.....Il primo Salmo su cui mi soffermo è un Salmo di lamento e di supplica pervaso di profonda fiducia, in cui la certezza della presenza di Dio fonda la preghiera che scaturisce da una condizione di estrema difficoltà in cui si trova l’orante. Si tratta del Salmo 3, riferito dalla tradizione ebraica a Davide nel momento in cui fugge dal figlio Assalonne (cfr v. 1): è uno degli episodi più drammatici e sofferti nella vita del re, quando suo figlio usurpa il suo trono regale e lo costringe a lasciare Gerusalemme per salvarsi la vita (cfr 2Sam 15ss). La situazione di pericolo e di angoscia sperimentata da Davide fa dunque da sottofondo a questa preghiera e aiuta a comprenderla, presentandosi come la situazione tipica in cui un tale Salmo può essere recitato. Nel grido del Salmista, ogni uomo può riconoscere quei sentimenti di dolore, di amarezza e insieme di fiducia in Dio che, secondo la narrazione biblica, avevano accompagnato la fuga di Davide dalla sua città.
Il Salmo inizia con un’invocazione al Signore:
«Signore,
quanti sono i miei avversari!
Molti contro di me insorgono.
Molti dicono della mia vita:
“Per lui non c’è salvezza in Dio!”» (vv. 2-3).
Molti contro di me insorgono.
Molti dicono della mia vita:
“Per lui non c’è salvezza in Dio!”» (vv. 2-3).
La
descrizione che l’orante fa della sua situazione è quindi segnata
da toni fortemente drammatici. Per tre volte si ribadisce l’idea di
moltitudine - “numerosi”, “molti”, “tanti” - che nel
testo originale è detta con la stessa radice ebraica, così da
sottolineare ancora di più l’enormità del pericolo, in modo
ripetitivo, quasi martellante. Questa insistenza sul numero e la
grandezza dei nemici serve a esprimere la percezione, da parte del
Salmista, dell’assoluta sproporzione esistente tra lui e i suoi
persecutori, una sproporzione che giustifica e fonda l’urgenza
della sua richiesta di aiuto: gli oppressori sono tanti, prendono il
sopravvento, mentre l’orante è solo e inerme, in balìa dei suoi
aggressori. Eppure, la prima parola che il Salmista pronuncia è
“Signore”; il suo grido inizia con l’invocazione a Dio.
Una
moltitudine incombe e insorge contro di lui, generando una paura che
ingigantisce la minaccia facendola apparire ancora più grande e
terrificante; ma l’orante non si lascia vincere da questa visione
di morte, mantiene saldo il rapporto con il Dio della vita e a Lui
per prima cosa si rivolge, in cerca di aiuto. Però i nemici tentano
anche di spezzare questo legame con Dio e di incrinare la fede della
loro vittima. Essi insinuano che il Signore non può intervenire,
affermano che neppure Dio può salvarlo. L’aggressione quindi non è
solo fisica, ma tocca la dimensione spirituale: “il Signore non può
salvarlo” - dicono -, il nucleo centrale dell’animo del Salmista
va aggredito. È l’estrema tentazione a cui il credente è
sottoposto, è la tentazione di perdere la fede, la fiducia nella
vicinanza di Dio. Il giusto supera l'ultima prova, resta saldo nella
fede e nella certezza della verità e nella piena fiducia in Dio, e
proprio così trova la vita e la verità. Mi sembra che qui il Salmo
ci tocchi molto personalmente: in tanti problemi siamo tentati di
pensare che forse anche Dio non mi salva, non mi conosce, forse non
ne ha possibilità; la tentazione contro la fede è l'ultima
aggressione del nemico, e a questo dobbiamo resistere così troviamo
Dio e troviamo la vita. L'orante del nostro Salmo è quindi
chiamato a rispondere con la fede agli attacchi degli empi: i nemici
– come ho detto - negano che Dio possa aiutarlo, egli invece Lo
invoca, Lo chiama per nome, “Signore”, e poi si rivolge a Lui con
un “tu” enfatico, che esprime una rapporto saldo, solido, e
racchiude in sé la certezza della risposta divina:
«Ma
tu sei mio scudo Signore,
sei la mia gloria e tieni alta la mia testa.
A gran voce grido al Signore
ed egli mi risponde dalla sua santa montagna» (vv. 4-5).
sei la mia gloria e tieni alta la mia testa.
A gran voce grido al Signore
ed egli mi risponde dalla sua santa montagna» (vv. 4-5).
La
visione dei nemici ora scompare, non hanno vinto perché chi crede in
Dio è sicuro che Dio è il suo amico: resta solo il “Tu” di Dio,
ai “molti” si contrappone ora uno solo, ma molto più grande e
potente di molti avversari. Il Signore è aiuto, difesa, salvezza;
come scudo protegge chi si affida a Lui, e gli fa sollevare la testa,
nel gesto di trionfo e di vittoria. L’uomo non è più solo, i
nemici non sono imbattibili come sembravano, perché il Signore
ascolta il grido dell’oppresso e risponde dal luogo della sua
presenza, dal suo monte santo. L’uomo grida, nell’angoscia, nel
pericolo, nel dolore; l’uomo chiede aiuto, e Dio risponde. Questo
intrecciarsi di grido umano e risposta divina è la dialettica della
preghiera e la chiave di lettura di tutta la storia della salvezza.
Il grido esprime il bisogno di aiuto e si appella alla fedeltà
dell’altro; gridare vuol dire porre un gesto di fede nella
vicinanza e nella disponibilità all’ascolto di Dio. La preghiera
esprime la certezza di una presenza divina già sperimentata e
creduta, che nella risposta salvifica di Dio si manifesta in
pienezza. Questo è rilevante: che nella nostra preghiera sia
importante, presente, la certezza della presenza di Dio. Così, il
Salmista, che si sente assediato dalla morte, confessa la sua fede
nel Dio della vita che, come scudo, lo avvolge all’intorno con una
protezione invulnerabile; chi pensava di essere ormai perduto può
sollevare il capo, perché il Signore lo salva; l’orante,
minacciato e schernito, è nella gloria, perché Dio è la sua
gloria.
La risposta divina che accoglie la preghiera dona al Salmista una sicurezza totale; è finita anche la paura, e il grido si acquieta nella pace, in una profonda tranquillità interiore:
La risposta divina che accoglie la preghiera dona al Salmista una sicurezza totale; è finita anche la paura, e il grido si acquieta nella pace, in una profonda tranquillità interiore:
«Io
mi corico, mi addormento e mi risveglio:
il Signore mi sostiene.
Non temo la folla numerosa
che intorno a me si è accampata» (vv. 6-7).
il Signore mi sostiene.
Non temo la folla numerosa
che intorno a me si è accampata» (vv. 6-7).
L’orante,
pur in mezzo al pericolo e alla battaglia, può addormentarsi
tranquillo, in un inequivocabile atteggiamento di abbandono
fiducioso. Intorno a lui gli avversari si accampano, lo assediano,
sono tanti, si ergono contro di lui, lo deridono e tentano di farlo
cadere, ma egli invece si corica e dorme tranquillo e sereno, sicuro
della presenza di Dio. E al risveglio, trova Dio ancora accanto a sé,
come custode che non dorme (cfr Sal 121,3-4), che lo sostiene, lo
tiene per mano, non lo abbandona mai. La paura della morte è vinta
dalla presenza di Colui che non muore. E proprio la notte, popolata
di timori atavici, la notte dolorosa della solitudine e dell’attesa
angosciata, ora si trasforma: ciò che evoca la morte diventa
presenza dell’Eterno.
Alla visibilità dell’assalto nemico, massiccio, imponente, si contrappone l’invisibile presenza di Dio, con tutta la sua invincibile potenza. Ed è a Lui che di nuovo il Salmista, dopo le sue espressioni di fiducia, rivolge la preghiera: «Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio!» (v. 8a). Gli aggressori “si innalzavano” (cfr v. 2) contro la loro vittima, chi invece “si alzerà” è il Signore, e sarà per abbatterli. Dio lo salverà, rispondendo al suo grido. Perciò il Salmo si chiude con la visione della liberazione dal pericolo che uccide e dalla tentazione che può far perire. Dopo la richiesta rivolta al Signore di alzarsi a salvare, l’orante descrive la vittoria divina: i nemici che, con la loro ingiusta e crudele oppressione, sono simbolo di tutto ciò che si oppone a Dio e al suo piano di salvezza vengono sconfitti. Colpiti alla bocca, non potranno più aggredire con la loro distruttiva violenza e non potranno più insinuare il male del dubbio nella presenza e nell’azione di Dio: il loro parlare insensato e blasfemo è definitivamente smentito e ridotto al silenzio dall’intervento salvifico del Signore (cfr v. 8bc). Così, il Salmista può concludere la sua preghiera con una frase dalle connotazioni liturgiche che celebra, nella gratitudine e nella lode, il Dio della vita: «La salvezza viene dal Signore, sul tuo popolo la tua benedizione» (v. 9).
Cari fratelli e sorelle, il Salmo 3 ci ha presentato una supplica piena di fiducia e di consolazione. Pregando questo Salmo, possiamo fare nostri i sentimenti del Salmista, figura del giusto perseguitato che trova in Gesù il suo compimento. Nel dolore, nel pericolo, nell’amarezza dell’incomprensione e dell’offesa, le parole del Salmo aprono il nostro cuore alla certezza confortante della fede. Dio è sempre vicino - anche nelle difficoltà, nei problemi, nelle oscurità della vita - ascolta, risponde e salva nel suo modo. Ma bisogna saper riconoscere la sua presenza e accettare le sue vie, come Davide nella sua fuga umiliante dal figlio Assalonne, come il giusto perseguitato del Libro della Sapienza e, ultimamente e compiutamente, come il Signore Gesù sul Golgota. E quando, agli occhi degli empi, Dio sembra non intervenire e il Figlio muore, proprio allora si manifesta, per tutti i credenti, la vera gloria e la definitiva realizzazione della salvezza. Che il Signore ci doni fede, venga in aiuto della nostra debolezza e ci renda capaci di credere e di pregare in ogni angoscia, nelle notti dolorose del dubbio e nei lunghi giorni del dolore, abbandonandoci con fiducia a Lui, che è nostro “scudo” e nostra “gloria”. Grazie
Alla visibilità dell’assalto nemico, massiccio, imponente, si contrappone l’invisibile presenza di Dio, con tutta la sua invincibile potenza. Ed è a Lui che di nuovo il Salmista, dopo le sue espressioni di fiducia, rivolge la preghiera: «Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio!» (v. 8a). Gli aggressori “si innalzavano” (cfr v. 2) contro la loro vittima, chi invece “si alzerà” è il Signore, e sarà per abbatterli. Dio lo salverà, rispondendo al suo grido. Perciò il Salmo si chiude con la visione della liberazione dal pericolo che uccide e dalla tentazione che può far perire. Dopo la richiesta rivolta al Signore di alzarsi a salvare, l’orante descrive la vittoria divina: i nemici che, con la loro ingiusta e crudele oppressione, sono simbolo di tutto ciò che si oppone a Dio e al suo piano di salvezza vengono sconfitti. Colpiti alla bocca, non potranno più aggredire con la loro distruttiva violenza e non potranno più insinuare il male del dubbio nella presenza e nell’azione di Dio: il loro parlare insensato e blasfemo è definitivamente smentito e ridotto al silenzio dall’intervento salvifico del Signore (cfr v. 8bc). Così, il Salmista può concludere la sua preghiera con una frase dalle connotazioni liturgiche che celebra, nella gratitudine e nella lode, il Dio della vita: «La salvezza viene dal Signore, sul tuo popolo la tua benedizione» (v. 9).
Cari fratelli e sorelle, il Salmo 3 ci ha presentato una supplica piena di fiducia e di consolazione. Pregando questo Salmo, possiamo fare nostri i sentimenti del Salmista, figura del giusto perseguitato che trova in Gesù il suo compimento. Nel dolore, nel pericolo, nell’amarezza dell’incomprensione e dell’offesa, le parole del Salmo aprono il nostro cuore alla certezza confortante della fede. Dio è sempre vicino - anche nelle difficoltà, nei problemi, nelle oscurità della vita - ascolta, risponde e salva nel suo modo. Ma bisogna saper riconoscere la sua presenza e accettare le sue vie, come Davide nella sua fuga umiliante dal figlio Assalonne, come il giusto perseguitato del Libro della Sapienza e, ultimamente e compiutamente, come il Signore Gesù sul Golgota. E quando, agli occhi degli empi, Dio sembra non intervenire e il Figlio muore, proprio allora si manifesta, per tutti i credenti, la vera gloria e la definitiva realizzazione della salvezza. Che il Signore ci doni fede, venga in aiuto della nostra debolezza e ci renda capaci di credere e di pregare in ogni angoscia, nelle notti dolorose del dubbio e nei lunghi giorni del dolore, abbandonandoci con fiducia a Lui, che è nostro “scudo” e nostra “gloria”. Grazie
Dal
sito http://www.vatican.va/
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