Mt. 26 , 17-25
Il
primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli
dissero: "Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?".
Ed egli rispose: "Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli". I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: "In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà". Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io, Signore?".
Ed egli rispose: "Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!".
Giuda, il traditore, disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai detto".
Ed egli rispose: "Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli". I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: "In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà". Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io, Signore?".
Ed egli rispose: "Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!".
Giuda, il traditore, disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai detto".
L’evangelista
chiama “primo giorno degli azzimi” il giorno che precede la festa
degli azzimi. Gli ebrei, infatti, usano computare il giorno a partire
dalla sera: e qui Matteo ricorda appunto il giorno nella sera del
quale si deve celebrare la Pasqua. I discepoli, quindi, vanno da Gesù
per parlargli il quinto giorno della settimana. Un altro evangelista
lo definisce il giorno precedente la festa degli azzimi, volendo
mettere in risalto il tempo in cui i discepoli si avvicinano a
Cristo. L’evangelista Luca dice, invece, così: “Venne poi il
giorno degli azzimi nel quale si doveva immolare la Pasqua”. Con le
parole “venne” intende dire che il giorno è imminente, è alle
porte, riferendosi evidentemente alla sera del dí precedente. I
giudei, infatti, cominciavano la festa dalla sera. Ecco perché gli
evangelisti aggiungono che in tal giorno si deve immolare la Pasqua.
I
discepoli, perciò, chiedono a Gesù: Dove vuoi che ti prepariamo da
mangiare la Pasqua? Sembra, da queste parole, che Gesù non abbia
nessuna casa, né alcun luogo ove abitare; e io credo che neppure i
discepoli ne abbiano, poiché, in caso contrario, inviterebbero il
Maestro ad andare da loro. Sta di fatto che nemmeno essi possiedono
un alloggio, avendo rinunciato a tutto. Ma perché – voi chiederete
– il Salvatore celebra la Pasqua? La celebra per farci intendere
che sino all’ultimo giorno della sua vita egli non è stato affatto
nemico della legge. E come mai invia i suoi discepoli in casa di uno
sconosciuto? Per far loro capire, con questo atto di sovrana
autorità, che egli potrebbe evitare la passione, qualora lo volesse.
Se, infatti, egli ha indotto, solo con le parole, un uomo sconosciuto
a riceverli in casa sua, perché non potrebbe cambiare l’animo di
coloro che vogliono crocifiggerlo, se non volesse subire la passione?
Ora, Gesù si comporta nello stesso modo in cui ha agito col padrone
dell’asina, quando rivolse queste parole ai discepoli: “Se
qualcuno vi dirà qualcosa, ditegli: il Signore ne ha bisogno”.
Così anche ora: “Il Maestro dice: da te faccio la Pasqua”. Ma io
non mi meraviglio soltanto del fatto che quest’uomo accoglie in
casa suo Cristo, ma perché, pur sapendo di suscitare contro di sé
una violenta collera e una guerra senza quartiere, non tiene in alcun
conto l’odio di tanti. Il Signore indica ai discepoli che non
conoscono quest’uomo un segno di riconoscimento eguale a quello che
il profeta diede a Saul, quando gli disse: “Troverai un uomo che
sale portando un otre”. Gesù precisa che essi incontreranno un
uomo “che porta una brocca d’acqua”.
Osservate
un’altra prova del potere di Cristo. A quest’uomo egli non fa
dire soltanto: “da te faccio la Pasqua”, ma pure: “il mio tempo
è vicino”, volendo ricordare sempre la passione ai discepoli e,
con questa continua predizione, esercitarli alla meditazione di tale
avvenimento; e inoltre – come già vi ho spiegato – dimostrare a
loro, all’uomo che si appresta ad accoglierlo in casa sua e, in
generale, a tutti i giudei, che egli va volontariamente alla
passione. Aggiunge, infine, che celebrerà la Pasqua “coi suoi
discepoli”, affinché quest’uomo prepari tutto quanto è
necessario, e non pensi che Gesù voglia restare nascosto.
Venuta
la sera si mise a tavola con i dodici.
O
impudenza di Giuda! Anch’egli infatti è presente e prende parte ai
misteri e alla cena; e viene rimproverato a questa stessa mensa, dove
forse anche una belva avrebbe motivo di diventare più mite. Ecco
perché l’evangelista precisa che, proprio mentre stanno mangiando,
Cristo parla del tradimento, volendo cioè manifestare, mediante la
solennità del tempo pasquale e la partecipazione a questa mensa, la
malvagità di colui che lo tradisce.
Dopo
che i discepoli hanno compiuto ciò che il Maestro ha loro comandato,
venuta la sera, Gesù si mette con i dodici a tavola e mentre
mangiavano, disse: “In verità vi dico, uno di voi mi tradirà”.
Notate
che, prima di mettersi a tavola, Gesù lava i piedi ai discepoli, e
considerate come egli risparmi il traditore. Non dice infatti: il
tale mi tradirà, ma “uno di voi”, per dare a Giuda, col fatto di
non venir scoperto agli altri discepoli, l’occasione di pentirsi.
Gesù preferisce spaventare tutti per salvare uno. “Uno di voi”
dodici, che siete sempre in mia compagnia, a cui ho lavato i piedi e
ho fatto tante meravigliose promesse! Un dolore inesprimibile invade
ora questa sacra compagnia. Giovanni narra che erano tutti turbati e
si guardavano l’un l’altro, e ognuno diffidando di sé,
interrogava Cristo, anche se la sua coscienza non gli rimproverava
nulla di simile.
Anche
Matteo riferisce: Ed
essi grandemente rattristati, cominciarono a chiedergli l’uno dopo
l’altro: “Sono forse io, o Signore?”. Ma egli rispose: “Colui
al quale io darò un pezzo di pane intinto nel piatto, è quello che
mi tradirà”.
Osservate
che Cristo scopre Giuda solo perché vuole liberare gli altri
apostoli dal turbamento: difatti sono quasi morti dalla paura, e di
qui la loro insistenza nell’interrogare Gesù. Tuttavia fa questo
non solo per liberare gli apostoli da quest’angoscia, ma volendo
salvare il traditore. Giuda, infatti, sentendo spesso Cristo parlare
in modo indeterminato del tradimento, era rimasto incorreggibilmente
ostinato nel suo proposito e completamente insensibile. Gesù,
volendo perciò ferire più profondamente il cuore indurito
dell’apostolo, gli toglie la maschera. Infatti, dopo che gli altri,
rattristati, hanno incominciato a dire: “Sono forse io, o
Signore?”, rispondendo dichiara: Chi
intinge con me nel piatto, costui mi tradirà. Il Figlio dell’uomo
se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo da cui il
Figlio dell’uomo è tradito: bene per lui sarebbe che non fosse mai
nato.
Alcuni
sostengono che Giuda sia stato tanto insolente da non rispettare il
Maestro e da intingere con lui nel piatto; a me pare invece che
Cristo agisca così per smuoverlo e attirarlo a una migliore
disposizione d’animo. Ciò infatti è una prova di maggiore
considerazione.
Non
dobbiamo accennare con leggerezza e di corsa a questi fatti, ma
dobbiamo imprimerli nelle nostre menti: così non daremo mai adito
alla collera. Chi volge il pensiero a quella cena in cui Giuda siede
accanto al Salvatore di tutti, e sente colui che sta per essere
tradito parlare in modo così mite, non allontanerà da sé tutto il
veleno dell’ira e del furore? Notate infatti come Cristo si
comporta con mansuetudine nei confronti del traditore. “Il Figlio
dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui”. Con queste parole
vuole rianimare gli apostoli, perché non attribuiscano il fatto a
debolezza, e contemporaneamente corregge il traditore. “Ma guai a
quell’uomo da cui il Figlio dell’uomo è tradito: bene per lui
sarebbe che non fosse mai nato”. Considerate anche in questi
rimproveri la sua ineffabile mansuetudine. Nemmeno qui assume tono
violento e aspro, ma piuttosto rivolge parole piene di compassione, e
ancora velatamente. Eppure, non solo la precedente insensibilità, ma
anche l’impudenza che segue sarebbero degne della più veemente
indignazione. Infatti, dopo essere stato in tal modo ripreso, Giuda
chiede: Sono
forse io, Signore?Che
insensibilità e impudenza! Egli fa questa domanda, sapendo benissimo
che commetterà tale delitto. E infatti l’evangelista riferisce
questo, stupito dell’insolenza del traditore.
Che
risponde il dolcissimo e assai mite Gesù? Tu
l’hai detto.
Avrebbe potuto dirgli: O scellerato ed esecrabile sacrilego e
profanatore: da tanto tempo stai per partorire questo male, sei
andato a fare patti satanici, hai consentito a ricevere denaro e,
nonostante il mio rimprovero, osi ancora interrogarmi? Tuttavia il
Signore non rinfaccia nulla di tutto questo. Che risponde allora? “Tu
l’hai detto”, fissando a noi i limiti e le norme della pazienza.
Qualcuno potrebbe dire: Se era scritto che Cristo doveva soffrire
ciò, perché viene accusato Giuda? In realtà Giuda non ha fatto che
mandare a compimento ciò che stava scritto. Io rispondo che Giuda
non ha agito con questa intenzione, bensì per malvagità. Se tu non
consideri lo scopo, il fine per cui si compiono le azioni, finirai
con l’assolvere anche il diavolo da ogni colpa. Ma non è così,
non è affatto così. Il diavolo e anche Giuda meritano supplizi
senza fine, anche se ai loro atti è seguita la salvezza del mondo.
Non è certo il tradimento di Giuda che ci ha salvati, ma la sapienza
di Cristo e la ricchezza infinita della sua attività inventiva, che
ha saputo usare dei delitti altrui per trarne la nostra salvezza. Tu
potresti obiettare ancora: Se Giuda non avesse tradito Cristo, non
l’avrebbe forse tradito un altro? E che interessa ciò per la
questione che dobbiamo risolvere? Ma voi insistete: Se Gesù Cristo
doveva essere crocifisso, era necessario che qualcuno lo consegnasse
ai suoi nemici; e se era necessario che qualcuno lo tradisse, è
evidente che il traditore doveva essere un uomo di questo tipo! Se
tutti gli uomini fossero stati buoni, sarebbe stata ostacolata la
nostra redenzione. Guardiamoci da tale assurdo pensiero! Dio,
infinitamente sapiente, sapeva come ordinare e disporre la nostra
salvezza, anche se non si fosse compiuto questo tradimento.. Infinita
e incomprensibile è infatti la sua sapienza. Perché dunque nessuno
pensi che Giuda sia stato artefice della nostra salvezza, Cristo lo
compiange come uno sciagurato. Ma qualcuno potrebbe ancora obiettare:
Se era bene per Giuda che non fosse mai nato, perché Dio ha permesso
che nascesse, non solo lui ma anche tutti i malvagi? Tu dovresti
piuttosto accusare i malvagi, che potendo non essere tali, lo sono
diventati; ma tu, trascurando questo fatto, pretendi di esaminare
curiosamente i misteri di Dio. Tuttavia tu sai che nessuno è
malvagio di necessità. Ma, voi replicate, dovrebbero allora nascere
soltanto i buoni e in tal caso non vi sarebbe necessità di inferno,
di castigo, di supplizio, né vi sarebbe traccia di cattiveria;
quanto ai malvagi, essi dovrebbero non nascere affatto, o morire
appena nati. Anzitutto si deve rispondere con quelle parole
dell’Apostolo: “O uomo, e chi sei tu dunque, che vuoi contraddire
Dio? Domanda forse l’oggetto plasmato a colui che l’ha foggiato:
Perché mi hai fatto così?”. Ma se voi esigete delle ragioni, vi
diremo che, stando in mezzo ai malvagi, i buoni sono degni di maggior
ammirazione: così soprattutto risplende sia la loro pazienza, sia la
loro grande filosofia. Ragionando a quel modo, voi togliete ogni
occasione di lotta e di combattimento. Ma, - voi obiettate ancora, -
perché i buoni abbiano occasione di apparire gloriosi, gli altri
devono essere puniti? No, assolutamente. I malvagi sono puniti per la
loro iniquità. Non per il fatto di essere nati sono malvagi, ma per
la loro negligenza: per questo vengono castigati. E, perché non
sarebbero degni di castigo se, avendo tanti maestri, non ne
profittano? Come i buoni meritano una duplice ricompensa, perché
sono stati onesti e perché non si sono lasciati corrompere dai
cattivi, così i malvagi meritano una doppia punizione: perché sono
cattivi, quando potrebbero essere buoni, come lo provano quelli che
lo sono, e perché non hanno assolutamente profittato dell’esempio
dei buoni.
Ma
ora vediamo che cosa risponde quello sciagurato, quando il Maestro lo
riprende: Che cosa dice? “Sono forse io, Rabbi?”. Perché Giuda
non ha rivolto prima questa domanda a Gesù? Egli pensava di restare
nascosto, dato che Cristo aveva detto: “uno di voi”; ma quando si
vede scoperto, osa interrogare ancora Gesù, sperando, per la
mansuetudine del Maestro, che egli non lo riprenda; perciò lo chiama
Rabbi.
O
cecità! Fin dove è stato condotto? Tale è l’amore del denaro:
Egli rende stolti, insolenti cani in luogo di uomini; anzi peggiori
dei cani; da cani li fa demoni. Giuda si dà al diavolo che lo
insidia, e tradisce Gesù che lo benefica, divenuto ormai egli stesso
demonio, a causa del suo perverso proposito. Ciò che Giuda è stato,
tali diventano gli uomini per l’insaziabile avidità di denaro:
insensati, furiosi, totalmente presi dai guadagni. Come mai Matteo e
altri due evangelisti riferiscono che, quando Giuda contrattò per il
tradimento, allora entrò in lui il diavolo, mentre Giovanni dice
che, Satana entrò in lui dopo aver preso il boccone? Anche
Giovanni sa di questa circostanza. Precedentemente, infatti, aveva
detto: “E durante la cena, avendo già il diavolo messo in cuore a
Giuda di tradirlo”. Come mai in seguito riferisce che “dopo aver
preso il boccone, Satana entrò in lui”? Il diavolo non entra
nell’anima repentinamente, né d’un colpo, ma dapprima fa molti
tentativi: il che accade anche qui. Avendo provato all’inizio ed
essendosi avvicinato a Giuda quietamente, come lo vede pronto a
riceverlo, entra interamente in lui e lo domina totalmente.
Qualcuno,
infine, potrebbe obiettare: Perché, se celebrano la Pasqua, la
mangiano illegalmente? La legge, infatti, non permetteva di mangiare
la Pasqua seduti a mensa . Che si deve rispondere? Dopo aver
mangiato la Pasqua, essi si siedono per la cena. Un altro
evangelista, dal canto suo, afferma che Gesù quella sera, non solo
mangiò la Pasqua, ma disse anche agli apostoli: “Con desiderio ho
desiderato di mangiare questa Pasqua con voi”0, cioè la Pasqua di
quest’anno. Per quale motivo? Perché allora stava per compiersi la
salvezza del mondo, stavano per essere istituiti i misteri e con la
morte di Gesù sarebbe finita la tristezza; così stava la croce nel
suo pensiero e nella sua volontà. Ma niente ammansisce, niente piega
e fa indietreggiare quella bestia selvaggia. Per questo Cristo lo
chiama sciagurato, dicendo: “guai a quell’ uomo”. E
l’atterrisce anche con queste parole: “Bene era per lui che non
fosse mai nato” e tenta di farlo rientrare in sé, aggiungendo:
“Colui al quale io darò un pezzo di pane intinto”. Niente lo
trattiene, ma è preso dall’avarizia come da una pazzia furiosa,
anzi da una malattia ancora peggiore. In realtà, questa è una
pazzia ancor più grave. Un pazzo furioso, infatti, avrebbe fatto
qualcosa di simile? Giuda non emette spuma dalla bocca, ma parla per
tramare l’uccisione del Signore; non torce le mani, ma le tende per
vendere quel sangue prezioso. Per questo la sua pazzia è più grave,
in quanto si manifesta mentre egli è sano e cosciente. Ma non dice
parole senza senso – voi obiettate. Ebbene, che vi è di più
insensato di queste parole: “Che cosa volete darmi, e io ve lo
consegnerò?”. Nella sua bocca risuona la voce del diavolo. Non
percuote la terra scalciando coi piedi – voi mi fate osservare.
Eppure quanto meglio sarebbe dar calci, steso a terra, anziché stare
in piedi a quel modo. Mi fate notare che non si ferisce con pietre.
Ma io vi rispondo che sarebbe meglio far questo, piuttosto che
commettere quel delitto.
Volete
che presentiamo gli indemoniati e gli avari e raffrontiamo gli uni e
gli altri? Nessuno prenda questo come un’offesa personale. Non
incolpiamo la natura, ma riproviamo il fatto in se stesso.
L’indemoniato non è mai vestito, si ferisce con pietre, cammina
per strade intransitabili, corre per aspri sentieri ed è spinto con
veemenza dal demonio. Non vi pare che tutto ciò sia orribile? E che
cosa vi sembrerà se io dimostrerò che gli avari commettono nella
loro anima cose ben peggiori di queste e tanto più malvagie che le
azioni degli indemoniati, al confronto, sembrano giochi da bambini?
Non eviterete allora questo vizio? Vediamo se sotto qualche aspetto,
gli avari si trovano in uno stato più tollerabile degli indemoniati:
In nessuno, purtroppo; si trovano anzi in uno stato ben peggiore,
dato che sono più turpi di mille indemoniati nudi: È assai meglio
andar senza abiti, piuttosto che camminare vestiti di rapine, come
fanno i baccanali. Costoro indossano maschere e vesti da pazzi
furiosi: così anche gli avari. E come il furore è causa della
nudità degli indemoniati, io penso che questa veste degli avari sia
da attribuirsi a una pazzia furiosa, più esecrabile della nudità.
Ora, io tenterò di dimostrarvi questo. Chi è più furioso: colui
che fa del male a se stesso o chi colpisce, oltre a sé, anche
tutti quelli che incontra? Evidentemente, quest’ultimo. Gli
indemoniati denudano sé stessi, ma gli avari spogliano tutti quelli
che incontrano. Voi potreste obiettare che anche gli indemoniati
stracciano gli abiti delle persone in cui si imbattono. Eppure,
quanto preferirebbero le vittime degli avari avere i loro abiti
stracciati, anziché essere derubati di tutti i loro beni. Ma gli
indemoniati non danno schiaffi e pugni in faccia? In realtà anche
gli avari fanno questo; e se non tutti lo fanno, allo stomaco delle
loro vittime certamente, con la fame e con la miseria, assestano i
più gravi colpi. Ma mordono forse con i denti? Volesse il cielo che
mordessero con i denti e non con i dardi dell’avarizia, che sono
ben più aguzzi e penetranti. Infatti: “i loro denti sono dardi e
frecce”. Chi dei due soffre di più: colui che, morsicato una
volta, viene subito curato, oppure chi ogni giorno è dilaniato dai
denti della miseria? La povertà involontaria è più bruciante di
una fornace, più crudele di una bestia feroce. Ma gli avari, voi
insistete, non cercano i luoghi solitari come fanno gli indemoniati.
Volesse il cielo che gli avari corressero per i deserti anziché
nelle città e tutti, nelle città, potessero essere in pace. Gli
avari sono più intollerabili di quegli indemoniati: essi infatti
compiono nelle città ciò che gli indemoniati fanno in luoghi
solitari, trasformando le città in deserti e, dato che nel deserto
nessuno li impedisce, essi rubano i beni di tutti. Ma gli indemoniati
– voi dite – non colpiscono con pietre coloro che incontrano? E
che importa ciò? È facile evitare le pietre, ma chi potrà evitare
le ferite che gli avari fanno con carta e inchiostro ai disgraziati
in miseria, scrivendo lettere di obbligazione piene dei più duri
colpi?
Ma
consideriamo ora che cosa fanno a sé stessi gli avari. Essi se ne
vanno attorno nudi per la città senza l’abito della virtù. E se
questo non pare ad essi vergognoso, lo si deve alla loro estrema
pazzia, per cui non si rendono conto di tale indecenza. Avrebbero
vergogna a essere nudi nel corpo, ma si vantano di portare attorno la
loro anima nuda. Se volete, vi dirò anche la ragione della loro
insensibilità. Qual è? Eccola: essi vanno nudi tra una folla di
gente nuda; perciò non si vergognano come nemmeno noi, ai bagni. Se
molti fossero vestiti di virtù, allora apparirebbe più evidente il
loro vizio. Ma ciò che oggi si deve deplorare sopra ogni altra cosa
è che non ci si vergogna più del male, essendo molti i malvagi.
Oltre al resto, il diavolo ha fatto anche questo: ha eliminato la
coscienza del male, e, per la moltitudine di quelli che operano
iniquità, ne ha affievolito la vergogna. Se infatti un avaro si
trovasse tra una folla di uomini virtuosi, vedrebbe assai meglio la
sua nudità. Risulta perciò evidente, da tutto questo, che gli avari
sono nudi più degli indemoniati e che essi camminano per luoghi
solitari. Nessuno potrebbe negare che la via larga e spaziosa su cui
camminano è più deserta di ogni deserto. E anche se molti la
percorrono, tuttavia non si trova un solo uomo su questa strada,
bensì serpenti, scorpioni, lupi, vipere, aspidi, perché tali sono
coloro che commettono il male. E non soltanto deserta, è anche più
aspra e inaccessibile di quell’altra. E lo capisci da questo: le
pietre, i precipizi, le salite scoscese feriscono coloro che vi
camminano assai meno di quanto la rapina e l’avarizia danneggiano
coloro che si lasciano dominare da questa passione. Anche gli avari
vivono presso i sepolcri, come gli indemoniati; anzi sono sepolcri
essi stessi. Eccone la prova: che cos’è un sepolcro? È una pietra
che racchiude un corpo morto. E i corpi degli avari in che cosa
differiscono da tali pietre? Sono, anzi, da compiangere più di
queste. Non è infatti una pietra che racchiude un corpo morto, ma un
corpo più insensibile delle pietre, che porta attorno un’anima
morta. Per questo non sbaglierebbe chi chiamasse sepolcri gli avari.
Anche nostro Signore chiamò così i farisei e aggiunse: “Dentro
sono pieni di rapina e avarizia”. Volete pure che vi mostri come
gli avari si feriscono la testa a colpi di pietra? Ma prima ditemi da
dove volete apprendere tale dimostrazione. Dai fatti di oggi o da
quelli futuri? Dato, forse, che dagli avvenimenti futuri gli avari
non fanno gran caso, incominciamo a parlare del presente. Non sono
infatti le preoccupazioni e le inquietudini più pesanti delle
pietre? E, se non colpiscono la testa, non corrodono in cambio
l’anima? Gli avari temono che esca giustamente dalla loro casa
quanto vi è entrato con l’ingiustizia. Hanno terrore di essere
rovinati completamente, e si adirano e si scagliano con violenza
contro i familiari e contro gli estranei. Ora sono sconvolti dalla
tristezza, ora dal timore, ora dalla collera e, scendendo da un
precipizio all’altro, ogni giorno desiderano con ansia ciò che
ancora non hanno. Per tal motivo non godono neppure ciò che già
posseggono, sia perché non sono certi che i loro beni siano al
sicuro. Sia perché il loro pensiero è totalmente rivolto a quello
che non hanno ancora accumulato. E come chi ha continuamente sete,
pur bevendo da mille fonti, non è soddisfatto perché non si sazia
mai, così gli avari, non solo non provano piacere, ma sono tanto più
tormentati quanto più posseggono, perché la loro avidità non
conosce limiti. E ciò riguarda il presente; ma ora parliamo anche di
quel giorno che verrà. Benché essi non se ne occupino, noi dobbiamo
ugualmente parlarne. Chiunque comprende che in quel giorno essi
saranno tormentati da ogni parte. Quando infatti il Signore dichiara:
“Ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da
bere”, castiga appunto gli avari; e quando dice: “andate nel
fuoco eterno preparato per il diavolo”, vi manda coloro che si sono
arricchiti ingiustamente. Anche il servo malvagio, che non
distribuisce ai suoi compagni i beni del padrone, appartiene a questa
classe di persone: altrettanto colui che sotterra il talento, e le
cinque vergini stolte. E dovunque andrai vedrai gli avari puniti; ora
essi si sentiranno dire: “C’è un abisso tra noi e voi”, ora:
“andate lontano da me nel fuoco preparato”; molti, separati,
andranno là dov’è stridor di denti; e potremo vederne altri
respinti da ogni parte, senza alcun posto, avviati soltanto alla
Geenna.
Quando
sentiremo queste parole, che ci varrà per la salvezza la vera fede?
Là, vi sarà stridor di denti, tenebra esteriore, fuoco preparato
per il diavolo, si verrà separati e cacciati da ogni parte; qui,
inimicizia, maldicenza, calunnie, pericoli, preoccupazioni, insidie,
odio e avversione da parte di tutti, anche da parti di quanti
sembrano adularci. Come i buoni sono ammirati non solo dai buoni ma
anche dai cattivi, così i malvagi sono avversati non solo dai buoni
ma anche dai cattivi; ed è tanto vero, questo, che mi piacerebbe
interrogare gli stessi avari per farmi dire se in realtà non sono
gli uni rivali degli altri, se non si ritengono reciprocamente
nemici, quasi si fossero offesi nel più grave dei modi, e se non
pensano di essere oltraggiati quando qualcuno rinfaccia loro, come un
insulto, che sono avari. L’avarizia infatti è il colmo della
corruzione ed è dimostrazione di grande malvagità. Se l’avaro non
riesce a disprezzare le ricchezze, come riuscirà a dominare la
concupiscenza, la vanagloria, il furore, l’ira? Come si può
crederlo? Molti attribuiscono la concupiscenza della carne, l’ira,
la collera alla costituzione fisica, e gli stessi medici riferiscono
ad essa gli eccessi in questi campi. Asseriscono che chi è di
temperamento più ardente e di indole più languida è propenso alla
lussuria; mentre chi è di temperamento più secco e duro è
collerico e iracondo. Nessuno invece ha mai sentito dire qualcosa di
simile a proposito dell’avarizia. Tale vizio è provocato
unicamente dalla negligenza e dall’indurimento dell’anima. Ecco
perché vi esorto a correggere con ogni impegno tutti questi vizi e
ad opporvi a quelle altre passioni che sorgono in noi ad ogni età.
Se infatti, ad ogni tappa della nostra esistenza, navigheremo
cercando di evitare le fatiche della virtù e subendo continui
naufragi, giungeremo in porto privi del carico spirituale e subiremo
gli estremi supplizi. Immenso oceano è la vita presente, e come in
questo oceano vi sono vari mari, diversamente agitati da tempeste, -
l’Egeo, pericoloso a causa dei venti, il Tirreno per i suoi
stretti, la zona presso la Libia, chiamata Cariddi, a causa dei suoi
banchi di sabbia, la Propontide, appare fuori del mar Eusino, per la
violenza e l’impeto dei flutti, il mare al largo di Cadice, dalle
coste inabitate e poco conosciute e scarsamente frequentato e,
infine, ogni altro mare per cause particolari, - così accade anche
nella nostra vita. Il primo mare è quello dell’infanzia, agitato
da grande burrasca per la mancanza dell’uso della ragione, per la
facilità a lasciarsi portare ovunque e per la sua conseguente
instabilità. Ecco perché imponiamo ai bambini e ai fanciulli
maestri e assistenti, che suppliscano a ciò che nella natura manca,
così come si domina il mare con l’arte del navigare. All’infanzia
segue il mare dell’adolescenza, dove i venti soffiano violenti,
come nell’Egeo, perché in noi cresce e si fa più forte la
concupiscenza. In questa età soprattutto sono rare le possibilità
di correzione, non solo perché si è più agitati interiormente, ma
anche perché i peccati non vengono rimproverati e condannati; il
maestro e il precettore ormai se ne sono andati. Quando i venti
soffiano con maggior forza, quando il timoniere è più debole e
inesperto, e non v’è nessuno che porti aiuto, giudica tu quanto è
grande il pericolo della tempesta. Alla giovinezza succede
quell’altra età, propria degli uomini adulti, nella quale
sopraggiungono gli impegni di famiglia: è il tempo di cercar moglie,
di sposarsi, di mettere al mondo figli, di governare la casa, e di
infinite altre preoccupazioni. E allora soprattutto si fanno strada
l’avarizia e l’invidia.
Se
noi, dunque, trascorriamo ogni età tra naufragi, come resisteremo in
questa vita? Come eviteremo il supplizio futuro? Se infatti nella
prima età non avremo appreso niente di sano, se nella giovinezza non
avremo vissuto con temperanza e, divenuti uomini, non avremo dominato
l’avarizia, andando alla vecchiaia come verso una sentina e
rendendo sempre più fragile lo scafo della nostra anima con tutti
questi colpi, divelte le assi del ponte, giungeremo a quel porto,
carichi di una gran quantità di fango anziché di merci spirituali:
allora offriremo al diavolo motivo di ridere e a noi stessi motivo di
piangere attirandoci infine supplizi intollerabili. Per evitare che
questo accada, rafforzandoci da tutte le parti e affrontando
decisamente tutte le passioni, respingiamo e distruggiamo l’avidità
delle ricchezze onde conseguire i beni futuri per la grazia e l’amore
di Gesù Cristo, nostro Signore. A lui la gloria per i secoli dei
secoli. Amen.
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