lunedì 16 settembre 2019

“Nella mia vita Dio ha fatto tutto”



Nel libro autobiografico "Dio o niente", il Cardinale Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, racconta in modo commovente come Gesù abbia potuto formarlo come cristiano e chiamare a diventare sacerdote, vescovo, e perfino cardinale, lui cresciuto in uno dei più piccoli villaggi della Guinea, Ourous. Per mediargli queste grazie, il Signore si è servito di uomini innamorati di Dio: "Indiscutibilmente la mia infanzia è stata molto felice. Sono cresciuto nella pace e nell'ingenuità innocente di un piccolo villaggio al centro del quale si trovava la missione degli spiritani". I primi tre missionari, Joseph Orcel, Antoine Reeb e Firmin Montels, erano arrivati nel 1912 nello sperduto villaggio africano, dove gli abitanti credevano in un dio creatore chiamato Ounou e celebravano dei riti funebri e d'iniziazione pagani, senza aver mai sentito parlare di Gesù. Il capo villaggio di allora li accolse a braccia aperte e diede generosamente dei terreni a loro disposizione. Sei mesi più tardi, padre Montels, sfinito fisicamente, se ne andò in Cielo, divenendo così la "pietra" di fondazione della missione. "Questi uomini di Dio dovettero compiere grandi sacrifici e accettare molte rinunce, senza mai lamentarsi, con una generosità inesauribile". I frutti della loro donazione sono del tutto visibili. Oggi il villaggio di 1000 abitanti è cristiano e la parrocchia ha dato alla Guinea il maggior numero di vocazioni.


Grazie ai missionari, il padre di Robert fu battezzato il 13 aprile 1947, due anni dopo la nascita di suo figlio e lo stesso giorno sposò Claire Nemelo. Poco dopo il padre, anche Robert, di due anni, ricevette il battesimo dai missionari, più tardi la cresima e poi perfino l'ordinazione sacerdotale.

" Durante la mia infanzia vivevamo in case rotonde costruite di mattoni con una sola stanza coperta da un tetto di paglia e argilla. Era un'esistenza semplice, senza contrasti, umile e piena di fiducia. La vita comunitaria e l'attenzione di ciascuno ai bisogni degli altri rivestivano una grande importanza. Non ho mai visto i miei genitori entrare in conflitto con nessuno".

ll mio ingresso nella famiglia di Cristo deve tutto alla devozione eccezionale dei padri spiritani. Conserverò per tutta la vita un'immensa ammirazione per questi uomini che avevano lasciato la Francia, le loro famiglie e i loro legami per portare l'amore di Dio ai confini del mondo... Ogni sera, i padri riunivano i bambini vicino a una grande croce, piantata nel cortile della missione, come per simboleggiare il cuore e il centro del villaggio; noi potevamo vederla da lontano; dava l'orientamento a tutta la nostra vita! È stato intorno a quella croce che è maturata tutta la nostra educazione umana e spirituale. Ci parlavano della Bibbia o della storia della Chiesa. Noi bambini facevamo molte domande e gli spiritani ricordavano le loro missioni in altri paesi. Al cadere della notte, cantavamo le preghiere della sera, allora ci benedivano e noi ritornavamo alle nostre case. Lei potrebbe pensare che io descriva un mondo idilliaco, eppure era la realtà".

Robert entrava in chiesa non solo per fare il chierichetto, ma anche durante le ore di preghiera dei missionari. "Quante volte sono stato afferrato nel profondo dal silenzio che regnava nella chiesa durante la preghiera dei padri! Mi chiedevo che cosa facessero in ginocchio o seduti nella penombra, perché non dicevano nulla. Però avevano l'aria di ascoltare e di conversare con qualcuno. Sono stato realmente affascinato dall'atmosfera di pace".
Quello che, con il loro esempio, i missionari avevano dato al piccolo Robert, tanti anni più tardi lui lo poté ridonare, quando dopo il terribile terremoto del 2011 andò in Giappone a nome di Papa Benedetto XVI. Scosso, di fronte alla popolazione sofferente, che più che aiuto materiale aveva bisogno della speranza per andare avanti, il Cardinal Sarah pregò a lungo pubblicamente in silenzio perché consapevole che in quella situazione solo Dio poteva aiutare. Due mesi più tardi ricevette una lettera da una giovane buddista, dove era scritto: "In seguito al terribile tsunami in cui abbiamo perduto molti membri della nostra famiglia e quasi tutti i nostri beni, volevo suicidarmi. Ma vedendola pregare per i sopravvissuti e per i morti, dopo ho ritrovato la pace e la serenità... Grazie a lei ho compreso e ora so che malgrado questo disastro, qualcuno ci ama, vive al mio fianco e partecipa alle nostre sofferenze. Questo qualcuno è Dio".

Sacerdote-Vescovo-Cardinale

Fu uno dei missionari, p. Braquemond, a chiedere a Robert di 11 anni se non volesse diventare sacerdote. Pieno di gioia e spontaneamente il ragazzo disse di sì. Quando però raccontò ai genitori i suoi piani, venne deriso perché all'epoca nessuno degli abitanti del villaggio riusciva ad immaginare che un nero potesse diventare sacerdote. Solo quando lo stesso missionario ne parlò con loro, i due acconsentirono a mandare il loro unico figlio in Costa d'Avorio per la formazione nel locale seminario. Fu un passo da gigante, non solo per i genitori, ma soprattutto per Robert, che non aveva mai lasciato il suo piccolo villaggio. Durante gli anni della formazione rimase personalmente segnato dall'esempio, dalle qualità umane e dall'intensa vita interiore di diversi sacerdoti.
"Un seminarista è prima di tutto l'opera dei sacerdoti che l'hanno accompagnato. Ho avuto la possibilità di poter contare su padri spirituali di grande qualità, ... che insistevano molto sull'importanza della vita interiore". Grazie a questa formazione, nel corso della sua vita, Robert poté superare immense sfide e difficoltà, diventando lui stesso un esempio e un mediatore di grazia per tanti. Dopo l'ordinazione sacerdotale, studiò a Roma, dove l'esperienza della Chiesa universale lo arricchì molto. Tornato in patria, gli fu affidata una parrocchia. Qui si accorse presto che ogni suo passo era sorvegliato dai comunisti. A causa della sua coraggiosa testimonianza cristiana, il suo vescovo, mons. Tchidimbo, si trovava già in prigione. Per liberarlo e farlo finalmente uscire dal paese, ci voleva un successore. Papa Paolo VI scelse Robert che non aveva neanche 33 anni. Si trattava di un'eredità molto difficile. "Dopo centinaia di ore di preghiera, sono giunto alla conclusione che il peggio che poteva accadermi era di morire. ... Cosa posso sperare di meglio di una morte per Dio e la difesa della verità, per la dignità della persona umana e la libertà di coscienza! Dovevo parlare, anche se questo significava mettere in gioco la mia esistenza".
Il dittatore Sékou Touré faceva controllare ogni parola del nuovo vescovo. Una cosa in particolare non riusciva a perdonargli, che mons. Sarah annunciasse pubblicamente: "Il potere lo usano solo coloro che non hanno la saggezza di condividerlo!". Per questo Sékou Touré pianificò l'arresto e l'uccisione del vescovo di soli 39 anni. Ma è Dio il Signore del tempo: sorprendentemente il dittatore morì prima, il 26 marzo 1984!

La resistenza contro il potere comunista però doveva andare avanti. Si aggiunsero nuove battaglie interiori che prostrarono il giovane vescovo, "rivelandomi in maniera sempre più evidente la mia oggettiva incapacità a guidare la Chiesa di Conakry".
Ogni due mesi iniziò a ritirarsi per tre giorni nel silenzio, in un digiuno assoluto, senz'acqua né cibo. "L'Eucaristia era il mio solo alimento e la mia sola compagnia. Questa vita di solitudine e di preghiera mi permetteva di ritemprarmi e di riprendere il combattimento".
Uscì rinforzato da questa prova e divenne un testimone ancora più infiammato della verità del vangelo.

Tanto più difficile fu allora il congedo, quando Papa Giovanni Paolo II chiamò l'arcivescovo a Roma. Anche qui Robert Sarah, ricevuta giustamente la dignità di Cardinale, con la sua fedeltà alla verità, seguendo sempre gli insegnamenti spirituali dei sacerdoti che aveva conosciuto, è un faro e un pastore per innumerevoli persone: "Ancora oggi, quando sono oggetto dei privilegi dovuti alla mia funzione, mi sforzo di restare in unione con Dio attraverso una profonda preghiera mentale. Se noi riferiamo tutto a Dio, l'umiltà ci viene donata in sovrappiù. Nella mia vita, Dio ha fatto tutto; da parte mia, non ho voluto far altro che pregare".

Fonte: Cardinale Robert Sarah, Dio o niente, Edizioni Cantagalli 2015

Tratto dalla rivista “Trionfo del Cuore” - Luglio/Agosto 2019

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