LC 24, 13-55
Lo scandalo della vittoria del male sul bene
Ed ecco in quello stesso giorno... Il giorno di cui si parla è il giorno della risurrezione del Signore, giorno in cui la vita ha vinto la morte, la luce ha vinto le tenebre, l'amore ha trionfato sull'odio. Questa buona notizia incominciava a diffondersi ma c'era ancora chi doveva sentirne l'annuncio. Due discepoli, che seguendo il Signore erano giunti a Gerusalemme ora se ne allontanavano sconsolati, e lungo il cammino parlavano di tutto quello che era accaduto. Ma che cosa era accaduto a Gerusalemme? A Gerusalemme aveva avuto luogo la fase conclusiva di una violenta battaglia in cui morte e vita si erano scontrate in un furioso duello e il Signore della vita era morto.
Con la morte del Signore, erano venute meno anche le
speranze di coloro che Lo avevano seguito affascinati dalla sua
sapienza, dalla sua bontà, dalle sue promesse e dalla potenza dei
suoi miracoli. Chi se non Lui poteva riformare la società, guarirla
dalla corruzione, dall'ipocrisia, dalla mancanza di fede?... Ma ora,
colui che aveva alimentato queste speranze era morto, ucciso
dall'odio dei suoi nemici.
C'erano poi altri aspetti in quegli avvenimenti che
lasciavano sconcertati: in primo luogo il comportamento di Gesù
stesso, Egli infatti non aveva fatto niente per sottrarsi alla
malvagità che si stava abbattendo su di Lui, ma si era offerto con
docilità a coloro che Lo volevano uccidere, e i suoi discepoli, che
ad un certo punto erano pronti a combattere e morire per Lui, non
sapevano più cosa pensare. Un altro aspetto sconcertante era il
silenzio di Dio nel momento più drammatico della vicenda, silenzio
talmente incomprensibile e doloroso da strappare a Gesù morente il
lamento: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?...(Mt
27,46).
C'è qualche cosa di incomprensibile e di
intollerabile nel veder soffrire un innocente e, se questo ripugna a
dei poveri peccatori come noi, a maggior ragione dovrebbe ripugnare a
Dio che è sommamente amante del diritto e della giustizia; eppure
Dio era rimasto in silenzio.
Evidentemente questi avvenimenti e gli interrogativi che suscitavano erano talmente superiori alle forze dei due discepoli da lasciarli oppressi e disorientati. Allora, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Gesù non poteva non farsi vicino e camminare con coloro che erano onestamente alle prese con una situazione e degli interrogativi più grandi di loro. Gesù è presente eppure non è riconosciuto, la sua presenza è in un primo tempo silenziosa e nascosta, è una presenza che non si impone, non è invadente, ma si propone di camminare silenziosamente al fianco di coloro che sono nell'afflizione.
Come se Dio non sapesse
L'afflizione dei discepoli resterebbe tuttavia senza rimedio se la presenza del Signore non si facesse più manifesta, e Gesù rompe il suo silenzio con una domanda: Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino? Sembra la domanda di uno che viene da un altro mondo e non sa ciò che tutti ormai sanno; uno dei due gli dice infatti: Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni? Che cosa? Replicò il Signore.
C'è in questo dialogo qualche cosa di strano,
proviamo allora a considerarlo secondo due aspetti: uno abbastanza
comprensibile, l'altro più misterioso e paradossale. L'aspetto
misterioso è che il Signore sembra voler suscitare con le sue
domande proprio gli interrogativi accennati in precedenza, vale a
dire: come mai Dio, che è sommamente amante del diritto e della
giustizia, tace e non interviene quando ha luogo la più grande delle
ingiustizie, ossia l'uccisione dell'innocente suo Figlio? Come mai
Dio permette che i malvagi opprimano il giusto fino ad ucciderlo?
Come mai Dio permette che il male trionfi sul bene assumendo anche
proporzioni intollerabili? Tutte queste cose sono successe, succedono
e succederanno, continuando ad opprimere e a suscitare interrogativi
senza risposta in coloro che, di fronte a certi momenti tragici della
condizione umana, non si accontentano di risposte superficiali.
Non è tuttavia superficiale il paradosso che il
Signore propone con le sue domande le quali, così come sono poste,
suggeriscono l'idea che Lui fosse completamente estraneo dagli
avvenimenti che tanto angustiavano i due discepoli. In realtà, Colui
che credevano estraneo e assente era stato al centro degli eventi e
nessuno come Lui aveva sofferto fino in fondo gli aspetti più
intollerabili e ripugnanti del male e dell'ingiustizia.
Questo paradosso descrive con precisione
sorprendente ciò che accade ogni volta che l'uomo, afflitto o in
rivolta a causa del male che lo opprime, si rivolge a Dio accusandolo
di insensibilità, di ingiustizia o di inerzia nei confronti di
situazioni insostenibili ed inammissibili. Tali situazioni possono
suscitare due tipi di rivolta: la rivolta del "giusto" e la
rivolta del peccatore. Esempi tipici della rivolta del giusto sono i
lamenti dei profeti. Abacuc tra gli altri così si esprime: Fino a
quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido
"violenza!" e non soccorri?…Tu dagli occhi così puri che
non puoi vedere il male e non puoi guardare l'iniquità, perché,
vedendo i malvagi, taci mentre l'empio ingoia il giusto? (Ab 1,
2;13). La rivolta del peccatore ci è raccontata dall'evangelista
Luca in questi termini: Uno dei malfattori appesi alla croce lo
insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te
stesso e anche noi!" (Lc 23, 39).
Allora, quando le nostre rivolte oscillano fra il
lamento dei profeti e l'insulto del malfattore, dobbiamo sapere e
credere che Colui che noi pensiamo assente o estraneo al nostro
dramma, si trova in realtà misteriosamente al centro di esso e
soffre più di noi per le ingiustizie ed i mali che ci opprimono.
Dire tutto a Gesù
Possiamo provare a considerare adesso l'aspetto più comprensibile delle domande di Gesù. Quando chiede ai due viandanti che cosa era successo e che cosa li angustiava, rispondono: Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute…
Queste parole ci dicono quali erano i discorsi che i
due discepoli facevano lungo il cammino, ora, la loro angustia ed i
loro interrogativi li stavano raccontando a quel misterioso
personaggio che alla fine scopriranno essere Gesù stesso.
L'insegnamento da ricavare potrebbe allora essere questo: finché
discutiamo fra noi, come facevano i discepoli prima che Gesù si
avvicinasse e camminasse con loro, il nostro dolore rimane senza
sollievo ed i nostri interrogativi senza risposta, le cose cambiano
invece quando ogni nostra preoccupazione e ogni nostro dolore vengono
posti nelle mani del Signore, perché i nostri dolori più profondi
non possono trovare sollievo ed i nostri interrogativi più veri una
risposta, se non da un balsamo e da una luce che non sono naturali ma
soprannaturali.
Il racconto che i due fanno al Signore prosegue poi
con queste parole: Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno
sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il
suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di
angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono
andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui
non l'hanno visto. Che Gesù fosse morto, e morto in quel modo,
era un fatto sconvolgente, ma le sorprese non erano finite, altri
fatti venivano a complicare e rendere incomprensibile la vicenda,
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti dicono i
discepoli, infatti, oltre ad essere morto, Gesù è pure scomparso e
al suo posto si sono presentati degli angeli ad affermare che Egli
è vivo, quelli poi che erano andati al sepolcro per verificare,
avevano sì trovato la tomba vuota, ma Gesù non l'avevano visto.
Questa seconda parte del racconto ci mostra come non
sia solo il mistero del male a sconvolgere la vita dell'uomo, ma
anche il mistero del bene, è c'è da notare che i discepoli vengono
lavorati sia dall'uno che dall'altro mistero.
A questo punto i discepoli hanno deposto nelle mani
del loro compagno tutte le loro angustie, tutti i loro interrogativi
e i loro sconvolgimenti, ossia le cose come loro le avevano vissute e
capite; e questo era forse l'aspetto più comprensibile delle domande
di Gesù, far sì che ogni angustia venisse posta nelle sue mani.
Ora, se quel viandante fosse solo un uomo, le cose non cambierebbero
un gran che, ma quel viandante non era solo un uomo ed aveva qualche
cosa da dire sulla storia che gli avevano raccontato.
La prima cosa che dice non è molto incoraggiante
per i due: Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei
profeti! Evidentemente, il Signore ha pensato che, prima di ogni
altra spiegazione, i due dovevano diventare consapevoli della loro
testardaggine nel voler rimanere ancorati alla loro povera
comprensione delle cose. C'era infatti una visione delle cose secondo
Dio, manifestata agli uomini mediante i profeti, e c'era una visione
delle cose secondo i pellegrini di Emmaus, ma quest'ultima era stata
ormai frantumata dagli eventi che avevano appena vissuto. Una volta
accettata l'inadeguatezza del loro modo di comprendere, e resi umili
dalla dichiarazione della loro lentezza a credere, si poteva iniziare
a ricostruire.
Una domanda imbarazzante
E Gesù inizia a ricostruire ponendo ancora una volta una domanda: Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella gloria? La risposta dei discepoli, o almeno quella che vorremmo dare noi, potrebbe riassumersi con queste parole: Beh, secondo il nostro modesto parere, sarebbe meglio cercare una via che non passi attraverso la sofferenza per entrare nella gloria, magari accontentandosi di qualcosa di meno della gloria.
È tuttavia evidente che Gesù vuole dare una
risposta che va esattamente nella direzione opposta. Allora conviene
riconoscere che la sua domanda ne richiama un'altra: Perché
bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare
nella gloria? Forse il Signore voleva far sorgere proprio questo
interrogativo nel cuore dei discepoli. Se non accettiamo infatti le
fatiche ed i travagli che certi interrogativi comportano, non
giungeremo mai a meritare di godere la luce che il Signore vuole
donarci. Come il Cristo ha dovuto sopportare queste sofferenze per
entrare nella gloria, così il discepolo, sopportando le fatiche
ed i travagli che il problema del male comporta, sia a livello
intellettuale che a livello esistenziale, giungerà a godere della
luce e delle risposte che solo il Signore è in grado di dare.
Allora, a coloro che accettano queste fatiche e
questi travagli, accadrà qualche cosa di simile a quello che è
accaduto ai discepoli di Emmaus. Se ne andranno per un po' di tempo
afflitti e sofferenti con molti interrogativi e nessuna risposta,
poi, misteriosamente e silenziosamente, il Signore si avvicinerà e
camminerà con loro, con qualche stratagemma farà sì che tutti gli
interrogativi e tutte le angustie gli vengano consegnati, poi, con la
sua luce incomincerà a dissipare le oscurità di ogni interrogativo
e le angustie di ogni vicenda.
Partendo da Mosè e da tutti i profeti spiegò
loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui. Ora, fin
da bambini i discepoli sapevano di Mosè e dei profeti, conoscevano
la storia della creazione, il peccato di Adamo, la storia dei
patriarchi, l'oppressione degli Ebrei in Egitto, l'esodo dall'Egitto
e la conquista della terra promessa, le vicende dei vari re di
Israele, la voce potente dei profeti, la promessa e l'attesa del
Messia, ossia di colui che doveva diventare re potente di Israele,
sua guida e suo liberatore. Tutte queste cose le sapevano, ma non le
comprendevano veramente, non le comprendevano nel loro aspetto più
profondo e soprannaturale, non riuscivano a fare il collegamento fra
le cose raccontate dalla Sacra Scrittura ed il dramma che Gesù aveva
vissuto e che loro stavano vivendo. Quando poi Gesù si mette a
spiegare come stanno le cose, allora il loro cuore incomincia a
riscaldarsi ed illuminarsi.
Per tentare di ricavare quanta più luce possibile a
proposito dell'imbarazzante domanda sul perché il Cristo doveva
soffrire per entrare nella sua gloria, è bene riflettere su due
punti fondamentali della rivelazione. Uno è la storia del peccato
originale, l'altro è la presentazione, da parte dei profeti, di un
messia umile e sofferente.
Il dogma del peccato originale
Il dogma del peccato originale tenta di dirci qualche cosa sulla genialità del rapporto che Dio ha voluto instaurare con l'uomo. Per cercare di comprendere questa genialità conviene porsi la domanda: perché Dio ha voluto creare l'uomo? E la risposta è che Dio ha voluto creare l'uomo per renderlo felice mediante la partecipazione allo splendore della vita divina; essendo Dio felice, desidera rendere partecipi anche altri alla sua felicità.
Per realizzare questo progetto, una possibilità era
quella di creare l'uomo direttamente nella gloria, direttamente nel
paradiso celeste, sarebbe stato tutto molto più semplice, non ci
sarebbero stati i peccati e le conseguenti sofferenze, tutti gli
uomini sarebbero stati immediatamente felici ed avrebbero ringraziato
e lodato Dio per tutta l'eternità.
Evidentemente Dio ha scartato questa possibilità e
ne ha scelta un'altra, quella che stiamo vivendo adesso, quella in
cui c'è la possibilità: sia del peccato e delle relative
sofferenze, sia delle vittorie sul peccato e dei relativi meriti.
Così, Dio non ha creato l'uomo nel paradiso celeste, ma lo ha creato
in quello terrestre, e nel paradiso terrestre ha voluto sottoporre
l'uomo ad una prova, una prova d'amore. Tu potrai mangiare di
tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del
bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi,
certamente moriresti (Gn 2,16).
Dio ha scelto di non dare gratuitamente all'uomo la
sua vita, il suo amore, la sua gloria, ma ha voluto che l'uomo ci
mettesse del suo per raggiungere questi beni, in una parola, Dio
vuole amare l'uomo in risposta all'amore che l'uomo manifesta nei
suoi confronti, e l'uomo manifesta a Dio il suo amore mediante
l'osservanza della sua legge: Chi accoglie i miei comandamenti e
li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e
anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui…se uno mi ama osserverà
la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui (Gv 14, 21; 23).
Un altro aspetto del rapporto fra Dio e l'uomo è
questo: Dio non ha voluto costringere l'uomo ad amarlo, cosa che
sarebbe successa se l'avesse creato direttamente in paradiso, ma ha
voluto lasciarlo libero di dirgli di sì o di no, e questa scelta si
manifesta sempre mediante l'osservanza della sua parola e la pratica
della sua legge o dei suoi comandamenti. In questo rapporto infine,
bisogna accettare che Dio sia Dio e l'uomo, uomo, ossia che Dio sia
primo e l'uomo secondo, che Dio sia creatore e l'uomo creatura; la
conseguenza è che Dio deve fissare le regole del gioco, mentre tocca
all'uomo rispettarle. Queste sono le condizioni affinché le cose
funzionino come Dio comanda. In realtà, è accaduto, accade ed
accadrà, che l'uomo non rispetta le regole, non accetta di essere
secondo, vuole essere primo e farsi lui le sue leggi, in una parola,
non supera la prova d'amore a cui è sottoposto, dice di no a Dio,
gli volta le spalle e se ne va per la sua strada.
Di fronte a questo rifiuto e a questa disobbedienza,
Dio rimane impotente e ferito nel suo amore, la gravità e l'orrore
di queste offese ci è manifestata da Gesù inchiodato e trafitto
sulla croce. Ma le conseguenze di queste trasgressioni, di queste
disattenzioni nei confronti della legge dell'amore e delle sue
esigenze, saranno disastrose anche nei confronti dell'uomo, molto più
disastrose di quanto si potrebbe in un primo tempo pensare.
Il paradosso, o il mistero, è che in un primo tempo
l'uomo pensa addirittura che trascurare la parola di Dio e la sua
legge sia per lui un bene, un motivo di libertà e di crescita, e gli
dia la possibilità di esperienze esaltanti e gratificanti che
altrimenti gli sarebbero negate, ed è incoraggiato in questo anche
dalla parola insidiosa del demonio che lo rassicura: Non morirete
affatto! Anzi…(Gn 3,4).
C'è tuttavia un tempo in cui i nodi vengono al
pettine. Prima o poi, nella vita di una persona, di una famiglia o di
una società, il peccato manifesta tutto il suo orrore, e l'uomo si
ritrova stupito, disorientato, oppresso ed impotente di fronte
all'insospettata violenza che il male in certi momenti assume.
La presa di coscienza di questo orrore non può
essere evitata, perché l'amore è l'amore, la verità è la verità,
la giustizia è la giustizia, la virtù è la virtù e la bellezza
del piano di Dio non può venir adulterata, allora, quando si
trascurano questi beni e si imbocca una strada che va nella direzione
opposta a quella che ci condurrebbe nel Regno di Dio, bisogna
accettarne tutte le conseguenze, e le conseguenze vanno fino alla
morte ed alla morte di croce, ossia, fino ad una certa atrocità
della morte.
La situazione disastrosa nella quale ci troviamo
sarebbe senza speranza se Dio non avesse pietà di noi e non
decidesse di intervenire. L'intervento che noi vorremmo è spesso
simile a quello che vorrebbe il ladrone malvagio: Non sei tu il
Cristo? Salva te stesso e anche noi! (Lc 23, 39). Vorremmo cioè
che Dio eliminasse le conseguenze del peccato con la sua potenza
miracolosa, ma questo sarebbe come chiedergli il permesso di peccare
e nello stesso tempo di venir liberati dalle inevitabili
ripercussioni dolorose ed orrende che il peccato comporta.
L'intervento che Dio decide è invece un altro, e
consiste nell'utilizzare la situazione disastrosa nella quale ci
troviamo, come occasione per manifestarci l'eccesso del suo amore
misericordioso. Dio decide di riconquistare il nostro cuore venendo a
portare con noi e per noi il peso di dolore e di morte in cui il
nostro peccato ci ha gettato, ecco la gloria che non poteva ottenere
senza passare attraverso il dolore e la morte, Dio non ha voluto
gloriarsi di altro nei nostri confronti, se non di quell'amore che lo
ha spinto a rendersi solidale con noi fino alla morte e alla morte di
croce. Ecco l'aiuto che Dio ci offre, non l'eliminazione della
sofferenza e della morte, ma il dono della pazienza e delle forze
necessarie per passare attraverso queste realtà.
La via per eliminare la sofferenza e la morte era
già stata indicata, e consisteva nell'osservanza della parola di Dio
e dei suoi comandamenti; l'uomo però, non ha voluto percorrere
questa via, ed allora non rimaneva altra alternativa per la sua
redenzione, o il suo rinsavimento, che farlo passare attraverso le
conseguenze della sua follia, questo passaggio si sarebbe però
avverato impossibile se Gesù non fosse venuto a camminare con noi,
portando Lui molto del peso che dovremmo portare noi. Questa la
gloria dell'Amore che si rende solidale con le disgrazie e la
disavventure degli uomini di tutte le latitudini e di tutti i tempi.
La gloria del Messia sofferente annunciata dai profeti
Questa gloria era già stata annunciata dai profeti, ma pochi vi avevano fatto attenzione, ed allora, nel momento supremo in cui questa gloria si manifestava, non veniva né compresa né riconosciuta. La voce che in maniera più eloquente aveva descritto la gloria del Messia sofferente è stata quella del profeta Isaia, che diversi secoli prima della venuta di Gesù così si esprimeva:
Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e molto innalzato.
Come molti furono presi da spavento alla sua vista
- tanto era sfigurato e il suo aspetto non era più quello di un uomo -
così si meraviglieranno di lui molte genti;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
E' cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi
non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri peccati,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
(Is 52, 13-15; 53, 1-5)
Eugenio Pramotton – Tratta dal libro "Aprì loro la mente..."
Sito www.medvan.it
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