Si
sente dire, ogni tanto, che oggi i miracoli sono meno frequenti. Non
sarà invece che oggi sono meno le anime che vivono vita di fede?
Dio non può non mantenere la sua promessa: Chiedimi, e io ti darò
le genti in eredità, e in dominio i confini della terra (Sal 2, 8).
Il nostro Dio è la Verità, il fondamento di tutto quello che
esiste: nulla si compie senza il suo volere onnipotente. Come era nel
principio, ora e sempre, nei secoli dei secoli (Gloria al Padre).
Il
Signore non cambia: non ha bisogno di muoversi e correre dietro a
cose che non possieda; Egli ha in sé tutto il movimento, tutta la
bellezza, tutta la grandezza. Oggi come ieri. I cieli si dissolvono
come fumo, la terra si logora come una veste... Ma la mia salvezza
rimarrà in eterno, la mia giustizia non tramonterà (Is 51, 6).
Dio
ha stabilito in Gesù Cristo una nuova ed eterna alleanza con gli
uomini. Ha posto la sua onnipotenza al servizio della nostra
salvezza. Se noi, sue creature, dubitiamo, se trepidiamo per mancanza
di fede, dobbiamo riascoltare quello che Isaia annunciava nel nome
del Signore: È forse la mia mano troppo corta per redimere oppure
io non ho la forza per liberare? Ecco, con una minaccia prosciugo il
mare, rendo i fiumi un deserto fino a far perire i loro pesci per
mancanza d'acqua, e morire di sete gli altri loro esseri viventi.
Rivesto i cieli a lutto, do loro un sacco per manto (Is 50, 2-3).
La
fede è una virtù soprannaturale che dispone la nostra
intelligenza a dare assenso alle verità rivelate, a rispondere di
sì a Cristo, a colui che ci ha fatto conoscere pienamente il
disegno salvifico della Trinità Beatissima. Dio, che aveva già
parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per
mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi
per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per
mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è
irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e
sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la
purificazione dei peccati si è assiso alla destra della Maestà
nell'alto dei cieli (Eb 1, 1-3).
Vorrei
che fosse Gesù a parlarci di fede, a darci lezioni di fede.
Apriremo dunque il Nuovo Testamento per vivere con Lui alcuni momenti
della sua vita. Egli infatti non rifuggì dall'istruire poco a poco
i suoi discepoli, affinché si dedicassero con fiducia al compimento
della Volontà del Padre. Impartisce loro la dottrina con le parole
e con le opere. Prendete il capitolo nono di san Giovanni: Gesù
passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo
interrogarono: «Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori,
perché egli nascesse cieco?» (Gv9, 1-2).
Quegli
uomini, che pure sono così vicini a Gesù, pensano male di quel
povero cieco. Non stupitevi, quindi, se nel volgere della vita,
mentre servite la Chiesa, trovate dei discepoli del Signore che si
comportano in modo simile con voi o con gli altri. Non deve
importarvi e, come già il cieco, non dovete farci caso:
abbandonatevi veramente nelle mani di Cristo. Egli non accusa,
perdona; non condanna, assolve; non osserva con distacco
l'infermità, ma applica il rimedio con sollecitudine divina. Il
Signore sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il
fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella
piscina di Siloe» (che significa 'inviato'). Quegli andò, si lavò
e tornò che ci vedeva (Gv 9, 6-7).
Che
esempio di fede risoluta ci dà il cieco! Una fede viva, operante.
Ti comporti anche tu allo stesso modo dinanzi ai precetti di Dio
quando, come accade sovente, ti ritrovi cieco, quando nelle
inquietudini dell'anima ti viene a mancare la luce? Che virtù
conteneva quell'acqua per guarire gli occhi che ne erano bagnati?
Sarebbe stato più logico applicare un collirio portentoso, una
medicina preziosa, preparata nel laboratorio di un sapiente
alchimista. Ma quell'uomo crede; esegue il comando divino e torna con
gli occhi pieni di luce. Parve utile all'Evangelista — commenta
sant'Agostino — spiegare il significato del nome della piscina,
facendo notare che vuol dire Inviato. Capite ora chi è l'Inviato.
Se il Signore non ci fosse stato inviato, nessuno di noi sarebbe
stato liberato dal peccato (SANT'AGOSTINO, In Ioannis Evangelium
tractatus, 44, 2 [PL 35, 1714]).
Dobbiamo
credere con fede decisa in colui che ci salva, nel Medico divino che
è stato inviato per risanarci. Dobbiamo credere tanto più
fermamente quanto più grave o disperata è la malattia che ci
affligge.
Dobbiamo
acquistare la misura divina delle cose, non perdendo mai il punto di
vista soprannaturale e sapendo che Gesù si avvale anche delle
nostre miserie per far risplendere la sua gloria. Pertanto, quando
sentite serpeggiare nella vostra coscienza l'amor proprio, la
stanchezza, lo scoraggiamento, il peso delle passioni, reagite con
prontezza e ascoltate il Maestro; e non spaventatevi della triste
realtà che vediamo in noi, perché le debolezze personali ci
accompagneranno finché avremo vita.
È
questo il cammino del cristiano. È palese la necessità di
invocare senza tregua, con fede forte e umile: «Signore non fidarti
di me. Io sì, mi fido di te». E nel presagire nell'anima l'amore,
la compassione, la tenerezza con cui Cristo Gesù ci guarda —
perché Lui non ci abbandona — comprenderemo in tutta la loro
profondità le parole dell'Apostolo: Virtus in infirmitate
perficitur (2 Cor 12, 9); confidando nel Signore, nonostante le
nostre miserie — anzi, con le nostre miserie —, saremo fedeli a
Dio nostro Padre; risplenderà il potere divino e cisarà di
sostegno nella nostra fragilità.
Ora
è Marco che ci narra la guarigione di un altro cieco: Mentre Gesù
partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di
Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare (Mc 10,
46). Sentendo quel rumoreggiare di folla, il cieco domanda: «Che
succede?». Gli rispondono: «È Gesù di Nazaret», e allora gli
si accese tanto l'anima di fede in Cristo, che gridò: «Gesù,
Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Mc 10, 47).
Non
viene voglia di gridare anche a te, che te ne stai immobile sul
ciglio della strada, la strada della vita — così breve! —, a te
che non hai luce; a te che hai bisogno di nuova grazia per deciderti
a cercare la santità? Non ti senti spinto a gridare: «Gesù,
Figlio di Davide, abbi pietà di me»? Che bella giaculatoria, da
ripetere frequentemente! Vi consiglio di meditare con calma gli
istanti che precedono il prodigio, per incidere bene nella vostra
mente un'idea precisa: quanto sono diversi i nostri poveri cuori a
paragone del cuore misericordioso di Gesù! Un'idea che vi sarà
sempre utile, specialmente nell'ora della prova, della tentazione, ma
anche quando occorre dare una risposta generosa nelle occupazioni
ordinarie e nelle occasioni eroiche. Molti lo sgridavano per farlo
tacere (Mc 10, 48).
Come
è accaduto a te quando hai avuto la sensazione che Gesù ti
passava accanto. Il cuore batteva forte dentro di te, e anche tu ti
sei messo a gridare, scosso da un'intima inquietudine. E amici,
abitudini, comodità, ambiente..., tutti ti consigliavano: «Taci,
non gridare! Perché chiamare Gesù? Non lo scomodare!». Ma il
povero Bartimeo non dava retta, insisteva anzi con più energia:
«Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Il Signore, che lo aveva
udito fin dal primo momento, lo lasciò perseverare nella sua
preghiera. Come fa con te. Gesù sente la prima invocazione della
nostra anima, ma aspetta. Ci vuole convinti di aver bisogno di Lui;
ci vuole insistenti nella preghiera, testardi, come quel cieco fermo
lungo la via che usciva da Gerico. Imitiamolo. Anche se Dio non ci
concede subito quello che chiediamo, anche se molti tentano di
allontanarci dalla preghiera, non smettiamo di invocarlo (SAN
GIOVANNI CrISOSTOMO, In Matthaeum homiliae, 66, 1 [PG 58, 626]).
Allora
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo». Alcuni tra i migliori che
lo attorniavano dicono al cieco: «Coraggio! Alzati, ti chiama!» (Mc
10, 49). È la vocazione cristiana! Però la chiamata di Dio non è
una sola. Anzi, il Signore ci cerca ad ogni momento: «Alzati — ci
dice — esci dalla tua pigrizia, dalla tua comodità, dai tuoi
egoismi meschini, dai tuoi piccoli problemi senza importanza.
Distàccati dalla terra, tu che te ne stai lì piatto, gretto,
informe. Guadagna altezza, peso, volume e visione soprannaturale».
Quell'uomo, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da
Gesù (Mc 10, 50). Buttò via il mantello! Non so se ti sei mai
trovato in zona di guerra. A me è capitato, molti anni fa, di
passare qualche volta sul campo di battaglia, a poche ore dalla fine
di un combattimento; e lì, abbandonati sul suolo, c'erano coperte,
borracce e zaini pieni di ricordi di famiglia: lettere e fotografie
di persone care...! E non appartenevano agli sconfitti: erano dei
vincitori! Tutte quelle cose costituivano un ingombro per correre
più rapidamente a superare le postazioni nemiche. Come per
Bartimeo, per correre dietro a Cristo. Non dimenticare che per
giungere fino a Cristo è necessario il sacrificio; gettare via
tutto quello che ingombra, coperta, zaino, borraccia. È così che
tu devi avanzare nella lotta per la gloria di Dio, in questa guerra
d'amore e di pace con cui vogliamo estendere il regno di Cristo. Per
servire la Chiesa, il Romano Pontefice e le anime, devi essere pronto
a rinunciare a tutto quello che ingombra; a rimanere senza quella
coperta che è riparo nelle notti rigide; senza quei cari ricordi di
famiglia; senza il refrigerio dell'acqua. Lezione di fede, lezione
d'amore. Perché Cristo va amato così.
E
subito comincia un dialogo divino, un dialogo meraviglioso,
commovente e ardente, perché in questo momento tu e io siamo
Bartimeo. Gesù muove le sue labbra divine e domanda: «Quid tibi
vis faciam?, che vuoi che io ti faccia?» E il cieco a Lui: «Maestro
che io veda!» (Mc 10, 51). È così logico!
E
tu, vedi bene? Non ti è successo qualche volta come al cieco di
Gerico? Non posso fare a meno di ricordare che, meditando molti anni
fa questo passo, e presagendo che Gesù si attendeva da me qualche
cosa — ma non sapevo quale — composi delle giaculatorie: Signore,
che cosa vuoi? Che mi chiedi? Presentivo che mi cercava per qualcosa
di nuovo, e la frase: «Rabboni, ut videam» — Maestro, che io veda
— mi mosse a supplicare Cristo in continua orazione: Signore, si
compia ciò che Tu mi chiedi.
Pregate
con me il Signore: Doce me facere voluntatem tuam, quia Deus meus es
tu (Sal 142, 110), insegnami a compiere la tua volontà, perché tu
sei il mio Dio. In breve, che le nostre labbra manifestino lo slancio
sincero di corrispondere, con desiderio efficace, agli inviti del
Creatore. Intanto ci sforziamo di seguire i suoi piani con fede
incrollabile, convinti che Lui non può fallire. Quando la Volontà
divina la si ama così, si comprende che il valore della fede non
consiste soltanto nella chiarezza con cui la si espone, ma nella
risolutezza con cui la si difende per mezzo delle opere: e agiremo di
conseguenza.
Ma
torniamo alla scena che si svolge all'uscita di Gerico. Ora Cristo
parla a te. Ti dice: «Che vuoi da me?». «Fa' che io veda, Signore,
fa' che io veda!». E Gesù: «Va', la tua fede ti ha salvato». E
subitoriacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada (Mc 10,
52). Seguire Gesù lungo la via. Tu hai compreso quello che il
Signore ti proponeva e ti sei deciso ad accompagnarlo lungo la via.
Cerchi di ricalcare le sue orme, di vestire le vesti di Cristo, di
essere Cristo tu stesso: la tua fede, allora, fede nella luce che il
Signore ti va comunicando, deve manifestarsi nelle opere e nel
sacrificio. Non illuderti, non pensare di scoprire vie nuove. La fede
che Egli ci esige è questa: tenere il suo passo con opere piene di
generosità, strappando, allontanando da noi tutto quello che
ingombra.
Questa
volta è Matteo che ci narra una scena commovente. Ed ecco una
donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle
spalle e toccò il lembo del suo mantello (Mt 9, 20).
Quanta
umiltà! Pensava infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il
suo mantello sarò guarita» (Mt 9, 21).
Non
mancano mai infermi come Bartimeo che supplicano con grande fede, e
non si vergognano di manifestarla a gran voce. Osservate però come
lungo il cammino di Cristo non vi sono due anime uguali. Anche la
fede di questa donna è grande; ma essa non grida: si avvicina senza
farsi notare. Le basta toccare appena la veste di Gesù, ed è
sicura che sarà guarita. Non appena lo ha fatto, il Signore si
volge e la guarda. Egli sa già che cosa succede dentro quel cuore;
ha sentito la sua sicurezza: «Coraggio, figliola, la tua fede ti ha
guarita» (Mt 9, 22). Toccò delicatamente il lembo del mantello, si
avvicinò con fede, credette e conobbe che era stata guarita... Se
anche noi vogliamo essere salvati, tocchiamo con fede la veste di
Cristo (SANT'AMBROGIO, Expositio Evangelii secundum Lucam, 6, 56, 58
[PL 15, 1682-1683]). Sei persuaso che la nostra fede deve essere una
fede umile? Chi sei tu, chi sono io per meritare la chiamata di
Cristo? Chi siamo noi per essere così vicini a Lui? Come a quella
povera donna confusa tra la moltitudine, ha offerto anche a noi
un'occasione.
E
non perché toccassimo appena la sua veste, perché sfiorassimo per
un attimo l'orlo del suo mantello. Noi lo possediamo per intero. Si
è dato a noi totalmente, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Ce
ne alimentiamo ogni giorno, gli parliamo intimamente, come si parla
al proprio padre, come si parla all'Amore. E tutto questo è proprio
vero. Non è immaginazione.
Cerchiamo
di crescere in umiltà. Perché solo una fede umile permette di
guardare le cose con visione soprannaturale. Non esistono altre vie.
Sulla terra sono possibili solo due modi di vivere: o si vive vita
soprannaturale o vita animale. Tu e io non possiamo vivere altra vita
che quella di Dio, la vita soprannaturale. Qual vantaggio infatti
avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la
propria anima? (Mt 16, 26).
Che
giova all'uomo tutto quello che popola la terra, la soddisfazione di
tutte le ambizioni dell'intelligenza e della volontà? Che valgono
tutte insieme, se tutto finisce, se tutto crolla, se le ricchezze di
questo mondo non sono che finzione, apparato scenico;se poi c'è
l'eternità per sempre, per sempre, per sempre? L'avverbio 'sempre'
ha reso grande Teresa di Gesù. Quando, bambina, usciva con suo
fratello Rodrigo dalle mura di Avila, attraverso la porta dell'Adaja,
con l'intenzione di andare nella terra dei mori a farsi decapitare
per Cristo, al fratello che si stancava del cammino sussurrava queste
parole: «Per sempre, per sempre, per sempre» (SANTA TERESA D'AVILA,
Autobiografia, 1, 6). Gli uomini mentono quando dicono "per
sempre" nelle cose temporali.
È
vero, di una verità totale, soltanto il "per sempre"
rivolto a Dio; e tu devi vivere così, con una fede che ti aiuti a
sentire sapore di miele, dolcezza di cielo, al pensiero
dell'eternità che veramente è per sempre.
Torniamo
al santo Vangelo e soffermiamoci a considerare quello che riferisce
san Matteo nel capitolo ventunesimo. Ci racconta che, rientrando al
mattino in città, Gesù ebbe fame. Vedendo un fico sulla strada vi
si avvicinò (Mt 21, 18-19).
Che
gioia, Signore, vedere che hai fame, o vedere che hai sete, come al
pozzo di Sicar! (cfr Gv 4, 7). Ti contemplo perfectus Deus, perfectus
homo (Simbolo Quicumque): vero Dio, ma anche vero uomo, fatto di
carne come la mia. Annientò se stesso prendendo forma di schiavo
(Fil 2, 7), affinché io non dubitassi mai che mi comprende, che mi
ama. Ebbe fame. Quando ci stanchiamo — nel lavoro, nello studio,
nell'impegno apostolico —, quando ci si restringe l'orizzonte,
volgiamo gli occhi a Cristo: al Gesù buono, al Gesù stanco, al
Gesù che ha fame e sete. Come ti fai capire bene, Signore! Come ti
fai amare! Ti presenti a noi come uno di noi, uguale in tutto,
eccetto il peccato: per farci toccare con mano che assieme a te
potremo vincere le nostre cattive inclinazioni, le nostre colpe.
Perché né fatica, né fame, né sete, né lacrime contano
più... Cristo fu stanco, provò la fame, ebbe sete, pianse. Quello
che conta è la lotta — lotta amabile, poiché il Signore resta
sempre con noi — per compiere la volontà del Padre che è nei
cieli (cfr Gv 4, 34).
Si
avvicina al fico: si avvicina a te e a me. Gesù ha fame e sete di
anime. Sitio! Ho sete!, esclama dalla Croce (Gv 19, 28). Sete di noi,
del nostro amore, delle nostre anime e di tutte le anime che dobbiamo
condurre a Lui, lungo la via della Croce, che è la via
dell'immortalità e della gloria del Cielo. Si accostò al fico, ma
vi trovò soltanto foglie (Mt 21, 19): una vergogna! È così
anche nella nostra vita? Accade anche a noi, tristemente, che
facciano difetto la fede e la vibrazione dell'umiltà, e non
appaiano né sacrifici né opere? Che del cristiano ci sia solo la
facciata ma non le opere? È da sgomentarsene, perché Gesù
comanda: «Da te non nasca più frutto in eterno». E, nello stesso
istante, il fico seccò (Mt 21, 19). Questo passo della Sacra
Scrittura ci rattrista, ma al tempo stesso ci incoraggia a ravvivare
la fede, a vivere secondo lafede, affinché Cristo raccolga sempre
frutto da noi. Non lasciamoci ingannare. Il Signore non dipende mai
da quello che noi umanamente elaboriamo; per Lui i progetti più
ambiziosi sono giochi di bambini. Egli vuole anime, vuole amore;
vuole che tutti gli uomini giungano a godere in eterno del suo Regno.
Dobbiamo lavorare molto sulla terra; e dobbiamo lavorare bene,
perché è proprio il lavoro quotidiano che va santificato.
Pertanto, non dimentichiamo mai di compierlo per Iddio. Se lo
realizzassimo per noi stessi, per orgoglio, produrremmo soltanto
fogliame: né Dio né gli uomini potrebbero raccogliere da un
albero tanto frondoso un po' di dolcezza.
I
discepoli, vedendo il fico seccarsi, ne furono stupiti e dissero:
«Come mai il fico si è istantaneamente seccato?» (Mt 21, 20).
Quei primi dodici, pur avendo presenziato a tanti miracoli di Gesù,
sono presi ancora una volta da stupore; la loro fede non era ancora
ardente. Per questo il Signore dichiara: «In verità vi dico: se
avete fede e non esitate, non solo farete ciò che ho fatto al fico,
ma se dite a questa montagna: "Levati e gettati nel mare",
così avverrà» (Mt 21, 21).
Gesù
Cristo pone questa condizione: vivere di fede per essere poi capaci
di muovere le montagne. Sono tante le cose da rimuovere... nel mondo,
ma innanzitutto nel nostro cuore. Tanti ostacoli alla grazia! Fede,
quindi; fede operativa, fede disposta al sacrificio, fede umile. La
fede ci trasforma in creature onnipotenti: «E tutto quello che
chiederete con fede nella preghiera, l'otterrete» (Mt 21, 22).
L'uomo di fede sa giudicare rettamente le questioni terrene, sa che
la vita quaggiù — come la definiva la Madre Teresa — è una
brutta notte in una brutta locanda (SANTA TERESA D'AVILA, Cammino di
perfezione, 40, 9 [70, 4]); ravviva la sua convinzione che
l'esistenza terrena è tempo di lavoro e di lotta, tempo di
purificazione per saldare alla giustizia divina il debito contratto
coi nostri peccati; sa anche che i beni temporali non sono che mezzi,
e li usa con generosità con eroismo.
La
fede non è soltanto da predicare, ma soprattutto da praticare.
Spesso forse ci sentiremo mancare le forze. Ricorriamo allora ancora
una volta al Vangelo e comportiamoci come il padre del ragazzo
lunatico. Voleva la salvezza del figlio e sperava che Cristo lo
avrebbe guarito, ma non riusciva a credere fino in fondo a tanta
felicità. E Gesù, che sempre chiede fede, vedendo l'insicurezza
di quell'anima, la esorta: «Se tu puoi credere, tutto è possibile
per chi crede» (Mc 9, 23).
Tutto
è possibile: siamo onnipotenti! Purché vi sia fede. Quell'uomo si
rende conto che la sua fede è insicura, teme che la sua poca
fiducia impedisca al figlio di guarire. E piange. Non vergogniamoci
di questo pianto: è frutto dell'amor di Dio, della preghiera
contrita, dell'umiltà. Il padre del fanciullo rispose piangendo:
«Signore io credo, ma tu aiuta la mia incredulità!» (Mc 9, 24).
Al
termine di questa meditazione, siamo noi, ora, a dire quelle stesse
parole. Signore, credo! Sono stato educato nella tua fede, ho deciso
di seguirti da vicino. Ripetutamente, durante la mia vita, ho
implorato la tua misericordia. Eppure, ripetutamente mi è parso
impossibile che tu potessi operare tante meraviglie nel cuore dei
tuoi figli. Signore, credo! Ma tu aiutami perché possa credere di
più e meglio!
E
rivolgiamo la nostra preghiera anche a Maria, Madre di Dio e Madre
nostra, Maestra di fede: Beata colei che ha creduto nell'adempimento
delle parole del Signore (Lc 1, 45).
Dal
sito http://it.josemariaescriva.info/
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