LC 24, 13-55
Il mistero del bene manifesta la sua vittoria
Ad un
certo punto lo sconosciuto viandante termina le sue spiegazioni ed i
discepoli giungono nei pressi del villaggio a cui erano diretti; proprio
in questo momento l'evangelista osserva che egli fece come se
dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: "resta con noi perché
si fa sera e il giorno già volge al declino". La richiesta verrà
accolta ed esaudita al di là delle loro più ardite speranze. Potremmo
considerare questo episodio secondo due aspetti: il primo ci rivela
qualche cosa delle esigenze e del pudore dell'amore, mentre il secondo
ci orienta verso le sue profondità indicibili.
Le esigenze ed il pudore dell'amore
Lo stato d'animo
dei discepoli nei momenti in cui Gesù, in incognito, cammina e parla
con loro, è raccontato da loro stessi con queste parole: non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture?
Queste
parole mostrano come la presenza, l'amabilità e la sapienza di
quell'uomo avevano avuto il potere di ridare luce a delle menti che si
trovavano nell'oscurità, speranza e nuova vita a dei cuori che si
sentivano morire; Gesù si era avvicinato a loro proprio per donare
questi beni, ora, una delle caratteristiche del vero amore è questa: pur
nel desiderio di donare e di donarsi, colui che ama non vuole imporsi
alla persona amata, ma vuole essere da lei desiderato, e desiderato con
una certa intensità. Così Gesù nei confronti dei discepoli. Allora,
quell'accenno ad andare più lontano serviva proprio a provare il loro
desiderio, serviva a verificare quanto ci tenevano alla sua compagnia.
Se l'avessero lasciato andare avrebbe voluto dire che, nonostante le
apparenze, non importava loro molto di Lui, così come è detto di coloro
che subito si rallegrano nell'ascoltare la parola ma non avendo radici
ed essendo incostanti vengono meno (Mt 13, 20-21).
Non così per i discepoli di Emmaus, dei quali è detto invece che insistettero
perché colui che stava ridando vita ai loro cuori rimanesse con loro.
Quell'insistenza ci rivela che la temperatura del loro amore aveva
raggiunto una certa incandescenza e questa era una delle condizioni
richieste perché Gesù rimanesse con loro.
È tuttavia interessante notare
la motivazione che presentano per indurre il loro compagno a rimanere: resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino.
Ora, il desiderio più forte che avevano nel cuore era quello di poter
godere ancora della presenza di colui che li stava facendo rivivere e
senza del quale sarebbero probabilmente ricaduti nello sconforto. Non
gli dicono tuttavia: resta con noi perché abbiamo ancora bisogno della tua parola e del tuo incoraggiamento, ma resta con noi perché si fa sera...
ossia, non viene posta in primo piano un'esigenza del loro cuore, anche
se era una santa esigenza, ma viene avanzata un'esigenza della carità
fraterna. Infatti, se un viandante, che non è del posto, manifesta
l'intenzione di proseguire il cammino mentre il giorno sta per finire e
la notte avanza, andrà sicuramente incontro a disagi non avendo un
riparo per proteggersi dal freddo, riposarsi dalla stanchezza e
rifocillarsi.
Vediamo così che l'intenzione del Signore di proseguire fa emergere la
nobiltà dell'amore dei due discepoli, i quali, pur avendo un gran
desiderio di rimanere con quell'uomo misterioso per il bene che
ricevevano da lui, tuttavia, vengono mossi dal pudore e dalla carità a
cercare un motivo di convenienza a rimanere anche per il loro compagno,
si dimostrano così aperti e attenti alle necessità del prossimo. È
accaduto così che il Signore, dopo aver dato tanto ai discepoli, ha
offerto loro anche la possibilità di dare, li ha messi cioè nella
condizione di offrirgli la loro ospitalità. Visto le ottime premesse,
cioè il loro ardente desiderio e la loro carità fraterna, il Signore non
poteva che entrare per rimanere con loro.
Dalla presenza esterna alla presenza interna
Possiamo
tentare di considerare adesso questo episodio da un altro punto di
vista, quello che ci orienta verso le profondità dell'amore.
Come abbiamo osservato in precedenza, i pellegrini di Emmaus stavano
ricevendo dall'uomo che si era unito a loro lungo il cammino: luce,
consolazione, speranza, e i loro cuori tornavano a vivere dopo la grande
tribolazione per la quale erano passati. Ora, questi beni venivano
comunicati loro soprattutto dalla presenza esterna e dalle parole del
loro compagno, quindi, se lui se ne andava, le sue parole venivano meno e
loro sarebbero ricaduti, prima o poi, nello sconforto, ma anche se si
fosse fermato un giorno o due o tre, sarebbe comunque venuto il momento
in cui li avrebbe dovuti lasciare. Questo significa che la presenza
dell'uomo di Dio e le sue parole, per quanto belle, profonde e vere come
lo erano quelle pronunciate dal Signore, hanno dei limiti. Allora, per
fare un bel lavoro, bisogna andare oltre questi limiti, ecco perché il
Signore fece come se dovesse andare più lontano, come per invitare i suoi discepoli a seguirLo ed entrare con lui dove non ci sono più limiti e regna la perfezione dell'amore.
Oltre il limite della presenza esterna e della parola, c'è la perfezione
della presenza interna e del silenzio. Questa è la meta, misteriosa e
beatificante, a cui il Signore vuole condurre coloro che accettano di
seguirLo. L'evangelista ce la indica con una frase fondamentale e
lapidaria: Egli entrò per rimanere con loro, ecco la presenza,
interna, senza interruzioni, comunitaria, beatificante…e questo è ciò di
cui abbiamo bisogno, entrare in comunione intima e duratura con Colui
che è la Vita, la Luce, la Pace. Ci sono però due modi o due tempi di
questa presenza interna: uno è quello in cui essa agisce in modo
silenzioso e nascosto e l'altro è quello della sua manifestazione. Il
primo è relativo alla vita presente, il secondo a quella futura.
Verso la manifestazione della risurrezione
Il
Signore, dunque, accetta l'ospitalità dei discepoli e, mentre è a tavola
con loro, aziona l'interruttore che fornirà ai loro occhi la luce
necessaria per poterlo riconoscere, e lo fa in un modo molto fine e
caratteristico, afferma cioè di essere il Signore Gesù e quindi il
Risorto, non in maniera diretta ma indiretta. Non dice ad esempio: quel
Gesù di Nazaret che voi avete visto crocifisso, morto, deposto in un
sepolcro, il cui corpo non è stato trovato dalle donne quando vi si sono
recate, e che gli angeli affermano essere vivo, ebbene, sono io che sto
in mezzo a voi. Vengono però dette, in altro modo, esattamente le stesse cose ed anche qualche cosa in più.
Ecco come sono andate le cose: quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Ora, quei gesti, quelle parole, quell'intonazione di voce, quello
sguardo, i due discepoli li avevano già visti ed ora li stavano
rivedendo, e si stavano rendendo conto che appartenevano in maniera
inconfondibile alla persona di Gesù, dunque, colui che avevano davanti
era veramente Gesù, ed era vivo e vegeto nonostante fosse stato morto e
sepolto. Rendersi conto di questo e venire invasi dalla gioia, e da
qualche brivido, fu un tutt'uno, quella gioia poi era talmente forte,
inebriante e piena di luce da ricompensarli ampiamente delle angosce e
delle sofferenze patite durante i giorni della passione di Gesù. Ecco
ciò che accade quando il Signore si manifesta.
Vittorio Messori fa un'ottima osservazione a proposito di questa cena
dicendo che: prendendo il pane, benedicendolo, spezzandolo e
distribuendolo, il misterioso personaggio ha necessariamente dovuto
mettere in evidenza le sue mani, allora, vedendo in esse il segno dei
chiodi i discepoli hanno riconosciuto il Signore.
Questa manifestazione però è durata pochissimo, è stata una manifestazione lampo, e poi: lui sparì dalla loro vista.
Vallo a capire questo Signore risorto, poteva almeno fermarsi un po' di
più, che fretta aveva, ed ora, dove si sarà di nuovo nascosto?
Evidentemente, il Signore è uno a cui piace viaggiare in incognito,
piace nascondersi e farsi cercare, se lo incontri ti fa molte domande,
sembra non sapere niente e invece sa tutto, quando poi si rivela lo fa
per lo spazio di un momento.
Il ritorno a Gerusalemme
Intanto i discepoli, pieni
di gioia, si rendono conto che il Signore era stato loro vicino anche
quando non erano in grado di riconoscerlo e si dicono l'un l'altro:
"non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo
il cammino?" camminava con noi e noi non lo sapevamo! Allora, quando
si ha il cuore pieno di gioia, si ha anche il desiderio di
condividerla, anche se coloro che sono in grado di farlo sono a sette
miglia di distanza, ossia a Gerusalemme.
E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme.
Ma si stava facendo buio - non importa, la luce di Gesù risorto
illuminava i loro occhi. - Ma avevano già camminato a lungo erano
stanchi - non importa, avevano ricevuto un nuovo vigore dall'incontro
con il Signore e dal pane che Lui aveva benedetto. - Ma il Signore era
scomparso - non importa, sentivano che era andato a nascondersi nel
profondo del loro cuore. -
Questo per dire che agli occhi di chi non ha ancora incontrato il
Signore, i comportamenti di un discepolo possono apparire a volte come
stranezze e follie; è tuttavia un peccato che nel mondo siano troppo
poche queste follie. Da notare che le prime persone a cui i discepoli
pensano per condividere la loro gioia non sono gli abitanti del
villaggio, non sono i non credenti o i pagani, ma sono altri discepoli
come loro, perché nessun altro li avrebbe capiti se non dei fratelli
nella fede, solo chi, come loro, aveva partecipato al dramma di Gesù
morto, meritava ed era in grado di partecipare alla gioia di Gesù
risorto.
Intanto i due arrivano a Gerusalemme ed incontrano gli undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone".
Scoprono così che la comunità di Gerusalemme era nella gioia per lo
stesso loro motivo, allora, mettendo in comune le loro sorprendenti
esperienze la gioia di tutti non poteva che aumentare e consolidarsi; il
Signore Gesù, incredibile a dirsi, era veramente risorto, l'odio e la
morte non avevano avuto l'ultima parola, ma erano stati sconfitti dalla
forza invincibile dell'Amore.
L'esperienza autenticata dalla comunità
Questo
momento di condivisione è più importante di quanto potrebbe sembrare.
Come abbiamo osservato, la manifestazione del Signore ai due discepoli
di Emmaus, è stata una manifestazione lampo, e questo avrebbe potuto,
nel tempo, far sorgere qualche dubbio: e se si fosse trattato di una
allucinazione, di un abbaglio, o di una qualche forma di suggestione?
Oppure un brutto scherzo dovuto allo sconforto e alla depressione in cui
erano caduti?
Ora, in quello stesso giorno, persone diverse, in momenti diversi, in
luoghi diversi, in modi diversi, erano state condotte tutte alla
medesima conclusione: Gesù di Nazaret, che era stato morto e sepolto,
era tornato alla vita. Si è quindi verificato, in campo spirituale, ciò
che si richiede in campo materiale ad una teoria per meritarsi il titolo
di scientifica. Tale teoria deve cioè descrivere, o consentire di
produrre, dei fenomeni che siano riproducibili; ossia, persone diverse,
in tempi diversi, con sistemi diversi, devono tutte poter giungere,
applicando quella teoria, alla medesima conclusione.
Così, oltre alla condivisione della gioia, il ritorno a Gerusalemme è
servito a loro, agli altri, e a noi, per verificare l'identità
dell'esperienza a cui ognuno, in modi e tempi diversi, era stato
condotto, ed escludere così il pericolo di un inganno o di una fantasia
senza senso.
I discepoli di Emmaus e noi
Giunti a questo punto,
rimane da riflettere sugli insegnamenti che dobbiamo ricavare noi
dall'esperienza dei due discepoli di Emmaus. A tale proposito penso sia
utile considerare la loro vicenda come un modello o una parabola
dell'intera vita di un discepolo di Gesù.
Proviamo a riflettere su alcuni elementi che suggeriscono questo modo di
vedere. Intanto i due erano in cammino, ma anche la nostra vita è un
cammino, ed è un cammino che non facciamo da soli ma in compagnia. Ci
viene poi detto che la lunghezza di questo cammino era di circa sette miglia,
e qui gli studiosi di Sacra Scrittura ci dicono che difficilmente nella
Bibbia troviamo qualcosa che non abbia un significato simbolico, ossia
un significato che tenta di farci andare oltre ciò che appare per
introdurci nel mistero di Dio e nel mistero dell'uomo; ed anche i numeri
hanno un loro significato simbolico. Il numero sette sta ad indicare,
pienezza, perfezione, totalità. Le sette miglia da Gerusalemme ad Emmaus
possiamo quindi vederle come la totalità del tempo che ad ognuno è
concesso in questa vita.
Se consideriamo la meta verso cui erano diretti, un villaggio, possiamo
dire che non era una meta molto elevata, soprattutto se la paragoniamo
alla città regale da cui si allontanavano, così l'uomo, lasciato a se
stesso, non è di solito orientato verso traguardi molto elevati. Il
Signore eleva i traguardi dell'uomo; vediamo infatti che alla fine i due
ritornano pieni di gioia alla città da cui erano partiti ed incontrano
dei fratelli, pieni di gioia anche loro per aver visto il Signore. Ma
questa è proprio la meta a cui il Signore chiama ognuno di noi, ossia la
comunione dei santi nella gioia, nella Gerusalemme Celeste, la capitale
del Regno di Dio dove il motivo della gioia sarà la contemplazione del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Da Dio veniamo e a Dio dobbiamo
ritornare.
Lungo il cammino i due discorrevano e discutevano insieme di tutto quello che era accaduto,
e questa è una figura dell'uomo che, lungo il corso della vita, si
interroga e cerca il significato delle cose, degli avvenimenti, della
sua esistenza, del bene e del male che vede in sé e nel mondo. Ora, se
la sua ricerca è onesta, se non è una ricerca superficiale e incostante,
deve riconoscere che il senso ultimo di tutte le cose gli sfugge.
Che il senso dell'esistenza non fosse una cosa così facile da trovare,
se ne era reso conto in maniera acuta il Qoèlet che diceva: vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?…L'uomo non può scoprire la ragione di quanto compie sotto il sole; per quanto si affatichi a cercare, non può scoprirla. Anche se un saggio dicesse di conoscerla, nessuno potrebbe trovarla (Qo 1, 2-3; 8, 17).
Infatti, il senso della propria vita non è qualche cosa che l'uomo
riesce a scoprire con le proprie forze, ma è qualche cosa che deve
ricevere come un dono, e il cui senso pieno non gli sarà rivelato che in
Paradiso. Di qui la necessità che il Signore si affianchi al nostro
cammino e, a poco a poco, ci spieghi Lui come stanno le cose.
Il Signore era là e io non lo sapevo
A questo punto
possiamo ricavare due insegnamenti molto importanti e consolanti: il
primo è che il Signore si fa vicino ed accompagna tutti coloro che sono
onestamente alle prese con i grandi problemi della vita; il secondo è
che il Signore opera in nostro favore molto tempo prima che i nostri
occhi siano capaci di riconoscerlo: e camminava con loro, ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Un esempio tipico di questo fatto lo possiamo vedere nella vita di S.
Agostino il quale, nel suo travagliato vagare alla ricerca della verità,
giunge un certo giorno a Milano dove incontra il Santo vescovo Ambrogio
e, a proposito di questo incontro osserva: qui incontrai il vescovo
Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori e Tuo devoto
servitore…A lui ero guidato inconsapevole da Te, per essere da lui
guidato consapevole a Te. In molti altri avvenimenti, pensieri,
stati d'animo, Agostino riconoscerà l'opera del Signore nella sua vita,
anche se lui, sul momento, non era in grado di riconoscerla. Come lui,
tutti coloro che sono giunti alla fede ed hanno camminato in essa,
possono riconoscere che in certi momenti del loro cammino sono accaduti
dei fatti che si sono poi rivelati decisivi per la loro conversione o
per la loro crescita spirituale, e di quei momenti è possibile dire: il Signore era là e io non lo sapevo (Gn 28, 16).
Possiamo ancora notare come tutto l'episodio racconti di una
manifestazione progressiva del Signore Gesù, fino al momento dello
svelamento totale che confermerà i discepoli nella gioia. Vediamo
infatti un primo momento in cui i discepoli camminano da soli, poi Gesù
si avvicina e cammina con loro in silenzio, quindi li interroga e si fa
raccontare le loro angustie, passa poi a rimproverarli per non aver
creduto alla parola dei profeti, afferma in seguito che il Cristo doveva
soffrire per entrare nella sua gloria e spiega loro le scritture,
verifica il loro amore e, da ultimo, rompe il velo per manifestarsi ai
loro occhi in piena luce.
Questo percorso è simile al cammino di fede che un discepolo compie
nella Chiesa, cammino che terminerà con la visione faccia a faccia di
Dio. In un cammino di fede, come si sa, il Signore non si vede, si
vedono però nella Chiesa uomini di fede, i quali ci spiegano le
scritture come Ambrogio ad Agostino, per esempio, e più comprendiamo le
scritture più ci rendiamo conto di non credere abbastanza alla parola
dei profeti, si è allora stimolati a chiedere che ci venga aumentato il
dono della fede per poter credere di più. Capita anche, lungo il
cammino, di comprendere veramente cose che fino a quel momento si
sapevano solo teoricamente.
La predicazione della Chiesa inoltre, insiste in modo particolare sul
mistero pasquale, ossia sul mistero della passione, morte e risurrezione
del Signore, che è la via per la quale il Signore è passato per entrare nella sua gloria.
Il discepolo quindi, nei suoi travagli, nelle sue sofferenze e nella
sua morte, è fortificato dalla grazia che proviene dalla Croce di
Cristo, il fine ultimo però, non è la sofferenza e la morte, ma la gioia
nella contemplazione del Signore risorto insieme agli angeli e ai
santi.
In attesa che sul nostro cammino appaia il traguardo della Gerusalemme celeste, dobbiamo camminare nella fede e non ancora in visione
(2 Cor 5, 7), come ci dicono sia San Paolo che l'esperienza. È forse
questo uno dei motivi per cui il Signore cammina con i discepoli senza
farsi riconoscere. Così, l'apparizione lampo con cui il Signore si
manifesta loro, oltre ad affermare la sua risurrezione, ad indicare con
particolare evidenza quale era la bellezza e la gioia che avrebbe
riservato loro in cielo, oltre ad infondere loro nuove forze e coraggio
per annunciare al mondo la sua risurrezione, indicava anche che non
erano ancora giunti al traguardo, e dovevano camminare anche loro nella fede e non nella visione, come i discepoli di tutti i tempi.
Per i discepoli di tutti i tempi questa manifestazione di Gesù contiene
la consolante indicazione che, in momenti particolari, per motivi a lui
noti, nei modi stabiliti dalla sua sapienza, il Signore può, per lo
spazio di un momento, rendere sensibile anche a loro la sua presenza.
Gesù risorto e l'Eucaristia
Nel corso delle nostre
riflessioni abbiamo ad un certo punto osservato come il Signore abbia
scelto una via indiretta, o velata, per rivelare ed affermare la sua
risurrezione, ed abbiamo anche detto che, oltre ad affermare la sua
risurrezione il Signore stava dicendo qualche cosa in più.
Probabilmente, sul momento, i discepoli non si saranno resi conto di
questo ulteriore insegnamento, possiamo tuttavia immaginarli qualche
tempo dopo, intenti a riflettere sugli avvenimenti di quel giorno,
soprattutto sul modo che il Signore aveva scelto per farsi riconoscere.
Immaginiamo allora il discepolo C ed il discepolo S che cercano una comprensione più profonda di quel particolare momento.
C - Ti sei mai chiesto come mai, a noi, il Signore si è manifestato in quel modo particolare?
S - Ci ho pensato a volte, però non riesco a comprendere
pienamente il senso di quanto ha fatto, ma la cosa più importante, non è
forse che noi sappiamo che Lui è risorto?
C - Sì, ma tu sai che il Signore non fa niente a caso e in tutto
ciò che dice e fa si nascondono misteri ed insegnamenti profondi.
S - Verissimo, quindi, se cerchiamo, troveremo sicuramente qualche tesoro nascosto.
C - Infatti, a Lui piace dire molte cose nascondendole sotto i
veli delle parabole e delle similitudini, se dunque per rivelarsi a noi
ha scelto quella particolare sceneggiatura, ci deve essere un motivo.
S - Da dove possiamo iniziare la nostra ricerca?
C - Da una domanda, naturalmente.
S - Quale domanda?
C - Qual è l'associazione di idee che noi possiamo adesso stabilire dopo averlo visto risorto?
S - Veramente, non riesco a seguirti.
C - Dai, non è difficile, anzi è semplicissimo.
S - Sarà semplicissimo per te, ma io proprio non ti seguo.
C - L'associazione è questa: abbiamo da una parte Gesù, risorto,
vivo e vegeto, e dall'altra la tavola, il pane, la benedizione, il pane
spezzato e la sua distribuzione.
S - E allora?
C - E allora basta percorrere le idee contenute nell'associazione in senso inverso e abbiamo trovato.
S - Trovato che cosa?
C - Che lì dove c'è una tavola, un pane spezzato e una benedizione c'è anche Gesù risorto.
S - Accidenti! Adesso capisco, era così semplice! Così, anche il
fatto che appena riconosciuto sia sparito dalla nostra vista, può voler
dire che per fede dobbiamo riconoscerLo risorto e vivo nel Pane
consacrato.
C - Penso proprio di sì.
S - Allora, con questo modo singolare di manifestarsi è come se
avesse voluto lasciare a noi e ai discepoli che verranno, il suo
indirizzo, così, quelli che vogliono incontrarLo nella fede, lo possono
fare dove c'è un pane consacrato...
Ecco il modo che il Signore ha scelto per farci andare oltre i
limiti della sua presenza esterna e della parola, vale a dire il dono
dell'Eucaristia, mediante il quale, in modo silenzioso e nascosto, entra per rimanere con noi. Quando questa presenza si manifesterà in piena luce e senza interruzioni, sarà la beatitudine eterna.
Eugenio Pramotton - Dal sito http://www.medvan.it/
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