Il
25 agosto 1845, un giovane missionario, che non è ancora prete, e
neppure diacono, si presentava a mons. Provencher, vescovo dei
territori del Grande Nord, in Canada: «Suddiacono! Ma è di preti
che ho bisogno! esclama il prelato... Mi mandano dei bambini, mi ci
vogliono degli uomini!» Al "bambino" a cui rivolgeva
questa accoglienza poco cordiale, mons. Provencher affiderà ben
presto la sua immensa diocesi. Sarà l'inizio dell'evangelizzazione
del Nord canadese da parte degli Oblati di MARIA Immacolata (OMI),
nota con il nome di Epopea bianca.
Alexandre
Antonin Taché è il terzo figlio di Charles Taché e di Louise de la
Broquerie. Per parte di padre, discende dalla stirpe di Louis
Joliette (1645-1700), l'esploratore del Missisippi; per parte di
madre, è imparentato con la venerabile Marguerite d'Youville,
fondatrice delle Suore Grigie, che furono la provvidenza degli orfani
del Nord. Alessandro nasce il 23 luglio 1823 a Fraserville nel Québec
e riceve il Battesimo il giorno stesso. Il signor Taché muore nel
1826, lasciando la moglie vedova a vent'otto anni. Quest'ultima non
si risposa; alleva i suoi figli a Boucherville, presso i suoi
genitori, con l'aiuto di un fratello celibe. Nel 1832, la famiglia si
stabilisce nel maniero di Sabrevois. La signora Taché coltiva la sua
grande cultura con lo studio regolare. Nello sfondo di una vita
pacifica e pia, inizia i propri figli alla botanica, all'astronomia,
alla storia e alla filosofia.
L'influenza
di uno sguardo
Nel
settembre 1833, Alessandro entra come allievo interno nel collegio
Saint-Hyacinthe, uno dei seminari minori dove alcuni giovani del
Québec ricevono la loro educazione. Allievo brillante, Alessandro è
anche un compagno pieno di brio. Termina i suoi studi di filosofia a
diciott'anni prima «di prendere il Signore come sua parte di eredità
e suo calice» (cfr. Sal 15, 5), presso il seminario maggiore di
Montréal. Il vescovo di questa città, mons Bourget, è appena
tornato dalla vecchia Francia in compagnia di sei missionari Oblati
di MARIA Immacolata, che ha ottenuti dal fondatore della
congregazione, mons. Eugenio de Mazenod, vescovo di Marsiglia, come
collaboratori. Lo sguardo del giovane seminarista si fissa sui
missionari: «Vi sono sguardi che lasciano un segno netto e hanno
un'influenza su un'intera esistenza, dirà; quelli che ho soffermati
sui padri Honorat e Telmon hanno contribuito non poco
all'orientamento della mia vita.» Vi scopre, in effetti, un appello
a diventare egli stesso oblato. Nel 1844, mentre insegna matematica a
Saint-Hyacinthe, studiando nello stesso tempo teologia, si confida
con la madre riguardo al suo progetto. Quest'ultima acconsente con
fede; ma, dopo l'ingresso di suo figlio nel noviziato di Longueuil,
si ammala gravemente. Per ottenere la guarigione della madre, il
novizio fa voto di servire nelle missioni del Grande Nord Ovest, le
più difficili. La malattia cede d'improvviso e la paziente si salva.
I
territori del Grande Nord Ovest canadese o della Rivière-Rouge,
ancora denominati "terra di Rupert", occupano nove volte la
superficie della Franca. La popolazione bianca non supera allora le
quattromila anime. Gli "Inglesi" e i "Francesi",
così chiamati a seconda della lingua che utilizzano, provengono da
paesi assai diversi; servono l'"Onorevole Compagnia della Baia
di Hudson", società per il commercio delle pellicce che
realizza enormi profitti ed esercita l'autorità a nome
dell'Inghilterra. La popolazione autoctona conta quindicimila
meticci, chiamati "coureurs des bois" (commercianti
clandestini di pellicce); forti e instancabili, sanno andare
perfettamente a cavallo e sono particolarmente abili nella caccia. I
loro padri hanno profetizzato la venuta di uomini non sposati in
abito nero che li avrebbero condotti a Dio; accolgono quindi
favorevolmente i missionari, di cui si fanno le guide indispensabili.
Cinquantamila indigeni, chiamati Indiani, formano cinque gruppi:
Algonchini, Assiniboin (Sioux), Piedi Neri, Montagnais ed Eschimesi.
Vivono di caccia e pesca, barattando le pelli ai Forti per il
traffico delle pellicce (centri istituiti dalla Compagnia di Hudson)
in cambio di merci occidentali. Gli Indiani delle pianure seguono i
bisonti; l'abbondanza delle mandrie, che procurano il nutrimento con
poca spesa, la promiscuità e l'assenza di un lavoro costante sono le
cause di un estremo degrado morale. Gli Indiani delle foreste sono
quasi sempre isolati e costantemente occupati a sopravvivere;
accolgono volentieri il cristianesimo.
L'evangelizzazione
della terra di Rupert era iniziata fin dal 1818, su richiesta di uno
scozzese protestante, lord Selkirk. Persuaso che solo la Chiesa
cattolica potesse assicurare la perennità della colonia
franco-inglese, egli fece appello a mons. Provencher aiutato da
alcuni preti. La cattedrale di San Bonifacio, modesta chiesa in
pietra, impressionava gli abitanti. Il rustico palazzo vescovile
consentiva di alloggiare anche delle suore e di esercitare
un'ospitalità decente. Nel 1844, mons. Provencher si reca a
Marsiglia per implorare l'aiuto di mons. de Mazenod. Incapace di
rifiutare quando si tratta di evangelizzare i poveri, quest'ultimo
concede padre Aubert e fratel Taché, che si è proposto per questa
missione.
Pregare
sull'acqua
Da
Trois-Rivières (Québec) a San Bonifacio (oggi periferia di
Winnipeg) si estendono più di duemila chilometri da attraversare in
canotto di corteccia. Ci vogliono sessantadue giorni per percorrere
questa distanza. I missionari celebrano la Messa la domenica, ma
negli altri giorni si prega sull'acqua; il viaggio lascia spesso il
tempo per meditare sulle grandezze della natura. L'equipaggio fa
scalo in ogni Forte di commercio, dove i missionari ricevono sempre
una calorosa ospitalità dai commessi dell'Onorevole Compagnia.
Quando, nel 1845, fratel Taché si presenta a mons. Provencher, il
prelato lo ordina quasi subito diacono, poi prete. Il nuovo Padre
pronuncia i suoi voti di Oblato subito prima della sua prima Messa.
L'inverno successivo trascorre presso il vescovado in compagnia dei
padri Laflèche e Belecourt che insegnano ai giovani missionari il
"sauteux" (lingua dei Sauteux algonchini) in modo
intensivo. Gli Indiani sono grandi oratori, ed è necessario per i
missionari acquisire una perfetta conoscenza delle loro lingue per
avere una vera e profonda influenza. Nell'anno successivo, i padri
Taché e Laflèche vengono inviati 1600 km più a nord, a ile-à-la
Crosse, con la missione di spingersi il più lontano possibile verso
le tribù che si aprono alla luce della fede. La missione è dedicata
a san Giovanni Battista. I preti alloggiano al Forte di commercio,
dove un Indiano cieco insegna loro due lingue: il cree e il
montagnais. «Il cree non è una lingua difficile, osserva padre
Taché; ma il montagnais supera, per la pronuncia, tutto ciò che
avevo immaginato di difficoltà.» Ben presto, padre Laflèche, meno
idoneo alla marcia, prepara un giardino e una capanna che servirà
come abitazione per i missionari. Ma questo rude lavoro gli provoca
un'infermità che lo lascerà zoppo, nonostante le cure assidue di
padre Taché.
I
missionari annunciano Cristo, che promette il Cielo ai convertiti, e
mettono questi ultimi in guardia contro i peccati che conducono
all'inferno. Espongono loro le esigenze della moralità cristiana, in
particolare riguardo al matrimonio, poiché la poligamia, frequente
tra gli Indiani, impedisce di ricevere il Battesimo. La sacra
liturgia viene celebrata con tutto lo splendore possibile e tutti
sono invitati a parteciparvi. Non appena vengono erette le prime
chiese di assi nei posti fissi, gli Indiani cristiani o pagani vi si
recano con riverenza e gioia, terrorizzati dal suono delle prime
campane, meravigliati dei canti religiosi. I missionari insegnano la
lettura ai neofiti più dotati, che a loro volta trasmettono le loro
conoscenze. In seguito, i Padri stamperanno delle preghiere e un
catechismo. Grazie ai loro orfanotrofi e alle loro scuole, le Suore
Grigie, che hanno raggiunto i Padri nel 1844, formano dei bambini;
questi avranno molta influenza sul resto della popolazione. I
progressi materiali e culturali danno al cristianesimo un motivo
solido di credibilità, che aiuta gli Indiani a seguire gli
insegnamenti dei missionari.
In
occasione del suo incontro con il mondo della cultura, presso il
Collège des Bernardins di Parigi, il 12 settembre 2008, papa
Benedetto XVI ha messo in risalto la ragione profonda della missione:
«I cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro
annuncio missionario come una propaganda che doveva servire ad
aumentare il proprio gruppo, ma come una necessità intrinseca che
derivava dalla natura della loro fede: il Dio nel quale credevano era
il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia
d'Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che
riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli uomini attendono.
L'universalità di Dio e l'universalità della ragione aperta verso
di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere
dell'annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine
culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all'ambito
della verità che riguarda ugualmente tutti.»
Privi
di tutto e felici
Nel
1848, arriva alla missione il giovane padre Faraud, Oblato. La vita
religiosa vi è fervente e l'umore gioviale: storie, canzoni e risate
accompagnano il lavoro manuale dei missionari, "Viva il Nord e i
suoi felici abitanti! Siamo poveri e privi di tutto, ma la felicità
e la soddisfazione che, spesso, non abitano nei palazzi dei grandi,
regnano nella nostra capanna!», scrive padre Taché. Ben presto,
però, la rivoluzione del 1848 in Francia minaccia di prosciugare i
sussidi provenienti dal paese e, nella loro posta biennale, i
superiori lasciano intendere ai missionari del Grande Nord che
prevedono il loro richiamo. Preoccupati della salvezza eterna di
coloro che evangelizzano, i Padri rispondono: «Procurateci del vino
e delle ostie, gli animali selvatici saranno sufficienti per i nostri
vestiti e i pesci per il nostro sostentamento, ma, di grazia, non
richiamateci!»
L'anno
seguente, padre Laflèche viene chiamato a San Bonifacio.
Interpellato da mons. Provencher per diventare suo coadiutore, fa
notare la propria infermità che lo rende inadatto a questo incarico.
«È vero che ho padre Taché, pensa il vecchio prelato, ma è
praticamente appena nato. Tuttavia, è un uomo di grande talento, che
conosce il paese, le missioni e le lingue. Inoltre, è Oblato, e solo
gli Oblati accettano di dedicarsi per tutta la loro vita a queste
missioni difficili; non è forse giusto prendere il loro capo tra
questi religiosi? Questo Padre ha non ha ancora ventisette anni, ma è
un difetto da cui la Santa Sede dispensa e dai cui l'eletto si
correggerà fin troppo rapidamente.» Ben presto, il cambiamento del
coadiutore viene richiesto a Roma, mentre ne è infor-mato mons. de
Mazenod. Quest'ultimo riceverà la lettera solo dopo aver appreso la
nomina ufficiale da parte di Roma, proprio quando ha appena deciso il
ritiro degli Oblati dalle missioni del Nord Ovest. Immediatamente,
l'umile prelato sospende la propria decisione e convoca padre Taché.
Dopo un lungo viaggio al termine del quale quest'ultimo si ferma
appena per far visita alla madre, il missionario si trova per la
prima volta di fronte al Padre della sua famiglia religiosa, che lo
interpella: «Tu sarai vescovo. - Monsignore, voglio restare Oblato.
- Come? La pienezza del sacerdozio escluderebbe forse la perfezione a
cui deve tendere un religioso?» Raddrizzandosi, mons. de Mazenod
aggiunge: «Nessuno è più vescovo di me, e nello stesso tempo
nessuno è più Oblato! Forse che non conosco lo spirito che ho
voluto ispirare alla mia congregazione? Sarai vescovo, lo voglio; ti
nomino anche superiore regolare dei nostri che sono alla
Rivière-Rouge.» Di fronte alle lacrime dell'eletto, il vescovo
aggiunge: «Consolati, figlio mio, la tua elezione è stata fatta a
mia insaputa, ma salva le missioni nelle quali avete già tanto
lavorato. Alcune lettere mi avevano presentato queste missioni sotto
una luce così sfavorevole che ero deciso a richiamarvi tutti, quando
ho appreso la tua nomina all'episcopato. Voglio che, come me, tu
obbedisca al Papa. Mi darò la consolazione di consacrarti io
stesso.» La consacrazione si svolge, il 23 novembre 1851, a Viviers.
Dopo un pellegrinaggio a Roma, dove tornerà quattro volte nella sua
vita, e un giro di conferenze a favore delle missioni, mons. Taché
riparte per il Canada.
Meno
quaranta
Durante
cinque inverni consecutivi, il nuovo vescovo si lancia in racchette
da neve sui 700 km che collegano le missioni del lago Caribou con il
lago Sant'Anna; prosegue persino fino al lago Athabasca. In uno solo
di questi viaggi, l'apostolo conta sessantatré notti all'addiaccio
con una temperatura di meno quaranta gradi. A Île-à-la-Crosse,
scopre che, durante la sua assenza, alcuni dei suoi Indiani sono
stati distolti dalla vera fede. Li incontra gli uni dopo gli altri,
rivolge loro rimproveri, consigli, preghiere, e rinsalda per sempre
il loro legame con la fede. Insegna ai suoi missionari a non
aspettarsi dagli Indiani la raffinatezza dei modi, perché, prima di
averli civilizzati, bisogna piuttosto accettare di riceverne qualche
villania. Nei vari luoghi di missione, il vescovo e i suoi compagni
trascorrono il loro tempo nella preghiera, nello studio, nel
ministero presso gli Indiani e nel lavoro manuale, soprattutto
nell'agricoltura, che ottiene un rendimento apprezzabile. Alcune
invasioni di cavallette devastano a volte i raccolti e degli incendi
riducono in cenere anni di lavoro. Mons. Taché si fa allora
mendicante: va alla ricerca dei mezzi per sopravvivere e per
ricostruire nelle diocesi del Canada orientale e persino sul vecchio
continente. Si dedica egli stesso ai più umili lavori, ma la cura
delle anime ha sempre la sua preferenza, e prodiga il suo tempo a
ogni Indiano che desideri parlargli.
Il
problema dei trasporti è vitale per le missioni. Mons. Taché
supervisiona il carico e la distribuzione dei prodotti, che etichetta
di sua mano: sa che qualsiasi ritardo o perdita si traduce in
ulteriori sofferenze per i suoi missionari. Fino ad allora dipendente
dall'Onorevole Compagnia della Baia di Hudson, che aveva finito con
l'abusare del suo monopolio, il vescovo s'ingegna ad aprire nuove
strade e a instaurare un sistema di comunicazioni indipendente. Nel
1858, entra in servizio il primo battello a vapore nel Nord, e la
ferrovia agevolerà gradualmente i viaggi.
Che
lavoro!
Nel
1865, quando contemplerà la missione della diocesi di Saint Albert,
il vescovo, pieno di fierezza, esclamerà: «Eppure non sono ancora
passati quattro anni da quando è stata fatta la scelta di questo
posto, e che lavoro già! Sono sorti dei begli edifici; campi vasti e
ben coltivati producono già abbondanti raccolti. Le abitazioni che
circondano la casa del Signore formano il gruppo che domina l'intero
paesaggio: il piccolo fiume che si attraversa su un bel ponte; il
lago ai piedi della montagna che fornisce il legname da costruzione;
non sappiamo che cosa ammirare di più, la bellezza del paese o il
lavoro colossale dei suoi apostoli... Eppure, i sogna-tori di sistemi
assurdi vogliono che i preti non siano gli uomini dell'epoca. Vengano
pure, questi nemici della Rivelazione. Ci sono ancora abbastanza
tenebre perché ciascuno possa provare il suo sistema; rendano pure
agli Indiani ignoranti più servizi di quelli che rende loro il
povero prete; che civilizzino di più e più in fretta: allora
crederemo nella loro missione riformatrice. Ma, mentre godono dei
benefici che il cristianesimo ha seminato nel mondo, non bestemmino
contro Dio, né contro la sua santa legge, né contro i suoi sacri
ministri!»
Nella
sua enciclica Redemptoris missio, san Giovanni Paolo II sottolineava
l'aspetto civilizzatore delle missioni della Chiesa: «Con la loro
presenza amorosa e il loro umile servizio, i missionari operano per
lo sviluppo integrale della persona e della società mediante scuole,
centri sanitari... Queste opere testimoniano l'anima di tutta
l'attività missionaria: l'amore,... il principio che deve dirigere
ogni azione e il fine a cui essa deve tendere.» (7 dicembre 1990, n°
60).
Negli
anni 1860, lo sviluppo delle missioni del Nord richiede una nuova
organizzazione. Mons. Taché la intraprende a partire da San
Bonifacio: ottiene da Roma la fondazione di nuovi episcopati. Egli
stesso viene nominato arcivescovo nel 1871, quando già la sua salute
sta seriamente peggiorando. Cerca di coltivare l'unità di spirito e
di cuore con i nuovi vescovi. Le responsabilità che essi assumono e
i gravi problemi che affrontano li mettono a volte in contrasto gli
uni con gli altri. Egli scrive a uno di loro: «Avremmo bisogno di
essere più uniti, e ci si divide sempre più ogni giorno. Se ne
avete l'opportunità, credo che rendereste un servizio immenso alla
Chiesa operando per riunire questi venerabili Signori.» L'unità tra
i vescovi missionari è una necessità vitale per l'evangelizzazione,
ma anche per tutte le comunità cristiane; essa risponde alla
preghiera di GESÙ: Padre, che tutti siano una cosa sola, perché il
mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 21).
Una
missione delicata
Nel
1870, mons. Taché partecipa al primo Concilio Vaticano. Poco dopo,
il governo canadese gli affida una delicata missione diplomatica. Le
terre della Rivière-Rouge sono state appena cedute dalla Compagnia
di Hudson alla Confederazione canadese per diventare la provincia del
Manitoba. Nonostante le istanze di mons. Taché, che aveva previsto i
problemi che si sarebbero presentati se si fosse trascurato di
preparare le popolazioni, l'operazione è stata effettuata senza che
siano state consultate. In effetti, quando gli inviati del governo
federale vengono a prendere possesso del paese, si scontrano con il
governo provvisorio costituito dai meticci. Desideroso di evitare la
guerra civile, il governo chiede a mons. Taché di intervenire. A
prezzo di una promessa di amnistia generale, questi dapprima ottiene
un successo. Tuttavia, la pressione politica di alcuni inglesi
dell'Ontario portano il governo federale a rinnegare le sue promesse
verbali, screditando così mons. Taché e provocando un'insurrezione
che verrà repressa dall'esercito.
Le
scuole hanno sempre occupato un posto fondamentale nelle
preoccupazioni del vescovo. In risposta ad alcuni politici che gli
rimprovereranno di non aver fatto di più per l'istruzione, egli
scriverà: «Non temo di affermare che qualsiasi uomo ragionevole e
imparziale, esaminando ciò che facciamo, dovrà ammettere che il
risultato ottenuto supera quello che le nostre risorse sembrano
permetterci. Il fatto è che se non avessimo persone piene di
abnegazione che si dedicano gratuitamente a questo compito tanto
faticoso quanto meritorio, ci sarebbe assolutamente impossibile
sostenere le nostre scuole.» Fin verso la fine degli anni 1880, il
sistema scolastico garantiva un insegnamento confessionale (cattolico
o protestante) nella lingua delle popolazioni interessate che
finanziavano esse stesse le loro scuole. Ma la legislazione canadese
si orienta allora verso un'istruzione laica, nella lingua
maggioritaria, con un contributo centralizzato. Nel 1888, mons. Taché
ottiene dal primo ministro la promessa di mantenere le scuole
autonome e le due lingue, ma questa pro-messa verrà violata nel 1890
e smentita pubblicamente nel 1892. Il vescovo prende allora la difesa
della libertà dei genitori cattolici, ma invano. Accoglie nelle
lacrime e nella preghiera la rovina di quest'opera che gli era più
cara della vita. I122 giugno 1894, mons. Taché termina su questa
croce una vita interamente consacrata alla salvezza delle anime che
tanto amava. Tuttavia, il missionario ha avuto la gioia di vedere il
progresso dell'evangelizzazione; molti pagani si sono convertiti,
seguendo l'esempio dei loro capi, conquistati dalla carità dei
"Grandi Preganti".
In
occasione della Giornata Missionaria Mondiale 2013, papa Francesco
affermava: «Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di
proporre, con rispetto, l'incontro con Cristo, di farci portatori del
suo Vangelo. GESÙ è venuto in mezzo a noi per indicare la via della
salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a
tutti, fino ai confini della terra... È importante non dimenticare
mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può
annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto
isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI
scriveva che "allorché il più sconosciuto predicatore,
catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo,
raduna la sua piccola comunità o amministra un Sacramento, anche se
si trova solo, compie un atto di Chiesa». Egli non agisce "per
una missione arrogatasi, né in forza di un'ispirazione personale, ma
in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa"
(Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n°
60). E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni
missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un
unico Corpo animato dallo Spirito Santo» (Messaggio del 19 maggio
2013).
L'esempio
di mons. Taché è un incoraggiamento a compiere la missione
particolare che il Signore affida a ciascuno di noi. Attraverso
l'umile svolgimento dei nostri doveri di stato, si edifica la Chiesa
per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Non stanchiamoci di
fare il bene mentre ne abbiamo il tempo (cfr. Gal 6, 9-10).
Padre
Antoine Marie Beauchef
"Lettera
mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia
(Website : www.clairval.com)"
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