Quando
ti troverai nelle consolazioni, cara Filotea, farai dunque come ti ho
detto; ma il bel tempo, così gradevole, non durerà in eterno; anzi
qualche volta ti capiterà di sentirti così vuota e lontana dal
sentimento della devozione, che avrai la sensazione che la tua anima
sia una terra deserta, senza frutti, arida, senza sentieri e senza
piste per camminare verso Dio; senza nemmeno un filo d’acqua della
sua grazia per irrigarla. L’aridità è tale che tutto fa temere
che l’anima sarà presto ridotta simile a un terreno totalmente
incolto e abbandonato. L’anima che si trova in questo stato,
sinceramente merita compassione, soprattutto quando la sensazione di
aridità è molto profonda; in tal caso l’anima si ciba giorno e
notte di lacrime, proprio come Davide, mentre il nemico, per farla
disperare, la deride con mille angustie e le chiede: Poveretta! e
dov’è il tuo Dio? In quale via lo troverai? Chi potrà darti la
gioia della sua santa grazia?
Che
farai in simili occasioni, Filotea? Guarda da dove viene il male:
spesso siamo noi stessi causa delle nostre aridità e sterilità.
Come
la madre rifiuta lo zucchero al figlio soggetto ai vermi, così Dio
ci priva delle consolazioni quando noi ne ricaviamo vuote emozioni e
andiamo soggetti ai vermi della presunzione. Dio mio, hai fatto bene
ad umiliarmi! Sì, perché prima che tu mi umiliassi io ti avevo
offeso.
Quando
trascuriamo di raccogliere le dolcezze e le delizie dell’amore di
Dio nel tempo opportuno, il Signore le allontana da noi per punire la
nostra pigrizia. L’israelita che non raccoglieva la manna di buon
mattino, una volta sorto il sole, non gli era più possibile, perché
si scioglieva.
A
volte ci adagiamo in un letto di soddisfazioni sensuali e di
consolazioni caduche, come la Sposa del Cantico dei Cantici. Lo Sposo
delle nostre anime bussa alla porta del nostro cuore, ci invita a
ricominciare di nuovo i nostri esercizi spirituali, ma noi vogliamo
mercanteggiare, perché ci dispiace lasciare quelle gioie, e
separarci dalle false soddisfazioni; allora egli passa oltre e ci
lascia nella nostra pigrizia. In seguito poi, quando lo cercheremo,
faticheremo molto a trovarlo. Ce lo meritiamo, perché siamo stati
sleali e infedeli al suo amore e abbiamo rifiutato di viverne
l’esperienza per seguire l’amore delle cose del mondo.
Se
hai la farina d’Egitto, non puoi avere la manna del cielo! Le api
odiano tutti i profumi artificiali; le soavità dello Spirito Santo
non possono convivere con le delizie artificiali del mondo.
La
doppiezza e la finzione nella confessione e nei colloqui spirituali
con la propria guida, provoca l’aridità e la sterilità: dopo che
hai mentito allo Spirito Santo, perché ti meravigli se ti priva
della sua consolazione? Tu non vuoi essere semplice e spontanea come
un bambino, e allora non avrai le caramelle destinate al bambino!
Ti
sei ben ubriacata delle gioie mondane, perché ti meravigli allora se
le delizie spirituali ti vengono a nausea? Dice un antico proverbio
che le colombe ubriache trovano amare le ciliege. Ha colmato di beni
gli affamati, dice la Madonna, e i ricchi li ha lasciati a mani
vuote. i ricchi di piaceri mondani non possono ricevere quelli
spirituali.
Hai
conservato bene i frutti delle consolazioni ricevute. In tal caso ne
riceverai delle altre, perché a colui che ha sarà dato ancora di
più ma a quello che ha perso tutto per propria colpa sarà ‘tolto
anche quello che non ha; ossia sarà privato anche delle grazie che
gli erano destinate. Osserva come la pioggia dia vita alle piante che
hanno ancora del verde; ma a quelle che non ne hanno Più, toglie
anche la vita che non hanno, perché le fa marcire del tutto.
Per
molte di queste cause noi perdiamo le consolazioni devote e cadiamo
nell’aridità e sterilità di spirito; esaminiamo la nostra
coscienza per vedere se vi scopriamo manchevolezza in questo campo.
Nota però, Filotea, che non devi fare questo esame con agitazione e
troppo puntiglio; ma dopo aver obiettivamente preso in esame le
eventuali colpe a questo proposito, se scopri che la causa dei male è
dentro di te, ringrazia Dio, perché il male quando se ne scopre la
causa, per metà è già guarito. Se, al contrario, non trovi nulla
che, secondo te, possa essere la causa di questa aridità, non
impegnarti in un esame più accurato, ma, con tutta semplicità,
senza scendere a dettagli, fa quello che ora ti dirò:
Umiliati
profondamente davanti a Dio, riconoscendo il tuo nulla e la tua
miseria: Che cosa ne è di me quando sono affidata a me stessa?
Signore, sono soltanto terra arida, con enormi crepe da tutte le
parti, con una grande sete di pioggia dal cielo, che il vento dissipa
e riduce in polvere.
Invoca
Dio e domandagli la sua gioia: Rendimi, Signore, la gioia della tua
salvezza. Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice.
Partiti da qui, vento secco, che inaridisci la mia anima; e tu,
brezza gentile di consolazione, vieni e soffia nel mio giardino; i
tuoi buoni affetti spanderanno soavi profumi.
Va
dal tuo confessore, aprigli bene il cuore, svelagli tutti i
nascondigli della tua anima, accetta i consigli che ti darà, con
grande semplicità e umiltà. Dio ama infinitamente l’obbedienza,
per cui aggiunge spesso efficacia ai consigli che si ricevono da
altri, soprattutto quando si tratta delle guide delle anime, anche se
non c’è nessuna esteriorità apparente; pensa a Naaman: il Signore
rese per lui prodigiose le acque del Giordano, nelle quali Eliseo,
senza alcuna ragione apparente, gli aveva ordinato di bagnarsi.
Ma,
dopo tutto, niente è così utile e così fruttuoso, in tali aridità
e sterilità, come il non affezionarsi e attaccarsi al desiderio di
essere liberati. Non dico che non bisogna, con molta semplicità,
aspirare alla liberazione; ma dico che non ci si deve affezionare,
anzi bisogna rimettersi con semplicità nelle mani della Provvidenza
di Dio, affinché si serva di noi tra le spine e nel deserto, fin che
gli piacerà. Diciamo a Dio in tale frangente: Padre, se è
possibile, allontana da me questo calice; ma aggiungiamo con grande
coraggio: tuttavia sia fatta la tua volontà e non la mia, e
fermiamoci lì, con tutta la calma possibile. Dio vedendoci in quella
santa indifferenza ci consolerà con molte grazie e favori, come
quando vide Abramo deciso a privarsi del suo figlio Isacco. Gli bastò
vederlo indifferente nell’accettare, e lo consolò con una visione
molto gradita e con dolcissime benedizioni. In ogni genere di
afflizioni, sia corporali che spirituali, e nella diminuzione, o
addirittura sparizione della devozione sensibile, che ci può
capitare, dobbiamo dire con tutto il cuore e con profonda
sottomissione: Il Signore mi ha dato delle consolazioni, il Signore
me le ha tolte; sia benedetto il suo santo Nome!
Se
perseveriamo nell’umiltà, ci colmerà dei suoi deliziosi favori,
come fece con Giobbe, che, in tutte le tribolazioni si espresse con
queste parole.
Infine,
Filotea, tra tutte le nostre aridità e sterilità, non perdiamo il
coraggio, ma aspettiamo con pazienza, il ritorno delle consolazioni.
Continuiamo il nostro abituale modo di vivere; non tralasciamo per
questo motivo nessun esercizio di devozione, anzi, se ci è
possibile, moltiplichiamo le buone azioni; e se non possiamo
presentare allo sposo la marmellata, gli daremo la frutta secca; per
lui fa lo stesso, a condizione che il cuore che gliela offre, sia
decisamente risoluto ad amarlo.
Quando
la primavera è bella, le api fanno più miele e si occupano meno
delle ninfe, perché con il bel tempo si divertono molto a fare la
raccolta sui fiori, tanto che dimenticano di occuparsi delle ninfe;
ma quando la primavera è fredda e nuvolosa, si occupano di più
delle ninfe e fanno meno miele, perché non potendo uscire per fare
la raccolta del polline, occupano il tempo ad accrescere e
moltiplicare la loro stirpe.
Capita
spesso, Filotea, che l’anima, trovandosi in una bella primavera di
consolazioni spirituali, si distragga talmente nel desiderio di
accumularle e assaporarle, che, per l’abbondanza delle piacevoli
delizie, si occupa molto meno delle opere buone. Al contrario quando
si trova nell’asprezza e nell’aridità spirituale, a misura che
si vede privata dei sentimenti piacevoli della devozione, moltiplica
le opere concrete e interiormente genera più copiose le vere virtù,
quali la pazienza, l’umiltà, l’abiezione di sé, la
rassegnazione, l’abnegazione dell’amor proprio.
Molti,
specialmente le donne, cadono nel grave errore di credere che il
servizio che noi rendiamo a Dio
senza
piacere, senza tenerezza di cuore e senza sentimento, sia meno
gradito alla Maestà divina; al contrario, le nostre azioni sono come
le rose che, quando sono fresche, sono più belle, quando invece sono
secche emanano un profumo più acuto: lo stesso avviene per le nostre
opere; quelle fatte con tenerezza di cuore piacciono più a noi, dico
a noi, perché noi guardiamo soltanto il nostro piacere; quelle
invece compiute con aridità e sterilità, sono più profumate e
hanno più valore davanti a Dio. Sì, cara Filotea, in tempo di
aridità, la volontà ci trascina al servizio di Dio quasi per forza,
e per conseguenza, deve essere più vigorosa e costante che in tempo
di tenerezze.
Non
vale gran che servire un principe in tempo di pace, negli agi della
corte; ma servirlo nella durezza della guerra, in mezzo ai torbidi e
alle persecuzioni, è un vero segno di costanza e di fedeltà.
La
Beata Angela da Foligno dice che “l’orazione più gradita a Dio è
quella che si fa per forza e costrizione”, ossia quella che
facciamo, non per il piacere che vi troviamo, o perché vi siamo
portati, ma soltanto per piacere a Dio; ed è la nostra volontà che
ci trascina quasi a forza, facendo violenza alle aridità e alle
ripugnanze che vi si oppongono,
Dico
la stessa cosa per ogni sorta di buone opere, perché più noi
proviamo contrarietà a compierle, sia quelle interiori che quelle
esteriori, più godono del favore e della stima di Dio. Nelle virtù,
minore è l’interesse da parte nostra e più vi splende in tutta la
sua purezza l’amore di Dio. Facilmente il bambino bacia la mamma
che gli regala lo zuccherino, ma se la bacia dopo che gli ha dato
assenzio o fiele, allora sì che è segno che le vuole veramente
molto bene!
UN ESEMPIO NOTEVOLE, A CONFERMA E CHIARIMENTO DI QUANTO E’ STATO DETTO
Per
dare maggior credito a quanto ho detto, voglio presentarti un brano
molto eloquente della storia di S. Bernardo; te lo trascrivo
prendendolo da un dotto e giudizioso scrittore. Ecco cosa dice: è
cosa ordinaria per quasi tutti quelli che si pongono al servizio di
Dio e non sono ancora esperti nell’affrontare le privazioni della
grazia e le alternanze della vita spirituale, quando viene loro a
mancare il gusto della devozione sensibile, e quella gradita luce che
invita a sollecitare il cammino verso Dio, perdere d’un colpo il
respiro, e cadere nella paura e nella tristezza del cuore.
La
gente saggia dà questa spiegazione: la natura ragionevole non può
rimanere a lungo affamata e senza qualche soddisfazione, sia essa
celeste o terrestre. Le anime innalzate al di sopra di se stesse in
virtù di piaceri superiori, dimenticano facilmente tutte le cose
sensibili; la s ‘ tessa cosa avviene quando per disposizione divina
viene loro tolta la gioia spirituale: trovandosi senza consolazioni
sensibili, e non essendo ancora abituate a saper attendere con
pazienza il ritorno del vero sole, provano l’impressione di non
essere più in cielo né sulla terra ma sepolte in una notte senza
fine: di modo che, come lattanti che vengono svezzati, piagnucolano e
si lamentano perché non hanno più le mammelle da succhiare e
diventano noiosi e insopportabili, soprattutto a se stessi.
Ecco
cosa capitò, lungo il cammino di cui stiamo parlando, a uno dei
monaci di nome Goffredo di Peronne, da poco entrato al servizio di
Dio. Trovandosi improvvisamente arido, privo di consolazioni e preso
dalle tenebre interiori, gli ritornarono alla mente gli amici del
mondo, i parenti, le ricchezze lasciate da poco, e fu assalito da una
forte tentazione che non riuscì a nascondere; uno di quelli, con cui
era maggiormente in confidenza, se ne accorse e, avendolo avvicinato
con molta discrezione e parole gentili, gli chiese a tu per tu: ”
Che cosa ti succede, Goffredo? Come mai, contrariamente al tuo
solito, sei così pensoso e afflitto? ” Rispose Goffredo
accompagnando le parole con un profondo sospiro: ” Fratello caro,
nella mia vita non sarò mai felice”. L’altro, mosso a pietà da
tali parole, spinto da zelo fraterno, corse subito a raccontare tutto
al padre comune S. Bernardo, che, sentendo il pericolo, entrò in
chiesa e pregò Dio per lui. Nel frattempo Goffredo, oppresso da
tristezza, poggiata la testa su una pietra, si addormentò.
Dopo
un po’ entrambi si alzarono: l’uno dall’orazione con la grazia
impettata, l’altro dal sonno, così contento e sereno, che l’amico
si meravigliò molto di un cambiamento così radicale e improvviso, e
non poté trattenersi dal muovergli amichevolmente un rimprovero per
quello che gli aveva risposto prima. Goffredo allora disse: ” Se
prima ti ho detto che mai sarei stato felice, ora ti garantisco che
non sarò mai triste! ” Questa è stata la conclusione della
tentazione di quel devoto monaco, Filotea; ma voglio farti notare
alcune cose in questo racconto:
1.
Ordinariamente a chi entra al suo servizio, Dio dà un saggio delle
gioie celesti, per far uscire dai piaceri terreni e incoraggiare a
cercare l’amore divino, come una mamma che per invogliare e
attirare il bambino a succhiare la mammella ci mette sopra un po’
di miele.
2.
E’ sempre lo stesso buon Dio che qualche volta, secondo i suoi
saggi disegni, ci toglie il latte e il miele delle consolazioni, per
farci divezzare, e insegnarci a mangiare il pane secco e più solido
di una devozione forte, esercitata alle prove del disgusto e delle
tentazioni.
3.
Qualche volta, mentre siamo afflitti da aridità e sterilità,
scoppiano terribili burrasche; in tal caso dobbiamo combattere con
costanza le tentazioni, perché quelle non vengono da Dio, ma
dobbiamo sopportare pazientemente le aridità, perché quelle Dio le
ha permesse per esercitarci.
4.
Non dobbiamo mai perderci di coraggio quando siamo afflitti da guai
interiori, e non dire come il buon Goffredo: Non sarò mai felice,
perché nella notte dobbiamo aspettare la luce; viceversa anche nel
mezzo del più bel tempo spirituale che possa capitarci, non bisogna
dire: Io non avrò più guai! Dice infatti il Saggio che nei giorni
felici bisogna ricordarsi della sventura. Bisogna sperare nelle
difficoltà e temere nella prosperità, e sia nell’un caso che
nell’altro, umiliarsi.
5.
Confidare il proprio male a qualche amico spirituale che possa
aiutarci è un ottimo rimedio.
Infine,
a conclusione di questa raccomandazione così necessaria, ti faccio
notare che, in questo come del resto in tutte le cose, il buon Dio e
il maligno vogliono esattamente l’opposto: Dio vuole condurci con
le aridità a una grande purezza di cuore, alla totale rinuncia al
nostro interesse personale in tutto ciò che riguarda il suo
servizio, a una perfetta spogliazione di noi stessi; il maligno cerca
di servirsi delle stesse difficoltà per scoraggiarci, farci
ritornare ai piaceri sensuali, e infine renderci tediosi a noi stessi
e agli altri, per denigrare e screditare la santa devozione.
Ma
se rifletti agli insegnamenti che ti ho dato, aumenterai di molto la
tua perfezione continuando l’esercizio della devozione anche in
mezzo alle afflizioni interiori, sulle quali non voglio chiudere il
discorso senza dire ancora una parola.
Qualche
volta, la nausea, la sterilità e l’aridità provengono da
indisposizioni fisiche; il che può capitare per le veglie eccessive,
per le fatiche e i digiuni; che ci ammazzano di stanchezza, ci
intontiscono, ci fiaccano e ci gravano anche di altre infermità. t
vero che dipendono dal corpo, ma coinvolgono anche lo spirito, per lo
stretto legame che li unisce. In tali circostanze, bisogna ricordarsi
di fare sempre molti atti di virtù con la punta dello spirito e la
volontà superiore; anche se tutta la nostra anima sembra dormire ed
essere presa dal sopore e dalla stanchezza, non è per questo che gli
atti del nostro spirito saranno meno graditi a Dio; in quei momenti
possiamo dire come la Sposa: Dormo, ma il mio cuore veglia; e, come
ho già detto, se è indubitabile che in tali circostanze c’è meno
soddisfazione, è sicuro però che c’è più merito e virtù.
In
tali situazioni il rimedio è di rinvigorire il corpo con qualche
opportuno trattamento e qualche distrazione; è per questo che
Francesco comandava ai suoi frati di essere moderati nel lavoro, in
modo da non fiaccare il fervore dello spirito.
E
a proposito di questo glorioso Padre, una volta fu preso e agitato da
una malinconia di spirito così profonda tanto che non poteva
impedirsi di tradirlo nel comportamento. Non riusciva più a
conversare con i suoi religiosi e, se se ne allontanava, era peggio.
L’astinenza e la macerazione della carne lo opprimevano, l’orazione
non gli dava più alcun sollievo.
Rimase
in quello stato due anni, tanto che sembrava che Dio lo avesse
completamente abbandonato. Alla fine, dopo aver umilmente sopportato
quella rude tempesta, il Salvatore gli ridiede in un attimo tutta la
sua beata serenità.
Questo
per dirti che i più grandi servi di Dio sono soggetti a queste
burrasche; e noi piccoli tra tutti, non dobbiamo meravigliarci se
qualche cosetta capita anche a noi.
Nessun commento:
Posta un commento