Per
esperienza personale ne era profondamente convinto il santo vescovo
di Ginevra, Francesco di Sales (1567-1622). La mitezza, un arma
vincente? Nella vita quotidiana, al lavoro, per strada,spesso persino
in famiglia, ci troviamo di fronte ad ingiustizie, aggressioni,
rabbia, impazienza, mancanza di autocontrollo, durezza del cuore,
disprezzo e assenza di pace. Da cristiani, noi in che modo reagiamo?
Ripaghiamo con la stessa moneta o ci rivolgiamo allo Spirito Santo,
perché Egli ci dia il Suo amore e la mitezza, quel dono che è
l'unica arma con la quale si combattono e si vincono gli eccessi del
male?
Gesù
stesso, l'Agnello di Dio, fino alla morte in Croce, affrontò con
mitezza tutte le sue sofferenze. Per questo ci ha donato questa
promessa piena di speranza: "Beati i miti, perché
erediteranno la terra”. (Mt 5,5)
Significa
conquistare i cuori delle persone affinché il regno di Dio si
diffonda. Tanti santi testimoniano questa verità evangelica. Basti
pensare alle due donne romane, la beata Anna Maria Taigi (1769-1837)
e la beata Elisabetta Canori Mora (1774-1825). Anna Maria, madre di
sette figli e illuminata consigliera di Papi, possedeva un carattere
gaio e gentile, ma per placare il temperamento burbero del marito
Domenico, ebbe estremamente bisogno di tanto umile amore e pazienza.
A
92, anni durante il processo di beatificazione della moglie, egli
stesso testimoniò: "Spesso tornavo a casa stanco, di malumore e
irascibile, ma ella sempre sapeva addolcirmi e rallegrarmi. Sapeva
ben tacere... aveva tanta buona maniera, tanta piacevolezza che mi
faceva passare ogni malumore... Le debbo essere
grato perché mi ha rimosso
alcuni difetti, ma con un amore perfetto e con una tale bontà, che
non si trovano più ai giorni nostri”.
Per
Anna Maria fu una “Via Crucis” percorsa per amore di Gesù. Ella
raggiunse la sua meta. Accadde quasi lo stesso con la sua amica, più
giovane di cinque anni, anche lei oggetto di tante grazie mistiche,
Elisabetta Canori Mora. Per trent'anni sopportò l'infedeltà del
marito Cristoforo e la povertà nella quale egli aveva ridotto la sua
famiglia prima benestante. Con molta preghiera e con l'aiuto del suo
padre Spirituale, riuscì a perdonarlo, trattandolo sempre con bontà
e offrendo tutte le sofferenze per la sua conversione.
I
frutti di questo martirio intimo si manifestarono solo dopo la morte
di Elisabetta: Cristoforo riconobbe e si penti della sua vita
peccaminosa e decise di donarsi a Dio in spirito di penitenza. Con
tanta gratitudine verso la moglie divenne sacerdote ed entrò
nell'Ordine francescano.
Un
altro esempio di mitezza, diverso, ma non meno toccante, viene da un
episodio della vita di san Leopoldo Mandié. Il 14 giugno 1934 in
tram si stava recando presso un istituto di Suore per confessare.
Scendendo, senza volerlo, urtò un giovane. Questi, arrabbiato, diede
uno schiaffo al piccolo padre. P. Leopoldo rimase calmo e sorridendo
pregò: “Mi abbellisca anche l'altra guancia! Con la faccia rossa
solo da una parte, farei brutta figura”. Il giovane, indignato e
aggressivo, rimase talmente colpito delle miti e buone parole che si
inginocchiò tra i presenti e chiese perdono. P. Leopoldo lo toccò
sulla spalla: "Ma va, siamo amici come prima”.
Dalla
vita del santo vescovo martire Giosafat Kuncewycz (1580-1623)
ci sarebbero da raccontare molti episodi nei quali egli, con bontà e
dolcezza, riuscì a conquistare gli abitanti del granducato di
Lituania e dell'Ucraina e a convincerli che il Papa di Roma è il più
alto pastore non solo per i cattolici, ma anche per i cristiani
ortodossi. Instancabilmente egli guidò anima per anima all'unione
con Roma, tanto che i suoi nemici lo definirono “ladro di anime”.
Un giorno a Wilnius fece visita ad una signora che ancora non faceva
parte della Chiesa unita al Papa. Era appena entrato in casa, quando
la donna lo affrontò infuriata. Il Vescovo Giosafat reagì con
dolcezza: "Avrei dovuto immaginare di essere causa di rabbia e
di peccato”. Chiese perdono e se ne andò. La signora però gli
corse dietro, si gettò in ginocchio davanti a lui e si scusò. La
mitezza del santo le aveva toccato il cuore. Non solo si convertì
alla Chiesa unita con Roma, ma vi condusse anche tante altre donne.
Quanta
forza abbia la mitezza sui cuori lo può testimoniare anche il
patrono di Vienna, san Clemente Maria Hofbauer (1751-1820), padre
redentorista e instancabile predicatore. Spesso chiedeva l'elemosina
in città, stendendo il suo cappello per un'offerta per i suoi
bambini orfani. Durante uno dei suoi giri per la questua, entrò in
una trattoria dove regnava tanta allegria. Ad uno dei tavoli sedevano
alcuni uomini a giocare a carte ed egli sperò in un'offerta
generosa. Ma alla sua richiesta uno dei signori balzò in piedi
adirato, perché disturbato nel gioco, e lo colmò di parole
ingiuriose. E proprio perché il sacerdote lo ascoltava in silenzio,
divenne ancora più furibondo e infine gli sputò in faccia. Il padre
prese il fazzoletto, si pulì e con aria dolce disse: “ Caro
signore, questo era per me. Ora mi dia qualcosa per i miei orfani”.
Nella trattoria scese un silenzio assoluto. Nessuno osava dire una
parola. L'uomo, prima furioso, con aria vergognosa, tirò fuori il
portafoglio e mise nel cappello una somma notevole. E non fu tutto!
La mitezza del santo lo toccò talmente, che poco tempo dopo si
rivolse a lui per una confessione generale e divenne uno dei suoi più
grandi benefattori. -
Anche
Santa Faustina poté
sperimentare
la grazia che deriva da quella potente arma spirituale che è la
mitezza.
Un
giorno cinque disoccupati in preda all'ira bussarono così forte alla
porta del convento che la portinaia non poté rimandarli indietro. La
madre superiora incaricò in obbedienza S. Faustina di andare ad
aiutarla. Nel suo diario la Santa racconta: “Ero ancora abbastanza
lontano dalla porta e già mi giungevano i loro forti colpi. Tutto ad
un tratto sono stata presa dall'incertezza e dal timore; non sapevo
se aprir loro o rispondere attraverso lo spioncino come suor N.
Improvvisamente ho udito una voce nell'anima: Vai e apri la porta e
parla con loro con la stessa dolcezza con la quale parli con Me”.
Ho
aperto subito la porta e mi sono avvicinata al più minaccioso e ho
cominciato a parlare con lui con una tale dolcezza e serenità, che
loro stessi non sapevano più che fare e hanno cominciato anche loro
a parlare con gentilezza e hanno detto: “Se il convento non può
darci lavoro, non c'è niente da fare”. E se ne sono andati in
pace. Ho avvertito chiaramente come Gesù, che un'ora prima avevo
ricevuto nella santa Comunione avesse agito sui loro cuori servend0Si
di me”.
È
chiaro che dobbiamo agire saggiamente e, per essere troppo sicuri di
noi, non dobbiamo esporci a pericoli. Ma dove l'obbedienza lo
richiede o dove incontriamo una forza superiore di aggressione, con
coraggio possiamo imitare i santi, confidando nella grazia di Dio.
La
mitezza non è un'arma spirituale con la quale trattare solo
l'impazienza e i difetti del prossimo, è ottima anche per trattare i
nostri propri peccati e debolezze. Sappiamo per esperienza quanto
velocemente ci arrabbiamo per i nostri propri errori, quanto possiamo
spazientirci o scoraggiarci. San Francesco di Sales ci dà questo
consiglio:
“Rialza
dunque
dolcemente il
tuo
cuore quando cade, umiliati grandemente davanti a Dio alla conoscenza
della tua miseria, ma non meravigliarti della tua caduta: è naturale
che l'infermità sia malata, che la debolezza sia debole e la miseria
sia
misera. Disprezza con tutte le forze l'offesa che Dio ha ricevuto da
te, e con coraggio e fiducia nella Sua
misericordia, rimettiti nel cammino della virtù che avevi
abbandonato”.
Tratto
da "Trionfo del Cuore" – Vincere
il peccato con la forza dello Spirito Santo - Opera
di Gesù Sommo Sacerdote -
Famiglia
di Maria - Luglio-Agosto
2017 – Anno 8 n° 44
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