CAPITOLO
2
388.
San Giuseppe, nella tempesta dei pensieri che tumultuavano nel suo
rettissimo cuore, procurava talvolta con la sua prudenza di cercare
un po' di calma e di riprendere vigore nella sua tormentosa angoscia,
discorrendo fra sé e cercando di mettere in dubbio il nuovo stato
della sua sposa. Ma da ciò lo distoglieva ogni giorno di più
l'ingrossamento del grembo verginale, che col tempo si andava
manifestando con maggiore evidenza. Il glorioso santo non trovava
pace e passava dal dubbio, di cui andava in cerca, alla certezza
veemente, nella misura in cui avanzava la gravidanza. Con la naturale
progressione del suo stato, la celeste Principessa era sempre più
florida, in modo che non si poteva dar luogo a dubbi di altra sorta
d'indisposizione, giacché la sua gravidanza divina in tutte le
maniere andava perfezionandola in avvenenza, salute, agilità e
bellezza. Quindi nel santo divenivano maggiori i motivi del sospetto,
più forti i lacci del suo castissimo amore e la sua pena, senza
poter allontanare tutti questi affetti che contemporaneamente, in
diverso modo, lo torturava-no. Infine lo vinsero a tal punto, che
giunse a persuadersi del tutto dell'evidenza. E benché il suo
spirito si conformasse sempre alla volontà di Dio, nella carne senti
il sommo del dolore che provava nell'anima, per cui giunse fino a non
trovare più alcuna via d'uscita alla sua tristezza. Si sentì
abbattuto nelle forze, pur senza giungere ad una precisa infermità,
di modo che assunse un aspetto macilento e gli si vedeva sul volto la
profonda tristezza e malinconia che lo affliggeva. Poiché egli la
soffriva da solo senza procurarsi il sollievo di comunicarla ad altri
o di sfogare per qualche via l'oppressione del suo cuore, come
ordinariamente fanno gli altri uomini, la tribolazione che il santo
pativa veniva ad essere più grave e meno riparabile.
389.
Non era inferiore il dolore che penetrava il cuore di Maria
santissima, ma per quanto fosse grandissimo, era anche maggiore la
capacità del suo generosissimo animo. Così dissimulava le pene
proprie, ma non il pensiero che le apportavano quelle di san Giuseppe
suo sposo, cosicché determinò di prendersi più cura della sua
salute e del suo sollievo. Poiché per la prudentissima Regina era
legge inviolabile operare in tutto con pienezza di sapienza e di
perfezione, taceva sempre la verità del mistero, che non aveva
ordine di manifestare. Anche se ella sola avrebbe potuto per questa
strada sollevare il suo sposo Giuseppe, non agì in questo modo, al
fine di rispettare e custodire il mistero del Re celeste. Quanto a
ciò che dipendeva da lei, faceva quanto poteva: gli parlava della
sua salute e gli domandava che cosa desiderava che facesse per
servirlo e dargli sollievo nell'indisposizione che tanto lo
debilitava. Lo pregava di prendere un po' di riposo e ristoro, perché
era giusto sovvenire alla necessità e rinfrancare le forze per
lavorare poi per il Signore. San Giuseppe considerava quanto la sua
umilissima sposa faceva; ponderando fra sé la sua virtù e
discrezione e sentendo gli effetti santi del tratto e della presenza
di lei, disse: «Com'è possibile che una donna di tali costumi e
nella quale tanto si manifesta la grazia del Signore mi ponga in
tanta tribolazione? Come questa prudenza e santità si accordano con
i segni che vedo della sua infedeltà a Dio e a me, che tanto l'amo?
Se voglio licenziarla o allontanarmi da lei, perdo la sua amabile
compagnia, tutto il mio conforto, la mia casa e la mia quiete. Qual
bene mai troverò paragonabile a lei, se mi ritiro? Quale
consolazione, se mi manca questa? Però tutto pesa meno dell'infamia
di così infelice fortuna e dell'idea che si creda di me che sono
stato complice in tale scelleratezza. Nascondere il fatto non è
possibile, perché il tempo lo deve manifestare tutto, benché io
adesso lo dissimuli e taccia. Dichiararmi io autore di questa
gravidanza sarebbe una vile menzogna contro la mia stessa coscienza e
reputazione; ma non posso neppure attribuirla alla causa che ignoro.
Che farò dunque in tanta angoscia? Il minore dei miei mali sarà
allontanarmi e lasciare la mia casa prima che giunga il parto, perché
allora mi vedrò più confuso ed afflitto, senza sapere che decisione
prendere, vedendo nella mia casa un figlio che non è mio».
390.
La Principessa del cielo, la quale con gran dolore vedeva la
determinazione del suo sposo san Giuseppe di lasciarla e di
allontanarsi, si rivolse ai santi angeli suoi custodi e disse loro:
«Spiriti beati e ministri del supremo Re, che v'innalzò alla
felicità della quale godete, per sua benignità mi accompagnate come
fedelissimi servi suoi e mie sentinelle; io vi prego, amici, di
presentare alla sua clemenza le afflizioni del mio sposo Giuseppe.
Domandate che lo consoli e lo guardi come vero Dio e Padre. E voi,
che solleciti ubbidite alle sue parole, ascoltate anche le mie
preghiere: per amore di colui che essendo infinito volle incarnarsi
nel mio grembo, vi prego e vi supplico che senza indugio solleviate
dall'oppressione il cuore fedelissimo del mio sposo, e,
alleggerendolo delle sue pene, gli togliate dalla mente la decisione
di allontanarsi». Ubbidirono alla loro Regina gli angeli che ella
destinò a questo compito, e subito inviarono segretamente al cuore
di san Giuseppe molte sante ispirazioni, persuadendolo nuovamente che
la sua sposa Maria era santa e perfettissima, che non si poteva
credere di lei cosa indegna, poiché Dio è incomprensibile nelle sue
opere e davvero imperscrutabile nei suoi retti giudizi, sempre
fedelissimo con quelli che confidavano in lui, poiché non disprezza
né abbandona alcuno nella tribolazione.
391.
Con queste ed altre sante ispirazioni lo spirito turbato di san
Giuseppe si rasserenava un poco, benché non conoscesse da dove gli
venissero; tuttavia, poiché l'oggetto della sua tristezza non
mutava, subito egli ritornava ad immergersi in essa senza trovare una
soluzione certa, che potesse rassicurarlo. Per questo si confermò
nella decisione di allontanarsi e di lasciare la sua sposa.
L'umilissima Signora, conoscendo ciò, giudicò che era ormai
necessario prevenire questo pericolo e chiedere al Signore con più
insistenza il rimedio. Si rivolse tutta al Figlio santissimo che
portava nel suo grembo e con intimo affetto e fervore gli disse:
«Signore e bene dell'anima mia, se mi date il permesso, benché sia
polvere e cenere parlerò a vostra Maestà e manifesterò i miei
gemiti, che non vi possono restare nascosti. È giusto, o mio
Signore, che io non sia lenta nell'aiutare lo sposo che con la vostra
mano mi donaste. Lo vedo nella tribolazione, in cui la vostra
provvidenza lo ha posto e non sarà pietà lasciarlo in essa. Se
trovo grazia ai vostri occhi, vi supplico, Signore e Dio eterno, per
l'amore che vi obbligò a venire nel grembo della vostra schiava per
la salvezza degli uomini, che vi stia a cuore consolare il vostro
servo Giuseppe e disporlo a collaborare al compimento delle vostre
grandi opere. Non starà bene la vostra schiava senza uno sposo che
l'assista, la protegga e la difenda. Non permettete, Dio e Signore
mio, che egli metta in atto la sua decisione e mi lasci».
392.
Rispose l'Altissimo a questa supplica: «Colomba mia e amica mia, io
accorrerò con prontezza a dare sollievo al mio servo Giuseppe e,
dopo che gli avrò manifestato per mezzo del mio angelo il mistero
che egli ignora, gli potrai dire con chiarezza tutto ciò che con te
ho operato, senza che per l'avvenire tu mantenga ulteriore silenzio
su tale questione. Io lo riempirò del mio Spirito e lo renderò
capace di quello che deve fare in questi misteri. Egli ti aiuterà e
ti assisterà in tutto ciò che ti succederà». Maria santissima
restò confortata e consolata, venendo liberata da quella
preoccupazione, e rese grazie al Signore, che con ordine tanto
ammirabile disponeva tutte le cose con peso e misura. Infatti, la
grande Signora conobbe quanto era stato conveniente per il suo sposo
Giuseppe aver patito quella tribolazione, nella quale il suo spirito
era stato provato e dilatato per le cose grandi che dovevano essergli
affidate.
393.
Nello stesso tempo, san Giuseppe stava considerando fra sé i suoi
dubbi, avendo passato già due mesi in questa grande tribolazione.
Vinto dallo sconforto, disse: «Io non trovo rimedio più opportuno
al mio dolore che allontanarmi. Confesso ché la mia sposa è
perfettissima e niente scorgo in lei che non la confermi santa, però
sta di fatto che è incinta, ed io non capisco questo mistero. Non
voglio offendere la sua virtù consegnandola alla legge, ma non posso
nemmeno aspettare che la gravidanza giunga al suo termine. Partirò
dunque subito e mi abbandonerò alla provvidenza del Signore,
affinché mi guidi». Determinò di partire nella notte seguente e,
per il viaggio, preparò un vestito con un po' di biancheria per
cambiarsi e fece di tutto un piccolo fagotto. Aveva recuperato un
poco di denaro che gli dovevano per il suo lavoro e con queste poche
cose risolse di partire a mezzanotte. Ma per la novità del caso e
per la buona abitudine che aveva, dopo essersi ritirato con questo
intento, pregò il Signore dicendo: «Altissimo ed eterno Dio dei
nostri padri Abramo, Isacco e Giacobbe, vero ed unico rifugio dei
poveri e degli afflitti, sono noti alla vostra clemenza il dolore e
l'afflizione che possiedono il mio cuore. Benché io sia indegno,
conoscete anche, o Signore, la mia innocenza rispetto alla causa
della mia pena e l'infamia e il pericolo che minacciano lo stato
della mia sposa. Non la giudico adultera, perché conosco in lei
grande virtù e perfezione, ma con evidenza vedo che è incinta.
Ignoro come e perché sia accaduto il fatto, ma non riesco a
tranquillizzarmi in alcun modo. Considero come minor danno
l'allontanarmi da lei in un luogo dove nessuno mi conosca e,
abbandonato alla vostra provvidenza, finirò la mia vita in un
deserto. Non mi lasciate solo, Signore mio e Dio eterno, perché non
desidero altro che onorarvi e servirvi».
394.
San Giuseppe si prostrò a terra, facendo voto di recarsi al tempio
di Gerusalemme per offrire parte del poco denaro che aveva per il
viaggio, affinché Dio proteggesse e difendesse la sua sposa Maria
dalle calunnie degli uomini e la liberasse da ogni male. Tanta era la
rettitudine dell'uomo di Dio e la stima che aveva della divina
Signora! Dopo questa orazione si ritirò per dormire un poco e poi
andarsene a mezzanotte segretamente, ad insaputa della sua sposa; ma
nel sonno gli accadde quello che dirò nel capitolo seguente. La
grande Principessa del cielo, sicura della parola divina, stava
osservando dal suo ritiro ciò che san Giuseppe faceva e decideva,
perché l'Onnipotente glielo manifestava. Inoltre, conoscendo il voto
che per lei aveva fatto, il denaro e il fagotto tanto povero che si
era preparato, piena di tenerezza e compassione pregò di nuovo per
lui con rendimento di grazie, lodando il Signore per le sue opere e
per l'ordine col quale le dispone al di sopra di ogni pensiero degli
uomini. Sua Maestà fece in modo che tutti e due, Maria santissima e
san Giuseppe, giungessero all'estremo del dolore interiore, affinché,
oltre i meriti che con questo lungo martirio accumulavano, fosse più
ammirabile e stimabile il beneficio della divina consolazione. La
gran Signora era ferma nella fede e nella speranza che l'Altissimo
sarebbe opportunamente accorso a rimedio di tutto, e per questo
taceva e non manifestava il segreto del Re, che non le era stato
comandato di rivelare; tuttavia l'afflisse moltissimo la decisione di
san Giuseppe, perché le si presentarono i grandi inconvenienti
dell'essere lasciata sola, senza appoggio e compagnia che la
difendesse e consolasse secondo l'ordine comune e naturale, giacché
non tutto si deve cercare per ordine miracoloso e soprannaturale.
Tutte queste angosce, però, non valsero a farle trascurare
l'esercizio di virtù tanto eccellenti, come quella della magnanimità
nel tollerare le afflizioni, i sospetti e le decisioni di san
Giuseppe, quella della prudenza nel considerare che il mistero era
grande e che non era bene decidere da sola di manifestarlo, quella
del silenzio nel tacere come donna forte e rendersi insigne fra tutte
per essersi trattenuta dal dire ciò che aveva tante ragioni umane di
palesare, quella della pazienza nel soffrire e quella dell'umiltà
nel lasciare che san Giuseppe avesse dei sospetti. In questo
travaglio esercitò mirabilmente molte altre virtù, insegnandoci ad
attendere il rimedio dall'Altissimo nelle più grandi tribolazioni.
Insegnamento
che mi diede la Regina del cielo
395.
Figlia mia, col mio esempio t'insegno ad avere il silenzio come norma
di comportamento nei favori e misteri del Signore, serbandoli nel
segreto del tuo cuore. E anche nel caso in cui ti sembrasse
conveniente manifestarli per consolare qualche anima, non devi
formulare questo giudizio da sola, senza verificarlo prima con Dio e
poi con l'ubbidienza. Queste materie spirituali, infatti, non devono
essere regolate sulla semplice reazione umana, su cui tanto
influiscono le passioni o inclinazioni della creatura. Con esse si
corre un gran pericolo di giudicare conveniente ciò che è
pericoloso, e servizio di Dio quello che è offesa a lui; con gli
occhi della carne e del sangue, inoltre, non si giunge a discernere i
moti interiori, a conoscere quali sono quelli divini che nascono
dalla grazia e quali quelli umani generati da affetti disordinati. In
verità, sebbene questi due generi di moti con le loro cause siano
molto distanti l'uno dall'altro, se la creatura non è molto
illuminata e morta alle passioni, non può conoscere la loro
differenza, né separare ciò che è prezioso da ciò che è vile.
Questo pericolo è maggiore quando concorre o si frappone qualche
motivo temporale ed umano, perché allora l'amor proprio e naturale
s'inserisce a dispensare e a regolare le cose divine e spirituali con
ripetuti pericoli.
396.
Sia dunque norma generale per te il non rivelare a nessuno, eccetto a
chi ti dirige, cosa alcuna senza mio ordine. E poiché io mi sono
costituita tua maestra, non mancherò di darti ordine e consiglio in
questo e in tutto il resto, affinché tu non devii dalla volontà del
mio Figlio santissimo. Bada, però, di tenere in gran conto i favori
e i benefici dell'Altissimo. Trattali con magnificenza, sii grata per
essi, mettili a frutto e stimali, preferendoli a tutte le cose
inferiori, in particolare a quelle cui tende la tua inclinazione.
Quanto a me, mi obbligò assai al silenzio il timore reverenziale che
io ebbi, giudicando sommamente stimabile il tesoro che si trovava
depositato in me. Nonostante l'amore che portavo al mio signore e
sposo san Giuseppe, nonostante i doveri naturali verso di lui e il
dolore e la compassione per le sue afflizioni, alle quali avrei
desiderato sottrarlo, dissimulai e tacqui, anteponendo a tutto il
beneplacito del Signore e rimettendo a lui la causa che egli
riservava solo a sé. Impara da ciò anche a non scusarti mai, per
quanto innocente tu sia riguardo alle accuse che ti faranno. Obbliga
il Signore affidandoti al suo amore. Metti sul suo conto il tuo
credito; frattanto supera con la pazienza, con l'umiltà, con le
opere e con parole cortesi chi ti offenderà. Oltre a tutto questo,
ti esorto a non giudicare mai male nessuno, anche se vedessi con gli
occhi indizi che ti muovessero a farlo, perché la carità perfetta e
sincera t'insegnerà a dare una prudente interpretazione a tutto e a
scusare gli altri. Dio pose come esempio di ciò il mio sposo san
Giuseppe, poiché nessuno ebbe più indizi di lui e nessuno fu così
prudente nel trattenere il giudizio. Infatti, nella legge di carità
discreta e santa vi è prudenza piuttosto che temerarietà,
rimettersi a cause superiori che non si conoscono piuttosto che
giudicare ed accusare il prossimo in ciò che non è colpa manifesta.
Non ti do qui un insegnamento specifico per quelli che vivono nello
stato del matrimonio, perché lo trovano chiaro in ciò che vai
scrivendo della mia vita; da essa tutti possono trarre giovamento,
benché adesso io te la mostri per il tuo particolare profitto, che
io desidero con amore speciale. Ascoltami, o carissima, e metti in
pratica i miei consigli e le mie parole di vita.
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