CAPITOLO I - Nostro Signore ci invita alla fiducia
Voce
di Cristo, voce misteriosa della grazia che risuonate nel silenzio
dei cuori, voi mormorate nel fondo delle nostre coscienze parole di
dolcezza e di pace. Nelle nostre miserie presenti, ci ripetete la
parola che il Maestro pronunciava così spesso durante la sua vita
mortale: "Fiducia, fiducia!".
All'anima
colpevole, oppressa dal peso delle sue colpe, Gesù diceva: "Abbi
fiducia, figliuolo, i tuoi peccati ti son perdonati" .
"Fiducia!" diceva ancora alla malata abbandonata che
attendeva da lui la sua guarigione, "la sua fede ti ha salvata"
. Quando i suoi apostoli tremavano di spavento, vedendolo camminare
di notte sul lago di Genezareth, egli li tranquillizzava con questa
affermazione rassicurante: "Abbiate fiducia! Sono io; non
abbiate paura" . E la sera della Cena, conoscendo i frutti
infiniti del suo sacrificio, lanciava, mentre andava alla morte,
questo grido di trionfo: "Fiducia, abbiate fiducia! Io ho vinto
il mondo" .
Questa
parola divina, cadendo dalle sue labbra adorabili, tutta vibrante di
tenerezza e di pietà, operava nelle anime una trasformazione
meravigliosa. Una rugiada soprannaturale fecondava la loro aridità;
delle luci di speranza dissipano le loro tenebre; una serena certezza
scacciava le loro angosce, perché le parole del Signore "sono
spirito e vita" . "Beati quelli che le ascoltano e le
mettono in pratica" .
Come
un tempo i suoi discepoli, siamo noi ora invitati da Nostro Signore
alla fiducia. Perché rifiutarci di ascoltare la sua voce?
Molte anime hanno paura di Dio
Pochi
cristiani, anche tra i più ferventi, possiedono questa fiducia che
esclude ogni ansietà ed ogni esitazione. Diverse sono le cause di
questo fatto.
Il
Vangelo narra che la pesca miracolosa sbalordì san Pietro. Con la
sua foga abituale, egli misurò in una sola occhiata la distanza
infinita che separava la grandezza del Maestro dalla sua bassezza.
Egli tremò di sacro terrore e prosternandosi, il volto contro la
terra, gridò: "Allontanatevi da me, Signore, perché sono un
peccatore" .
Alcune
anime hanno, come l'Apostolo, questo timore. Esse sentono così
vivamente le loro macchie e la loro miseria che osano appena
avvicinarsi alla Divina Santità. Sembra loro che un Dio così puro
debba provare una repulsione invincibile a chinarsi verso di esse.
Malaugurata impressione, che imprime un contegno forzato alla loro
vita interiore e talvolta la paralizza completamente.
Gesù
si avvicinò ben presto all'apostolo spaventato: "Non avere
paura" , gli disse, e lo fece alzare.
Anche
voi cristiani, che avete ricevuto tanti segni del suo amore, non
abbiate paura. Nostro Signore teme, più di ogni altra cosa, che
abbiate paura di Lui. Le vostre imperfezioni, le vostre debolezze, le
vostre colpe più gravi, le vostre ricadute così frequenti non lo
irriteranno, purché desideriate sinceramente di convertirvi. Più
siete miserabili, più egli ha compassione della vostra miseria, più
desidera compiere presso di voi la sua missione di Salvatore. Non è
forse soprattutto per i peccatori che Egli è disceso sulla terra?
Ad altre manca la fede
Ad
altre anime manca la fede. Esse hanno certamente quella fede comune,
senza la quale tradirebbero la grazia del loro battesimo. Credono che
Nostro Signore sia onnipotente, buono e fedele nelle sue promesse; ma
applicano malamente questa credenza alle loro necessità particolari.
Esse non sono dominate dalla convinzione incrollabile che Dio,
attento alle loro prove, si china su di loro per soccorrerle.
Eppure
Gesù Cristo ci domanda questa fede speciale e concreta. Egli la
esigeva un tempo come condizione indispensabile indispensabile ai
suoi miracoli; egli la esige ancora oggi da noi per concederci i suoi
favori.
"Se
puoi credere, tutto è possibile a colui che crede" , diceva al
padre del ragazzo posseduto. E nel convento di Paray-le-Monial,
usando quasi gli stessi termini, ripeteva a santa Margherita Maria:
"Se puoi credere, vedrai la potenza del mio Cuore nella
magnificenza del mio Amore".
Potete
credere? Potete arrivare a questa certezza, così forte che niente la
fa vacillare, così chiara che equivale all'evidenza? E' tutto qui.
Quando arriverete a questo grado di fiducia, vedrete meraviglie
realizzarsi in voi.
Chiedete
dunque al Divin Maestro di aumentare la vostra fede. Ripetetegli
spesso la preghiera del Vangelo: "Credo, Signore; aiutate la mia
incredulità" .
Questa
sfiducia è loro pregiudizievole
La
sfiducia, quali che ne siano le cause, ci arreca pregiudizio: essa ci
priva di grandi beni.
Quando
san Pietro, saltando dalla sua barca, si slanciava incontro al
Salvatore, camminava con sicurezza sulle onde. Il vento soffiava con
violenza. I flutti ora si sollevavano furiosamente, ora spalancavano
gorghi profondi. L'abisso si apriva davanti all'Apostolo. Pietro
tremò, esitò un secondo e subito cominciò ad affondare ...
"Uomo
di poca fede, gli disse Gesù, perché hai dubitato" .
Ecco
la nostra storia. Nei nostri momenti di fervore, ci raccogliamo ai
piedi del Maestro. Viene la tempesta e il pericolo assorbe la nostra
attenzione. Allontaniamo gli sguardi da Nostro Signore per rivolgerli
ansiosamente sulle nostre sofferenze e sui nostri pericoli. Esitiamo
... e subito affondiamo.
La
tentazione ci assale. Il dovere ci sembra gravoso, la sua austerità
ci ripugna, il suo peso ci opprime. Fantasie inquietanti ci
tormentano. La tempesta rimbomba nella nostra intelligenza, nella
nostra sensibilità, nella nostra carne ... E noi perdiamo la testa;
cadiamo nel peccato; cadiamo nello scoraggiamento, più pernicioso
della stessa colpa. Anime senza fiducia, perché dubitiamo?
La
prova ci colpisce in mille maniere. I nostri affari temporali sono
periclitanti, il nostro avvenire materiale ci inquieta. La
malevolenza attacca la nostra reputazione. La morte spezza i vincoli
dei nostri affetti più legittimi e più teneri ... E noi
dimentichiamo quale cura paterna la Provvidenza ha di noi.
Mormoriamo, ci ribelliamo: aumentano così le nostre difficoltà e
l'amarezza dei nostri dolori. Anime senza fiducia, perché dubitiamo?
Se
fossimo stati attaccati al Buon Maestro con una fiducia tanto più
disperata di quanto ci sembrava la situazione, non avremmo subito
alcun danno. Avremmo camminato tranquillamente sulle onde; saremmo
arrivati senza difficoltà al golfo tranquillo e sicuro; avremmo ben
presto ritrovato la spiaggia soleggiata che la luce del Cielo
illumina.
I
santi hanno lottato contro le nostre stesse difficoltà; molti di
essi hanno commesso le nostre stesse colpe. Ma almeno non hanno
dubitato. Si sono sollevati senza indugio, più umili dopo la loro
caduta, non confidando più ormai se non nel soccorso dall'Alto. Essi
conservavano nei loro cuori la certezza assoluta che, appoggiati a
Dio, avrebbero potuto. La loro fiducia non li ha ingannati .
Divenite
dunque anime di fiducia. Nostro Signore vi invita a questo e il
vostro stesso interesse lo esige. Diverrete allo stesso tempo anime
di pace e di luce.
Scopo
e divisione dell’opera
Quest'opera
non ha altro scopo che di iniziarvi alla conoscenza e alla pratica di
questa virtù. Ve ne esporrà molto semplicemente la natura,
l'oggetto, i fondamenti e gli effetti.
Pio
lettore, se mai questo modesto volume dovesse capitare tra le tue
mani, non lo respingere sdegnosamente. Esso non pretende né
l'eleganza letteraria, né l'originalità, ma contiene delle verità
consolanti che ho tratto dai libri ispirati e dagli scritti dei
santi: ecco il suo solo merito.
Leggilo
lentamente, con attenzione, in spirito di preghiera. Arrivo a dire:
meditalo. Lasciati penetrare dolcemente dalla sua dottrina. La linfa
del Vangelo ne impregna le pagine: vi è per le anime migliore
alimento delle parole del Salvatore?
Che
tu possa, al termine di questa lettura, confidare unicamente in
questo Maestro adorabile che ci ha dato tutto: i suoi tesori, il suo
amore, la sua vita, fino all'ultima goccia del suo Sangue!
CAPITOLO
II - La fiducia è una ferma speranza
Con
quella concisione che reca l'impronta del suo genio, san Tommaso
definisce la fiducia: "una speranza fortificata da una solida
convinzione"1.
Affermazione profonda, che ci limiteremo a commentare in questo
capitolo.
Soppesiamo
attentamente i termini impiegati dal Dottore Angelico. La fiducia,
egli scrive, è "una speranza"; non la speranza ordinaria,
comune a tutti i fedeli; una caratteristica specifica la distingue: è
una speranza fortificata.
Si
noti bene: la differenza non è di natura, ma solo di grado di
intensità. Le luci incerte dell'alba e quelle abbaglianti del sole a
mezzogiorno fanno parte della stessa giornata. Così, la fiducia e la
speranza appartengono alla stessa virtù: l'una non è che il pieno
sviluppo dell'altra.
La
speranza comune vien persa con la disperazione; essa può tollerare,
tuttavia, una certa inquietudine. Ma quando raggiunge quella
perfezione che le fa mutare il nome in quello di "fiducia",
la sua sensibilità diviene delicata. Essa non sopporta più
l'esitazione, per quanto leggera la si immagini. Il minimo dubbio la
diminuirebbe e la ricondurrebbe al livello della semplice speranza.
Il
Regale Profeta sceglieva con cura le sue espressioni, quando chiamava
la fiducia "una supersperanza"2:
si tratta infatti di una virtù elevata al massimo della sua
intensità. E il padre Saint-Jure, uno dei più stimati autori
spirituali del secolo XVII, vedeva giustamente in essa una speranza
"straordinaria ed eroica"3.
La
fiducia non è dunque un fiore comune. Essa cresce sulle cime e non
si lascia cogliere che dai generosi.
Essa
è fortificata dalla fede
Proseguiamo
in questa nostra analisi.
Quale
forza sovrana fortificata la speranza, al punto di renderla
inespugnabile agli assalti delle avversità?... La fede.
L'anima
fiduciosa conserva nella sua memoria le promesse del Padre celeste;
ella le medita profondamente. Sa che Dio non può mancare alla sua
parola e da qui trae la sua imperturbabile sicurezza. Se il pericolo
la minaccia, la circonda, perfino la abbatte, essa conserva sempre la
sua serenità. Malgrado l'imminenza del pericolo, ripete la parola
del Salmista: "Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; che
mai posso temere? Il Signore protegge la mia vita; che mai mi farà
tremare?"4.
Esistono,
tra la fede e la fiducia, intimi rapporti, strettissimi legami di
parentela. Per usare l'espressione di un teologo moderno, è nella
fede che va trovata "la causa e la radice" della fiducia5.
Ora, quanto più la radice affonda nella terra, tanto più da essa
trae il suo alimento; più vigoroso crescerà lo stelo, più opulenta
sarà la fioritura. Così la nostra fiducia si sviluppa nella misura
in cui diviene più profonda la nostra fede.
Le
Sacre Scritture riconoscono la relazione che unisce due virtù. La
stessa parola "fides" non designa forse l'una e l'altra, a
seconda dei casi, nella penna degli scrittori sacri?
La
fiducia è incrollabile
Le
considerazioni precedenti saranno forse sembrate troppo astratte. Era
tuttavia necessario che vi ci soffermassimo: da esse dedurremo le
caratteristiche della vera fiducia.
La
fiducia, scrive il padre Saint-Jure, è "ferma, stabile e
costante, in un grado così eminente che nulla al mondo può, non
dico abbatterla, ma neppure farla vacillare"6.
Immaginare
gli eccessi più angosciosi nell'ordine temporale, le difficoltà più
insormontabili nell'ordine spirituale: esse non altereranno la pace
dell'anima fiduciosa. Catastrofi impreviste potranno ammucchiare
attorno ad essa le rovine della sua felicità; quest'anima, più
padrona di se stessa del saggio antico, rimarrà imperterrita:
"Impavidum furient ruinae"7.
Essa
si rivolgerà semplicemente a Nostro Signore; in Lui si appoggerà
con tanta maggior sicurezza, quanto più essa si sentirà privata di
ogni aiuto umano. Pregherà con ardore più vibrante, e nelle tenebre
della prova proseguirà il suo cammino, aspettando in silenzio l'ora
di Dio.
Una
tale fiducia è rara, senza dubbio. Ma se essa non raggiunge questo
minimo di perfezione, non merita il nome di fiducia.
Sublimi
esempi di questa virtù si trovano del resto nelle Sacre Scritture e
nelle vite dei Santi. Colpito nella sua fortuna, nella famiglia e
nella stessa carne, Giobbe, ridotto all'estrema indigenza, giaceva su
un mucchio di letame. I suoi amici, la stessa moglie rendevano più
acuto il suo dolore con la crudeltà delle loro parole. Eppure egli
non si lasciava abbattere; nessun mormorio si mescolava ai suoi
lamenti. Egli era sostenuto dal pensiero della fede: "Quand'anche
il Signore mi togliesse la vita, diceva, continuerò ancora a sperare
in Lui"8.
Fiducia mirabile, che Dio ricompensò magnificamente. La prova ebbe
fine: Giobbe recuperò la salute, guadagnò una fortuna più
considerevole e visse un'esistenza più prospera di quella
precedente.
Durante
un viaggio, san Martino cadde nelle mani di alcuni ladri. I banditi
lo depredarono; si accingevano a ucciderlo, quando improvvisamente,
toccati dal pentimento o colpiti da un misterioso timore, contro ogni
aspettativa, lo misero in libertà. Fu chiesto più tardi
all'illustre vescovo se nell'incombenza di questo pericolo avesse
provato qualche timore. Egli rispose: "Nessuno. Sapevo che
l'intervento divino è tanto più vicino, quanto più lontani sono i
soccorsi umani".
La
maggior parte dei cristiani non imita purtroppo questi esempi. Mai
essi i avvicinano così poco a Dio, quanto nel tempo della prova.
Molti
non lanciano quel grido di soccorso che il Signore attende per venir
loro in aiuto. Funesta negligenza! "La Provvidenza - diceva
Luigi di Granada - si riserva di risolvere essa stessa le difficoltà
straordinarie che si presentano nella vita, mentre lascia alle cause
seconde il compito di risolvere le difficoltà ordinarie"9.
Ma è necessario reclamare l'aiuto divino. Questo aiuto, Dio ce lo
accorda con gioia. "Lungi dal pensare alla nutrice da cui
succhia il latte, il bambino le è al contrario di sollievo"10.
Altri,
nelle ore difficili, pregano ardentemente, ma senza costanza. Se non
vengono esauditi immediatamente, piombano da una speranza esaltata in
un irragionevole abbattimento. Essi non conoscono le vie della
Grazia. Dio ci tratta come bambini: qualche volta fa il sordo a causa
della gioia che prova nel sentirci invocarlo. Perché scoraggiarsi
così presto, quando bisognerebbe invece pregarlo con maggiore
insistenza?
La
dottrina insegnata da san Francesco di Sales non è diversa: "La
Provvidenza rimanda il suo aiuto soltanto per suscitare la nostra
fiducia. Se il nostro Padre celeste non ci accorda sempre ciò che
gli domandiamo, lo fa per tenerci vicino a lui e darci l'occasione di
insistere presso di lui con amorosa violenza, come fece ben vedere a
quei due pellegrini di Emmaus, con i quali si trattenne solo verso la
fine del giorno e quando essi lo costrinsero"11.
Essa
non si fonda che su Dio
Fermezza
incrollabile: tale è dunque il primo carattere della fiducia. La
seconda qualità di questa virtù è ancora più perfetta. "Essa
porta l'uomo a far poco conto dell'aiuto delle creature: sia
dell'aiuto che può trarne da se stesso, dal suo spirito, dal suo
giudizio, dalla sua scienza, dalla sua destrezza, dalle sue
ricchezze, dal suo credito, dai suoi amici, dai suoi parenti e da
tutto ciò che ha; sia dell'aiuto che può aspettarsi dagli altri,
che siano Re, principi e, in generale, qualsiasi altra creatura,
perché egli sente e conosce la debolezza e la vanità di ogni aiuto
che provenga dalle creature umane. Egli le considera come realmente
sono, e come santa Teresa a buon diritto le considera simili al ramo
secco del ginepro, che si rompe appena lo si carica di qualcosa"12.
Questa
teoria non procederà forse da un falso misticismo? Non condurrà per
caso al fatalismo, o almeno ad una pericolosa passività? Perché
moltiplicare i nostri sforzi per superare le difficoltà, se tutti
gli appoggi sono destinati a spezzarsi nelle nostre mani? Incrociamo
allora le braccia, aspettando l'intervento divino!
No,
Dio non vuole che ci addormentiamo nell'inerzia. Egli esige che noi
lo imitiamo. La sua perfettissima attività non ha limiti, egli è
l'atto puro. Dobbiamo agire, dunque; ma solo da Lui dobbiamo
aspettarci l'efficacia della nostra azione.
Aiutati
ché il Cielo ti aiuterà. Ecco l'economia del piano provvidenziale.
All'opera!
Si faccia del nostro meglio, ma con lo spirito e il cuore rivolti
verso l'alto. "Invano vi leverete prima della luce del
giorno"13:
se il Signore non ci mette la mano, non concluderete niente.
Nell'ordine
soprannaturale, questa impotenza è assoluta. Ascoltate bene
l'insegnamento dei teologi.
Senza
grazia non si può osservare per molto tempo e nel loro insieme i
comandamenti di Dio.
Senza
la grazia non possiamo avere una buona intenzione, non possiamo
formulare neppure la più breve preghiera; senza di essa non possiamo
neppure invocare con devozione il Nome di Gesù.
Nello
stesso ordine naturale, è sempre Dio a darci il buon esito.
San
Pietro aveva lavorato tutta la notte. Egli era resistente alla fatica
e conosceva a fondo i segreti del suo rude mestiere. Tuttavia aveva
solcato invano le onde tranquille del lago: non aveva preso niente.
Ma ecco che riceve il Maestro nella sua barca e lancia le sue reti in
nome del Salvatore: allora ottiene una pesca miracolosa e le maglie
della rete si rompono per il numero di pesci ...
Seguendo
l'esempio dell'Apostolo, lanciamo le nostre reti con pazienza
instancabile; ma attendendo solo da Nostro Signore una pesca
meravigliosa.
"In
tutto ciò che dovete fare - diceva sant'Ignazio di Loyola - ecco la
regola delle regole da seguire: affidatevi a Dio, agendo come se il
successo di ogni cosa dipendesse interamente da voi e in nulla da
Dio; ma, pur impiegando tutti i vostri sforzi per il buon risultato,
non contate su di essi e procedete come se tutto dovesse essere fatto
da Dio Solo e nulla da voi"16.
Si
compiace della mancanza di soccorsi umani
Non
scoraggiarsi quando svanisce il miraggio delle speranze umane, non
contare se non sull'aiuto del Cielo, non è già un'alta virtù? Con
le sue ali vigorose, la vera fiducia si slancia però verso regioni
ancora più sublimi; giunge ad esse per mezzo di una specie di
sublimazione dell'eroismo; essa tocca finalmente il grado più alto
della sua perfezione.
Questo
grado "consiste nel rallegrarsi quando ci si vede privati di
ogni soccorso umano, abbandonati dai propri parenti, dai propri amici
e da tutte le creature, che non vogliono o non possono aiutarci, che
non possono né darci un consiglio né aiutarci con il loro talento e
il loro credito, che non hanno alcun mezzo di venire in nostro
soccorso"17.
Quale
profonda saggezza viene rivelata da tale gioia in circostanze così
crudeli! Per intonare il cantico della gioia sotto i colpi che
dovrebbero naturalmente infrangere il nostro coraggio, bisogna
conoscere a fondo il Cuore di Nostro Signore; bisogna credere
perdutamente alla sua pietà misericordiosa e alla sua onnipotente
bontà; bisogna avere l'assoluta certezza che egli sceglie per i suoi
interventi l'ora delle situazioni disperate.
Dopo
la sua conversione, san Francesco d'Assisi disprezzò i sogni di
gloria che per qualche tempo lo avevano abbagliato. Egli fuggiva le
riunioni mondane, si ritirava nei boschi per dedicarsi lungamente
all'orazione, faceva abbondanti elemosine. Questo cambiamento
spiacque al padre del giovane santo, che portò suo figlio davanti
all'autorità diocesana, rimproverandogli di dissipare i suoi beni.
Allora, in presenza del vescovo meravigliato, Francesco rinunziò
all'eredità paterna e abbandonò perfino i vestiti ricevuti dalla
sua famiglia: si spogliò di tutto. Poi, vibrando di una felicità
sovrumana, esclamò: "Ora, o mio Dio, potrò chiamarti più
giustamente di prima: Padre Nostro che sei nei cieli".
Ecco
come agiscono i santi.
Anime
colpite dalla prova, non mormorate nell'abbandono in cui siete
ridotte. Dio non vi domanda un'allegria sensibile, impossibile alla
nostra debolezza. Solamente, rianimate la vostra fede, riprendete
coraggio e, secondo l'espressione cara a san Francesco di Sales,
sforzatevi di rallegrarvi nel "fondo ultimo dell'anima".
La
Provvidenza vi sta dando il segnale da cui si riconosce la sua ora:
essa vi ha privato di ogni appoggio. E' il momento di resistere
all'inquietudine della natura. Siete arrivati a quel punto
dell'officio interiore in cui si deve cantare il magnificat e far
fumigare l'incenso: "Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo
ripeto rallegratevi: il Signore è vicino"18.
Seguite
questo consiglio e vi troverete bene. Se il Divino Maestro non si
lasciasse commuovere da una tale fiducia, non sarebbe più quello che
i Vangeli ci mostrano compassionevole, colui che era scosso da un
fremito doloroso alla vista delle nostre sofferenze.
Nostro
Signore diceva ad un'anima privilegiata: "Se io sono buono per
tutti, sono buonissimo verso coloro che hanno fiducia in me. Sai
quali sono le anime che approfittano di più della mia bontà? Quelle
che prima di tutto hanno fiducia ... Le anime fiduciose rubano le mie
grazie"19
1:
- "Est enim fiducia spes roborata ex aliqua firma opinione"
(San Tommaso d'Aquino, Summa Theologi[...]
2: - In verba tua supersperavi (Ps. CXVIII, 43)
3: - J.B. Saint-Jure, S.J., De la connaissance et de l'amour de Jésus Christ, De Guyot, Lyon-Paris, […]
2: - In verba tua supersperavi (Ps. CXVIII, 43)
3: - J.B. Saint-Jure, S.J., De la connaissance et de l'amour de Jésus Christ, De Guyot, Lyon-Paris, […]
4:
- Dominus illuminatio mea et salus mea; quem timebo? Dominus
vitae meae; quo trepidabo? (Ps, 26, 1[...]
5: - "Itaque quatenus fides est causa et radix hujus fiduciae, potest accipi fides pro fiducia caus[...]
5: - "Itaque quatenus fides est causa et radix hujus fiduciae, potest accipi fides pro fiducia caus[...]
6:
- Saint-Jure, op. XXX, cit., III, p. 3.
7: - Orazio, Odi, libro III, ode terza
8: - Etiamsi occiderit me in ipso sperabo (Job, XII, 15).
9: - Luigi di Granada, Primo sermone per la seconda Domenica dopo l'Epifania.
10: - Ibidem.
11: - Petits Bollandistes, t. XIV, p. 542.
7: - Orazio, Odi, libro III, ode terza
8: - Etiamsi occiderit me in ipso sperabo (Job, XII, 15).
9: - Luigi di Granada, Primo sermone per la seconda Domenica dopo l'Epifania.
10: - Ibidem.
11: - Petits Bollandistes, t. XIV, p. 542.
12:
- J.B. Saint-Jure, op. cit., t. III, p. 3.
13: - Vanum est vobis ante lucem surgere (Ps CXXVI, 2)
14: - Sine me nihil potestis facere (Gv, XV, 5).
15: - Sufficientia nostra ex Deo est (II Cor, III, 5).
16: - R.P. Xavier de Franciosi, L'Esprit de Saint Ignace, Nancy, Le Chevallier, 1887, p. 5.
17: - J.B. Saint-Jure, op. cit., t. III, p. 4.
18: - Gaudete in Domino semper: iterum dico, gaudete: Dominus prope est, Phil., IV, 4 e 5.
19: - Suor Benigna Consolata Ferrero, Lione Roudil 1920, pp. 95, 96. Questa vita è stata pubblicata [...]
13: - Vanum est vobis ante lucem surgere (Ps CXXVI, 2)
14: - Sine me nihil potestis facere (Gv, XV, 5).
15: - Sufficientia nostra ex Deo est (II Cor, III, 5).
16: - R.P. Xavier de Franciosi, L'Esprit de Saint Ignace, Nancy, Le Chevallier, 1887, p. 5.
17: - J.B. Saint-Jure, op. cit., t. III, p. 4.
18: - Gaudete in Domino semper: iterum dico, gaudete: Dominus prope est, Phil., IV, 4 e 5.
19: - Suor Benigna Consolata Ferrero, Lione Roudil 1920, pp. 95, 96. Questa vita è stata pubblicata [...]
CAPITOLO
III - Dio provvede alle nostre necessità temporali
La
fiducia, come abbiamo visto, è una speranza comune a tutti i fedeli
se non per il suo grado di perfezione. Essa si esercita dunque sugli
stessi oggetti di questa virtù, ma per mezzo di atti più intensi a
più vibranti.
Come
la speranza ordinaria, la fiducia attende dal Padre celeste tutti gli
aiuti necessari per vivere santamente in terra e meritare la
beatitudine del Paradiso.
Essa
attende, in primo luogo, i beni temporali, nella misura in cui questi
ci conducono al nostro fine ultimo.
Niente
di più logico: non possiamo andare alla conquista del cielo allo
stesso modo dei puri spiriti; siamo composti di un corpo e di
un'anima. Questo corpo, che il Creatore ha formato con le sue mani
adorabili, è il compagno inseparabile della nostra esistenza
terrena, e lo sarà poi del nostro destino eterno, dopo la
resurrezione universale. Non possiamo prescindere dalla sua
assistenza nella lotta per la conquista della vita beata.
Ora,
per sostenersi, per assolvere pienamente al proprio compito, il
nostro corpo ha molteplici esigenze. E' conveniente che la
Provvidenza le soddisfi: essa lo fa magnificamente.
Dio
si incarica di venire in aiuto alle nostre necessità temporali, e vi
provvede abbondantemente. Egli ci segue con uno sguardo vigile e non
ci lascia nel bisogno. Anche se siamo circondati dalle più
angosciose difficoltà materiali, dunque, non preoccupiamoci.
Aspettiamoci dalla mano divina, con tranquilla sicurezza, il
necessario al sostentamento della nostra vita.
"Perciò
vi dico - dichiara Salvatore - non siate troppo solleciti per la
vostra vita, di quel che mangerete o berrete, né per il vostro
corpo, né di ciò di cui vi vestirete.
"Non
affannatevi su come trovare il cibo per sostentarvi ed i vestiti per
coprirvi. Non vale forse la vita più del nutrimento e il corpo più
del vestito?
"Guardate
gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono e non raccolgono nei
granai; eppure il vostro Padre celeste li nutre. Non valete voi molto
più di loro?
"E
perché inquietarvi tanto per il vestito?
"Considerate
come crescono i gigli del campo: essi non lavorano, né filano.
Tuttavia vi dico che neppure Salomone, in tutto il suo splendore, fu
mai vestito come uno di essi. Se dunque Dio riveste così l'erba del
campo, che oggi c'è ma che domani viene gettata nel fuoco, quanto
più vestirà voi, o uomini di poca fede?
"Non
vogliate dunque preoccuparvi dicendo: Cosa mangeremo? Oppure: Cosa
berremo? Di che ci vestiremo? Sono infatti i pagani che cercano
queste cose. Il vostro padre sa di cosa avete bisogno.
Non
basta dare un'occhiata di sfuggita a questo discorso di Nostro
Signore. Occorre soffermarvisi lungamente per cercarne il significato
profondo ed impregnarsi bene della sua dottrina.
Lo
fa in modo conforme alla situazione di ciascuno
Queste
parole vanno forse prese alla lettera e intese nel loro senso più
stretto? Dio ci dona forse solo lo stretto necessario - il tozzo di
pane secco, il bicchiere d'acqua, il lembo di stoffa - di cui la
nostra miseria non può fare a meno?
No,
il Padre celeste non tratta i suoi figli con avara parsimonia.
Crederlo, sarebbe bestemmiare la sua infinita Bontà; sarebbe, se
così posso esprimermi, misconoscere le sue abitudini. Nell'esercizio
della sua Provvidenza, come nella sua opera creatrice, Dio manifesta
infatti una certa prodigalità.
Quando
lancia i mondi attraverso gli spazi, Egli trae dal nulla migliaia di
astri. Nella Via Lattea, questa immensa spiaggia non corrisponde a
una stella?
Quando
nutre gli uccelli, li invita all'opulento banchetto della Natura.
Egli offre loro il grano che gonfia le spighe, i semi di ogni sorta
che maturano sulle piante, le bacche che l'autunno tinge di rosso nei
boschi, le messi che il lavoratore affida al solco. Quale scelta
infinitamente varia per queste umili bestiole!
Quando
crea i vegetali, con che lieve grazia riveste i loro fiori! Cesella
le loro corolle come gioielli preziosi, versa nei loro calici profumi
penetranti, tesse i loro petali con una seta così brillante e
delicata che gli artifici della tecnica non ne eguaglieranno mai la
bellezza.
E
quanto all'uomo, il suo capolavoro, il fratello adottivo del suo
Verbo Incarnato, Dio non si mostrerà di una generosità ancora più
prodiga? Diventerebbe forse avaro solo nei nostri confronti? Questo
non è possibile di certo.
Consideriamo
dunque come verità indiscutibile che la Provvidenza provvede
largamente ai bisogni temporali degli uomini.
Senza
dubbio, vi saranno sempre sulla terra dei ricchi e dei poveri. Mentre
gli altri devono lavorare e praticare una saggia economia. Ma il
Padre celeste fornisce a tutti i mezzi per vivere con una certa
agiatezza, secondo la condizione in cui li ha stabiliti.
Torniamo
al paragone usato da Gesù. Dio ha rivestito il giglio di splendore,
ma questa veste bianca e profumata era reclamata dalla natura del
giglio. Più modestamente è stata abbigliata la violetta; Dio le ha
donato tuttavia quanto conveniva alla sua natura specifica. E questi
due fiori sbocciano dolcemente al sole, senza che manchino di nulla.
Così
si comporta Dio con gli uomini. Egli ha collocato alcuni nelle classi
più alte della società ed altri in una condizione meno brillante:
agli uni come agli altri dà però il necessario perché mantengano
con dignità il loro rango.
Mi
si obietterà forse l'instabilità delle condizioni sociali. Nella
crisi attuale non è più facile decadere piuttosto che innalzarsi o
anche solo mantenere il proprio livello sociale?
Senza
dubbio. Ma la Provvidenza proporziona esattamente il suo aiuto ai
bisogni di ciascuno: a grandi mani procura grandi rimedi. Ciò che ci
viene tolto dalle catastrofi economiche, possiamo riguadagnarlo con
la nostra industriosità e il nostro lavoro. Nei casi, molto rari, in
cui la nostra attività personale si trova ridotta all'impotenza,
abbiamo il diritto di aspettarci dall'alto un intervento
straordinario.
Generalmente,
almeno è quel che penso, Dio non crea i "decaduti". Egli
vuole, al contrario, che progrediamo, che cresciamo, che ci eleviamo
saggiamente. Se qualche volta permette un decadimento, non lo vuole
con una decisione antecedente all'azione del nostro libero arbitrio.
Il
più delle volte, il declino sociale proviene dalle nostre colpe,
personali o ereditarie. Sono conseguenze naturali della pigrizia,
della prodigalità, delle passioni. Ma l'uomo, anche se decaduto, può
risollevarsi e, con l'aiuto della Provvidenza, riconquistare per
mezzo dei suoi sforzi la condizione perduta.
Non
preoccuparsi per il futuro
Dio
provvede ai nostri bisogni. "Non inquietatevi", dice il
Salvatore. Qual'è il senso esatto di questo consiglio?
Dobbiamo
dunque, per obbedire alla direttiva del Maestro, trascurare
completamente la cura dei nostri affari temporali? Che la Grazia
domandi a alcune anime la stretta povertà ed un totale abbandono
alla Provvidenza, non ne dubitiamo affatto. Bisogna constatare
tuttavia la rarità di tali vocazioni. Gli altri, comunità religiose
o individui, possiedono dei beni che devono gestire convenientemente.
Lo
Spirito Santo loda la donna forte che ha amministrato con saggezza la
propria casa. Ce la mostra, nel libro dei Proverbi, mentre si alza di
buon'ora, per assegnare ai domestici il loro compito quotidiano, e
mentre lavora con le proprie mani. Niente sfugge alla sua vigilanza.
I suoi familiari non hanno niente da temere: troveranno, grazie alla
sua previdenza, il necessario, il gradevole e perfino un certo lusso
moderato. I suoi figli la proclamano basta e il marito ne canta le
virtù2.
La
Verità in persona non avrebbe lodato così magnificamente questa
donna, se ella non avesse compiuto il suo dovere.
Non
inquietarsi significa dunque, pur occupandosi ragionevolmente dei
propri affari, non lasciarsi angustiare dalle oscure prospettive del
futuro e contare, senza esitazioni, sull'aiuto della Provvidenza.
Non
inganniamoci: una tale fiducia suppone una grande forza d'animo.
Occorre evitare un doppio scoglio, il troppo e il troppo poco. Chi
per negligenza si disinteressa dei suoi affari, non può, senza
tentare Dio, aspettarsi dal Cielo un aiuto straordinario. Chi assegna
alle preoccupazioni materiali il primo posto nei suoi pensieri, chi
fa conto meno su Dio che su se stesso, si inganna forse anche più
gravemente: egli defrauda l'Altissimo del posto che gli spetta di
diritto nella nostra vita. In medio stat virtus: tra questi due
estremi sta il dovere.
Quando
ci si è occupati saggiamente dei propri affari, angustiarsi per il
futuro è misconoscere la Potenza e la Bontà di Dio.
Durante
i numerosi anni in cui san Paolo l'eremita visse nel deserto, un
corvo gli portava ogni giorno un mezzo pane. Ora un giorno
sant'Antonio si recò a visitare l'illustre eremita. I due solitari
parlarono a lungo, dimenticandosi di bere e di mangiare, assorti
nelle loro pie conversazioni. Ma la Provvidenza pensava a loro: il
corvo venne come al solito, portando però questa volta un pane
intero!
Il
Padre celeste ha creato l'universo intero con una sola parola:
avrebbe dunque qualche difficoltà nel soccorrere i propri figli nel
momento del bisogno?
San
Camillo de Lellis si era indebitato per soccorrere i suoi malati
poveri. I suoi religiosi erano allarmati. "Non bisogna mai
dubitare della Provvidenza", diceva loro il Santo per
tranquillizzarli. "E' così difficile a Nostro Signore darci un
poco di quei beni temporali di cui ha colmato gli Ebrei e i Turchi,
che sono i nemici della nostra fede?"3.
La fiducia di Camillo non fu delusa: un mese dopo uno dei suoi
benefattori, morendo, gli lasciò una notevole somma.
Inquietarsi
per il futuro è una sfiducia che offende Dio e provoca la sua
indignazione.
Quando
gli Ebrei, fuggendo dall'Egitto, si videro perduti nel mezzo del
deserto, dimenticarono i miracoli di Javeh in loro favore. Ebbero
timore e mormorarono: "Dio potrà mantenerci nel deserto? ...
Potrà dare del pane al suo popolo?" Queste parole irritarono il
Signore. Egli lanciò contro di loro il fuoco del cielo; la sua
collera cadde contro Israele "perché essi non avevano avuto
fede in Dio e non avevano sperato nel suo aiuto"4.
Nessuna
vana inquietudine: il Padre veglia su di noi.
Cercare
in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia
"Cercate
dunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto
vi sarà dato in sovrappiù".
E'
così che il Salvatore conclude il suo discorso sulla Provvidenza.
Conclusione consolante che racchiude una promessa condizionata: non
dipende che da noi beneficiarne.
Su
questo punto conviene di nuovo soffermarsi per meditare le parole del
Maestro.
Una
questione si pone necessariamente: dove si trova questo regno di Dio
che dobbiamo cercare prima di tutto? "Esso è in voi"
risponde il Vangelo. Regnum Dei intra vos est5.
Cercare
il Regno di Dio, significa dunque innalzare a Dio un trono nella
nostra anima; è sottomettersi interamente al suo sovrano dominio.
Pieghiamo tutte le nostre facoltà sotto lo scettro misericordioso
dell'Altissimo! La nostra intelligenza si ricordi continuamente della
sua presenza; la nostra volontà, il nostro cuore si slancino
frequentemente verso di Lui con atti di carità ardente e sincera.
Praticheremo allora quella giustizia che nel linguaggio della
Scrittura significa perfezione della vita interiore. Seguiremo allora
alla lettera il consiglio del Salvatore; cercheremo il regno di Dio.
"E
il resto ci sarà dato in sovrappiù".
C'è
qui una specie di patto bilaterale: da parte nostra dobbiamo lavorare
per la gloria del Padre celeste; da parte sua, il Padre si impegna a
sovvenire ai nostri bisogni. Gettate dunque le vostre preoccupazioni
nel Cuore del Maestro; eseguite il patto che vi propone; egli
manterrà la sua parola, veglierà su di voi e vi nutrirà6.
"Pensa
a me - dice il Signore a santa Caterina da Siena - e io penserò a
te". E qualche secolo più tardi, nel monastero di
Paray-le-Monial, promette a santa Margherita Maria di fare riuscire
le imprese di coloro che si sarebbero mostrati particolarmente devoti
al suo Sacro Cuore.
Beato
il cristiano che si conforma a questa massima del Vangelo! Egli cerca
Dio e Dio si cura dei suoi interessi con la sua onnipotenza: di cosa
potrebbe mancare?7.
Egli
pratica le solide virtù interiori ed evita così i disordini, le
mancanze, i vizi che sono le cause più comuni degli insuccessi e
della rovina.
Pregare
per i nostri bisogni temporali
La
fiducia, come stiamo descrivendola, non ci dispensa dalla preghiera.
Nelle nostre necessità temporali non è sufficiente aspettare
l'aiuto di Dio; bisogna anche chiederglielo.
Gesù
Cristo ci ha lasciato nel Pater un modello perfetto di preghiera.
Dunque bisogna che chiediamo il nostro pane di ogni giorno: Panem
nostrum quotidianum da nobis hodie.
Non
trascuriamo forse spesso questo grande dovere? Che imprudenza e
follia! Ci priviamo così, per leggerezza, della protezione celeste,
la sola sovranamente efficace. I Cappuccini, si dice, non muoiono mai
di fame, perché recitano pianamente il Padre Nostro. Imitiamoli, e
l'Altissimo non ci lascerà mancare il necessario.
Dobbiamo
dunque domandare il nostro pane quotidiano. E' un obbligo che ci
impongono la fede e la carità verso noi stessi. Possiamo però
aumentare le nostre pretese e domandare la ricchezza?
Niente
vi si oppone, sempre che la nostra preghiera si ispiri a ragioni
soprannaturali e che restiamo sottomessi alla Volontà di Dio. Il
Signore non ci proibisce di esprimergli i nostri desideri; Egli ama,
al contrario, che ci comportiamo filialmente con lui. Non
aspettiamoci tuttavia che egli si spieghi a tutte le nostre fantasie:
la sua Bontà glielo vieta. Egli sa qual'è il nostro bene; ci
concederà i beni della terra solo se essi dovessero servire alla
nostra santificazione.
Abbandoniamoci
dunque interamente alla Provvidenza e recitiamo la preghiera del
Saggio: "Non datemi né la povertà né la ricchezza. Datemi
solamente ciò che mi sarà necessario per vivere, affinché la
ricchezza non mi tenti a negarvi dicendo: Chi è mai il Signore?, o
che, costretto dall'indigenza, non rubi e non bestemmi il Nome del
mio Dio"8.
1:
- Mt VI, 25-26, 28-33.
2: - Pv XXI, 10-28.
3: - Petits Bollandistes, t. VIII, 18 juillet.
4: - Ps LXXVII, 19-22.
5: - LcXVII, 21
6: - Jacta super Dominum curam tuam, et Ipse te enutriet (Ps, LV, 25).
7: - Dominus regit me, et nihil mihi deerit (Ps, XXII, 1).
8: - Pv, XXX, 8-9.
2: - Pv XXI, 10-28.
3: - Petits Bollandistes, t. VIII, 18 juillet.
4: - Ps LXXVII, 19-22.
5: - LcXVII, 21
6: - Jacta super Dominum curam tuam, et Ipse te enutriet (Ps, LV, 25).
7: - Dominus regit me, et nihil mihi deerit (Ps, XXII, 1).
8: - Pv, XXX, 8-9.
CAPITOLO
IV - La misericordia di Nostro Signore verso i peccatori
La
Provvidenza, che nutre l'uccello sul ramo, ha cura del nostro corpo.
Tuttavia, cos'è mai questo misero corpo? Una cosa fragile, un
condannato a morte sorvegliato dai vermi. Nella nostra folle corsa,
c'illudiamo di dirigerci verso i nostri affari o i nostri piaceri;
ogni nostro passo ci avvicina al termine, noi stesso trasciniamo il
nostro cadavere fino all'orlo della tomba.
Se
Dio si prende cura in questo modo dei nostri corpi corruttibili, con
quale sollecitudine vigilerà sulle nostre anime immortali? Egli
prepara loro dei tesori di grazia la cui ricchezza oltrepassa la
nostra immaginazione; invia loro degli aiuti sovrabbondanti per la
loro santificazione e salvezza.
Non
prenderò qui in considerazione questi mezzi di santificazione messi
a nostra disposizione dalla Fede.
Mi
rivolgerò semplicemente alle anime tormentate, che si incontrano
così spesso. Vangelo alla mano, mostrerò loro l'inconsistenza dei
loro timori. Non debbono abbattersi né per la gravità delle loro
colpe, né per la molteplicità delle loro ricadute, né per le loro
tentazioni. Al contrario, più esse avvertono la gravità delle loro
miserie, più debbono appoggiarsi a Dio. Che non perdano la fiducia!
Qualunque sia l'orrore del loro stato, per quanto abbiano vissuto a
lungo nel disordine, con gli aiuti della grazia esse possono
convertirsi ed innalzarsi verso un'alta perfezione.
La
misericordia di Nostro Signore è infinita: nulla la disgusta,
neppure le colpe che ci sembrano essere le più vergognose e
criminali. Durante la sua vita mortale, il Maestro accoglieva i
peccatori con una bontà tutta divina: non ha mai rifiutato loro il
suo perdono.
Spinta
dall'ardore del suo pentimento, senza curarsi delle convenienze
mondane, Maria Maddalena entra nella sala del banchetto. Ella si
prosterna ai piedi di Gesù e li inonda delle sue lacrime. Il fariseo
Simone osserva questa scena con occhio ironico; dentro di sé, egli
s'indigna. "Se quest'uomo fosse un Profeta - pensa - saprebbe
chi è questa donna e la scaccerebbe con disprezzo". Ma il
Salvatore non la respinge: accetta i suoi sospiri, le sue lacrime,
tutti i segni sensibili della sua umile contrizione; la purifica
delle sue sozzure e la colma di doni soprannaturali. E il suo Sacro
Cuore si riempie di una gioia immensa, mentre lassù, nel Regno del
suo Padre, gli Angeli sobbalzano di giubilo: un'anima era perduta, ed
eccola ritrovata, un'anima era morta, ed eccola restituita alla vera
Vita.
Il
Maestro non si limita ad accogliere con mansuetudine i poveri
peccatori; giunge fino a prendere la loro difesa. D'altronde, non è
forse questa la sua missione? Non si è costituito come nostro
avocato?1
Un
giorno, gli si conduce una sventurata sorpresa nell'atto stesso della
sua colpa. La dura legge di Mosè la condanna formalmente: la
colpevole deve morire col lento supplizio della lapidazione.
Tuttavia, gli scribi ed i farisei attendono impazientemente la
sentenza del Salvatore: se Egli la perdona, i suoi nemici lo
accuseranno di disprezzare le tradizioni d'Israele. Che cosa dunque
farà?
Dirà
una sola frase, che basterà a confondere i farisei orgogliosi ed a
salvare la peccatrice.
Risposta
piena di saggezza e di misericordia. Udendola, questi uomini
arroganti arrossiscono di vergogna. Uno dopo l'altro, si allontanano
confusi; i vecchi se ne vanno per primi.
E
Gesù resterà solo con la donna.
"Dove
sono i tuoi accusatori? - le chiede - Nessuno ti ha condannato?".
"Ella
rispose: Nessuno, Signore. E Gesù disse allora: Neppure io ti
condannerò. Va, e non peccare più"3.
Se
i peccatori non vengono da Lui, il Maestro si lancia al loro
inseguimento: come il padre del figlio prodigo, attende il ritorno
dell'ingrato; come il buon Pastore, va in cerca della pecora smarrita
e, ritrovatala, la carica sulle proprie divine spalle e la riconduce
insanguinata all'ovile. Oh, non lo infastidiscono le sue ferite: come
il buon Samaritano, le medicherà con olio e vino simbolici; verserà
sulle sue piaghe il balsamo della Penitenza e, per fortificarla, la
farà bere nel suo Calice eucaristico.
Anime
colpevoli, non temete dunque il Signore: è specialmente per voi
ch'Egli è disceso sulla terra. Non ripetete il grido disperato di
Caino: "La mia colpa è troppo grande perché possa ottenere
perdono"4.
Come conoscereste male il Cuore di Gesù!
Gesù
ha purificato la Maddalena, ha perdonato il triplice rinnegamento di
san Pietro, ha aperto il Cielo al buon ladrone. In verità, ve
l'assicuro, se Giuda fosse andato a trovarlo dopo il suo crimine,
Nostro Signore l'avrebbe accolto con misericordia.
Come
potrebbe dunque non perdonarvi?
La
grazia può santificarsi all'istante
Abisso
della debolezza umana! Tirannia delle cattive abitudini! Ricevono
pure i cristiani, al tribunale della Penitenza, l'assoluzione delle
loro colpe: la loro contrizione era sincera, le loro risoluzioni
energiche. Ed essi ricadono negli stessi peccati, talvolta
gravissimi; il numero delle loro cadute cresce incessantemente. Non
hanno dunque, come sembra, delle buone ragioni per scoraggiarsi?
Niente
di più giusto che la constatazione delle nostre miserie ci conservi
nell'umiltà. Se essa ci facesse però perdere la nostra fiducia,
sarebbe una catastrofe, più pericolosa di così tante ricadute.
L'anima
che cade deve rialzarsi al più presto. Ch'ella non cessi di
implorare la misericordia del Signore. Non sapete che Dio ha il suo
tempo e che può in un attimo elevarvi ad una santità oltremodo
sublime?
Non
aveva forse Marisa Maddalena condotto una vita criminosa? Eppure la
grazia l'ha trasformata all'istante: senza transizioni, da peccatrice
è diventata una gran santa. Ora, il braccio di Dio non s'è
accorciato; quello che ha fatto per altri, può farlo per voi. Non
dubitatene: la vostra fiduciosa e perseverante preghiera otterrà la
guarigione completa della vostra anima.
Non
obiettate che il tempo passa e che la vostra vita forse giunge già
al suo termine. Nostro Signore non ha forse aspettato l'agonia del
buon ladrone per attirarlo vittoriosamente a sé? Quest'uomo
colpevole si è convertito in un solo minuto. La sua fede e il suo
amore sono stati così grandi che, malgrado i suoi crimini, non è
passato nemmeno per il Purgatorio: occupa per sempre un posto
elevatissimo nei Cieli.
Nulla
alteri la vostra fiducia. Dal fondo dell'abisso, gridate senza tregua
verso il Cielo; Dio finirà per rispondere al vostro appello e
compirà in voi la sua opera.
Dio
ci concede tutti gli aiuti necessari alla nostra santificazione e
salvezza
Alcune
anime angosciate dubitano della loro eterna salvezza. Esse rievocano
le loro colpe, pensano alle tentazioni, così violente, che talvolta
ci assalgono, dimenticano la misericordiosa bontà di Dio.
Quest'angoscia può diventare una vera tentazione di disperazione.
Nella
sua gioventù, san Francesco di Sales ha conosciuto questa prova:
aveva il terrore di non essere predestinato. Il suo dolore era così
violento da alterare la sua salute e passò diversi mesi in questo
martirio interiore. Fu una preghiera eroica a liberarlo: il santo si
prosternò davanti ad un altare dedicato a Maria, supplicò la
Vergine Immacolata di fargli amare il suo Figlio con una carità
tanto più ardente sulla terra, quanto più temeva di non poterlo
amare nell'eternità.
In
mezzo a questo genere di sofferenze, c'è una verità di fede che
deve consolarci pienamente: ci si danna soltanto per colpa del
peccato mortale. Ora, evitarlo è sempre in nostro potere, e se
abbiamo avuto la sventura di commetterlo, possiamo sempre
riconciliarci con Dio. Un atto di contrizione perfetta ci purificherà
all'istante, in attesa di fare una doverosa confessione, che conviene
fare al più presto.
Certo,
la nostra misera volontà umana deve diffidare della sua debolezza;
ma il Signore non ci negherà mai le grazie di cui abbiamo bisogno:
farà tutto il possibile per aiutarci nell'affare sommamente
importante della nostra salvezza.
Ecco
la grande verità che Gesù Cristo ha scritto col suo sangue, e che
ora andiamo a rileggere insieme nella storia della sua Passione.
Vi
siete mai domandati come gli Ebrei abbiano potuto impadronirsi di
Nostro Signore? Credete forse che ci siano riusciti con l'astuzia o
con la forza? Pensate che, nella grande tormenta, Gesù sia stato
spezzato perché era il più debole?
Assolutamente
no. I suoi amici non potevano nulla contro di lui. Più di una volta,
durante i tre anni della sua predicazione, essi hanno cercato di
ucciderlo. A Nazareth vogliono precipitarlo in un burrone; più volte
accumulano pietre per lapidarlo. Ma la sua divina Sapienza elude le
trame della loro collera e la sua Forza sovrana blocca il loro
braccio; egli si ritira tranquillamente, senza che si sia riusciti a
fargli il minimo male.
Nel
Gethsemani, nel momento in cui semplicemente pronuncia il suo nome
davanti ai soldati del Tempio che hanno appena afferrato la sua sacra
Persona, tutto questo drappello, colpito da terrore, si rovescia a
terra. Non possono risollevarsi se non in virtù del suo permesso.
Se
Gesù è stato arrestato, se è stato crocifisso, se è stato
immolato, è perché lo ha voluto nella pienezza della sua libertà e
del suo amore per noi. "Oblatus est, quia voluit"5.
Se
il Maestro ha sparso senza esitare il suo Sangue per noi, se è morto
per noi, come potrebbe rifiutarci le grazie che ci sono assolutamente
necessarie e che ci ha meritato con le sue sofferenze?
Queste
grazie, durante la sua Passione dolorosa, le ha offerte
misericordiosamente alle anime più colpevoli.
Due
suoi Apostoli avevano commesso un crimine enorme: ad entrambi Egli ha
offerto il suo perdono.
Giuda
lo tradisce e gli dà un bacio ipocrita. Gesù gli parla con toccante
dolcezza, lo chiama "amico mio"; cerca, con la forza della
tenerezza, di toccare il suo cuore indurito dall'avarizia: "Amico
mio, a che sei venuto? Giuda con un bacio tradisci il Figlio
dell'uomo?"6
E' l'ultima grazia che il Maestro concede all'ingrato. E' una grazia
di una forza tale che non ne comprenderemo mai tutta l'intensità. Ma
Giuda la respinge: si danna perché lo ha proprio voluto.
Pietro,
che si credeva così forte, che aveva giurato di seguire il Maestro
fino alla morte, lo abbandona allorché lo vede nelle mani dei
soldati; non lo segue che da lontano. Entra tremando nel palazzo del
Sommo Sacerdote. Per tre volte rinnega il Salvatore, perché ha paura
dei motteggi di una serva; attesta spergiurando che non conosce
"quell'uomo", e il gallo canta. Gesù torna indietro e
rivolge al suo Apostolo uno sguardo pieno di misericordioso
rimprovero: e i loro sguardi s'incontrano. Era la grazia, una grazia
folgorante, che questo sguardo donava a Pietro. L'Apostolo non la
respinge: uscì subito e pianse amaramente.
Come
a Giuda, come a Pietro, Gesù ci offre le sue grazie di pentimento e
di conversione. Possiamo accettarle o rifiutarle: siamo liberi. Sta a
noi decidere tra il bene e il male, tra il Cielo e l'Inferno; la
nostra salvezza sta nelle nostre mani.
Il
Salvatore fa più che offrirci le sue grazie: intercede per noi
presso suo Padre, gli ricorda le sofferenze che ha sopportato per la
nostra Redenzione. Prende la nostra difesa di fronte a Lui, scusa le
nostre colpe: "Padre mio - gridò tra i tormenti della sua
agonia - Padre mio, perdonate loro, perché non sanno ciò che
fanno"7.
Il
Maestro, durante la sua Passione, aveva così gran desiderio di
salvarci che non cessò un istante di pensare a ciascuno di noi.
Sul
Calvario, è ai peccatori che rivolge i suoi ultimi sguardi; è in
favore del buon ladrone che pronuncia una delle sue ultime frasi.
Stende ampiamente le sue braccia sulla Croce, per manifestare con
quale amore accoglie il nostro pentimento sul suo adorabile Cuore.
La
contemplazione del Crocifisso deve rianimare la nostra fiducia
Se
qualche volta nelle vostre lotte intime sentite indebolirsi la vostra
fiducia, meditate i passi del Vangelo che vi ho indicato. Lanciate un
lungo sguardo sul vostro Crocifisso.
Contemplate
questa Croce ignominiosa sulla quale spira il Salvatore. Guardate la
sua povera testa coronata di spine che cade inerte sul suo petto.
Osservate i suoi occhi spenti, il suo livido volto su cui il
Preziosissimo Sangue si coagula. Guardate i piedi e le mani trafitti,
il suo Corpo straziato. Osservate il suo adorabile Cuore, aperto
dalla lancia di un soldato: ne è uscita qualche goccia di acqua
insanguinata. Vi ha dato tutto. Come potreste diffidare di Lui?
Egli
attende però che lo contraccambiate.
In
nome del suo amore, in nome del suo martirio, in nome della sua
morte, risolvetevi di evitare ormai il peccato mortale.
La
vostra debolezza è grande, ma Egli vi aiuterà. Nonostante la vostra
volontà, avrete forse delle cadute e ricadute; ma Egli è
misericordioso. Quello ch'Egli vi chiede è di non intorpidirvi nel
peccato, di non marcire nelle cattive abitudini. Promettetegli di
confessarvi senza esitare e di non addormentarvi mai con un peccato
mortale sulla coscienza.
Beati
voi, se manterrete coraggiosamente questo santo proposito! Gesù non
avrà sparso invano per voi il suo prezioso Sangue. Potrete
rassicurarvi sulle vostre disposizioni interiori. Avrete il diritto
di considerare serenamente il tremendo problema della
predestinazione: porterete sulla vostra fronte il segno degli eletti.
1:
- Si quis peccaverit, advocatum habemus apud Patrem, Jesum Christum
justum (I Gv, II, 1).
2: - Qui sine peccato est vestrum, primus in illum lapidem mittat (Gv VIII, 7).
3: - Et remansit solus Jesus, et mulier in medio stans. Erigens autem se Jesus, dixit ei: Mulier, u[...]
4: - Major est iniquitas mea quam ut veniam merear (Gen, IV, 13).
5: - Is, LIII, 7.
6: - Amice ad quid venisti? (Mt, XXVI, 50). Juda, osculo Filium hominis tradis? (Lc, XXII, 48).
7: - Pater, dimitte illis: non enim sciunt quid faciunt (Lc, XXIII, 34).
2: - Qui sine peccato est vestrum, primus in illum lapidem mittat (Gv VIII, 7).
3: - Et remansit solus Jesus, et mulier in medio stans. Erigens autem se Jesus, dixit ei: Mulier, u[...]
4: - Major est iniquitas mea quam ut veniam merear (Gen, IV, 13).
5: - Is, LIII, 7.
6: - Amice ad quid venisti? (Mt, XXVI, 50). Juda, osculo Filium hominis tradis? (Lc, XXII, 48).
7: - Pater, dimitte illis: non enim sciunt quid faciunt (Lc, XXIII, 34).
CAPITOLO
V - L'Incarnazione del Verbo
La
casa del sapiente è fondata sulla roccia: né le inondazioni, né le
piogge, né le tempeste potranno rovesciarla. Affinché l'edificio
della nostra fiducia resista a tutte le prove, bisogna elevarlo su
delle basi incrollabili.
"Voi
volete sapere - dice san Francesco di Sales - quale fondamento deve
avere la nostra fiducia. Bisogna che sia fondata sull'infinita bontà
di Dio e sui meriti della Morte e della Passione di Nostro Signore
Gesù Cristo, con questa condizione, per parte nostra: che noi
abbiamo e conosciamo in noi una totale e ferma risoluzione di essere
completamente di Dio, e di abbandonarci del tutto e senza alcuna
riserva alla Sua Provvidenza"1.
I
motivi della nostra speranza sono troppo numerosi per poterli
enumerare tutti. Esamineremo qui soltanto quelli fondati
sull'Incarnazione del Verbo e sulla sacra Persona del Salvatore.
Infatti Cristo è la pietra angolare2
sulla quale deve principalmente poggiare la nostra vita interiore.
Quale
fiducia c'ispirerebbe il mistero dell'Incarnazione, se solo ci
sforzassimo di considerarlo in modo meno superficiale!
Chi
è, dunque, questo pargolo che vagisce nella greppia,
quest'adolescente che lavora nella bottega di Nazareth, questo
predicatore che entusiasma le folle, questo taumaturgo che compie
innumerevoli prodigi, questa vittima innocente che muore sulla Croce?
E' il Figlio dell'Altissimo, eterno e divino come suo Padre; è
l'Emanuele, atteso da tanto tempo; è colui che il profeta chiama
"l'Ammirabile, il Dio Forte, il Principe della Pace"3.
Ma
Gesù, e noi lo dimentichiamo troppo spesso, è anche nostra
proprietà. Egli ci appartiene, in tutto il rigore dell'espressione;
è nostro; abbiamo su di Lui diritti imprescrittibili, perché suo
Padre ce l'ha donato. Lo afferma la Scrittura: "Il Figlio di Dio
ci è donato"4;
e san Giovanni, nel suo Vangelo, dice a sua volta: "Dio ha tanto
amato il mondo da donargli il suo unico Figlio"5.
Ebbene,
se Cristo ci appartiene, ci appartengono anche gl'infiniti meriti
delle sue fatiche, delle sue sofferenze e della sua morte.
Come
potremmo allora scoraggiarci? Consegnandoci suo Figlio, il Padre ci
ha consegnato la pienezza di tutti i beni. Sappiamo sfruttare
ampiamente questo prezioso tesoro!
Rivolgiamoci
dunque al Cielo con una santa audacia e, in nome di quel Salvatore
che è nostro, domandiamo senza esitare le grazie che desideriamo.
Chiediamo per noi i favori temporali e soprattutto gli aiuti della
Grazia; pace e prosperità per la nostra Nazione, e tranquillità e
libertà per la Chiesa.
Una
tale preghiera verrà certamente esaudita. Facendo così, non
facciamo forse uno scambio con Dio? In cambio dei beni desiderati,
Gli offriamo il suo Figlio unigenito. In questo scambio, Dio non ci
imbroglierà.
Gli
doneremo infinitamente di più di quanto riceveremo da Lui.
Questa
preghiera, se la faremo con quella fede che muove le montagne, sarà
così efficace da ottenerci, se necessario, anche i prodigi più
clamorosi.
La
potenza di Nostro Signore
Quel
Verbo Incarnato, che si è donato a noi, possiede un potere
illimitato. Nel Vangelo, Egli ci appare come il supremo Padrone della
Terra, dei demoni e della vita soprannaturale: tutto è sottomesso al
suo sommo dominio.
In
questa potenza del Salvatore troviamo un altro motivo per la nostra
certissima fiducia. Nulla può impedire a Nostro Signore di aiutarci
e di proteggerci.
Gesù
comanda alle forze della natura.
All'inizio
del suo ministero apostolico, Egli assiste alle nozze di Cana. Ora,
durante il banchetto, viene a mancare il vino. Quale imbarazzo per i
poveretti, che avevano invitato il Maestro con sua Madre e i
discepoli! La Vergine Maria s'accorge dell'infortunio: è sempre Lei
la prima a notare i nostri bisogni ed a soccorrerli. Rivolge al
Figlio uno sguardo implorante, gli sussurra a bassa voce una breve
preghiera: ella conosce il suo potere e il suo amore. E Gesù, che
non sa rifiutarle nulla, trasforma l'acqua in vino! Fu il suo primo
miracolo6.
Una
sera, per evitare la folla che l'assale, attraversa in barca, con i
suoi discepoli, il lago di Genezareth. Mentre navigano, si leva il
vento, scoppia la tempesta, le onde si gonfiano, i flutti si
infrangono rimbombando. L'acqua straripa sul ponte, la nave sta per
affondare.
Ma
Egli, affaticato dal duro lavoro, dorme in poppa, con la divina testa
appoggiata sul cordame. I discepoli, sgomenti, lo svegliano gridando:
"Signore, Signore, salvaci, siamo perduti!"7.
Allora il Signore si alza, apostrofa il vento e dice all'acqua:
"Silenzio, quietati!". Subito scende una gran calma. I
testimoni di questa scena si domandavano stupiti: "Chi è dunque
costui, al quale obbediscono il mare e i venti?".
Gesù
guarisce i malati.
Alcuni
ciechi gli si avvicinarono a tastoni e gli gridano la loro
disperazione: "Figlio di David, abbi pietà di noi"8.
Il Maestro tocca i loro occhi e questo contatto divino li apre alla
luce.
Gli
conducono un sordomuto, pregandolo di imporgli le mani. Il Salvatore
esaudisce la richiesta, e la lingua di quell'uomo di scioglie, le sue
orecchie odono.
Incontra
un giorno per strada dieci lebbrosi. Nell'umana società, il lebbroso
è un esiliato: è cacciato dai villaggi, si evita il suo contatto
per timore del contagio, ci si distoglie con disgusto dalla sua
putredine. Questi dieci sventurati non osavano avvicinarsi a Nostro
Signore: si tenevano appartati. Ma racimolando quel poco di forze che
lasciava loro la malattia, gli gridavano da lontano: "Signore,
abbiate pietà di noi!". Gesù, che doveva essere, sulla Croce
il lebbroso per eccellenza, si commuove per la loro miseria. "Andate
a presentarvi ai sacerdoti", dice loro. E mentre essi si
avviavano per ubbidire al suo comando, furono guariti.
Gesù
risuscita i morti.
Ne
restituisce tre alla vita. E, con il più stupefacente dei prodigi,
dopo esser morto tra le ignominie del Golgota. Dopo esser stato
deposto nella tomba, all'alba del terzo giorno resuscita se stesso.
E' così ch'Egli ci risusciterà alla fine dei tempi, e che ci
restituirà coloro che amavamo e che abbiamo perduto, trasformati, ma
sempre uguali a loro stessi nella loro gloria. Egli asciugherà le
nostre lacrime per l'eternità. Allora non ci saranno più né
pianti, né assenze, né lutti, perché il tempo della nostra miseria
sarà finito.
Gesù
comanda agli inferi.
Durante
i tre anni della sua vita pubblica, Egli incontra alcuni ossessi.
Parla ai demoni come chi possiede l'autorità suprema; dà loro
comandi imperiosi, e i demoni fuggono alla sua voce, confessando la
sua divinità.
Gesù
è il maestro alla vita soprannaturale.
Egli
resuscita le anime morte e restituisce loro quella Grazia che avevano
perduto. Per provare di possedere realmente questo divino pot3ere,
guarisce un paralitico.
"Che
cosa è più facile - chiede agli scribi che lo circondano - secondo
voi da dire: i tuoi peccati ti sono perdonati, oppure levati e
cammina? Affinché sappiate che il Figlio dell'Uomo ha in terra il
potere di rimettere i peccati: alzati - dice al paralitico - prendi
la tua barella e torna alla tua casa!"9.
E'
bene meditare a lungo sulla potenza del Salvatore. Quando si tratta
del nostro bene, il Maestro non esita mai a mettere il suo divino
potere al servizio del suo amore per noi.
La
sua bontà
Il
fatto è che Nostro Signore è adorabilmente buono: il suo Cuore non
può veder soffrire senza restarne spezzato. Questa pietà lo ha
spinto a compiere spontaneamente, prima di averne ricevuto preghiera,
alcuni dei suoi più grandi miracoli.
La
folla lo seguiva attraverso le deserte montagne della Palestina; da
tre giorni, per poterlo ascoltare, essa aveva trascurato di bere e di
mangiare. Ma il Signore chiama gli Apostoli: "Vedete questa
povera gente? - dice loro - Non posso congedarli così: cadrebbero di
stenti per la strada. Ho compassione di questa folla"10.
E moltiplica i pani e i pesci rimasti ai suoi discepoli.
Un'altra
volta si stava recando alla cittadina di Naim, scortato da un gruppo
numeroso. Giunto quasi alle porte della città, incontra un corteo
funebre. Un giovane veniva condotto alla sue estrema dimora: era
l'unico figlio di una vedova. Senza ormai più speranza, nn potendo
più attendersi nulla dalla vita, la povera donna seguiva gemendo il
corpo del figlio. La vista di questo muto dolore sconvolge il
Signore: fu mosso a misericordia. "Povera afflitta - le dice -
non piangere più"11,
e si avvicina alla barella dove giaceva il cadavere e restituisce il
giovane alla madre.
Anime
schiacciate dalle prove, coscienze tormentate dal dubbio o forse dal
rimorso, cuori spezzati dal tradimento o dai lutti; voi tutti che
soffrite, credete che Gesù non abbia pietà dei vostri dolori? Non
avreste compreso nulla del suo immenso amore. Egli conosce le vostre
miserie: le vede, e il suo Cuore ne è toccato. E' su di voi ch'Egli
rivolge oggi il suo grido di compassione, è a voi che si rivolge,
come già alla vedova di Naim: "Non piangere più; io sono la
Rassegnazione, sono la Pace; io sono la Resurrezione e la Vita!".
Questa
fiducia, che la sua bontà dovrebbe naturalmente ispirarci, Nostro
Signore l'esige da noi esplicitamente: la pone come una condizione
essenziale per ricevere i suoi favori. Lo vediamo, nel Vangelo,
esigere degli atti formali, prima di compiere certi miracoli.
Perché
Lui, così tenero, si mostra apparentemente così duro verso la
cananea che gli domanda la guarigione della figlia? La respinge più
volte, ma niente la scoraggia; niente ferma la sua incrollabile
fiducia. E' appunto quello che il Salvatore desidera. "Donna -
esclama con gioiosa ammirazione - la tua fiducia è grande"".
E aggiunge: "Sia fatto secondo la tua volontà"12
Fiat
tibi sicut vis. La fiducia ottiene il compimento dei nostri desideri:
Nostro Signore stesso l'afferma.
Strana
aberrazione dell'intelligenza umana! Noi crediamo ai miracoli del
Vangelo, dato che siamo cattolici per convinzione; crediamo che
Nostro Signore, salendo al Cielo, non ha perso nulla della sua
potenza; crediamo alla sua bontà, dimostrata dalla sua vita intera
... eppure non riusciamo ad abbandonarci alla fiducia.
Conosciamo
molto male il Cuore di Gesù. Ci ostiniamo a giudicarlo secondo la
debolezza dei nostri cuori: si direbbe proprio che vogliamo ridurre
la sua immensità alle nostre meschine proporzioni. Facciamo fatica
ad ammettere la sua incredibile misericordia verso i peccatori,
perché noi siamo vendicativi e lenti a perdonare. Paragoniamo la sua
tenerezza infinita ai nostri piccoli affetti. Non comprendiamo nulla
di questo fuoco inestinguibile che rendeva il suo Cuore un immenso
braciere d'amore, questa santa passione per gli uomini che lo
dominava interamente, questa folle carità che lo spinse dalle
umiliazioni della mangiatoia al sacrificio del Golgota. E non
possiamo esclamare,. Nella pienezza della nostra fede, come
l'Apostolo san Giovanni: "Abbiamo creduto nel suo amore!
Credidimus charitati"13.
O
Maestro adorabile, vogliamo ormai abbandonarci interamente al vostro
amoroso comportamento.
Vi
affidiamo la cura del nostro avvenire materiale. Ignoriamo ciò che
ci riserva questo avvenire, carico di minacce; ma ci mettiamo nelle
mani della vostra Provvidenza.
Vi
affidiamo le nostre pene; esse sono talvolta davvero crudeli, ma voi
siete qui per addolcirle.
Vi
affidiamo le nostre miserie morali; la nostra debolezza ci spinge a
temere ogni mancanza. Ma voi ci sosterrete e ci preserverete dalle
cadute.
Come
il vostro Apostolo prediletto, che poggiava il capo sul vostro petto,
noi ci riposeremo sul vostro Cuore divino e, secondo le parole del
Salmista, ci addormenteremo in una pace deliziosa, poiché voi, o
Gesù, ci avete posto in un'inalterabile fiducia.
1:
- S. Francesco di Sales, Les vrais entretiens spirituels, in Ouvres,
Annecy, J. Niérat 1895, vol.[...]
2: - Cfr. Atti, IV, 6.
3: - Cfr. Is, IX, 6.
4: - Cfr. Is, IX, 6.
5: - Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret (Gv, III, 16).
2: - Cfr. Atti, IV, 6.
3: - Cfr. Is, IX, 6.
4: - Cfr. Is, IX, 6.
5: - Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret (Gv, III, 16).
6:
- Gv, II, 1-11.
7: - Domine, salva nos, perimus! (Mt, VIII, 25).
8: - Miserere nostri, fili David! (Mt, IX, 26).
9: - Mc, II, 9-11.
10: - Misereor super turbam (Mc, VIII, 2).
11: - Noli flere (Lc, VII, 13).
12: - Fiat tibi sicut vis (Mt, XV, 28).
13: - 1 Gv, IV, 16.
7: - Domine, salva nos, perimus! (Mt, VIII, 25).
8: - Miserere nostri, fili David! (Mt, IX, 26).
9: - Mc, II, 9-11.
10: - Misereor super turbam (Mc, VIII, 2).
11: - Noli flere (Lc, VII, 13).
12: - Fiat tibi sicut vis (Mt, XV, 28).
13: - 1 Gv, IV, 16.
CAPITOLO
VI - La fiducia glorifica Dio
L'elogio
più magnifico che si possa fare della fiducia sta nel mostrarne i
frutti: sarà questo l'argomento dell'ultimo capitolo. Possano le
seguenti considerazioni incoraggiare le anime inquiete a vincere
infine la loro pusillanimità ed a praticare perfettamente questa
preziosa virtù.
La
fiducia non vaga nelle sfere più umili delle virtù morali: essa si
lancia con un salto fin davanti al trono dell'Eterno, fino allo
stesso cuore del Padre celeste.
Essa
rende un omaggio eccellente alle infinite perfezioni divine: alla sua
bontà, perché essa attende solo da Lui gli aiuti necessari; alla
sua potenza, perché essa disdegna ogni forza che non sia la sua;
alla sua sapienza, perché essa riconosce la saggezza dei suoi
sovrani interventi; alla sua fedeltà, perché essa conta senza
esitazioni sulla sua divina parola.
Essa
dunque partecipa sia della lode che dell'adorazione. Ora, nelle
manifestazioni della vita religiosa, non vi sono atti più elevati di
questi: sono gli atti sublimi che occupano in Cielo le anime beate. I
Serafini, in presenza dell'Altissimo, si velano il volto con le ali,
e i cori angelici gli ripetono perdutamente la loro triplice
acclamazione.
La
fiducia compendia, in una luminosa e dolcissima sintesi, la tre virtù
teologali: la Fede, la Speranza e la Carità.
Così,
il Profeta, ammirato dallo splendore di questa virtù si sente
incapace di trattenere la propria ammirazione ed esclama nel suo
entusiasmo: "Benedetto l'uomo che si affida a Dio"1.
Ma,
per contro, l'anima sfiduciata offend3e il signore. Ella dubita della
sua provvidenza, della sua bontà, del suo amore. Ella va in cerca
degli aiuti delle creature; anche oggi, forse, si abbandona a
pratiche superstiziose. Questa sventurata si appoggia su fragili
sostegni, che si spezzeranno sotto il suo peso e la feriranno
crudelmente.
E
Dio è irritato da una tale offesa.
Nel
IV Libro dei Re si racconta che Ochozia, ammalatosi, chiese consiglio
ai sacerdoti degli idoli. Jahveh se ne irritò, e incaricò il
profeta Elia di riferire terribili minacce al sovrano: "E' forse
perché non v'è un solo Dio, in Israele, che tu consulti Belzebub,
il dio di Acharon? Per questo fatto, non ti potrai più alzare dal
letto su cui sei steso, ma anzi per certo morrai"2.
Il
cristiano che dubita della bontà divina, che affida le proprie
speranze alle creature, non merita forse lo stesso rimprovero? Non si
espone a giusti castighi? Forse la Provvidenza non veglia su di lui,
perch'egli debba rivolgersi follemente a esseri deboli, incapaci di
aiutarlo?
Essa
attira favori eccezionali sulle anime
"Non
perdete la vostra fiducia, - dice l'Apostolo Paolo - poiché essa
merita una grande ricompensa"3.
Infatti, questa virtù procura a Dio una gloria così grande, da
attirare necessariamente sulle anime favori eccezionali.
Nelle
Scritture, il Signore ha più volte espresso con quale generosa
magnificenza Egli tratti i cuori fiduciosi:
"Poiché
ha sperato in me, lo libererò; siccome ha conosciuto il mio Nome, lo
proteggerò. Egli griderà verso di me ed io lo esaudirò. Sarò con
lui nelle tribolazioni, lo scamperò e lo glorificherò"4.
Quali appaganti promesse, proferite da Colui che punisce ogni parola
inutile e che condanna le più lievi esagerazioni!
Secondo
la testimonianza della Verità stessa, dunque, la fiducia di scampa
da ogni male.
"Siccome
avete scelto l'Altissimo come vostro rifugio, il male non vi
raggiungerà e i flagelli non si avvicineranno al vostro tabernacolo.
Egli infatti ha comandato ai suoi Angeli di vegliare su di voi, lungo
tutte le vostre vie: loro vi porteranno nelle loro mani affinché il
vostro piede non inciampi contro un sasso. Voi camminerete
sull'aspide e sul basilisco, e calpesterete il leone e il dragone"5.
Fra
i mali dai quali la fiducia ci preserva, bisogna porre in prima fila
il peccato. D'altronde, nulla di più conforme alla natura delle
cose. L'anima fiduciosa conosce il proprio nulla, come quello di
tutte le creature; è per questo ch'ella non conta né su se stessa
né sugli uomini, ma mette in Dio tutta la sua speranza. Ella diffida
della propria miseria, e quindi pratica la vera umiltà. Ora, non
sapete forse che l'orgoglio è la radice di tutte le nostre colpe6,
l'inizio della rovina?7
Il Signore si allontana dal superbo, lo abbandona alla sua debolezza
e lo lascia cadere. La caduta di san Pietro ne è un terribile
esempio.
Nei
misericordiosi disegni della sua sapienza, Dio permetterà forse che
l'anima fiduciosa venga colpita, per un certo tempo, dalla prova;
tuttavia, niente la smuoverà: essa rimarrà immobile e ferma "come
il monte Sion"8.
Essa conserverà la gioia in fondo al suo cuore9
e, nonostante i frastuoni della burrasca, si addormenterà in pace,
come un bimbo tra le braccia del Padre10.
Essa si lascerà condurre fino al felice termine del proprio viaggio,
poiché Dio salva "quelli che sperano in Lui"11.
Ma
questi non sono che favori puramente negativi.
Dio
colma dei favori più positivi l'uomo che confida in Lui. Ascoltate
con quale solenne poesia il Profeta illustra questa verità:
"Beato
l'uomo che si affida al Signore, e la cui speranza è nel Signore.
Egli sarà come un albero piantato sulla riva delle acque, le cui
radici sono nell'umida terra: non avrà nulla da temere, quando verrà
il caldo. Le sue foglie saranno sempre verdi, e nel tempo della
siccità non ne soffrirà, né cesserà mai di produrre frutti"12.
Per
rendere la pace radiosa di questo quadro mediante un contrasto
raggelante, osservate la lamentevole sorte di colui che si è
affidato alle creature:
"Maledetto
l'uomo che confida nell'uomo, che fa conto della carne e il cui cuore
si allontana dal Signore! Egli sarà come la tamerice desertica,
(...) resterà nell'aridità, su una terra salata e inabitabile"13.
La
preghiera fiduciosa ottiene tutto
Infine
- e non è la minima delle sue prerogative - la fiducia viene sempre
esaudita. Non si esagererà nel ripeterlo: la preghiera fiduciosa
ottiene tutto.
Le
Scritture, con un'insistenza assai marcata, ci raccomandano di
rianimare la nostra fede, ogni volta che presentiamo a Dio le nostre
umili richieste: "Tutto ciò che avrete chiesto con fede nelle
vostre preghiere, l'otterrete"14,
dice il Salvatore. L'Apostolo san Giacomo dice la stessa cosa: vuole
che chiediamo con fede, senza esitare. Colui che dubita somiglia agli
incostanti flutti del mare: non pretenda, in questa disposizione
d'animo, di venire esaudito15.
Di
quale fede si parla, in questi passi?
Non
della fede abituale, infusa dal Battesimo nelle nostre anime, ma di
questa speciale fiducia, che ci fa attendere con fermezza
l'intervento della Provvidenza in una data situazione. Nostro Signore
lo dice esplicitamente nel Vangelo: "Tutto ciò che chiedete
nella preghiera, abbiate fede di ottenerlo, e vi sarà accordato"16.
Il Maestro non poteva descrivere più chiaramente la fiducia.
Possiamo
avere una fede vivissima, e tuttavia dubitare che Dio voglia
accogliere favorevolmente alcune nostre richieste. Per esempio, siamo
certi che l'oggetto del nostro desiderio sia compatibile col nostro
vero bene? E dunque esitiamo. Questa semplice esitazione, fa notare
un teologo, diminuisce l'efficacia della nostra preghiera17.
Altre
volte, al contrario, la nostra intima certezza si fortifica al punto
da scacciare del tutto ogni dubbio ed esitazione. Siamo tanto certi
d'essere esauditi, che ci sembra di possedere già la grazia
sollecitata.
"In
considerazione di una così perfetta fiducia - scrive il padre Pesch
- Dio ci concede dei favori che, senza di essa, non ci avrebbe mai
dato. Effettivamente, il bene che gli abbiamo chiesto non ci era
indispensabile, oppure non rispondeva alle condizioni necessarie
perché Dio fosse tenuto ad accordarcelo in forza delle sue
promesse"18.
D'altronde,
la maggior parte delle volte, questa certezza interiore è opera
della Grazia in noi.
"Così
- conclude lo stesso autore - una fiducia singolare di ottenere tale
o talaltra grazia, è una specie di promessa specifica che Dio ci fa
nell'accordarcela"19.
Una
frase di san Tommaso riassumerà questa breve disquisizione: "La
preghiera - dice il Dottore Angelico- riceve dalla carità il suo
merito, ma la sua efficacia impetratoria le viene dalla fede e dalla
fiducia"20.
Esempi
di santi
I
santi pregavano con questa fiducia, e Dio si mostrava, verso di loro,
di un'infinita munificenza.
L'abate
Sisois, come riferiscono le Vite dei Padri, pregava per uno dei suoi
discepoli, piegato dalla violenza della tentazione: "Lo vogliate
o no - diceva rivolto a Dio - non vi lascerò finché non l'abbiate
guarito!". E l'anima del povero frate ritrovò la Grazia e la
serenità21.
Nostro
Signore si degnò di rilevare a santa Gertrude che la fiducia di lei
faceva una tale violenza al suo Sacro Cuore, che Egli era costretto a
favorirla in tutto; ed aggiungeva che, così facendo, soddisfaceva le
esigenze della sua bontà e del suo amore per lei.
Un'amica
della stessa santa da un certo tempo pregava senza riuscire ad
ottenere nulla. "Ho rimandato la concessione di quanto mi avevi
domandato - le disse il Salvatore - perché tu non confidi affatto
nella mia bontà come fa la mia fedele Gertrude. Per questo non le
rifiuterò mai nulla di ciò che mi chiederà"22.
Infine,
ecco come pregava santa Caterina da Siena, secondo la testimonianza
del suo confessore, il beato Raimondo da Capua: "Signore, non
lascerò i vostri piedi, la vostra presenza, finché la vostra bontà
non mi avrà concesso quanto desidero, finché non desidererete fare
quello che voglio.".
"Signore
- proseguiva - voglio che mi promettiate, per tutti coloro che amo,
la vita eterna".
Poi,
con un ardimento ammirevole, tendeva le mani verso il Tabernacolo:
"Signore,
mettete la vostra mano nella mia. Sì, datemi la prova che mi
concederete quanto vi chiedo".
Questi
esempi c'invitino a rientrare in noi stessi; esaminiamo un poco la
nostra coscienza. Poniamoci, con un pio scrittore, questa domanda:
"Mettiamo noi nelle nostre preghiere una fiducia estrema,
qualcosa di simile a quella radicalità del fanciullo che sollecita
dalla propria madre un oggetto cui tiene? La radicalità di questi
piccoli mendicanti che ci inseguono e che vengono esauditi a forza di
importunare? La radicalità, soprattutto, insieme così rispettosa e
così fiduciosa, che i santi hanno nelle loro richieste"23.
Conclusione
dell'opera
Una
conclusione deriva naturalmente imperiosamente, da questo nostro
breve studio.
Anime
cristiane, impiegate tutti i mezzi di cui disponete per ottenere la
fiducia!
Meditate
molto sull'infinito potere di Dio, sul suo immenso amore, sulla sua
inviolabile fedeltà nel mantenere le promesse, sulla Passione di
Nostro Signore.
Ma
non rifugiatevi indefinitivamente nella contemplazione: passate dalla
riflessione all'azione.
Moltiplicate
gli atti di fiducia; ciascuna delle vostre occupazioni sia
un'occasione per rinnovarli. Sarà soprattutto nell'ora delle
difficoltà e della prova che bisognerà moltiplicarli.
Ripetete
spesso l'invocazione, così toccante: "Cuore Sacratissimo di
Gesù, confido in voi!".
Diceva
Nostro Signore ad un'anima privilegiata: "La sola preghiera: Mi
affido a voi, mi rapisce il Cuore, poiché in essa sono comprese la
fiducia, la fede, l'amore e l'umiltà"24.
Non
abbiate timore di esagerare nella pratica di questa virtù! "Non
bisogna mai temere, supponendo di condurre una buona vita, di avere
una fiducia troppo grande; poiché come Dio, a motivo della sua
infinita veracità, merita una fede in un certo senso infinita, così,
a motivo della sua potenza, della sua bontà, dell'infallibilità
delle sue promesse, perfezioni non meno infinite della sua veracità,
Egli merita un'infinita fiducia"25.
Non
risparmiate dunque gli sforzi. I frutti della fiducia sono abbastanza
preziosi, perché vi diate pena di coglierli.
E
se per caso venite a lamentarvi di non aver ottenuto i meravigliosi
benefici che vi aspettate, vi risponderò con san Giovanni
Crisostomo:
"Voi
mi dite: ho sperato e sono rimasto deluso. Che strane parole! Non
bestemmiate le Scritture! Siete rimasti delusi perché non avete
sperato come dovevate, perché vi siete scoraggiati, perché non
avete atteso la fine della prova, perché siete stati pusillanimi. La
fiducia sta soprattutto nel risollevarsi, nella sofferenza e nel
pericolo, e nell'elevare il cuore a Dio"26.
1:
- Benedictus vir qui confidit in Domino (Ger, XVII, 7).
2: - IV Reg, I, 6.
3: - Heb, X, 35.
4: - Ps, XC, 14-15.
5: - Ps, XC, 9-13.
6: - Initium omnis peccati est superbia (Eccl, X, 15).
7: - Ante ruinam exaltatur spiritus (Prov, XVI, 18).
8: - Qui confidunt in Domino, sicut mons Sion (Ps, CXXIV, 1).
9: - Dedisti laetitiam in corde me (Ps, IV, 7).
10: - In pace in idipsum dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti [...]
11: - Ps, XVI, 7.
12: - Ger, XVII, 7-8.
13: - Ger, XVII, 5-6.
14: - Mt, XXI, 22.
15: - Jac, I, 6-7.
16: - Mc, XI, 24.
17: - "Haec haesitatio non quidem tollit, sed minuit efficaciam orationis". C. Pesch S.J., Praelectio[...]
18: - Ivi.
19: - Ivi.
20: - San Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, II-IIae, q. 83, a. ad 3.
21: - Cfr. Vita Patrum, t. VI.
22: - J.B. Saint-Jure, op. cit, t. III, p. 27.
23: - C. Sauvé, Jésus intime, Amat, Paris 1908, t. II, p. 428.
24: - Suor Benigna Consolata Ferrero, op. cit.
25: - J.B. Saint-Jure, op. cit., t. III, p. 6.
26: - S. Joanni Chrisostomi, In psalmum CXVII comm.
2: - IV Reg, I, 6.
3: - Heb, X, 35.
4: - Ps, XC, 14-15.
5: - Ps, XC, 9-13.
6: - Initium omnis peccati est superbia (Eccl, X, 15).
7: - Ante ruinam exaltatur spiritus (Prov, XVI, 18).
8: - Qui confidunt in Domino, sicut mons Sion (Ps, CXXIV, 1).
9: - Dedisti laetitiam in corde me (Ps, IV, 7).
10: - In pace in idipsum dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti [...]
11: - Ps, XVI, 7.
12: - Ger, XVII, 7-8.
13: - Ger, XVII, 5-6.
14: - Mt, XXI, 22.
15: - Jac, I, 6-7.
16: - Mc, XI, 24.
17: - "Haec haesitatio non quidem tollit, sed minuit efficaciam orationis". C. Pesch S.J., Praelectio[...]
18: - Ivi.
19: - Ivi.
20: - San Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, II-IIae, q. 83, a. ad 3.
21: - Cfr. Vita Patrum, t. VI.
22: - J.B. Saint-Jure, op. cit, t. III, p. 27.
23: - C. Sauvé, Jésus intime, Amat, Paris 1908, t. II, p. 428.
24: - Suor Benigna Consolata Ferrero, op. cit.
25: - J.B. Saint-Jure, op. cit., t. III, p. 6.
26: - S. Joanni Chrisostomi, In psalmum CXVII comm.
L’autore
Oriundo
di una antica e nobile famiglia del sud della Francia, il Padre
Thomas de Saint-Laurent è nato a Lione il 7 maggio 1879 ed è
scomparso l’11 novembre 1949, a Uzès.
Nella
sua feconda vita sacerdotale ha compiuto una prodigiosa attività
apostolica, distinguendosi subito come grande predicatore e
scrittore. È stato cappellano della Gioventù Cattolica. Missionario
Apostolico, Canonico della Cattedrale di Nimes e cappellano del
Carmelo di Uzès.
Dottore
in Teologia e Lettere, è autore di una vasta opera pedagogica e
spirituale tradotta in diverse lingue, di cui si segnala “La
Vergine Maria”, “Con Gesù sofferente”, “Anime dei Santi”,
“Il dominio di se stesso” e “Metodo progressivo e completo di
cultura psichica”.
Presentazione dell’Arcivescovo Angelo Comastri
Loreto,
2 febbraio 1999
Presentazione
di Gesù
Quando
recito il Santo Rosario cerco sempre di immaginare il volto della
Madonna e mi vedo davanti un volto sereno e fiducioso di Mamma: vedo
due occhi limpidi come il cielo senza ombra di nubi, vedo un
atteggiamento raggiante e gioioso, vedo due braccia maternamente
aperte e sento il cuore buono e ospitale della Madre.
È
un sogno? È una immaginazione?
No,
perché il Vangelo ha aperto uno squarcio sul santuario interiore di
Maria e ci ha svelato le note stupende della musica della Sua anima
immacolata.
Racconta
San Luca che, quando Maria arrivò vicino alla casa di Elisabetta e
pronunciò le parole del saluto (“shalom!”), accadde un fatto
straordinario: la gioia di Maria contagiò miracolosamente il piccolo
Giovanni ancora nel grembo della Madre e salì al cuore di Elisabetta
e diventò un grido di ammirazione sulle sue labbra: “Beata colei
che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore!” (Lc 1,
45).
E
Maria, con il candore del cristallo che non può nascondere la luce,
apre la sua anima e rivela il segreto della Sua incrollabile fiducia:
“L’anima
mia canta perenni lodi al Signore
e
il mio cuore gioisce in Dio mio Salvatore,
perché
i Suoi occhi divini si sono chinati su di me,
piccola
serva!
D’ora
in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata perché grandi cose
ha fatto in me l’Onnipotente
e
Santo è il Suo Nome” (Lc 1,46-49).
Come
ha fatto Maria a pronunciare queste parole? Come ha fatto, in una
situazione unica e dopo un viaggio faticoso, come ha fatto Maria a
conservare una gioia piena e una fiducia incrollabile?
Il
Vangelo ci risponde inequivocabilmente: la pace di Maria nasceva dal
sì, un sì detto a Dio in totale libertà e in sincera umiltà e in
filiale abbandono.
Aggrappata
totalmente a Dio, Maria poteva ripetere in ogni situazione le parole
fiduciose del salmo 18:
“Ti
amo, Signore, mia forza,
Signore,
mia roccia, mia fortezza, mio liberatore;
mio
Dio, mia rupe in cui trovo riparo;
mio
scudo e baluardo, mia potenze salvezza.
Invoco
il Signore, degno di lode,
e
sarò salvato dai miei nemici.
Stese
le mani dall’alto e mi prese,
mi
sollevò dalle grandi acque,
mi
liberò dai nemici potenti,
da
coloro che mi odiavano
ed
erano più forti di me.
Mi
assalirono nel giorno della sventura,
ma
il signore fu mio sostegno;
mi
portò al largo,
mi
liberò perché mi vuole bene”.
Questo
libro, “Il libro della Fiducia”, uscito dal cuore di Padre Thomas
de Saint Laurent, guida l'anima di chi legge sulla strada della
fiducia: è una strada descritta e raccontata da uno che la conosce
perché l'ha percorsa (si sente!); è una strada nella quale il Canto
della Fiducia di Maria è come un dolcissimo sottofondo che si
imprime nella memoria e accende il cuore per far fiorire sulle labbra
una filiale preghiera “Ave, Maria! Madre mia, Fiducia mia!”.
+
Angelo Comastri - Arcivescovo-Delegato Pontificio di Loreto
Mater Mea Fiducia Mea!
Madre
Mia, dammi la grazia di non sentirmi mai lontano da Te. Dammi la
certezza che, nella vita spirituale, la parola “lontano” è stata
cancellata, poiché ci sei Tu. Sebbene sia vero che troppe persone
sono lontane da Te, Tu, Madre mia, sei sempre vicina. Madonna mia,
dammi la convinzione che Tu sei sempre alla portata delle mie mani.
Non di mani che si allungano verso Te, ma di mani che si stringono
per pregare, pregare, pregare! Dobbiamo pregare con San Bernardo:
“Ricordati, o pietosissima Vergine Maria, che non si è inteso mai
al mondo, che alcuno ricorrendo alla Tua protezione, implorando il
Tuo aiuto e chiedendo il Tuo patrocinio sia rimasto abbandonato”.
(Plinio Corrêa de Oliveira)
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