TORINO,
1814. Nell'ottava di Pasqua, la marchesa Giulia di
Barolo incontra una processione che accompagna il Santissimo
Sacramento che viene portato a un malato. Si inginocchia.
Improvvisamente, in mezzo ai canti sacri, una voce stridula
grida: «Non il viatico vorrei, la zuppa!» Questa provocazione, che
proviene da un detenuto della vicinissima prigione centrale, induce
la giovane donna a entrarvi. Di fronte al degrado a cui
sono
ridotti i prigionieri, rimane scandalizzata. La visita del settore
delle donne, in particolare, la colpisce
profondamente: «Si gettarono per così dire su di me, racconta,
gridando insieme, e il loro stato
di degradazione mi provocò un dolore, una vergogna che non posso
ricordare senza provare una viva emozione...»
Ritornò
a casa con animo addolorato, pensando se si potesse trovare un
qualche mezzo per migliorare l'esistenza fisica e morale delle
prigioniere. I coniugi Barolo vedono in questa scoperta un segno
della Provvidenza: per tutta la loro vita, essi si dedicheranno alle
opere di misericordia.
Esilio
in famiglia
Juliette
nasce e viene battezzata il 26 giugno 1786, nel castello di
Maulévrier (vicino a Cholet, in Francia). Suo padre Edouard Colbert
è ambasciatore di Francia presso l'Arcivescovo-Elettore di Colonia.
Discende dal fratello minore del celebre ministro di Luigi XIV, Jean
Baptiste Colbert. Sua moglie, Anne-Marie de Quengo, gli dà quattro
figli. La Rivoluzione francese sconvolgerà la vita della famiglia,
che abitualmente risiede a Bonn, in Germania. A partire dal 1793,
inizia per i Colbert un'esistenza dura e fuggiasca, che li porta in
Olanda e poi in Belgio. Giulia è ulteriormente traumatizzata dalla
morte della madre a Bruxelles, nell'ottobre 1793, poi dalla morte
della nonna paterna, ghigliottinata nel 1794. Quando, infine,
Napoleone autorizza il ritorno degli emigrati in Francia, i Colbert
trovano il castello di famiglia bruciato, le terre devastate e i loro
abitanti ridotti alla miseria. Questa prova notevole non distoglie il
marchese dal suo primo dovere: trasmettere ai figli la fede e la
cultura cristiane. Nel 1804, alla proclamazione dell'Impero, Giulia
entra alla corte imperiale come damigella d'onore della Casa
dell'Imperatrice. è in queste circostanze che fa la conoscenza del
giovane marchese di Barolo.
Ultimo
discendente della nobile famiglia piemontese dei Falletti di Barolo,
Carlo Tancredi è nato il 26 ottobre 1782 a Torino. Tancredi si
distingue fin dalla giovinezza per la Sua intelligenza, il suo amore
per la giustizia e la nobiltà dei sentimenti. Diventa un uomo pio,
aperto e attento alle esigenze del suo tempo. Quando Napoleone, per
dare più lustro alla sua corte, inizia a chiamare a raccolta la
vecchia nobiltà francese emigrata, nonché quella delle altre
regioni sotto il suo dominio, Tancredi deve recarsi a Parigi. Entra
nel corpo dei Paggi, poi diventa ciambellano della casa
dell'Imperatore.
Tancredi
e Giulia scoprono di avere in comune una fede profonda, una vasta
cultura, il desiderio di impegnarsi per migliorare la società.
Tuttavia i loro temperamenti si oppongono: dotata di una mente
brillante e con la battuta pronta, lei è impetuosa; lui, invece, è
mite, riservato e riflessivo. Il matrimonio viene celebrato a Parigi
il 18 agosto 1806. L'ingente patrimonio delle due famiglie consente
ai giovani sposi di condurre una vita spensierata fino alla caduta di
Napoleone nel 1814. Installati a Torino, soggiornano spesso a Parigi.
Durante i loro viaggi, visitano le nuove istituzioni sociali ispirate
al Vangelo. La loro vita è, tuttavia, dolorosamente segnata dalla
sterilità. Nonostante questa prova, il loro affetto reciproco si
purificherà e rafforzerà, perché si basa sulle virtù della fede e
della carità. Aderendo alla volontà divina, accettano di non avere
figli e adottano al loro posto i poveri di Torino; conosceranno così
un'ampia fecondità spirituale.
«Molte
coppie di sposi non possono avere figli, scrive papa Francesco
nell'Esortazione Amoris laetitia. Sappiamo quanta sofferenza
questo comporti. D'altra parte, sappiamo pure che il matrimonio non è
stato istituito soltanto per la procreazione. E perciò anche se la
prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non c'è, il
matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta la vita e
conserva il suo valore e la sua indissolubilità. Inoltre la
maternità non è una realtà esclusivamente biologica, ma si esprime
in diversi modi. L'adozione è una via per realizzare la maternità e
la paternità in un modo molto generoso, e desidero incoraggiare
quanti non possono avere figli ad allargare e aprire il loro amore
coniugale per accogliere coloro che sono privi di un adeguato
contesto familiare. Non si pentiranno mai di essere stati generosi.
Adottare è l'atto d'amore di donare una famiglia a chi non l'ha. È
importante insistere affinché la legislazione possa facilitare le
procedure per l'adozione, soprattutto nei casi di figli non
desiderati, al fine di prevenire l'aborto o l'abbandono. Coloro che
affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo
incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell'amore di Dio che
afferma: Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti
dimenticherò mai (Is 49,15)» (19 marzo 2016, nn. 178 e 179).
Gli
“Asili infantili”
I
Barolo accolgono nel loro maestoso palazzo di Torino i bambini
abbandonati dai loro genitori per necessità o per negligenza. È
questa l'origine di quelli che sono stati chiamati gli "Asili
infantili". Il programma consiste in lezioni di catechismo e
di lettura, preghiere, giochi, ecc. L'obiettivo è quello di
infondere in queste menti malleabili i principi essenziali della vita
morale, come il timor di Dio, il rispetto per i genitori,
l'obbedienza e la franchezza. Le maestre, che sono all'inizio delle
laiche zelanti, saranno sostituite da religiose nel 1832. Due anni
dopo, i coniugi fonderanno quella che diventerà la Congregazione
delle Suore di Sant'Anna della Provvidenza, destinata all'educazione
cristiana di questi bambini.
Dal
canto suo, Giulia, che ha scoperto tutto l'orrore del mondo
carcerario, riesce, nonostante l'opposizione della sua famiglia, a
penetrare nelle prigioni. Le detenute la ricevono con insulti e
talvolta colpi. Senza scoraggiarsi, la marchesa prosegue le sue
visite; si finisce con l'accettarla e con il parlarle con calma. Lei
trascorre le sue giornate con queste donne, le catechizza, insegna
loro a leggere, a pregare, a perdonare, a santificarsi. Approfittando
delle loro conoscenze, i coniugi Barolo trasmettono alle autorità
delle relazioni sulle condizioni di vita degradanti delle prigioniere
e propongono alcune soluzioni. Giulia desidera incontrare le
autorità; queste visite le costano però molto di più della
compagnia delle prigioniere. Accolta dapprima con freddezza e con una
cortesia ironica, finisce con il convincere e acquisisce ben presto
una vera e propria autorità. Così, nel 1821, i coniugi Barolo
ottengono l'apertura di un carcere riservato alle sole donne. Giulia,
che ne è nominata sovrintendente, vi fa allestire una cappella e
sostiene l'onere delle spese di culto. Le detenute, rese migliori
dalle sue istruzioni e dall'affetto da lei dimostrato nei loro
confronti, esprimono la loro gioia di non essere più escluse dalle
cerimonie religiose. «Povere mie figlie, dice loro Giulia in questa
occasione, Iddio stava sempre con voi, ma un grandissimo bene è il
poter partecipare al Santo Sacrifizio che nell'amor suo Egli istituì
per la remissione del nostri peccati.» Per assisterla in questa
opera, la marchesa contribuisce all'insediamento a Torino delle Suore
di San Giuseppe di Savoia. Sotto la loro dolce e caritatevole
influenza, le detenute raddoppiano la regolarità e la libera
sottomissione. Giulia testimonia: «Parecchie donne sono morte in
prigione, e tutte con santa calma, la fiducia avuta nella
misericordia divina non sarà andata delusa. Non ne ho veduta alcuna
morire da empia e, se l'irreligione appare talvolta nel primo tempo,
cede a poco a poco alle esortazioni e agli esempi. Ho incontrata
molta ignoranza e non incredulità. M'è accaduto d'udirle esclamare:
“Grazie a voi, Signora, io sono contenta d'essere stata messa in
prigione, ho qui imparato a conoscere il bene ed il male e a trovare
consolazioni nella religione”.»
Le
“Maddalene”
Nel
1823, il governo piemontese concede ai coniugi Barolo il diritto di
fondare, con i loro propri mezzi, un centro di accoglienza per ex
detenute e prostitute pentite. Affidato alle Suore di San Giuseppe,
questo centro farà nascere, sotto la guida di Giulia, due comunità:
un convento di religiose contemplative, destinato alle pentite che si
sentono chiamate a consacrarsi a Dio, le “Maddalene"; e
per quelle che, senza abbracciare la vita contemplativa, non
desiderano per questo ritornare nel mondo, verrà fondato un
terz'ordine dedicato alla cura dei malati negli ospedali, le Oblate
di Santa Maria Maddalena.
Tancredi
viene eletto, nel 1816, al consiglio comunale di Torino. Ne diventerà
decurione (consigliere comunale) e poi uno dei due sindaci per gli
anni 1826 e 1827. Durante i ventidue anni della sua carica di
amministratore civico, egli si fa, tra l'altro, promotore e
sostenitore delle opere d'istruzione e di beneficienza, con
l'obiettivo non solo di soccorrere i bisognosi, ma di promuovere la
giustizia e la pace sociali. Membro della commissione per
l'Istruzione Pubblica, prende in mano l'organizzazione
dell'istruzione elementare , che affida ai Fratelli delle Scuole
Cristiane. Fa inoltre aprire delle classi elementari superiori fino
ad allora inesistenti. Approvate dal governo nel 1827, queste scuole
sono destinate ai giovani delle classi popolari che cercano di
completare la loro istruzione prima di impegnarsi nella vita attiva.
Il loro obiettivo è duplice: in primo luogo limitare il numero
crescente di allievi che affollano i collegi senza speranza di futuro
accesso agli studi universitari; in seguito offrire una cultura
sufficiente e una buona preparazione alle professioni artigianali,
commerciali, ecc. Da esperto pedagogista, Tancredi si occupa delle
normative, dei libri, degli esami, delle diverse discipline e del
modo di insegnarle.
Mentre
fa ristrutturare o costruire chiese, ospedali, scuole, e lavora per
migliorare le condizioni di vita dei suoi concittadini, il marchese
trova ancora il tempo di scrivere opere di formazione, destinate in
particolare alla gioventù. Questi opuscoli dallo stile semplice
vengono distribuiti gratuitamente. Tancredi non tralascia mai
un'occasione per suscitare nel lettore pensieri elevati ed
edificanti. Nei "Brevissimi cenni diretti alla gioventù”,
scrive: i giovani «si dirigeranno con fervore di preci e sincerità
di cuore al loro Padre celeste, che guida amorosa e infallibile vuol
essere loro nel breve sentiero sul cui pongono il piede, e da lui
imploreranno, chi i lumi bastevoli per eleggere, e chi la grazia
necessaria per accettare uno stato, il quale prima d'ogni cosa sia
conforme alla sua volontà.»
Ridiventato
semplice decurione, animato da un religioso rispetto per le anime dei
defunti, Tancredi offre una somma considerevole per la realizzazione
del nuovo cimitero di Torino. Come riconoscimento, chiede solo che
venga riservato un modesto posto per la sua famiglia, e che
un'iscrizione inviti a pregare per il riposo della sua anima e di
quelle dei suoi.
Una
profonda amicizia
Giulia,
che dà il meglio del suo tempo alle opere di misericordia, dedica
più di un'ora al giorno alla preghiera e porta un cilicio (cintura
di crine indossata in spirito di penitenza). Molto colta, parla
correntemente cinque lingue e incanta l'élite intellettuale e
politica di Torino che ella riceve. Inoltre, i coniugi Barolo
accolgono il poeta Silvio Pellico (1789-1854) alla sua uscita di
prigione. Questo patriota ardente operava per l'unità d'Italia.
Considerato dagli austriaci come un pericoloso rivoluzionario, venne
condannato alla pena capitale, ben presto commutata in una penosa
prigionia. I Barolo diventano suoi benefattori e lo assumono come
bibliotecario nel 1834. Tancredi stringe con lui una profonda
amicizia. Confida al poeta che aveva visto in Giulia «la più
costante aspirazione a perfezionarsi nella virtù», e che la
considera «la creatura più semplice, più incapace di superbia e di
finzione»; «sebbene dal principio della loro conoscenza ei l'avesse
amata molto, ora ei l'amava più ancora.» Nel 1838, Silvio Pellico,
divenuto segretario di Giulia, la accompagnerà nelle sue visite ai
poveri e alle case di carità.
Nel
1835, un'epidemia di colera colpisce il Piemonte, poi Torino. A
differenza di altri membri della nobiltà che si affrettano a fuggire
dalla città, i coniugi Barolo, allora in campagna, fanno ritorno
senza indugio. Tancredi organizza l'aiuto ai malati; istituisce
centri di soccorso e infermerie aperti giorno e notte. Tormentato dal
timore che Giulia venga contagiata, le permette solo di portare aiuto
e conforto alle vedove e agli orfani senza avvicinarsi ai malati
contagiosi. In seguito, con l'attenuarsi del suo timore, acconsente a
che la moglie prodighi lei stessa le sue cure ai malati. Durante
queste tragiche settimane, in cui molti Torinesi si segnalano per il
loro coraggio e la loro generosità, i decurioni fanno alla Madonna
della Consolata, patrona della città, un voto solenne per ottenere
dalla misericordia divina la fine del colera. Tancredi ne prepara il
testo. Il consiglio comunale s'impegnerà a restaurare la cappella
sotterranea della chiesa di Sant'Andrea (l'attuale cripta della
Consolata), a erigere sulla piazza una colonna sormontata da una
statua della Santa Vergine, a istituire la preghiera delle Quarantore
e a partecipare ogni 30 agosto per sette anni consecutivi a una Messa
di ringraziamento a Maria Consolatrice. La
pergamena su cui è espresso il voto viene consegnata dal consiglio
comunale all'arcivescovo durante una Messa solenne. Il voto, aggiunto
alle preghiere, ottiene la fine dell'epidemia, che si limita a
qualche caso isolato, per scomparire ben presto del tutto. Come
ricompensa per lo zelo che hanno dimostrato, Giulia riceve la
medaglia d'oro della città e Tancredi viene nominato “Commendatore
dei Santi Maurizio e Lazzaro".
Chi
partirà per primo?
Tuttavia,
in
seguito, la salute dei coniugi Barolo comincia a declinare; quella di
Giulia abbastanza gravemente secondo l'apparenza, quella del marito
in modo subdolo. Quest'ultimo dichiara un giorno alla moglie: «Ho
fiducia nella Provvidenza, sono io che me ne andrò per primo.»
L'epidemia di colera era passata da tre anni quando lo assalgono dei
dolori. Su consiglio dei medici, i coniugi prendono la via del Tirolo
per godervi un po' di riposo. Fin dall'inizio del viaggio, la salute
di Tancredi si altera gravemente e si decide di ritornare. A Chiari,
nei pressi di Brescia, egli è ridotto agli estremi. Il parroco del
luogo gli dà il sacramento dell'Estrema Unzione, o Unzione degli
infermi. Pacificamente, tra le braccia di Giulia al colmo
dell'afflizione, egli entra nella vera Luce, il 4 settembre 1838.
Le
spoglie del marchese vengono trasportate a Torino. Le autorità, gli
amici e tutta una folla di povera gente che vuole testimoniare la
propria gratitudine accorrono per rendere omaggio al defunto. Il
funerale viene celebrato nella chiesa di San Dalmazzo, in grande
semplicità come egli l'aveva specificato nel suo testamento. Solo le
preghiere per il riposo della sua anima gli importavano: aveva preso
disposizioni perché venissero celebrate molte Messe per questa
intenzione e distribuite elemosine ai poveri e a opere caritative.
Sulla sua tomba, Giulia fa incidere questo epitaffio dettato da
Silvio Pellico: «Ha fatto del bene a molti e molti, avrebbe voluto
farne a tutti.»
Alla
morte del marchese, le "Colombe” – così egli
chiamava le Suore di Sant'Anna, che aveva fondate quattro anni prima
per l'educazione dei bambini abbandonati – si riparano ancora in un
piccolo nido tiepido in attesa di prendere il volo. Giulia finisce di
precisare il carisma del giovane istituto e redige le costituzioni,
che l'arcivescovo di Torino approva nel 1841. Alla fine del 1845,
ella trascorre sei mesi a Roma per ottenere l'approvazione della
Santa Sede, che verrà concessa l'8 marzo 1846. Da allora, la
congregazione si estende in tutta Italia e poi, a partire dal 1871,
nei paesi di missione. Giulia rimarrà sempre molto affezionata alle
“Colombe": visita gli istituti e si preoccupa delle risorse
economiche, ma anche della vitalità spirituale delle comunità.
Per
l'educazione delle ragazze dell'alta società, la marchesa chiama a
Torino le Dame del Sacro Cuore, fondate in Francia da santa Sofia
Barat (1779-1865), con cui ha fatto amicizia. Sostiene inoltre
l'opera di san Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), fondatore,
nella stessa città, della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Nel
1832, Tancredi, allora amministratore dell'ospedale di Moncalieri,
aveva voluto che un edificio annesso alla struttura venisse destinato
ai bambini poveri. Fedele alle intenzioni del marito, Giulia veglia
su questa opera e la fa trasferire a Torino. L'inaugurazione avviene
nel 1845. Lì vengono ricoverate ragazzine orfane o provenienti da
famiglie povere. Giulia fa appello a don Bosco (1815-1888), giovane
prete, perché ne sia il cappellano, ma anche per garantire la
direzione spirituale delle giovani ragazze del Rifugio fondato nel
1823. La Collaborazione tra il cappellano e la marchesa durerà solo
due anni. Don Bosco, infatti, dà la priorità del suo apostolato ai
ragazzi di strada, che riunisce in locali delle opere della marchesa.
Questa prossimità non è priva di qualche problema. Inoltre, don
Bosco, che non risparmia le sue forze, si ammala. Poiché non accetta
di rinunciare a occuparsi dei suoi ragazzi, Giulia si vede costretta
a congedarlo. Continuerà tuttavia a sostenere finanziariamente la
sua opera, in modo anonimo, per interposta persona.
Una
via per salire in Cielo
Nel
1848, l'Europa è ancora una volta scossa da rivoluzioni. A Torino,
le manifestazioni di strada mirano alla formazione di uno Stato
italiano unificato, senza riguardo per i diritti immemorabili della
Santa Sede sugli Stati pontifici. I manifestanti attaccano la Chiesa
cattolica e le sue istituzioni. La marchesa di Barolo è gravemente
minacciata; le viene consigliato di lasciare la città. «Non posso
trasportare con me le mie cinquecento figlie adottive, risponde lei
vivamente. Devo quindi rimanere per servire loro da madre fino alla
fine. Mi si vorrà forse tagliare la testa? Ebbene, anche questa è
una via per salire in Cielo. Il Signore ha dato a mia nonna il
coraggio di morire sulla ghigliottina, di certo Egli non mi
abbandonerà. Né le minacce, né le persecuzioni, né i tormenti mi
costringeranno ad abbandonare il posto dove mi trattiene il mio
dovere!» Questa prova non fa che aumentare in lei la pazienza e la
fermezza. Ma la sua serenità, anche quando viene ristabilito
l'ordine pubblico, non cancella ogni timore per l'avvenire.
Preoccupata
di preservare tutto ciò che aveva intrapreso con il marito, Giulia
riunisce l'insieme delle sue opere in seno a un'istituzione chiamata
“Opera Pia Barolo", riconosciuta con decreto e dotata di
personalità giuridica. Al tramonto della sua vita, nel 1863, la
marchesa finanzia in gran parte la costruzione, in un quartiere
popolare di Torino, Borgo Vanchiglia, di una chiesa dedicata a santa
Giulia, sua patrona. Nel mese di Ottobre, essendosi ancora una volta
ammalata e sentendo prossima la morte, si prepara con grande spirito
di fede a comparire davanti a Dio; attende questo momento con il
cuore pieno di speranza, gli occhi fissi sul Crocifisso, e tenendo in
mano un'immagine della Vergine che le aveva inviata il santo Curato
d'Ars. Rende tranquillamente l'anima a Dio il 19 gennaio 1864. È nel
coro della chiesa di Santa Giulia che riposano oggi i resti mortali
dei coniugi Barolo. Le loro cause di beatificazione si sono aperte
nel 1991 per Giulia e nel 1995 per Tancredi. Il 5 maggio 2015, è
stata riconosciuta l'eroicità delle virtù di Giulia; di
conseguenza, è diventata "Venerabile" primo passo sulla
via della beatificazione.
Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8) ha detto Gesù. Egli
ha anche affermato: Io ho scelto voi... perché andiate e portiate
frutto e il vostro frutto rimanga… Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri (Gv 15,16-17). Così, i doni che il
Signore ci fa sono destinati al bene del prossimo. I coniugi Barolo
hanno saputo mettere al servizio dei poveri le grandi ricchezze che
il Signore aveva loro date gratuitamente. Che possiamo, sul
loro esempio, mettere al servizio dei nostri fratelli i nostri
talenti, per quanto piccoli essi siano.
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph,
F. 21150 Flavigny- Francia (Website : www.clairval.com)".
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