Gesù presso un pozzo di Samaria incontra una donna ...
Gv 4, 5-30; 39-42
Penso che la prima impressione che si ha leggendo questo episodio raccontato dall'evangelista Giovanni, prima ancora di capire le cose nel dettaglio, sia una grande ammirazione per la disponibilità, la pazienza, la bontà e la sapienza che Gesù manifesta nel dialogo con la donna Samaritana.
È un dialogo fra la sapienza di Gesù e l'ignoranza della donna, è il
dialogo fra una donna disastrata e peccatrice e Colui che può rimediare a
ogni disastro e perdonare ogni peccato; è un dialogo fra la miseria e
la misericordia, simbolo del dialogo fra Dio e l'umanità, fra Dio e ogni
uomo.
E nonostante il suo peccato, nonostante la sua miseria e la diffidenza
verso quell'uomo straniero, la donna non si trova a disagio nel
discorrere con Gesù, anzi, verrà a poco a poco a beneficiare di un dono
misterioso, un'acqua viva la cui dolcezza è talmente inebriante da
conquistare per sempre il suo cuore. E come Gesù cercava di suscitare
nella Samaritana il desiderio dell'acqua viva, così questa riflessione
non sarà vana se farà sorgere anche in noi il desiderio di questa
misteriosa acqua.
Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo
Gesù con i suoi discepoli stava viaggiando dalla Giudea verso la Galilea passando per la Samaria. Ma Gesù si era anche messo in viaggio dal Cielo alla terra per portare agli uomini il dono di Dio, per portare loro quell'acqua viva che sola può dissetare i loro cuori. Gesù era venuto sulla terra assumendo una natura umana, e questo comportava l'accettazione di tutti i suoi inconvenienti, tra questi vi era quello di stancarsi quando si camminava a lungo o si lavorava molto. È tuttavia possibile pensare che questa stanchezza non fosse solo fisica, ma anche morale. Gesù aveva da poco incominciato la sua vita pubblica e già le prime incomprensioni, le prime ostilità affliggevano il suo cuore: è venuto fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto ... la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce (Gv 1,11; 3,13).
Proprio nel momento in cui Gesù, stanco, siede presso il pozzo di Giacobbe arriva una donna di Samaria ad attingere acqua e Gesù le dice: dammi da bere.
Gesù non si vergogna di manifestare la sua stanchezza e di chiedere
alla donna un po' di sollievo. È possibile vedere in questa scena un
richiamo al momento della crocifissione: anche quando Gesù è stato
crocifisso era stanco del viaggio che l'aveva condotto al calvario,
anche allora era verso mezzogiorno quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra (Lc 23, 44), anche allora Gesù disse: ho sete (Gv 19, 28). Ma che cosa dà sollievo a Gesù, che cosa Lo disseta?
La donna intanto non capisce e si stupisce che uno straniero, un Giudeo,
uno verso cui non ci sono buone relazioni, si abbassi a chiedere da
bere a lei, Samaritana e donna: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?
Il sollievo e il refrigerio che Gesù chiedeva a quella donna lo chiede anche a noi, anche a noi Gesù dice: dammi da bere,
e anche noi ci stupiamo e non capiamo come Dio si abbassi a chiedere
veramente qualche cosa a noi, come Dio per dissetarsi abbia bisogno
della nostra acqua.
Il dialogo fra chi tenta di suggerire qualche cosa di inaudito... e chi non capisce...
Gesù risponde con un discorso molto misterioso: se tu conoscessi il
dono di Dio e chi è colui che ti dice: "dammi da bere!", tu stessa
gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva.
In questo discorso c'è la risposta agli interrogativi precedenti, ma per
il momento la Samaritana non capisce un gran che, e non so se per noi
le cose vadano molto meglio. Allora la donna propone un suo
ragionamento, molto concreto, molto terra terra, efficace e ancorato
alla tradizione: gli disse dunque la donna: "Signore, tu non hai un
mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque
quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che
ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo
gregge?". Gesù propone a sua volta una riflessione, in parte
altrettanto realistica e comprensibile, e in parte sempre realistica dal
suo punto di vista ma ancora incomprensibile per la donna. Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete, e fin qui la donna riesce a capire, ma quando dice: ma
chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi,
l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla
per la vita eterna, la donna crede di capire, in realtà capisce una cosa per l'altra. Risponde infatti: dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Evidentemente l'acqua a cui pensa Gesù e l'acqua a cui pensa la donna, non sono la stessa cosa.
Gesù sposta allora il dialogo apparentemente verso un'altra direzione e le dice: va a chiamare tuo marito e poi torna qui.
Con questa richiesta Gesù orienta la donna ad esaminare lo stato della
sua vita. La donna risponde in modo generico e con un certo imbarazzo: non ho marito. La risposta è vera ma non descrive in modo chiaro la sua situazione; dire non ho marito potrebbe anche voler dire che non è legata a nessun uomo.
La replica di Gesù evidenzia una delle caratteristiche fondamentali del
suo fascino: Gesù sa tutto e conosce in profondità la vita di ciascun
uomo, nessun dettaglio sfugge al suo sguardo d'amore, Lui vede con
precisione quanto c'è di buono e quanto c'è di cattivo nella vita di
ognuno di noi. Le dice infatti Gesù: hai detto bene "non ho marito";
infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito;
in questo hai detto il vero.
Apprendiamo così quanto grande era la sete di amore e di felicità di
quella donna. Nessun amore umano era tuttavia riuscito a dissetarla
veramente, ed anche il suo ultimo amore era destinato a lasciarle la
bocca amara e secca. La vita di questa donna ci mostra ancora in quali
miserie si cade quando non si cercano l'amore e la felicità nella giusta
direzione; si è ridotti a vagare da un amore all'altro senza trovare
ciò che si cerca. Allora, Gesù si propone a lei come colui che possiede
un'acqua che ha il potere di spegnere veramente la sua sete: chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete.
Gesù legge nelle profondità dei cuori e delle vicende umane, ed anche se
queste vicende sono un cumulo di macerie il suo sguardo ha il potere di
suscitare una speranza perché il suo sguardo è buono. Questa è un'altra
caratteristica fondamentale del suo fascino: quando tutti ci condannano
e sono pronti a lapidarci, quando anche noi non siamo capaci di
perdonare a noi stessi, quando ci dibattiamo in situazioni senza uscita,
la sua bontà è capace di inventare soluzioni che nessun altro potrebbe
inventare.
A contatto con Gesù le vite cambiano, la luce entra nei
cuori ed i pensieri si elevano, è quello che sta accadendo alla donna
di Samaria. Dice infatti a Gesù: Signore, vedo che tu sei un profeta.
I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è a
Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare.
A questo punto la donna incomincia a rendersi conto che un qualche
mistero è legato all'uomo che ha di fronte, un mistero per cui
quell'uomo è in rapporto con Dio in modo particolare: vedo che sei profeta,
ossia un uomo di Dio, che conosce le cose che riguardano Dio, allora è
lui la persona giusta a cui si può chiedere come ci si deve regolare nei
rapporti con Dio, è lui che può risolvere i dubbi causati dalle diverse
tradizioni e dai diversi comportamenti che gli uomini hanno
nell'esprimere la loro adorazione. Gli propone quindi il suo dubbio: i nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare.
Nonostante le vicende infelici che hanno caratterizzato la vita di
questa donna, la sua domanda ci rivela che non tutto è negativo in lei;
il fatto che le sia rimasto vivo il desiderio di conoscere la verità
intorno alle cose di Dio è una cosa molto buona. Quando si hanno dei
dubbi su qualche questione bisogna fare tutto il possibile per
chiarirli, soprattutto se la cosa è della massima importanza come lo è
il sapere che cosa è più gradito a Dio.
Questa domanda è un po' la domanda di chi, di fronte alle varie
religioni, vuole sinceramente conoscere dove sta la verità, dove Dio ha
posto il suo sigillo, perché una religione non vale l'altra, ma bisogna
scegliere ed aderire a quella che è migliore delle altre, perché più
delle altre rende possibile la conoscenza e l'amore di Dio. Gesù
infatti, pur non disprezzando la religione dei Samaritani, afferma che
la religione dei Giudei è migliore: voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Le pratiche religiose dei Samaritani erano infatti inquinate da varie
componenti di idolatria, adoravano cioè, insieme al vero Dio, anche
altri dei, mentre questo non avveniva nella religione dei Giudei; la
salvezza poi, viene dai Giudei, perché il Salvatore del mondo, ossia
Gesù, è un Giudeo.
Per comprendere l'affermazione di Gesù: credimi, donna, giunge il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre,
conviene porsi la domanda: "e dove lo adoreremo allora?". Secondo
Origene, qui Gesù sta parlando dell'adorazione che i beati offriranno al
Padre nella patria celeste, ossia della perfezione dell'adorazione
dovuta alla perfezione della conoscenza e dell'amore. Mentre per il
tempo presente, in cui è imperfetta la nostra adorazione, vale la frase
seguente di Gesù: giunge il momento, ed è questo, - mentre prima non aveva sottolineato ed
è questo - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e
verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli
che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità, e questi potranno trovarsi sia a Gerusalemme che in Samaria.
Ma perché il Padre cerca tali adoratori? Perché vuole aiutarli con la
sua grazia a conoscerLo ed amarLo sempre meglio, sempre più in
profondità: tanto più conosceremo a fondo il pensiero di Dio, cosa gli è
gradito e cosa non gli è gradito, tanto più lo adoreremo in spirito e
verità. Adorare in spirito e verità è anche rivolgersi a Lui senza
simulazioni e senza ipocrisie, avendo sentimenti di vero amore e di vera
devozione, Lui infatti, non guarda tanto la quantità delle nostre
pratiche esteriori, ma piuttosto, quanto vero amore c'è nel nostro
cuore, quanto sincera e retta è la nostra intenzione quando ci
rivolgiamo a Lui. Adorare in spirito e verità è riconoscere la signoria
di Dio sopra ogni cosa, soprattutto sulla nostra vita, e quindi lasciare
che la nostra esistenza venga regolata dalla sua volontà e non dalla
nostra.
Dire poi che Dio è spirito, significa affermare che Dio non ha un corpo,
come hanno un corpo i sassi, gli alberi e noi, ma significa anche
affermare che Dio qualche cosa è, e Dio è pura Intelligenza e puro
Amore. Dire che Dio è spirito, vuole anche dire che Lui non è legato a
un luogo particolare, ma è presente dappertutto e coloro che si
rivolgono a lui con cuore sincero possono entrare in comunione con Lui
in qualsiasi luogo. Questo non vuol dire, per noi che siamo legati ad un
corpo, che non ci debbano essere dei luoghi sacri nei quali ci si reca
per esprimere, singolarmente o comunitariamente, la propria adorazione.
Il risultato di questi discorsi di Gesù è quello di richiamare nei pensieri della donna la figura del Messia; gli dice infatti: so che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa.
Cristo significa unto, ossia uno sopra il quale Dio ha posto il suo
sigillo. Come lo stesso Mosè aveva annunciato (Dt 18,18), Dio avrebbe
fatto sorgere un profeta simile a lui; come infatti Mosè era stato
inviato da Dio in Egitto per liberare il suo popolo, insegnargli la sua
legge e condurlo nella terra promessa, così il Messia era l'atteso
inviato di Dio che avrebbe annunciato al popolo la sua parola e lo
avrebbe liberato da ogni oppressione. Quello che si attendeva non era
però un inviato di Dio qualunque, ma il Messia, ossia l'inviato
definitivo, colui che annuncia ogni cosa perché sa ogni cosa.
L'esperienza dell'acqua viva: "Sono Io che ti parlo"
A questo punto Gesù rivela alla donna quello che forse il suo cuore
incominciava a sospettare, vale a dire che in Lui c'era la risposta
ultima e definitiva alle attese del suo cuore e alle attese del cuore di
tutti gli uomini: la sorgente d'acqua viva che poteva spegnere il suo
ardente desiderio di amore sgorgava dal suo cuore, il Messia atteso
dalle genti era Lui, e lei, proprio lei, aveva avuto il privilegio e
l'onore di incontrarlo.
Un fascino misterioso si diffondeva da quell'uomo, c'era in Lui qualcosa
di speciale che gli altri non avevano, qualche cosa che non è di questo
mondo, qualche cosa che lasciava intravedere la pienezza della vita, la
pienezza della luce, la pienezza della gioia, e la donna Samaritana a
questa pienezza incominciava ad attingere; ed allora, quella povera
brocca con la quale era andata a cercare l'acqua del pozzo non le era
più necessaria, un'acqua nuova, un'acqua viva, stava già dissetando il
suo cuore. Ciò che sentiva urgente in quel momento, era annunciare agli
altri la scoperta che aveva fatto, perché anche i suoi concittadini
potessero gustare la bontà di quell'acqua che il Messia era venuto a
portare.
La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente:
"venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che
sia forse il Messia?". Un uomo le aveva detto tutto quello che aveva
fatto, e non erano cose di cui andar fieri, tuttavia, quell'uomo non
l'aveva rimproverata, non l'aveva condannata, ma l'aveva guardata con
amore, l'aveva risanata offrendole il suo amore, e questo amore stava
traboccando dal suo cuore.
C'era di che stupire e di che incuriosire gli abitanti di quella città; infatti, impressionati da quell'annuncio: uscirono allora dalla città e andavano da Lui.
Solo coloro che hanno fatto esperienza di Gesù riescono a condurre gli
uomini a Gesù, non vogliono essere loro al centro dell'attenzione, ma
condurre a Colui che ha conquistato il loro cuore.
Lo stupore dei discepoli ... e la libertà di Gesù
Intanto erano arrivati anche i discepoli ed avevano provato una certa
meraviglia ed un certo imbarazzo nel vedere Gesù che discorreva con una
donna. Questo ci rivela un altro aspetto del fascino di Gesù. Gesù è un
uomo libero, non si lascia condizionare dagli usi e costumi del tempo,
dai pregiudizi nei confronti della donna in generale e della donna
peccatrice in particolare, la sua però non è una libertà arrogante o
spregiudicata, ma è una libertà che deriva dalla sua divina maestà e
dalla rettitudine del suo amore, ed allora i discepoli non possono che
ammirare e tacere: nessuno tuttavia gli disse: "che desideri?", o: "perché parli con lei?".
Quando i Samaritani giungono da Gesù è dato anche a loro di gustare quanto è buono il Signore, ed allora non potevano che pregarlo di rimanere un po' con loro, ed egli vi rimase due giorni.
San Tommaso vede in questi due giorni un simbolo dell'insegnamento che
il Signore impartirà loro, ossia l'insegnamento intorno all'amore di Dio
e all'amore del prossimo, e a causa della profondità di questo
insegnamento non potevano che aumentare coloro che avrebbero
riconosciuto in Gesù il Salvatore del mondo. La fede che era iniziata in
loro con il caloroso annuncio della loro concittadina, si era poi
perfezionata quando a loro volta avevano beneficiato della soavità
dell'insegnamento del Signore.
Analogie fra la storia della donna Samaritana e la nostra
Dopo aver cercato di comprendere quello che è successo alla Samaritana,
rimane da esaminare secondo quali aspetti la storia di questa donna dai
sei mariti, che era uscita per cercare acqua ed aveva incontrato il
Signore, è simile alla nostra.
La donna che si reca al pozzo ad attingere acqua per avere di che
dissetarsi e preparare il suo nutrimento, possiamo vederla come una
figura del cammino che ognuno di noi compie per andare in cerca di
qualche cosa che nutra il proprio cuore ed estingua la propria sete, ed
il nostro cuore ha una fame fondamentale di amore ed una sete
fondamentale di conoscenza; se trascuriamo di cercare questi nutrimenti
rischiamo di ritrovarci con un cuore secco e arido.
Normalmente questa ricerca ci conduce verso i beni che sono a noi più
vicini, così cerchiamo in un primo tempo l'amore dei genitori, dei
parenti, degli amici, di uno sposo o di una sposa. Lo stesso accade per
la sete di conoscenza: ci rivolgiamo prima ai genitori, poi agli
insegnanti delle scuole, e procediamo, a seconda dei casi, fino a quando
ci sembra di sapere abbastanza. Molti si fermano troppo presto, mentre
pochi si preoccupano di coltivare la loro intelligenza per tutto il
corso della vita. Accade però che col passare degli anni si sperimenta
che l'amore dei genitori, degli amici, dello sposo o della sposa, non
riesce a nutrire veramente il nostro cuore, e la conoscenza acquisita
nelle scuole o con la nostra ricerca personale, non riesce a dissetarci
veramente.
Cinque mariti più uno
Il fatto che questa donna abbia avuto cinque mariti e quello che ha ora
non è suo marito, può essere considerata una figura dei diversi
tentativi che ognuno di noi compie nella ricerca di qualcosa che appaghi
la propria esistenza. Infatti, nel corso della nostra vita si succedono
generalmente diverse passioni: quella per il gioco da bambini, per il
calcio o per altri sport anche quando non si è più bambini, la passione
per la propria moglie o per il proprio marito, per la moglie o il marito
degli altri, qualcuno avrà la passione per il ricamo, il giardino, la
vigna, le mucche, i soldi… altri più raffinati avranno la passione per
lo studio, la musica, il canto, la politica, la liturgia, la teologia e
così via…Queste passioni assomigliano ai diversi mariti della donna
Samaritana, ci aiutano a vivere per un po' e quando ci accorgiamo che
non ci soddisfano più ne cerchiamo un'altra, ma anche l'ultimo colpo di
fulmine, l'ultima passione che è riuscita a catturare il nostro cuore: non è tuo marito,
ossia non è il nostro vero amore; anche noi, come la Samaritana,
passiamo da un amore all'altro senza trovare ciò che cerchiamo.
Quando si giunge a questo punto si è forse pronti per ascoltare la parola del Signore: chiunque beve di quest'acqua avrà ancora sete,
ossia, chi vuole dissetarsi con la felicità umana, quella che può
offrire questo mondo, è condannato ad avere sempre sete, perché il
nostro cuore è fatto per una felicità più grande. Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete,
è Gesù che possiede l'acqua che sola può estinguere completamente e
definitivamente la nostra sete; anche in un'altra occasione Gesù aveva
gridato: chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno (Gv 7, 37-38).
Gesù dunque, propone anche a noi, come aveva proposto alla Samaritana,
il dono dell'acqua viva, ossia il dono di una conoscenza, di un amore,
di una vita, che non sono di questo mondo, non sono naturali ma
soprannaturali, e anche noi facciamo fatica a comprendere di che cosa
Gesù stia parlando, come la Samaritana anche noi diciamo a Gesù: tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva?
Infatti, ciò che il Signore ci insegna con la sua parola e con il suo
esempio, è il distacco dalle ricchezze, dai piaceri, dagli onori, dagli
affanni per le cose che sono di un momento, il distacco dalla propria
volontà… in una parola, il distacco dai beni visibili e da noi stessi.
Ma allora, se il Signore non utilizza nessuno di questi mezzi, come può
pretendere di dissetare la nostra sete di felicità? Come può pretendere
che gli diamo ascolto? Noi, che abbiamo una radicata tendenza a cercare
l'appagamento della nostra volontà con i beni di questo mondo, non
capiamo chi ci parla dei beni del cielo.
Ed allora insistiamo: sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?
C'è in questa replica un richiamo alla tradizione, al comportamento
comune di chi ci sta accanto e di chi ci ha preceduto; fin dai tempi
antichi, come pure ai nostri giorni, tutti gli uomini attingono ai beni
di questo mondo per soddisfare la loro sete, e così fanno anche gli
animali, come può pretendere Gesù di dissetarci in altro modo?
Gesù insiste a sua volta: chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete.
C'è qui un invito a prendere coscienza del limite fondamentale dei beni
di questo mondo, cioè la loro incapacità a dissetarci in maniera
duratura; chi accetta di riconoscere questo stato di cose, incomincia ad
avere le giuste disposizioni per interessarsi al seguito della frase di
Gesù che dice: ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai
più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di
acqua che zampilla per la vita eterna.
Qui Gesù sta promettendo qualche cosa di fantastico, qualche cosa che
non sappiamo cosa sia e pertanto non sappiamo desiderare e non sappiamo
sperare. A questo proposito così si esprime San Paolo nella lettera agli
Efesini: possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente
per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di
gloria racchiude la sua eredità fra i santi (Ef 1, 18).
Accade
tuttavia, anche in chi è disposto a rivolgersi a Gesù per ottenere
l'acqua che disseta, di intendere le cose in maniera ancora troppo
umana, e di sperare da Lui, in definitiva, un benessere materiale, così
assomigliamo ancora alla donna che dice al Signore: dammi di quest'acqua perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua.
Risposta di Gesù: vai a chiamare tuo marito e poi ritorna qui.
Continuando la donna e noi a non capire, Gesù ci offre qualche sorso di
quell'acqua che Lui solo possiede e desidera donarci, ossia ci fa
sperimentare la dolcezza del suo amore e del suo perdono. Accade allora
qualcosa di singolare, ed è che lo sguardo di Gesù penetra in profondità
le vicende della nostra esistenza ed i segreti del nostro cuore e alla
luce di quello sguardo, in un clima di pace e di perdono, comprendiamo
le nostre miserie e veniamo risollevati dal suo amore, ed è a partire da
questa esperienza che nasce il desiderio di dire a tutti: venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto
e nonostante la mia miseria e il mio peccato non mi ha condannato ma mi
ha perdonato e mi ha guardato con amore, ed ora so che la sorgente
dell'amore sgorga dal suo cuore.
La brocca lasciata
Nell'andare in città a chiamare la gente, la donna lasciò la brocca.
Possiamo vedere in questo gesto un simbolo di quello che accade a
coloro che hanno ricevuto la grazia di assaporare per qualche momento la
dolcezza dell'amore divino. Quella brocca era il mezzo che lei usava
per attingere acqua, può quindi rappresentare tutti i mezzi che noi
utilizziamo per andare in cerca della felicità umana, ma quando si è
gustato un po' quanto è buono il Signore (Sal 33, 9), non
sentiamo più la necessità di dissetarci con i beni di questo mondo,
sapendo per esperienza quanto è migliore l'acqua che Gesù ci dona, ed
allora abbandoniamo quei mezzi con cui attingevamo ciò che ci era
necessario per vivere, e il nostro cuore incomincia ad orientarsi verso i
beni eterni.
Quando questo accade, noi diamo da bere al Signore, gli diamo sollievo,
perché Gesù ha un ardente desiderio della nostra salvezza e della nostra
felicità, e vuole che ci rivolgiamo a Lui per ottenere questi beni, per
questo dice alla donna: dammi da bere e le suggerisce poi di pregare Lui per ricevere il dono dell'acqua viva: se
tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "dammi da bere,
tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". Così, come qualcuno ha detto, Gesù ha sete che si abbia sete di Lui, e sulla croce grida ho sete
perché troppo pochi hanno sete di Lui, anzi, molti con la loro
indifferenza o la loro ostilità lo tengono ancora oggi inchiodato alla
croce.
Il tempo della fedeltà alla grazia
La Samaritana ha incontrato Gesù e gustato l'acqua viva del suo amore
senza aver cercato consapevolmente questi beni, è stata prevenuta
dall'iniziativa salvifica del Signore, ha trovato quindi il più grande
di tutti i tesori senza aver fatto gran che per meritarlo, anzi, avendo
fatto molto per rischiare di perderlo, ma da adesso in poi, da quando ha
gustato l'acqua viva, sostenuta dalla grazia dell'incontro con il suo
Signore, dovrà imparare a cercare consapevolmente l'amore di Dio come il
più prezioso di tutti i beni, il più prezioso di tutti gli amori.
Il Signore rimase infatti presso i Samaritani due giorni, trascorsi i
quali se ne andò. Questi due giorni sono il tempo in cui i Samaritani
hanno soprattutto ricevuto dal Signore, mentre il tempo in cui il
Signore non c'è più è quello in cui è chiesto loro di dare, ossia il
tempo in cui, a loro come a noi, è chiesto di dimostrare di stimare
l'amore di Dio più di tutti gli amori, è il tempo in cui si dovranno
vincere le tentazioni, ossia lottare contro le seduzioni che i beni di
questo mondo continuano ad esercitare anche in coloro che hanno già
gustato un po' la dolcezza dell'amore di Dio, bisognerà inoltre vigilare
per non lasciarsi condizionare da mentalità e dottrine che non sono
conformi agli insegnamenti di Gesù, in una parola bisognerà rimanere
fedeli alla grazia ricevuta, e meritare così, con un po' di fatica, di
gustare ancora quell'acqua viva che il Signore vuole donarci, perché Lui
ce la vuole donare anche in risposta alle nostre preghiere, al nostro
impegno e al desiderio che è venuto ad accendere nel nostro cuore,
desiderio che dobbiamo proteggere e coltivare.
Così, come la Samaritana, anche noi dovremo a poco a poco imparare a
chiedere al Signore il dono di quell'acqua che sgorga dal suo cuore ed
ha il potere di renderci felici. Nella misura in cui ci impegneremo
nella ricerca di quest'acqua, il Signore ci ricompenserà, anzi, ci darà
molto più di quanto osiamo sperare, così come insegna San Paolo: le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi (Rm 8, 18).
Il rischio che corriamo se non ci rivolgiamo al Signore per ottenere il
dono dell'acqua viva è di morire di sete, se gli chiediamo invece questo
dono corriamo il rischio di morire d'amore.
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