Era
un ragazzino che amava tantissimo il calcio e aveva un padre molto
affettuoso che condivideva la sua passione. Era piccolo e mingherlino
e il più delle volte doveva fare la riserva. Anche se il figlio era
sempre in panchina, il padre era sempre tra gli spettatori a fare il
tifo e non mancava mai a una partita. Il ragazzo era ancora il più
piccolo della classe anche al liceo, ma suo padre continuava a
incoraggiarlo.
Il
ragazzo riuscì a entrare nella squadra giovanile della città. Non
perdeva mai un allenamento e s'impegnava con tutte le sue forze, ma
l'allenatore continuava a confinarlo in panchina durante le partite.
Suo
padre era sempre in tribuna e tutte le volte trovava le parole giuste
per incoraggiarlo. Il ragazzo era quasi sicuro di non essere ammesso
nella squadra maggiore e invece l'allenatore, colpito dall'impegno
che spendeva negli allenamenti, lo volle con sé. Pieno di entusiasmo
chiamò subito suo padre al telefono. Questi condivise la sua gioia e
si abbonò a tutte le partite. Il ragazzo si impegnava e si allenava.
Ma durante le partite restava in panchina. Arrivò l'ultima settimana
del campionato. Con una vittoria, la squadra poteva essere promossa
nella serie superiore, All'inizio della settimana, il giovane si
avvicinò all'allenatore. Aveva gli occhi rossi ed era molto pallido.
«Mio
padre è morto questa mattina. Posso saltare l'allenamento, oggi?»
borbottò. L'allenatore gli mise gentilmente un braccio sulla spalla
e disse: «Prenditi anche il resto della settimana, figliolo».
Arrivò la domenica e lo stadio era affollato come non mai. Era la
partita più importante dell'anno e tutta la città sentiva
l'avvenimento in modo particolare. La squadra scese in campo per il
riscaldamento un po' prima dell'orario d'inizio della partita. Con
autentico stupore, videro il ragazzo con la tuta della divisa di
gioco che correva con loro.
La
partita ebbe inizio. Si capì subito che gli avversari erano meglio
organizzati e costrinsero la squadra a barricarsi in difesa.
All'inizio del secondo tempo, il ragazzo si avvicinò all'allenatore
e disse: «Mister, fatemi giocare, per favore». I suoi occhi erano
pieni di fiduciosa aspettativa. Dolente per il ragazzo, l'allenatore
acconsentì: «Va bene», disse, «vai in campo». Dopo pochi minuti,
l'allenatore, i giocatori e gli spettatori non potevano credere ai
loro occhi. Quel piccolo, sconosciuto ragazzino che non aveva mai
giocato prima, aveva preso in mano il centrocampo e fatto salire la
squadra. Gli avversari non riuscivano a fermarlo. I compagni di
squadra cominciarono a passargli il pallone sempre più spesso. A
pochi minuti dal fischio finale, con un tiro forte e angolato, segnò
il goal della vittoria.
I
compagni lo portarono in trionfo, gli spettatori, in piedi, lo
applaudirono a lungo. Quando tutti ebbero lasciato gli spogliatoi,
l'allenatore si accorse che il ragazzo era seduto in silenzio in un
angolo, tutto solo. «Ragazzo, sei stato fantastico! Come hai
fatto?». Il giovane guardò l'allenatore, con le lacrime agli occhi,
e disse: «Le ho detto che mio padre è morto, ma lei sapeva che mio
padre era cieco?». Il giovane degluti e si sforzò di sorridere.
«Papà è venuto a tutte le mie partite, ma oggi era la prima volta
che poteva vedermi giocare, e volevo dimostrargli che potevo
farcela!».
È
l’invocazione più bella e sentita di ogni bambino: «Guardami,
papà!». Se è rivolta a Dio, si chiama preghiera.
Tratto
da “L'iceberg e la duna” di Bruno Ferrero
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