Nella vita di società avere delle buone e valide amicizie e parentele giova molto sia per il prestigio personale, sia in vista del conseguimento di benefici e di favori che rendono l’esistenza più tranquilla e sicura. Questo è un fatto che, nella storia degli uomini, si è sempre ripetuto ed è, tuttora, valido nella società degli uomini del nostro tempo. Si viene a verificare che è ritenuto fortunato e nobile chi ha amicizie fra personaggi importanti e influenti e chi, fra i suoi parenti, conta persone ricche o celebri per cultura o per censo.
Nel mondo così, alcuni, proprio per questo, vengono considerati più fortunati ed altri meno; pertanto, in conseguenza di tale disparità, si creano disuguaglianze sociali e valutazioni ingiuste perché, a costituire la speranza di successo di una persona ed il suo prestigio nell’opinione pubblica non sono i meriti propri ma la posizione sociale e politica di altri, il che non è giusto.
Davanti a Dio certe valutazioni e considerazioni, valide per gli uomini, non hanno fondamento né giustificazione alcuna; davanti a Lui nessuno può vantarsi, nessuno è considerato giusto, davanti alla sapienza ed alla giustizia divina non hanno valore discriminatorio le disparità sociali e culturali degli uomini perché, davanti a Lui, tutti sono uguali perché creati, da Lui, a sua immagine e somiglianza.
Tutti siamo nati alla stessa maniera: poveri, deboli e nudi; bisognosi di tutto e tutti vanno verso la medesima fine ed il ritorno in polvere e cenere del sepolcro. A questo riguardo ascoltiamo un brano evangelico che getta tanta luce nella mente e nell’anima: “La madre ed i fratelli di Gesù erano venuti dove Egli si trovava (facciamo notare che, nel Vangelo, la parola «fratelli» non ha il significato che ha presso di noi; ma significa una parentela qualsiasi, come del resto è anche ora presso varie popolazioni del Medioriente) ma erano rimasti fuori e lo avevano fatto chiamare. In quel momento molta gente stava affollata attorno a Gesù. Gli dissero: Tua madre ed i tuoi fratelli sono fuori che ti cercano. Gesù rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” Poi si guardò attorno e, osservando la gente in cerchio seduta vicino a Lui disse: “Guardate: sono questi mia madre ed i miei fratelli perché se uno fa la volontà di Dio è mio fratello, mia sorella e mia Madre”.
La medesima verità, proclamata da Gesù, la troviamo pure nel Vangelo secondo Luca (8, 19-21) mentre quella riportata sopra è nel Vangelo di San Marco al 3, 31-34. La risposta di Gesù, per alcuni, può sembrare sconcertante, ma il Maestro divino, nei suoi discorsi ha dei passi che, alla corta intelligenza umana, possono apparire tali; ricordiamo, a tale riguardo, il discorso della montagna e delle beatitudini riportato dal Vangelo di S. Matteo (5, 3-12) ed il discorso che il Divino Maestro tenne nella sinagoga di Cafarnao dopo la moltiplicazione dei pani, discorso riportato per intero dal Vangelo di Giovanni (6, 1-70). A proposito della risposta di Gesù qualcuno può rimanere meravigliato riguardo a Maria di Nazareth, la madre di Gesù. Egli conosceva benissimo Maria sua madre, la quale ha un ruolo di prim’ordine e irripetibile nell’opera redentrice compiuta da Gesù stesso con i misteri della sua incarnazione, vita, passione, morte e resurrezione. ]
Proprio dall’affermazione di Gesù, Maria Vergine si presenta in tutta la sua dignità e grandezza. Maria, infatti, prima di essere la madre naturale di Gesù, lo aveva già accolto nella sua mente e nel suo cuore con le parole di risposta all’Arcangelo Gabriele: “Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola”. Nella visita a S. Elisabetta, Maria, viene proclamata beata, beata non perché in seno porta il Verbo di Dio, ma perché ha creduto alla parola del Signore; è detta beata per la sua fede.
Davanti a Dio non sono i vincoli del sangue che costituiscono nobiltà e dignità ma è il dono della grazia che viene concessa da Dio a chi crede in Lui, lo ama ed è pienamente disponibile al compimento della sua volontà. Gesù, con la sua risposta, universalizza la sua parentela, nessuno può avere motivo di vanto davanti a Lui, ma è Lui che, con la sua benignità e con il dono della sua grazia, rende tutti gli uomini ugualmente amici suoi, parenti suoi, familiari suoi. La medesima verità è proclamata, chiaramente, dal Vangelo di Giovanni: “E’ venuto nel mondo che è suo, ma i suoi non l’hanno accolto. Alcuni, però. hanno creduto in Lui; a questi Dio ha fatto un dono: diventare figli di Dio. Non sono diventati figli di Dio per nascita naturale, né per volontà di sangue, né per volontà di uomo, ma è Dio che ha dato loro la nuova vita”. (Giov. 1, 11-13)
La nobiltà dell’uomo non è conferita dal linguaggio umano, ma dalla paternità divina. Dio, infatti, è il padre di tutti, ama tutti, a tutti dona la sua grazia secondo la misura e la natura della mansione che Egli affida a ciascuno nella sua economia divina. Uno dei lati belli del Vangelo di Gesù è la proclamazione dell’universale paternità di Dio e, nell’insegnarci a pregare, Gesù ha detto: “Quando pregate dite così : Padre nostro che sei nei cieli...” . Avendo, l’uomo, Dio per padre non vi è, né può esservi dignità ed onore superiore a questo. Anche l’apostolo Pietro, nel suo insegnamento alle comunità cristiane disperse sulla faccia della terra - a suo tempo ed in tutti i tempi ed i luoghi, proclama altamente, riferendosi a tutti: “Ma voi siete la gente che Dio ha scelto, voi siete per il Regno di Dio un popolo di sacerdoti a Lui consacrati, il popolo che Dio si è scelto per annunziare a tutti le sue opere meravigliose”. (I Pietro 2, 9). Ascoltiamo, a questo riguardo, anche l’apostolo Paolo: “Prima della creazione del mondo Dio ci ha scelti per mezzo di Cristo, per renderci santi e senza difetti di fronte a Lui. Nel suo amore Dio aveva deciso di farci diventare suoi figli per mezzo di Gesù Cristo. Così ha deciso perché così ha voluto nella sua bontà”. (Efesini 1, 4-5).
Tratto dal sito https://www.castellinalafamiglia.it/
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