui vive
nell'adulterio e torni poi da me». Ad un altro dice: «Andrà a
confessarsi e comincerà una novena a san Giuseppe. – Confessarmi!
Non l'ho fatto da venticinque anni! Le prometto che lo farò!» E la
guarigione si opera subito.
Malgrado
doni eccezionali ed un buonumore abituale, fra Andrea soffre a causa
del suo temperamento nervoso e collerico. Gli capita di andare su
tutte le furie e di congedare visitatori con parole agrodolci, o
osservazioni sferzanti, soprattutto se gli si dà del Santo, oppure
malati irreligiosi o di cattivi costumi. Una sera, uno gli dice: «San
Giuseppe rimane sordo alle nostre preghiere! Lei, almeno, ci concede
favori di ogni specie! – Come può pronunciare parole tanto
offensive nei riguardi di san Giuseppe?» replica, molto scontento; e
nell'eccesso della sua indignazione, lascia il locale e se ne va
immediatamente a letto! Conscio delle proprie imperfezioni, ha
l'abitudine di chiedere agli amici: «Pregate per la mia
conversione!» I santi, infatti, devono lottare senza posa contro le
debolezze della loro natura, ed è proprio questa lotta di ogni
istante che caratterizza la santità.
Il
giovedì, fra Andrea trascina alcuni alunni e perfino dei professori
sul Mont-Royal. A poco a poco, il progetto di erigere un oratorio sul
pendio del Monte prende consistenza. Nel luglio del 1896, il terreno
viene comprato e una statua di san Giuseppe è collocata
nell'anfrattuosità di una roccia. Ormai, Fra Andrea riceverà lì
gli ammalati, durante la bella stagione. Ben presto, vi si erige una
cappella, «l'Oratorio». Nel periodo delle vacanze, fra Andrea non
la lascia quasi; arriva prestissimo la mattina e se ne va soltanto a
notte inoltrata, poichè i superiori gli lasciano ormai una grande
libertà d'azione.
Un
vile strumento
a
partire dal 1908, fra Andrea rimane in permanenza nell'Oratorio,
sistemato nel sottotetto della cappella, dove gli sono stati
preparati una camera ed uno studio, riscaldati da una stufa. Vi
riceve persone di ogni ceto, perfino alti dignitari della Chiesa, che
vanno a chiedergli preghiere. «Non ho alcun potere, dice loro
l'umile fratello. Nulla dipende da me in quel che faccio per le
guarigioni. Tutto deriva da san Giuseppe, che ottiene da Dio tali
grazie straordinarie. Sono soltanto un vile strumento, di cui si
serve il Patrono della Chiesa per operare prodigi, per provocare
conversioni ed elevazioni nella perfezione cristiana». L'eco
spirituale dei miracoli nelle anime è per lui più importante delle
guarigioni. Ogni giorno, è in caccia di peccatori da strappare al
demonio. Questi, d'altronde, non si astiene dal fargli sentire la
propria presenza. Più di una volta, turba il Monaco con rumori di
stoviglie rotte; capita anche di sentire fra Andrea, solo nella sua
stanza, esprimersi vigorosamente contro un misterioso personaggio.
Nel
1912, poichè certi pellegrinaggi riuniscono già più di diecimila
persone, viene presa la decisione di ampliare la cappella; ben
presto, l'arcivescovo di Montreal progetta la costruzione di una
basilica in onore di san Giuseppe. Fra Andrea è pieno di gioia.
Viene prima di tutto costruita una spaziosa cripta, vicino alla quale
è installato un convento destinato ai monaci della «Sacra Croce»
che assumono il servizio del Santuario. Vaste terrazze e giardini
permettono di ricevere le folle. Fra Andrea prevede un grande
movimento di adorazione di Dio, e la conversione in massa dei
peccatori. Ma rimangono da trovare le somme considerevoli, necessarie
per la costruzione della basilica. Viene all'uopo creata una rivista,
«Gli Annali di san Giuseppe», quindi una «Confraternita di san
Giuseppe», che riunisce rapidamente più di trentamila soci; infine,
zelatori si consacrano alla raccolta di fondi negli Stati Uniti.
Nel
1924, i pesanti pilastri di una basilica di architettura neoclassica
cominciano ad elevarsi. Fin verso il 1930, i lavori continuano senza
posa. Ma la morte dell'architetto e la mancanza di fondi interrompono
la costruzione per parecchi anni, con grande rincrescimento di fra
Andrea. Tuttavia, la fiducia non viene meno nell'umile fratello.
Tutti gli anni, parte lui medesimo per un giro di questua negli Stati
Uniti. Tali viaggi, in cui deve comparire in pubblico davanti a folle
entusiaste, subire l'assalto dei giornalisti e dei fotografi, sono
estremamente penosi per lui. Ma li fa, per la gloria di Dio e la
salvezza delle anime; la generosità degli Americani lo commuove
profondamente. Le guarigioni si moltiplicano. Fra Andrea esige da
coloro che si rivolgono a lui soltanto una grande fiducia in Dio ed
una totale sottomissione alla di Lui volontà.
Quello
straordinario vegliardo di quasi novant'anni stupisce per la
freschezza del cuore. «Ci rappresentiamo la fede cristiana come
vecchissima, afferma. Sbagliamo, è giovanissima!» Infatti, per Dio,
e quindi per Nostro Signore, tutto è presente. Questa verità
influenza profondamente la preghiera e la contemplazione di fra
Andrea. Secondo la raccomandazione di sant'Ignazio nelle
contemplazioni degli Esercizi Spirituali, immagina le scene della
vita di Gesù, come se vi fosse realmente presente. Pertanto, quando
compie la Via Crucis, cosa che gli capita di frequente, segue Cristo
come se assistesse personalmente alla Passione, convinto che i suoi
slanci d'amore alleggeriscano veramente le sofferenze del Salvatore.
Allo stesso modo, quando parla a san Giuseppe, vede se stesso
lavorare accanto a lui nella bottega di Nazareth, o presso la Santa
Vergine. Tali contemplazioni viventi aumentano il suo amore per Dio e
la sua carità nei confronti del prossimo.
Ma
il grande tormento di fra Andrea rimane quello di vedere interrotti i
lavori della basilica. All'inizio del novembre 1936, in occasione
della riunione del Consiglio della cappella del Mont-Royal, esclama:
«Portiamo immediatamente la statua di san Giuseppe nell'abside della
basilica ed il nostro santo Patrono si incaricherà di coprirla con
una cupola». Detto fatto. Poco tempo dopo, viene emesso un prestito,
rapidamente compensato dai doni. I lavori riprendono. «La
continuazione dei lavori è assicurata, dice fra Andrea. Adesso sono
inutile, è ora che me ne vada». Nonagenario venerando, sciupato dal
lavoro, sente che le forze lo abbandonano e non accoglie più i
malati che due volte alla settimana.
Se
la gente amasse il Buon Dio!
La
sera della festa di Natale, dice ad un amico: «Questo è
probabilmente il mio ultimo Natale. – Ma l'Oratorio ha ancora
bisogno di lei! – Non è vietato augurarsi di morire, quando è per
desiderio di vedere il Cielo... Quando uno fa del bene sulla terra,
non è nulla in confronto di quel che potrà fare una volta arrivato
in Cielo». Poco dopo, affetto da una gastrite acuta, viene
ricoverato all'ospedale. Il completamento della basilica occupa i
suoi pensieri, perchè è conscio del bene che san Giuseppe compie
sul Mont-Royal: «Lei non sa tutto quel che il Buon Dio realizza
all'Oratorio, dice al suo Superiore. Quante sciagure vi sono nel
mondo!... Ero al posto giusto per vedere tutto ciò... Se la gente
amasse il Buon Dio, non peccherebbe mai: tutto si svolgerebbe
perfettamente se essa amasse il Buon Dio come Lui la ama». Il
mercoledì 6 gennaio 1937, esala l'ultimo respiro ed entra nella vera
vita. Subito, la notizia si diffonde in Canada e negli Stati Uniti.
Manifestazioni di simpatia giungono da tutte le parti. L'umile fra
Andrea conosce un vero trionfo, pallido riflesso, tuttavia, della sua
gloria in Cielo, dove, con san Giuseppe, intercede vigorosamente per
la Chiesa e per ciascuno dei fedeli. Infatti, san Giuseppe è il
«Protettore della Santa Chiesa». «Non è forse logico e
necessario, diceva Giovanni Paolo II, il 19 marzo 1993, che colui cui
il Padre eterno ha affidato suo Figlio, stenda così la sua
protezione sul Corpo di Cristo, che – secondo quanto ci insegna
l'apostolo Paolo – è la Chiesa? Oggi, la comunità dei credenti,
sparsa in tutto il mondo, affida se stessa a san Giuseppe e affida al
di lui potente patrocinio le proprie necessità nell'attuale
difficile momento della storia».
Impariamo
da san Giuseppe e dal Beato fra Andrea l'amore della preghiera.
«Forse che la fiducia di fra Andrea nella virtù della preghiera non
è una delle indicazioni più preziose per gli uomini e le donne
della nostra epoca, tentati di risolvere i loro problemi facendo a
meno di Dio?» chiedeva il Papa in occasione della beatificazione del
Monaco. Che questi ci ottenga la grazia di pregare con amore e
fiducia in tutti i giorni della vita!
Dom
Antoine Marie osb
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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