Cari fratelli e sorelle!
La Pentecoste è la festa dell’unione,
della comprensione e della comunione umana. Tutti possiamo constatare
come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno
all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e le distanze
geografiche sembrano sparire, la comprensione e la comunione tra le
persone sia spesso superficiale e difficoltosa. Permangono squilibri
che non di rado portano a conflitti; il dialogo tra le generazioni si
fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti
quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più
aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e
si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi. In
questa situazione, possiamo trovare veramente e vivere quell’unità
di cui abbiamo bisogno?
La narrazione della Pentecoste negli
Atti degli Apostoli, che abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr
At 2,1-11), contiene
sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo
all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della
costruzione della Torre di Babele (cfr Gen
11,1-9). Ma che cos’è Babele? E’ la
descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto
potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano
e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti
al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Ma proprio
in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare.
Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre,
improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro
l’altro. Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo
di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un
elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di
accordarsi, di capirsi e di operare insieme.
Questo racconto biblico contiene una
sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel
nostro mondo. Con il progresso della scienza e della tecnica
siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di
manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo
quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare
Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi
possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci
accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’
vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere
informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è
cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci
capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un
senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a
diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora
alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E
come?
La risposta la troviamo nella Sacra
Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di
Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una
capacità nuova di comunicare. E questo è ciò che si è verificato
a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un
vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito
Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in
essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. La
paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si
sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti
potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A
Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e
comprensione.
Ma guardiamo al Vangelo di oggi, nel
quale Gesù afferma: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità,
vi guiderà a tutta la verità» (Gv
16,13). Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è
la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere
il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che
agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma
orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la
Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa
ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano,
non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e
a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito di unità
e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle
menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a
vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci
introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida
nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella
conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di
ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un
atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più
chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste.
Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno
contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore,
si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.
La contrapposizione tra Babele e
Pentecoste riecheggia anche nella seconda lettura, dove l’Apostolo
dice: “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a
soddisfare il desiderio della carne” (Gal
5,16). San Paolo ci spiega che la nostra
vita personale è segnata da un conflitto interiore, da una
divisione, tra gli impulsi che provengono dalla carne e quelli che
provengono dallo Spirito; e noi non possiamo seguirli tutti.
Non possiamo, infatti, essere contemporaneamente egoisti e generosi,
seguire la tendenza a dominare sugli altri e provare la gioia del
servizio disinteressato. Dobbiamo sempre scegliere quale impulso
seguire e lo possiamo fare in modo autentico solo con l’aiuto dello
Spirito di Cristo. San Paolo elenca - come abbiamo sentito - le opere
della carne, sono i peccati di egoismo e di violenza, come
inimicizia, discordia, gelosia, dissensi; sono pensieri e azioni che
non fanno vivere in modo veramente umano e cristiano, nell’amore.
E’ una direzione che porta a perdere la propria vita. Invece
lo Spirito Santo ci guida verso le altezze di Dio, perché possiamo
vivere già in questa terra il germe di vita divina che è in noi.
Afferma, infatti, san Paolo: «Il frutto dello Spirito è amore,
gioia, pace» (Gal
5,22). E notiamo che l’Apostolo usa il plurale per descrivere
le opere della carne, che provocano la dispersione dell’essere
umano, mentre usa il singolare per definire l’azione dello Spirito,
parla di «frutto», proprio come alla dispersione di Babele si
contrappone l’unità di Pentecoste.
Cari amici, dobbiamo vivere secondo lo
Spirito di unità e di verità, e per questo dobbiamo pregare perché
lo Spirito ci illumini e ci guidi a vincere il fascino di seguire
nostre verità, e ad accogliere la verità di Cristo trasmessa nella
Chiesa. Il racconto lucano della Pentecoste ci dice che Gesù prima
di salire al cielo chiese agli Apostoli di rimanere insieme per
prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si
riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa
dell’evento promesso (cfr At
1,14). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa anche
quest’oggi prega: «Veni Sancte Spiritus!
- Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in
essi il fuoco del tuo amore!». Amen.
Benedetto
XVI - Domenica, 27
maggio 2012
Dal sito http://w2.vatican.va/
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