L'amore verso Gesù Cristo, come è il primo tra i doveri del cristiano, è anche il fondamento della più dolce e più sicura confidenza della nostra eterna salute. Come senza di Lui non possiamo far niente di bene, così senza di Lui non potremo mai conseguire la gloria del Cielo, quella gloria beata che è solo frutto dei Suoi meriti, poiché le nostre azioni non sono meritorie, se non in quanto passano per quella fonte di Paradiso che sono i meriti infiniti di Gesù.
Egli è la sola via che ci conduce al Cielo; la sola chiave misteriosa di Davide che ci può aprire le porte eterne della celeste Gerusalemme, le quali - come dice S. Giovanni nell'Apocalisse - nessuno può aprire se Egli le chiude, e nessuno può chiudere se Egli ce le apre.
Gesù Cristo, dunque, come è tutta la nostra speranza, deve essere ancora l'unico nostro anelito: per Lui deve essere tutto il nostro cuore, a Lui devono essere rivolti tutti i nostri pensieri e i nostri desideri, a Lui devono essere dirette tutte le nostre azioni. Pieni di santa confidenza dobbiamo dire con l'apostolo Paolo: «Chi ci separerà dall'amore di Gesù Cristo? Forse la tribolazione o l'angustia, la fame o la nudità, i pericoli, le persecuzioni, la spada?» No, mai. Siamo certi che, con la divina grazia né la morte né la vita né gli Angeli né i Principati né le Potestà né le altezze né le profondità né le cose presenti né le future né alcuna creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio che è in Gesù Cristo, nostro Signore.
Dopo avervi esposto i principali motivi che noi abbiamo di amare Gesù Cristo, voglio insegnarvi ora la maniera con cui possiamo tradurre in pratica questo santo amore. State attente, perché l'argomento non può essere più dolce né più importante.
Se vogliamo dimostrare a Gesù Cristo il nostro amore, la prima cosa che dobbiamo fare è quella di non darGli mai, volontariamente, disgusto, di non offenderLo mai né tanto né poco.
D'altra parte, come possiamo dire di amare Gesù Cristo, nostro amatissimo Salvatore, se facciamo atti che Lo disgustano e Lo offendono? Egli ha fatto tanto per noi, affinché non fossimo più soggetti alla potestà dell'inferno, ma conseguissimo la bella libertà dei figli di Dio.
Si è, infatti, sottoposto ad una morte crudele, perché noi non fossimo più oggetto di abominazione e di odio agli occhi di Dio e di tutta la corte celeste. Egli stesso si è fatto abominazione di tutto il mondo, per rialzarci dalla nostra miseria alla felicità dei beni celesti; dall'obbrobrio alla gloria.
Si è sottomesso a tante umiliazioni, quante ne seppe inventare l'umana cattiveria e l'inaudita barbaria dei Suoi nemici; e noi cadremo nuovamente in peccato, tornando volontariamente a trasgredire la Sua santa legge? Non sarebbe questa una grande ingiuria, un solenne affronto? Non sarebbe mostrarGli, con somma ingratitudine, che non sappiamo che farci di quanto Egli fece per noi?
Egli non ha voluto uscire dall'Orto degli Ulivi e darsi in mano ai Suoi nemici, senza prima aver ottenuto dal Padre Suo che, andando Egli a morire per noi, si degnasse, almeno, di ricevere noi al Suo posto, riconoscendoci come Suoi figli adottivi. Egli soddisfaceva la divina Giustizia per i peccati di tutti gli uomini, perché tutti fossero ammessi a godere la bella gloria del Cielo.
La seconda maniera di amare Gesù Cristo è di prestarGli una esatta e intera obbedienza. Dio aveva già imposto agli Israeliti di ascoltare questo grande Profeta, e rinnovò questo stesso comando sul Tabor quando ai discepoli, che contemplavano estasiati la gloria del divino Maestro, fece udire questa voce: «Questo è il mio Figlio diletto, l'Oggetto delle mie compiacenze, ascoltateLo».
È, dunque, nostro preciso dovere ascoltare Gesù Cristo, sia quando ci istruisce come Maestro, sia quando ci comanda come Signore. Se noi non Gli siamo sottomessi e fedeli nell'ascoltarLo e seguirLo, ci illudiamo di amarLo come si conviene.
Dobbiamo ascoltare la voce di questo divin Salvatore, con docilità e disponibilità, sia che giunga a noi per mezzo del Vangelo, sia per bocca dei Suoi Ministri, sia con i movimenti della grazia e le interne ispirazioni. Dobbiamo essere nella disposizione di poterGli dire ogni momento con Samuele: «Parlate, Signore, che il vostro servo Vi ascolta». Oppure col convertito Saulo: «Signore, che volete che io faccia?».
Non basta ascoltarLo, bisogna anche seguirLo, con fedeltà, ovunque Gli piaccia condurci. Questo è il contrassegno, con cui il suddito dimostra al Suo Signore la sua fedeltà e il suo ossequio. Così fece il generoso Ittài con Davide.
Quando il reale Profeta seppe che Assalonne, suo figlio, gli si era ribellato, si era fatto acclamare Re, e tutto Israele lo seguiva, conobbe il suo grave pericolo e la necessità di mettersi al sicuro, fuggendo da Gerusalemme. Chiamata a sé la gente, disse loro: «Presto, partiamo, perché non avremo più scampo quando giungerà qui Assalonne». Essi risposero: «Tutto quello che ci comanda il Re, nostro Signore, sarà fatto, prontamente e volentieri, da noi suoi servi».
Uscirono, dunque, da Gerusalemme: il Re, la sua Famiglia, i servitori con tutto Israele. Camminavano a piedi e li seguiva anche Ittài, che era venuto a Gerusalemme da pochi giorni. Davide gli disse: «Perché vieni anche tu con noi, che sei forestiero? Torna indietro, il nuovo Signore sarà misericordioso con te, poiché gli hai dimostrato la tua gratitudine». Ma Ittài replicò: «Viva il Signore, viva il Re mio padrone, in qualunque luogo tu sarai, ivi sarà pure, vivo o morto, il tuo servo». Davide, ammirato per la fedeltà e la costanza di questo suo servo, non poté fare a meno di dirgli: «Vieni, dunque e seguimi».
Così dobbiamo dire e fare noi con Gesù Cristo, nostro capo, nostro Re e Signore. Dobbiamo confessare, con la voce e coi fatti, che vogliamo essere sempre fedeli a Lui, tanto in vita quanto in morte; che vogliamo seguirLo sia sul Calvario che sul Tabor, cioè sia nelle Sue umiliazioni che nella Sua gloria; sia nei dolori e nei patimenti della Sua acerba passione, sia nei trionfi della Sua risurrezione e ascensione al Cielo. In una parola: non ci dobbiamo più considerare come nostri, poiché - dice S. Paolo - siamo stati ricomprati da Gesù Cristo a prezzo di tutto il Suo sangue. Se viviamo, dobbiamo vivere per Lui; se moriamo, dobbiamo morire per Lui; sia morendo che vivendo, dobbiamo essere sempre di Lui, nostro Signore: questa è la seconda maniera di amare Gesù Cristo.
La terza maniera è quella di patire volentieri per amore Suo e procurare, per quanto è possibile, di imitarLo nelle Sue sofferenze. «Se qualcuno vuol seguirmi - Egli dice in S. Matteo - prenda la sua croce e mi segua. Chi non porta la croce - soggiunge in S. Luca - e non mi segue, non può essere mio vero discepolo».
Mie Figlie, la strada dei patimenti e delle privazioni è quella su cui ha camminato Gesù Cristo, e proprio su questa dobbiamo camminare anche noi, se vogliamo essere Suoi veri discepoli; né potremo mai darGli testimonianza più certa del nostro amore, che quando, per Suo amore, sopporteremo molto volentieri: traversie, umiliazioni, dispiaceri e croci.
Gesù Cristo ha portato la croce e l'ha portata per noi, e nell'amore alla croce ha posto il vero contrassegno di un'anima predestinata, di un vero figlio di Dio.
Gesù Cristo ce ne ha dato l'esempio: Egli, fin dal primo istante del Suo concepimento, ebbe dinanzi agli occhi la Sua croce e i Suoi tormenti.
Fin d'allora si offrì a Dio, Suo Padre, ed entrò nel mondo come vittima per i peccati degli uomini, così che può dirsi che tutta la Sua vita, come disse il Profeta, è stata fatiche e pene: IN LABORIBUS A IUVENTUTE MEA.
Le Sue pene crebbero col crescere degli anni: nato in una stalla, morì su di una croce, e i Suoi tormenti furono così inauditi, che Lo indussero ad esclamare: «Padre mio, perché mi hai abbandonato?».
Fu disprezzato come un verme; divenne l'obbrobrio degli uomini e l'abiezione della plebe, volendo Dio farci intendere che dopo la venuta di Gesù Cristo nel mondo, non si devono più desiderare: felicità, consolazioni, godimenti terreni, ma si deve mirare solo alle gioie sempiterne del Cielo, che debbono essere l'oggetto della nostra fede e della nostra speranza.
Questo ha detto anche S. Caterina da Siena: «Dio ha voluto fare della croce come un ponte per passare dalla terra al Cielo».
Quando S. Giovanni, nell'Apocalisse, vide un gran numero di Santi che godevano la gloria eterna, constatò che tutti erano entrati in quella patria beata per mezzo di grandi tribolazioni.
Patire, dunque, per Gesù Cristo e farsi Suoi imitatori, è il modo migliore per testimonarGli il nostro amore e per assicurarci il possesso della gloria celeste.
Finalmente, siccome l'atto massimo dell'amore di Gesù Cristo verso di noi fu non solo quello di morire per noi sulla croce, ma di lasciarci tutto Se stesso nell'augustissimo Sacramento dell'Altare, così l'ultima e singolare maniera di mostrarGli il nostro amore è di segnalarci nella devozione di questo Divino Mistero, nel quale Gesù ha esaurito l'immensa ricchezza del Suo amore.
Assistiamo, dunque, con profonda umiltà e doveroso rispetto, animate da viva fede e da grande amore, al tremendo sacrificio della S. Messa, in cui si rinnova Quello ammirabile del Golgota.
Andiamo molto spesso a visitare questo divinis-simo Sacramento, in cui Gesù sta notte e giorno aspettandoci, per ricolmarci dei Suoi beni celesti.
Non perdiamo l'occasione di prostrarci frequentemente ai Suoi piedi, di umiliarGli i nostri omaggi, di offrirGli i nostri cuori, a perpetua riconoscenza dell'amor Suo. In particolare, con vivissima fede, con umiltà profonda e accesi di santa carità, raccogliamoci quando andiamo a riceverLo nella santa Comunione.
Noi felici, se ci valiamo dei motivi sopra accennati per accendere in noi un vivo amore a Gesù Cristo.
Noi felici, se in queste e mille altre maniere procureremo di amarLo sinceramente. L'apostolo S. Paolo grida: «Sia scomunicato quell'ingrato che non voglia amare Gesù, perché è indegno di vivere in compagnia di altri fedeli».
Buon Gesù, su nessuna di noi cada mai questa terribile maledizione! Noi vogliamo amarVi sinceramente, con tutte le forze dell'animo nostro. Non per altro Voi Vi siete dimostrato, con tanti motivi, così amabile, se non per spronarci ad amarVi sempre più. Dateci, o Gesù, un bacio della Vostra divina bocca Ve lo chiediamo con amore, rispetto e fiducia, insieme alla Sposa dei Sacri Cantici, e fate che veniamo trasfigurati da un'ardente carità, così che, godendo qui in terra della divina unione e trasformazione, possiamo poi goderne la pienezza per tutta l'eternità in Cielo Amen.
Padre Agostino Roscelli
Tratto dal sito http://www.immacolatine.it/Manoscritti_vol_1/Modo_di_amare_Gesu_Cristo.html
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