venerdì 31 luglio 2015

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 6,24-35 - Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!


Gv 6,24-35

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Parola del Signore
 
Riflessione

Dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il popolo, non contento, chiede a Gesù una prova che dimostri che sia Lui il vero Messia. E così gli domandano: “Scusa... ma se Mosè ha sfamato il popolo con il pane dal cielo... Tu, che cosa ci dai?”. Che pianto!!!... Hanno preso Gesù per un candidato alle politiche... Forse si aspettavano come risposta: Mosè ha dato il pane, mentre io vi do un milione di posti di lavoro!!!
Immaginiamo la scena... fra la gente che segue Gesù, molti lavoravano duramente per avere il pane quotidiano. Trovano per incanto qualcuno che moltiplica pane e pesci... è normale che vogliano farlo Re!!!
Pensiamo se tutto questo succedesse oggi... Arriva, di punto in bianco, una persona che compie questo genere di miracoli. Cosa succederebbe?... Sono sicura che non ci sarebbe bisogno di fare le “primarie”, costui diventerebbe all'istante Presidente del Consiglio!!!
Quindi, come allora, oggi più che mai, gli uomini sono orientati a seguire chi gli promette qualcosa per riempire momentaneamente lo stomaco, e Gesù, siccome vuole dare un pane diverso, che a tanti non pare molto “sostanzioso”... viene subito scartato e, come dicono i ragazzi di oggi: "HAI PERSO!!!! Prima lo stomaco... e poi lo spirito".
La realtà è invece che il cibo che ci dà Gesù, non solo ci sostiene ora, ma è il biglietto d'ingresso per la vita eterna. Diceva bene Ignazio di Antiochia riferendosi al pane: “è il farmaco dell’immortalità e l’antidoto contro la morte”.
Ancora oggi però, Gesù è visto come una "slot machine" che al posto di gettoni sputa fuori miracoli... Non tutti infatti, riescono a vederlo come una persona viva, presente nella nostra vita, non solo nel nostro quotidiano, ma nei Sacramenti, dove Lui è più presente che mai. Ma non basta avvicinarsi alla Sua mensa per essere suoi discepoli, bisogna vivere questa esperienza con il batticuore. Ogni giorno infatti, è un incontro amoroso con Lui e ogni giorno deve essere diverso, mai uguale. E' come un rapporto tra sposi... nel momento in cui si arriva a fare tutto per abitudine, senza meravigliarsi, in cui ogni giorno è uguale all'altro, prima o poi si arriva alla rottura.
Torniamo al Vangelo... La cosa che mi fa sorridere è che Gesù, spiega bene che la manna del deserto, data da Dio e non da Mosè, era un sostentamento momentaneo e non adatto per l'eternità..., il Padre suo darà il pane vero..., ma i suoi ascoltatori continuano a vedere solo cibo... Sembra di sfogliare il fumetto di Poldo, che molti ricorderanno... il quale vedeva solo ed esclusivamente panini dappertutto...
E così, gli domandano una bella provvista: «Signore, dacci sempre questo pane». ...paro paro la samaritana al pozzo, che gli domanda un'acqua per la sua brocca così da non dover andare troppo spesso ad attingerla al pozzo... Povero Gesù... scambiato anche per un Supermercato all'ingrosso di pane, pesce e acqua !!!
Ma nel momento in cui iniziano a comprendere che Gesù, parlando del pane sta parlando di Se stesso, iniziano a mollarlo... e così, uno alla volta, piano piano, i più si dileguano.
Gesù assomiglia a una bella torta (non fatta da me...), che sta al centro di un tavolo... tutti i commensali la guardano con meraviglia, ma tra di loro ci sono gli ingordi che esagerano e ne mangiano più del necessario, altri.. quanto basta, altri... la sprecano spargendo pezzi su tutta la tavola, e altri infine la disprezzano senza neanche assaggiarla.
E allora, se non vogliamo essere come la folla che non comprende Gesù, dobbiamo impegnarci e rimanere in fila... per nutrirci di questo cibo che Lui ci mette a disposizione. Dobbiamo cercare, insomma, di prendere sul serio il Suo invito, fidandoci di Lui e avvicinandoci alla Sua mensa con cuore sincero. E quando ci dice: chi viene a me, non avrà più fame”, attenzione... non significa che siccome ho fatto la comunione sono a posto... perché si potrebbe morire di fame ugualmente se non ci avviciniamo a Gesù con sincerità. Con l'Eucaristia noi entriamo infatti in comunione con Lui già in questa vita, anche perché lassù, mi sa che non avremo bisogno di fare la comunione... Gesù sarà davanti a noi e potremo vederlo e toccarlo.
Proviamo a non ricercare sempre segni eclatanti, più evidenti o più sicuri, perché, liberandoci da questa ossessione, riusciremo a dare il giusto valore a quello che abbiamo già ogni giorno sotto il nostro naso e ci è offerto come dono. Un dono che nutre il corpo e guarisce l'anima.
Pace e bene

Sant' Alfonso Maria de' Liguori Vescovo e dottore della Chiesa - 1 agosto - Tema: La salvezza - La preghiera - Maria - Gesù



Il 22 settembre 1774: papa Clemente XIV è morente. Dopo aver ceduto alle pressioni che gli sono state fatte  per sopprimere l'ordine dei Gesuiti, non è riuscito a ritrovare la pace del cuore. Dio, nella sua misericordia, gli invia per assisterlo nei suoi ultimi istanti un santo, Alfonso de' Liguori, allora vescovo di Sant'Agata dei Goti. Ora, nel momento in cui egli assiste il Papa a Roma, il santo vescovo è presente nel suo vescovado a 200 km di distanza. Si tratta di un fenomeno di bilocazione, miracolo veramente straordinario, ma chiaramente attestato dai testimoni oculari.
Alfonso Maria de' Liguori nasce a Napoli, il 27 settembre 1696, primogenito di una famiglia che conterà sette figli. Sua madre li istruisce sulle verità della fede fin dalla più tenera età e insegna loro a pregare. Questo ragazzo è dotato di un'intelligenza vivace, di una memoria pronta, di una ragione retta, di un cuore aperto a tutti i nobili sentimenti, di una volontà ferma ed energica. Suo padre vuole fare di lui un avvocato. I suoi progressi sono così rapidi nello studio della giurisprudenza che, all'età di sedici anni, supera con successo l'esame del dottorato in diritto civile ed ecclesiastico. I giudici sono stupiti della saggezza delle sue risposte e della precisione delle sue repliche.
Avvocato, Alfonso riporta un successo dopo l'altro, il che non manca di dargli il gusto della riuscita e della gloria del mondo. Tuttavia, è tentato di abbandonare questa strada: l'inganno e la menzogna troppo spesso snaturano le cause più giuste, e questo spettacolo rivolta la sua natura retta. Assiduo nella preghiera e in varie opere di carità, mantiene pura la sua anima. Una volta all'anno, si reca in una casa religiosa per dedicarsi agli esercizi spirituali. Riconoscerà in seguito che questi ritiri avevano significativamente contribuito a distaccarlo dai beni temporali per orientarlo verso Dio. Durante la Quaresima 1722, in particolare, il predicatore ricorda i motivi che devono portare l'anima a darsi interamente a Dio; ritrae in modo vivido la caducità delle cose di questo mondo, e non teme di mettere sotto gli occhi dei partecipanti al ritiro i tormenti eterni dell'inferno, così come li ha rivelati Gesù. Si fa allora luce nello spirito del giovane Alfonso: le vanità del mondo si dileguano come altrettante nuvole! Egli si consacra senza riserve alla volontà divina e, qualche tempo dopo, decide di rimanere celibe.

La fede: fondamento di ciò che speriamo (Eb 11,1) - Lettera n° 8 – Tratta da “Lettere agli amici” su come vivere la fede cristiana di padre Basilio Martin



Caro Walter, un giorno sei venuto a trovarmi e hai voluto parlarmi delle tue difficoltà nel continuare a vivere la fede in Cristo, quel dono che avevi sperimentato essere prezioso e testimoniato negli anni della tua gioventù, quando non eri ancora entrato nel mondo del lavoro. Il lavoro, con le sue leggi e i suoi ritmi, ha un po' affievolito quella grinta che ti aveva sempre caratterizzato nel professare le tue convinzioni e i principi cristiani saldamente ancorati nella tua anima, grazie alla testimonianza dei tuoi genitori, alle giornate condivise con gli amici nella tua parrocchia ancora ricca di tradizioni religiose e non intaccata dall'agnosticismo presente nelle grandi città, come quella di Torino in cui ora vivi. L'ambiente di lavoro che ti assorbe per tutta la giornata non ti permette di soffermarti a pensare serenamente al senso della vita, non favorisce il pensare all'esistenza di un Dio amorevole e buono, che si è fatto presentare come Padre dell'umanità. La facilità con cui Dio viene bestemmiato lavorando, il martellamento continuo con la tematica sessuale in certi ambienti di lavoro, l'ansia per essere competitivi con le altre aziende concorrenti, facilitano ancor più il rischio di svuotare l'uomo dei valori cristiani acquisiti durante l'infanzia, mandando in oblio il motivo della sua presenza nel mondo, che altro non è che quello di scoprire Dio, conoscerlo, conformarsi alla Sua immagine e viverlo. Da dove nasce la fede? E' la domanda che spesse volte mi Sento fare. La fede è un dono di Dio, caro Walter, la sua ricerca proviene dall'interrogativo che ognuno si pone dal momento che prende coscienza della propria esistenza: perché sono nato, perché la sofferenza, perché la morte? E dopo la morte cosa ne sarà di tutto quello che l'uomo ha vissuto? Soprattutto quest'ultimo interrogativo provoca l'uomo e lo spinge alla ricerca di Dio. E siccome Dio, come affermava san Giovanni, “nessuno lo ha mai visto” (Gv. 1,18), non resta all'essere umano che dare fiducia e credere alle parole pronunciate da Gesù circa la Sua esistenza, la sua Paternità, la sua volontà di volerci tutti portare a vivere con Lui nell'eternità. Credere. Tale concetto in ebraico si esprime con he'emin, che è la stessa radice della parola che noi utilizziamo alla fine delle nostre preghiere, lasciata non tradotta: Amen. Questo termine in ebraico, non significa solamente “così sia” ma esprime anche il gesto di conficcare nel terreno i pioli di una tenda, affinché essa possa mantenersi in piedi. Avere fede in Dio vuol dire piantare i pioli della tenda della nostra vita in Lui. Il verbo “credere” nella Bibbia suppone quindi un atteggiamento di fiducia perché si poggia su qualcosa di stabile, di solido. “Abramo credette al Signore” (Gn. 15,6), vuol dire che era pieno di fiducia, radicato saldamente in Yahweh, e Dio glielo accreditò come giustizia (Gn. 15,6), cioè dichiarò che quell'uomo credente era “giusto” e capace di entrare in relazione con il Creatore. Credere, secondo la Bibbia, allora, è prima di tutto un credere in Dio, fidarsi ciecamente nel Padre, perché Egli è la roccia dell'umana esistenza. Sai come qualcuno ha definito la fede del credente? “Un buttarsi nel vuoto sapendo di trovare due braccia pronte ad accoglierti”. Il cardinale Joseph Ratzinger diceva che “nel suo nucleo di fondo, la fede consiste nell'accettare di essere amati da Dio”. Qualcuno mi ha chiesto: come nasce la fede?

DOMANDIAMO A DIO COSE GRANDI di S. Alfonso Maria 'De Liguori – Tratto da " Del gran mezzo della preghiera"






E’ meglio pregare che meditare
Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco, e Dio è tutto liberale, dice l’Apostolo, con chi lo chiama in aiuto (Rm 12). Giacché dunque, ci esorta S. Agostino, abbiamo a che fare con un Signore d’infinita potenza, e d’infinita ricchezza; non gli cerchiamo cose piccole e vili, ma domandiamogli qualche cosa di grande (In Ps. 62). Se uno cercasse al re una vile moneta, un quattrino, mi pare che costui farebbe al re un disonore. All’incontro noi onoriamo Dio, onoriamo la sua misericordia e la sua liberalità, allorché vedendoci miseri come siamo, ed indegni di ogni beneficio, gli cerchiamo nondimeno grazie grandi, affidati alla bontà di Dio, ed alla sua fedeltà per la promessa fatta di concedere a chi lo prega qualunque grazia che gli domanda: qualunque cosa vorrete, la chiederete e vi sarà concessa (Gv 15,7). Diceva S. Maria Maddalena de’ Pazzi, che il Signore si sente così onorato, e tanto si consola quando gli cerchiamo le grazie, che in certo modo egli ci ringrazia, poiché così allora par che noi gli apriamo la via a beneficarci ed a contentare il suo genio, ch’è di fare bene a tutti. E persuadiamoci, che quando noi cerchiamo le grazie a Dio, egli ci dà sempre più dì quello che domandiamo: Che se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera (Gc 1,5). Così dice S. Giacomo, per dimostrarci che Dio non è come gli uomini, avaro dei suoi beni. Gli uomini ancorché ricchi, ancorché pii e liberali, quando dispensano elemosine, sono sempre stretti di mano, e per lo più donano meno di ciò che loro si domanda, perché la loro ricchezza, per quanto sia grande, è sempre ricchezza finita, onde quanto più danno, tanto più loro viene a mancare. Ma Dio dona i suoi beni, quando è pregato, abbondantemente, cioè, con la mano larga, dando sempre più di quello che gli si cerca, perché la sua ricchezza è infinita; quanto più dà, più gli resta da dare. Perché soave sei tu, o Signore, e benigno e di molta misericordia per quei che t’invocano (Sal 85,4). Voi, mio Dio, diceva Davide, siete troppo liberale e cortese con chi v’invoca. Le misericordie che voi gli usate sono tanto abbondanti, che superano le sue domande.

giovedì 30 luglio 2015

La testimonianza: irradiare Cristo – Lettera n° 5 – Tratta da “Lettere agli amici” su come vivere la fede cristiana di padre Basilio Martin



Caro Alessio, spesso con gli amici che frequentano la tua comunità parrocchiale, sei invitato ad andare ad annunciare la fede che vivi in Cristo. Sei contento di farlo ma a volte ti scoraggi quando alcuni sacerdoti, religiosi e vescovi di tua conoscenza non rendono testimonianza a Gesù. Conosci Sacerdoti che amano parlare poco di Lui, ma preferiscono parlare molto più di politica, anche durante l'omelia domenicale; religiosi che, pur avendo fatto il voto di povertà, vivono spensierati, senza restrizioni e nella comodità, da far sorgere il sospetto che il voto di povertà porti benessere a quanti lo facciano; vescovi rintanati nei loro uffici ad amministrare i beni della diocesi e a organizzare piani pastorali per riempire le chiese e far occupare posti in Seminario, tempo prezioso che Gesù preferiva consumare andando tra la gente a difendere i diritti di Dio, rischiando più volte violente scariche di sassi (cf. Gv.8,59; 10,31), oltre che insulti, come quello di essere un indemoniato (cf Mt. 9,34; Gv. 7,20). A proposito voglio raccontarti una confidenza fatta dall'ex arcivescovo di Parigi, il cardinale Marty, al suo clero: “Ero stato appena nominato parroco di una piccola borgata. Mentre camminavo per una strada incontrai un contadino che Se ne ritornava alla sua fattoria. Non lo conoscevo e mi presentai. Parlammo insieme per un buon tratto di strada della pioggia e delle stagioni, del raccolto, degli animali, della famiglia e del paese. Qualche tempo dopo ho saputo del contadino che, ritornato a casa, aveva raccontato alla figlia di aver incontrato il nuovo parroco e le aveva confidato: 'Abbiamo parlato di tutto a lungo. Non mi ha detto nulla di Dio'. E' un fatto che per me è rimasto una parabola. Il contadino cristiano si aspettava che un sacerdote non potesse non parlare di Dio anche per istrada. E rimase deluso”. Sai cosa disse l'arcivescovo di Firenze, il cardinale Giovanni Benelli a un gruppo di seminaristi tanti anni addietro? (era l'8 settembre del 1982): “Non bastano i bei discorsi per evangelizzare, non bastano le tecniche pastorali, non bastano gli schemi metodologici per arrivare in maniera più comprensibile alla gente di oggi... Chi sono i più grandi oppositori di Gesù? Sono gli uomini di religione, coloro che maggiormente osservano la parola di Dio. Uomini che si Sono accomodati nella Chiesa, hanno trovato nella Chiesa la loro maniera di realizzazione, siano vescovi, siano sacerdoti, siano battezzati. Si sono accomodati e sono coloro che si opporranno nella maniera più forte e più efficace alla novità del Vangelo, quella novità che deve ritornare a galla e deve per forza urtare la sensibilità di coloro che ormai si sono seduti, si son ben sistemati nella Chiesa... E' gente che osserva, pretende di osservare, crede di fare ciò che è comandato da Dio, ma in fondo non serve la Chiesa, serve se stessa. Si serve della Chiesa e protegge la propria pigrizia, protegge gli interessi di cui, magari, non ha chiara coscienza, ma protegge comunque se stessa, il proprio modo di vedere... Non gli oppositori, non le ideologie avverse al cristianesimo, non quelli che stanno sull'altra sponda, non sono loro i più grandi nemici. I maggiori nemici sono i cristiani che si sono seduti, che si son fatti una religione a modo loro” (cf. “30 giorni”, agosto-settembre 1992, pag. 56). Anch'io Sono rimasto deluso e scandalizzato più volte dalla contro-testimonianza di alcuni miei confratelli che, nella loro debolezza, mi hanno accusato ingiustamente e calunniato, e tutto questo l'hanno fatto nel nome del Vangelo, mentre in verità il loro agire nasceva da invidia e pusillanimità. Sono rimasto Scandalizzato ad esempio dalle giustificazioni che il cardinale C. M. Martini dava al rilassamento morale di tanti cristiani, non più propensi ad avere come modello di Vita morale Gesù Cristo, giustificando così i rapporti Omosessuali che San Paolo ha condannato in modo inequivocabile (cf. Rm. 1,24-32); la libertà sessuale che sempre San Paolo condannava ammonendo i cristiani di Corinto: “Il corpo non è per la fornicazione in quanto esso è il tempio dello Spirito Santo” (cf. 1Cor. 6,13-20); l'eutanasia.

mercoledì 29 luglio 2015

Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo (Disc. 43; PL 52, 320 e 322)





    Tre sono le cose, tre, o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l'una dall'altra.
    Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica.
    Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chi domanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. È un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé.
    O uomo, sii tu stesso per te la regola della misericordia. Il modo con cui vuoi che si usi misericordia a te, usalo tu con gli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Offri agli altri quella stessa pronta misericordia, che desideri per te.
    Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un'unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un'unica difesa, un'unica preghiera sotto tre aspetti.
    Quanto col disprezzo abbiamo perduto, conquistiamolo con il digiuno. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché non c'è nulla di più gradito che possiamo offrire a Dio, come dimostra il profeta quando dice: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 50, 19).
    O uomo, offri a Dio la tua anima ed offri l'oblazione del digiuno, perché sia pura l'ostia, santo il sacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non dà questo a Dio non sarà scusato, perché non può non avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, sia accompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dalla misericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra, è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sràdichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia.
    O tu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quello invece che tu avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio. Pertanto, o uomo, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Dà a te stesso, dando al povero, perché ciò che avrai lasciato in eredità ad un altro, tu non lo avrai.

L'amore, desiderio di vedere Dio - Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo, vescovo (Disc. 147; PL 52, 594-595)




       

    Dio, vedendo il mondo sconvolto dalla paura, interviene sollecitamente per richiamarlo con l'amore, invitarlo con la grazia, trattenerlo con la carità, stringerlo a sé con l'affetto.
    Lava con il diluvio vendicatore la terra invecchiata nel male, chiama Noè padre del mondo rinnovato e lo esorta con parole amorevoli, gli accorda la sua confidenza e la sua amicizia, lo informa con benevolenza sul presente, lo conforta con la sua grazia per il futuro. Egli non si limita a dar ordini, ma offre la sua collaborazione e accomuna la sua opera a quella delle realtà create. Con un patto di amore toglie il timore che rendeva schiavi gli uomini. Così Dio e l'umanità, associati nell'amore, conservano insieme ciò che avevano acquistato con azione comune.
    Per questo egli chiama Abramo di mezzo ai pagani, lo nobilita con un nome nuovo, lo costituisce padre della fede, lo accompagna nel cammino, lo protegge fra gli stranieri, lo arricchisce di beni, lo onora con successi, lo impegna con promesse, lo sottrae alle offese, lo blandisce con l'ospitalità, lo esalta con un erede insperato, perché colmato di tanti beni, avvinto da tanta soavità di divino amore, imparasse ad amare Dio, non ad averne timore, lo servisse con amore, non con paura. Per questo conforta in sogno Giacobbe nella fuga, lo provoca alla lotta nel ritorno, lo serra nell'amplesso del lottatore, perché ami il Padre con cui aveva lottato e non ne abbia timore. Per questo chiama Mosè con la lingua dei padri, gli parla con paterno amore, l'invita ad essere il liberatore del suo popolo.
    Per i fatti ricordati, la fiamma della divina carità accese i cuori umani e tutta l'ebbrezza dell'amore di Dio si effuse nei sensi dell'uomo. Feriti nell'anima, gli uomini cominciarono a volere vedere Dio con gli occhi del corpo. Ma se Dio non può essere contenuto dal mondo intero, come poteva venir percepito dall'angusto sguardo umano? Si deve rispondere che l'esigenza dell'amore non bada a quel che sarà, che cosa debba, che cosa gli sia possibile. L'amore non si arresta davanti all'impossibile, non si attenua di fronte alle difficoltà.
    L'amore, se non raggiunge quel che brama, uccide l'amante; e perciò va dove è attratto, non dove dovrebbe. L'amore genera il desiderio, aumenta d'ardore e l'ardore tende al vietato. E che più? L'amore non può trattenersi dal vedere ciò che ama; per questo tutti i santi stimarono ben poco ciò che avevano ottenuto, se non arrivavano a vedere Dio. Perciò l'amore che brama vedere Dio, benché non abbia discrezione, ha tuttavia ardore di pietà. Perciò Mosè arriva a dire: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, fammi vedere il tuo volto (cfr. Es 33, 13). Per questo anche il salmista dice: Mostrami il tuo volto (cfr. Sal 79, 4). Gli stessi pagani infatti hanno plasmato gli idoli, per poter vedere con gli occhi, nelle loro stesse aberrazioni, quel che adoravano.

venerdì 24 luglio 2015

Dal DIARIO (1940-1945) di Madre M. Pierina De Micheli Apostola del Volto Santo




1 Giugno - Ho passato una notte di tormenti. Le tre ore di adorazione furono una tortura. Se San Silvestro non mi avesse trattenuta, avrei ceduto alla tentazione... Quale cambiamento si operò nell'anima mia stamane alla S. Messa del Padre!... Si fece tanta luce nell'animo mio, e Gesù mi ha fatto conoscere quanto sia preziosa la croce e la sofferenza... mi sono perduta nel suo cuore...
O Gesù, non venga mai meno in me il coraggio di compiere la Tua Divina Volontà per la maggior Gloria di Dio! Durante tutto il tempo della S. Messa vidi sempre una bianca colomba volare dolcemente sopra il Padre e l'Altare. Era l'emblema del Divino Spirito, che scendeva con l'abbondanza dei Suoi Doni! Nel pomeriggio mentre pregavo, fui come assorbita in Dio, e vidi non con gli occhi materiali che neppure sapevo di essere in terra, un gruppo di anime di Religiose e Sacerdoti, e un gruppo di Religiose separate, in gran luce. Gesù mi fece comprendere come le mie lotte e sofferenze avevano illuminate quelle anime. lo domandai perché il gruppo delle Religiose erano separate, e Gesù mi rispose: QUELLE RELIGIOSE MI HANNO FATTO TANTO SOFFRIRE, CON LE LORO RESISTENZE E DISUBBIDIENZE, E LA TUA UBBIDIENZA AL PADRE, MI PROCURAVA TANTA CONSOLAZIONE, E HA OTTENUTO LA LUCE A QUESTE ANIME. Dicendo io, come mai l'avessi tanto consolato, mentre tante volte mi parve di essere ribelle, Gesù mi assicuro che la mia volontà è sempre stata sottomessa. Quanto è buono Gesù, coideboli e miserabili! ed io che farò? La Volontà di Dio, costi quello che costi - Ubbidienza... usque ad mortem - Per la salvezza delle anime acconsentire a qualunque sacrificio.
2 Giugno - Sono passata dalla luce alle tenebre, dal riposo alla lotta. Benone! Alleluia! Questa notte ho avuto un vomito di sangue spaventoso! Gesù l'ha dato tutto, dunque, che gran cosa è anima mia! Coraggio.

Beata Maria Pierina (Giuseppa Maria) De Micheli Vergine - 26 luglio



Madre Pierina De Micheli nasce a Milano l'11 settembre 1890 in una famiglia profondamenta religiosa. Il papà Cesare e la mamma Luigina Radice con gioia la fanno battezzare nello stesso giorno della sua nascita nella parrocchia San Pietro in Sala con il nome di Giuseppina, in memoria del fratello Giuseppe morto a tredici anni.
Dopo due anni dalla sua nascita il papà Cesare verrà chamato da Dio. La mamma Luigina rimarrà sola a provvedere per i suoi sei figli ( Angelina, Maria; Giovannina, Riccardo, Piero e Giuseppina). La sua forza sarà la fede in Dio e nella Madonna.
Sarà Angelina, la sorella più grande, ad occuparsi di lei e ad insegnarle la preghiera. Nasce subito in lei un amore intenso verso Cristo e in questo suo primo sviluppo verso la fede guarda con ammirazione l'entrata al seminario del fratello Riccardo. A sei anni frequenta l'Istituto Sacro Cuore di Piazza Buonarrotti. Il 3 maggio
1898 riceve Gesù nella prima Comunione e a riguardo scriverà: "Anniversario della mia prima Comunione. Allora, vidi il piccolo Gesù nell'Ostia... Paradiso in terra. Oggi, solo per fede. Domani faccia a faccia. So che Lui mi ama".
Il 2 ottobre 1900 la sorella Angelina entra nel convento delle Sacramentine di Seregno e per lei sarà un grande piacere far visita alla sorella suora nel convento di clausura. Qui incontrerà Madre Parravicini che già sembra intuire i singolari favori divini che caratterizzano la ragazza.

IL SEME DELLA PAROLA E LA BUONA TERRA - San Giovanni Crisostomo


San Giovanni Crisostomo
Dopo studi brillanti e lunghi ritiri in solitudine, Giovanni Crisostomo (nato verso il 344) fu ordinato sacerdote in Antiochia, sua città natale, nel 386. Rivelò immediatamente una eloquenza di potenza eccezionale. Nominato vescovo di Costantinopoli nel 398, si impegnò a riformar gli abusi che in quella Chiesa si erano insinuati e a confermar la fede dei suoi fedeli. Il suo messaggio, eco di tutta la Bibbia - specie di San Paolo e del Vangelo - sembrò rivoluzionario a molti contemporanei. La fermezza con cui denunciò lo sfarzo della corte imperiale lo fece condannar due volte all'esilio. Relegato ai confini del Mar Nero, vi morì consumato nel 407.

Nella parabola del seminatore, il Cristo ci mostra che la sua parola si rivolge a tutti indistintamente. Come, infatti, il seminatore (del Vangelo) non fa distinzione tra i terreni, ma semina in tutte le direzioni, così il Signore non distingue tra il ricco e il povero, il saggio e lo sciocco, il negligente e l'impegnato, il coraggioso e il pavido, ma si indirizza a tutti e, nonostante che egli conosca l'avvenire, da parte sua pone in opera tutto, sì da poter dire: Che avrei dovuto far di più, e non l'ho fatto? (Is. 5, 4).
Il Signore racconta questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed educarli a non lasciarsi deprimere, anche se coloro che accolgono la Parola sono meno numerosi di quelli che la sperperano. Così avveniva per il Maestro stesso che, nonostante la sua conoscenza del futuro, non desisteva dallo sparger la semente. Ma, si dirà, perché mai buttarla tra i rovi, tra le pietre o sulla strada? Se si trattasse di una semente e d'un terreno materiali, sarebbe insensato; ma allorché si tratta di anime e della dottrina, l'operato è degno di approvazione. Giustamente si riprenderebbe il coltivatore che si comportasse in tal modo: la pietra non saprebbe farsi terra, la strada non può esser che strada e le spine, spine. Ma nella sfera spirituale non avviene lo stesso: la pietra può divenir terra fertile, la strada può non esser più calpestata dai passanti e divenir campo fecondo, le spine possono esser divelte per consentire al seme di germogliare senza ostacoli. Se ciò non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso la semente come ha fatto. Se la trasformazione benefica non si è sempre avverata, ciò non dipende dal seminatore, ma da coloro che non hanno voluto esser trasformati. Il seminato re ha adempiuto il suo dovere, ma se si è sprecato ciò ch'egli ha dato, il responsabile non è certo l'autore di tanto beneficio...
Non prendiamocela pertanto con le cose in sé, ma con la corruzione della nostra volontà. Si può esser ricchi e non lasciarsi sedurre dalle ricchezze, viver nel secolo e non lasciarsi soffocare dagli affanni. Il Signore non vuoi gettarci nella disperazione, bensì offrirci una speranza di conversione e dimostrarci che è possibile passare dalle condizioni precedenti a quella della buona terra.
Ma se la terra è buona, se il seminatore è il medesimo, se le sementi sono le stesse, perché uno ha dato cento, un altro sessanta e un altro trenta? La qualità del terreno è il principio della differenza. Non è né il coltivatore né la semente, bensì la terra in cui è accolta. Conseguentemente, la responsabile è la nostra volontà, non la nostra natura. Quanto immenso è l'amore di Dio per gli uomini! Invece di esigere identica misura di virtù, egli accoglie i primi, non respinge i secondi e offre un posto ai terzi. Il Signore dà questo esempio per evitare a coloro che lo seguono di creder che, per essere salvi, basti ascoltare le sue parole... No, ciò non è sufficiente per la nostra salvezza Bisogna anzitutto ascoltare con attenzione la parola e custodirla fedelmente nella memoria. Quindi occorre alienarsi con coraggio per metterla in pratica.

San Charbel Makhlouf - Tema: Primato di Dio - Eremita


«Che cosa è il reale? chiedeva papa Benedetto XVI, il 13 maggio 2007. Sono «realtà» solo i beni materiali, i problemi sociali, economici e politici? Qui sta precisamente il grande errore delle tendenze dominanti nell'ultimo secolo, errore distruttivo, come dimostrano i risultati tanto dei sistemi marxisti quanto di quelli capitalisti. Falsificano il concetto di realtà con l'amputazione della realtà fondante, e per questo decisiva, che è Dio. Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica il concetto di «realtà» e, in conseguenza, può finire solo in strade sbagliate e con ricette distruttive. La prima affermazione fondamentale è, dunque, la seguente: solo chi riconosce Dio, conosce la realtà e può rispondere ad essa in modo adeguato e realmente umano.»
La vita consacrata testimonia l'importanza di Dio. La vita in solitudine degli eremiti, in particolare, è «un invito per i propri simili e per la stessa comunità ecclesiale a non perdere mai di vista la suprema vocazione, che è di stare sempre con il Signore» (Giovanni Paolo II, Esortazione Vita consecrata, 25 marzo 1996, n. 7). Per illustrare questa verità, la Chiesa ci propone l'esempio di san Charbel Makhlouf.
A 140 chilometri a nord di Beirut, si trova Biqa-Kafra, il più alto villaggio del Libano, a 1600 metri di altitudine. Di fronte, si ammirano i famosi «Cedri di Dio». Gli abitanti di questi luoghi, dal carattere turbolento, sono buoni, ospitali e laboriosi. Come tutti i Maroniti (membri della Chiesa cattolica orientale fondata da san Marone, nei secoli IV-V), sono orgogliosi della loro fede e praticano la religione senza rispetto umano. Molto devoti alla Vergine Maria, recitano volentieri il suo Rosario. È in questo villaggio che nasce, l'8 maggio 1828, il quinto figlio di Antoun (Antonio) Makhlouf e Brigita (Brigida) Choudiac. Otto giorni dopo la nascita, riceve al santo Battesimo il nome di Youssef (Giuseppe). Animata da una pietà quasi monastica, Brigita Makhlouf è intransigente sulla preghiera in famiglia. La fervente partecipazione alla Messa e la recita quotidiana del rosario costituiscono gli elementi principali della sua devozione. Due suoi fratelli sono monaci nell'Ordine maronita libanese e vivono in un eremo a cinque miglia da Biqa-Kafra.

mercoledì 22 luglio 2015

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 15,1-8 - Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.


 Gv 15,1-8

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Parola del Signore
Riflessione

Gesù, dicendoci nel Vangelo di oggi: “Io sono la vite vera...”, ci mette in guardia; ed è come se ci dicesse di stare lontani da tante piante di vite selvatiche che crescono dappertutto, ma che non daranno mai frutto. "Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata” (Mt 15, 30). Quindi, se ci ostiniamo a rimanere attaccati alla pianta sbagliata finiremo nel caminetto!!!
Il cammino di fede è come una pianta di vite... ha necessità di cure continue e, a volte, drastiche. Dio, che è l'agricoltore, ha molta pazienza, ogni giorno lavora per la Sua vigna affinché nel giorno della vendemmia il Suo Regno sia colmo di ceste d'uva. Possiamo considerare inoltre come la vite sia un segno di comunione, infatti, dal suo frutto si ottiene il vino... e questo durante l'ultima cena viene trasformato: "...Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati (Mt 26, 28). Quindi, se Lui è la vite e noi i tralci, il raccolto è bello che assicurato. San Paolo, nella lettera ai Romani, ci dà un ottimo incoraggiamento: Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami” (Rm 11, 16).
Il problema di tanti cristiani è che vogliono essere circondati da piante o erbacce per sentirsi più sicuri e non sentirsi soli. I soldi, le cene con amici, i viaggi, la bella automobile, le discoteche, i vestiti firmati, non sono altro che erbacce che coprono la pianta. Tutte cose stimolanti e piacevoli, ma che non durano, e una volta circondata la pianta soffoca e muore. Piano piano infatti, ci si renderà conto che tutte queste cose hanno una fine... e così, un bel giorno, ci si ritroverà veramente soli. Allora Gesù, oggi, ci dà la ricetta per evitare di soffrire inutilmente... “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. Dire di si a Dio e mettersi nelle Sue mani significa accettare di lasciarsi lavorare. Significa lasciarsi svestire completamente... e poi, Lui stesso confezionerà un bel vestitino fatto apposta per noi. Questo momento di spogliamento è per noi piuttosto doloroso. Con le Sue cesoie infatti, il Signore molto spesso sembra che non vada tanto per il sottile, è un po' pesante, addirittura insopportabile!!!... E così, sforbiciata dopo sforbiciata, ti ritrovi nuda. Non solo... ma guardandoti attorno vedi tanto verde e, per un momento, ti senti sconsolata e infreddolita... quasi, quasi, invidi la pianta selvatica piena di foglie. Ti ritrovi inoltre a combattere con le tue debolezze e a dover sopportare la derisione delle altre piante, apparentemente più rigogliose e prospere di te. Mi viene in mente un passo di Isaia (5, 20): “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro”. Questo passo dovremmo tenerlo a mente in certi momenti di tentazione...
Allora, una volta che abbiamo deciso di farci lavorare, cerchiamo di essere dei bravi pazienti e sopportiamo le medicine anche se, a volte, sono un po' amare. Gesù non ci molla un attimo e non ci nega mai la Sua tenerezza. Il Suo mantello infatti è sempre sulle nostre spalle. Lui non permetterà mai che i Suoi amici muoiano di freddo... e, anche nel post-operatorio si prende cura di noi, non ci farà mancare mai niente. La pace e la gioia sono i Suoi doni preferiti... La cosa singolare in questo cammino di fede, è che non siamo a posto con una sola potatura, essendo dei malati cronici e piuttosto complicati, abbiamo bisogno ogni giorno di essere ritoccati. Con me il buon Dio non rimarrà mai senza lavoro!!!
Con il Sacramento della Confessione, "frequente", abbiamo poi la possibilità di eliminare subito le piccole piantine selvatiche che stanno per spuntare attorno, in modo da essere sempre lindi. Essere spolverati è meno doloroso che essere potati... Quindi... E poi, accostandoci ogni giorno alla Sua Mensa, continueremo a rimanere con Lui e nessuno ci potrà più estirpare. Le Sue radici infatti, non sono di questo mondo...
Pace e bene

LA PASSIONE DI GESÙ - P. Luigi di S. Carlo Passionista - Direzione Apostolato Passionista Recanati (MC) 1989




Vi prego per quanto so e posso: approfittatevi di quel­la scienza divina che Gesù vi insegna alla scuola della sua Passione.
Fondate sempre la vostra meditazione sopra i misteri della Passione di Gesù, non la lasciate mai: vedrete miracoli della misericordia di Dio. È qui che hanno im­parato i santi.
Senza l'esperienza della Croce non s'intendono le splendide meraviglie che Dio opera nell'anima. (S. Paolo della Croce, Fondatore della Congregazione dei Passionisti)

METODO PER MEDITARE LA PASSIONE DI GESÙ
PREMESSA
Leggendo questo libro non devi contentarti di sapere quanto ha sofferto Gesù. Ti gioverà molto, dopo aver letto uno o più punti, fermar­ti alquanto a meditare le sue strazianti pene: al­lora esse penetreranno a fondo nella tua mente e nel tuo cuore, e il tuo spirito sarà imbevuto del sentimento della Passione di Gesù. Forse anche tu fai parte di quelle anime che potreb­bero chiedere: Come potrò meditare, se non ne co­nosco il modo? Per meditare non si richiedono qualità straordinarie. "Per ben meditare non si ricerca né grande capacità, né talenti, né stu­dio, né grandi ardori, né gusto sensibile sui mi­steri e sulle verità che si vanno meditando; ma solamente un cuore retto, una buona volontà, che desidera efficacemente la propria salvezza, un'umiltà sincera, che conosce i suoi bisogni. In poche parole: basta avere le qualità di un povero, penetrato intimamente dal sentimento della sua estrema miseria". Quanto è facile presentarsi a Dio con queste disposizioni! Il motivo, quindi, della tua incapacità è un pretesto qualunque da cui non ti devi far dominare.
(…) Che cos'è la meditazione? Nient'altro che l'eser­cizio, su qualche verità della fede, delle tre po­tenze dell'anima: la memoria, l'intelletto, la vo­lontà. Meditare la Passione del Signore è eserci­tare le tre potenze su qualche punto di essa. La memoria ricorda le sofferenze di Gesù, l'intellet­to le considera, la volontà suscita santi affetti e buone risoluzioni. In quante parti si divide? Si può dividere in tre parti: preparazione, meditazione propriamen­te detta, conclusione.

Monsignor Boleslaw Sloskans - Tema: Provvidenza - Eucaristia - Preghiera


Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?«Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita« né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8,35-39). Queste parole di san Paolo si applicano in modo particolare alla vita di Mons. Sloskans, vescovo lettone che, dopo un anno di episcopato, ha sofferto per la fede; incarcerato in diciassette prigioni sovietiche, ha conosciuto la deportazione in Siberia e un esilio di più di trent'anni lontano dalla sua patria. La sua vita testimonia della presenza di Gesù Cristo nella sua Chiesa, e in ciascuno dei suoi discepoli: il Salvatore dà loro forza e luce, anche in condizioni umanamente insopportabili.
Boleslaw Sloskans è nato il 31 agosto 1893, a Tiltgals, in Lettonia. Questo paese baltico faceva allora parte dell'impero russo degli Zar. I genitori di Boleslao, che sono cattolici, hanno la gioia di mettere al mondo sei figli. La formazione religiosa si fa in seno alla famiglia. Alla conclusione dei suoi studi elementari, Boleslao informa suo padre della sua intenzione di diventare prete. Quest'ultimo esprime il suo consenso con un pugno sul tavolo, mettendo come unica condizione che suo figlio s'impegni a diventare un buon prete. Alla fine dei suoi studi effettuati a San Pietroburgo, in Russia, Boleslao viene ordinato prete il 21 gennaio 1917. Nell'autunno seguente scoppia la rivoluzione bolscevica; i comunisti s'impadroniscono del potere. Poco per volta, l'insegnamento religioso viene proibito, le chiese vengono chiuse, i vescovi e i preti imprigionati« Nel novembre 1918, la Lettonia riconquista la sua indipendenza dalla Russia, ma, rimanendo chiuse le frontiere, Boleslao è costretto a rimanere a Pietrogrado. Vi è incaricato della parrocchia di santa Caterina dove il suo zelo pastorale e la saggezza del suo giudizio sono molto apprezzati.
«Un uomo semplice ma santo»

Giacomo Lebreton - Tema : Sofferenza



La sofferenza rimane uno dei più oscuri enigmi dell'esistenza umana. La sua realtà colpisce tutti gli uomini: nessuno vi sfugge. Se lo spettacolo del creato apre lo sguardo dell'anima sull'esistenza di Dio, la sua sapienza, la sua bontà e la sua provvidenza, la sofferenza che popola il mondo sembra offuscare quest'immagine. Certuni possono addirittura esser tentati di negare l'esistenza di Dio: «Se Dio esiste, perchè tanto male nel mondo?» Infatti, come mai la nostra vita sulla terra è talmente piena di dolori e di conflitti? Conflitti fra l'anima che è immortale, ed il corpo, straziato dalla malattia e dalla morte; fra la ragione e le passioni, che ci trascinano in direzioni contrarie; conflitti fra l'uomo e l'universo, l'uomo che lavora tutti i giorni per trarre di che nutrirsi da quella terra, che, troppo spesso, lo contraccambia con carestie e catastrofi. Perchè tante pene?
«Al centro di ogni dolore che colpisce l'uomo, ed altresì alla base del mondo delle sofferenze, appare inevitabilmente la domanda: Perchè?» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, dell'11 febbraio 1984, sul «Senso cristiano della sofferenza», 9).
Armonia meravigliosa
La Rivelazione ci insegna che Dio, all'origine, non ha creato l'uomo in tale stato drammatico. Non gli ha dato soltanto la qualità di uomo, di «animale ragionevole», lo ha, subito, fissato in uno stato di santità, l'ha rivestito della propria grazia, è andato ad «abitare in lui». Questo esprime il versetto della Genesi: Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (Gen. 1, 26). I Padri della Chiesa hanno visto nell'espressione a sua somiglianza un'allusione alla grazia santificante che rendeva l'uomo partecipe della natura divina, «simile a Dio». La grazia conferita ad Adamo aveva la particolarità di estendere la propria influenza sulla totalità dell'essere umano, corpo ed anima, attraverso effetti di potenza che ci sono ormai ignoti. L'anima dominava pienamente il corpo, premunendolo contro la sofferenza e la morte; la ragione, scevra di concupiscenza, governava perfettamente le passioni; infine, l'uomo regnava veramente sul mondo, la terra era per lui un giardino di delizie, un paradiso, senza fatica penosa nè lotta contro la natura.

martedì 21 luglio 2015

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 20, 1-2.11-18 - Ho visto il Signore e mi ha detto queste cose.



Gv 20, 1-2.11-18



Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Parola del Signore


Riflessione


Maria, come tutti i discepoli, è ancora smarrita per quello che è accaduto nei giorni precedenti. Il dolore è grande ma, nonostante tutto, si butta giù dal letto mentre ancora è buio e va a trovare il suo Signore... la sua Aurora. E' bellissima questa immagine!!!... Dovremmo imparare da lei quando nei momenti di dolore, di buio, di sofferenza, di disagio... ci lasciamo andare, ci angustiamo, ci disperiamo, non vogliamo reagire, ci rinchiudiamo in noi stessi, non vogliamo fare più nulla né per noi, né per gli altri... Maria si trova davanti al sepolcro di Gesù e piange... pensa che il Suo corpo sia stato rubato. Certo fa un po' sorridere il fatto che scambia Gesù per un giardiniere, un ladro di salme, e in più anche poco furbo... Si è mai visto un ladro che dopo aver rubato se ne sta tranquillo ad aspettare le forze dell'ordine?... L'inquietudine e l'affanno la tormentano finché il “giardiniere” pronuncia il suo nome: "Maria"!!!... Adesso i dubbi, le inquietudini e le angosce svaniscono... solo il suo Maestro la poteva chiamare in quel modo così dolce, così tenero... Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia (Salmo 126, 2).
Come Maria però, anche noi, molto spesso, specialmente nei momenti di dolore, abbiamo delle difficoltà a riconoscere il Signore, a riconoscere la Sua voce... Nella nostra quotidianità ci sono momenti in cui tutto sembra finito, tutto si sgretola: tanti dolori, tante delusioni, tanti tradimenti... è come se il terreno ti venisse a mancare sotto i piedi. Il pianto che sgorga da queste sofferenze ci annebbia la vista e ci impedisce di vedere chi ci sta accanto. Siamo così concentrati su noi stessi e su quello che ci sta accadendo che non vediamo chi al nostro fianco soffre più di noi. Ma le nostre orecchie funzionano meglio dei nostri occhi (a volte)... infatti Maria riconosce Gesù dalla Sua voce... Una voce non menzoniera, che si distingue da quella di un brigante perché è la voce del buon Pastore... "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" (Gv 10, 27). Certo che ascoltare la voce di Dio, parlare con Lui,  obbedirGli... oggi è considerato da tanti una follia... e forse lo è anche!!!
Non è facile infatti riconoscere la voce di Gesù in mezzo alla confusione che ci circonda; confusione fuori e dentro di noi... in mezzo alla vita frenetica di questo mondo, in mezzo ai problemi e alle sofferenze di ogni genere... come riconoscere la voce di Gesù? Abbiamo bisogno di un aiuto perché non è facile discernere la voce di Dio dalla nostra. A volte siamo convinti che sia Lui a parlare, invece sono solo i nostri desideri. Ecco perché abbiamo bisogno di una buona guida spirituale che ci accompagni lungo il cammino. Non è facile da trovare neanche quella... ma una volta trovata, non pensiamo di aver risolto i nostri problemi o i nostri turbamenti... i timori li avremmo sempre; diceva giustamente Sant'Alfonso Maria de Liguori in Solitudine e aridità spirituale - “La Pace vera e totale Dio ce l'assicura solo in cielo. In questa vita vuole che avvertiamo qualche timore, altrimenti ci dimentichiamo di chiedergli il suo aiuto divino e non confidiamo più nella sua misericordia. Proprio per questo Dio permette che siamo turbati da timori, per non lasciare di ricorrere a lui”.
Con la Risurrezione Gesù ci dimostra che è un uomo di parola come pochi... mantiene la Sua promessa: “Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49, 15).
Gesù ci ridà la speranza e ci fa capire che il Suo amore è più forte della morte e che niente può distruggerlo... "E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi..." (1Pt 3, 14-15).
Gesù è stato e sarà il Signore dei vivi e non dei morti. Dobbiamo quindi cercare Lui non nel sepolcro ma dentro il nostro cuore... nel nostro intimo. Lui infatti continua ancora oggi a essere presente e vivo come non mai nell'Eucaristia. Lui vive in noi ogni Santo giorno e possiamo così esclamare come San Paolo: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20).
Nel momento della Comunione entriamo in intimità con Gesù come se fosse un amico vero e vivo... perché Gesù è Risorto e quindi vive. E' un balsamo per le nostre ferite... è un fuoco che non brucia e che rimane acceso in noi anche quando rientriamo a casa o siamo presi dalle nostre occupazioni.
E' un amico che riempie le nostre giornate e ci fa desiderare di stare sempre con Lui, ci fa desiderare di non mollarlo un solo istante.
E quando nei momenti di sconforto i nostri occhi si appannano dal pianto, proviamo ad aggrapparci a Lui... Lui non aspetta altro che asciugare le nostre lacrime. E poi... possiamo domandarGli di aiutarci ad annunciare al mondo, con la nostra vita, la gioia di averLo incontrato... un incontro che cambia la vita, che cambia il cuore riempiendolo di speranza, di fede e di amore. La nostra vita finalmente diventerà un capolavoro! Allora, forza e coraggio... non perdiamo la speranza perché, come ha detto Papa Francesco: "Quando un cristiano dimentica la speranza, o peggio perde la speranza, la sua vita non ha senso. È come se la sua vita fosse davanti ad un muro: niente. Ma il Signore ci consola e ci rifà, con la speranza, andare avanti".
Pace e bene

lunedì 20 luglio 2015

PENSACI BENE



QUESTA TUA INUTILE VITA
Quante volte, dopo una scorsa al giornale, una sosta al televisore o alla radio, con la bocca amara, ti sarai buttato a sedere dicendo: "Tutto va male! Sempre di male in peggio! Più niente da fare!" E avrai ricominciato il tuo rosario d'imprecazioni contro le magagne del governo, la rivalità dei partiti, l'impotenza delle forze dell'or­dine, gli scioperi a catena, la contestazione dei giovani, le scuole occupate da rivoltosi, gli scassi per rapina, gli assalti alle banche, i sequestri di persone, il traffico della droga, la tratta delle bianche e altre belle cose.
Proprio più nulla da fare! E ti rinchiudi avvili­to in te stesso, immerso in una egoistica solitu­dine. Pensi che la tua sia la protesta di un galan­tuomo, mentre è la vigliaccheria di un rinuncia­tario. Sei il soldato che si rifiuta di combattere. La sentinella che abbandona il posto. Il male c'è, ma non bisogna abbandonarsi alla deriva. Esso va combattuto col contributo di quanti seriamente lo detestano. Tu invece contribuisci ad aggra­varlo.
La tua è una visione troppo unilaterale. Nel mondo ci sono anche i buoni. C'è anche del bene. Unisciti con quelli. Spargi tu pure semi ed opere di bontà: non tutti saranno insensibili alla loro presa. Sii uomo di carattere. Sii cristiano autentico: come tale tu disponi di risorse incal­colabili. Sappi metterle a frutto. Sappi sentire ed abbracciare le tue responsabilità di uomo e di credente. Il tuo lavoro sarà meno vistoso; ma frutterà, e nella misura che saprai credere nella forza dinamica e sotterranea del bene. C'è Dio con te. Non lo dimenticare!
RICORDA: "L'uomo è stato creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e ciò facendo, salvare la sua anima" (S. Ignazio, Es. spir.).

domenica 19 luglio 2015

Dal libro dell’Èsodo - Es 14, 5-18 - Sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone



 
 Es 14, 5-18

In quei giorni, quando fu riferito al re d’Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: «Che cosa abbiamo fatto, lasciando che Israele si sottraesse al nostro servizio?». Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati. Prese seicento carri scelti e tutti i carri d’Egitto con i combattenti sopra ciascuno di essi.
Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re d’Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare; tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito erano presso Pi Achiròt, davanti a Baal Sefòn.
Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani marciavano dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. E dissero a Mosè: «È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall’Egitto? Non ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto”?». Mosè rispose: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli».
Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».

Parola di Dio

Riflessione

Gli Egiziani che inseguono Israele è la storia di ognuno di noi. Se da una parte il testo di oggi ci mostra la potenza di Dio, dall'altra, dimostra il nostro nulla. Senza di Lui siamo spacciati!!!
Dobbiamo metterci l'animo in pace... Dio interviene sempre quando ci troviamo a un piede dalla fossa!!! "Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell'abbandono confidente sta la vostra forza" (Is 30, 15).
Ma perché Dio rende il cuore del Faraone così duro?... Se vuole salvare il suo popolo, come poi farà, perché farlo arrivare a provare paura, angoscia, tormenti?... E' il solito discorso: per dimostrare che non siamo noi a vincere, ma Lui. E' Dio che fa tutto e, se aspetta fino alla fine, è per farci rendere conto della nostra impotenza, dei nostri limiti, di quanto grave è per l'uomo abbandonare il suo Dio, per non farci insuperbire, per demolire ogni rimasuglio di orgoglio, per tastare la nostra fede, per darci una bella ricompensa...
Il cuore duro del faraone è una figura dell'ostinazione del demonio che non accetta di essere vinto, non sopporta di essere preso in giro, non vuole che da schiavi diventiamo liberi e allora cerca in tutti i modi di recuperare l'anima che gli sta scappando di mano. La nostra anima è in una lotta continua fra il bene e il male, il che non è molto riposante!!!...
Quando un cristiano diventa un vero amico del Signore, il proprietario del piano di sotto trema... e così scatena una lotta su tutti i fronti e con tutti i mezzi. Minacce esterne, minacce interne, tribolazioni morali, spirituali, fisiche, economiche, incomprensioni, solitudini, abbandono da parte degli amici... le parole poi non riescono a rendere bene la realtà!!! In questi momenti se non si prega molto si rischia di venire sopraffatti, si rischia il naufragio...  "Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell'uomo diventa peggiore della prima" (Lc 11, 24-26).
In questi momenti si ha l'impressione di essere soli e di essere abbandonati anche da Dio; la fede viene messa a dura prova e la paura diventa una alleata potente del faraone. Questo è un momento critico... come sappiamo la paura gioca brutta scherzi, e il demonio con la paura cerca di mettere in discussione tutto il nostro credo, tutta la nostra esperienza di fede, non ci fidiamo più di nessuno, pensiamo che l'amore sia solo un'illusione, tutti gli uomini deludono... E' in questi momenti che il nemico vorrebbe offrirci lui una via di salvezza, sorge allora il pensiero che forse sarebbe meglio tornare in Egitto... Ma il Signore ci dice: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio" (Lc 9, 62).
Dobbiamo allora credere che il buon Dio combatte con noi al nostro fianco... che è Lui ad avere tutto sotto controllo. Così "tutto sotto controllo" che può permettersi il lusso di dormire mentre la barca affonda... Se accettiamo di aspettare i tempi di Dio senza farci prendere dai nostri ragionamenti umani, ci uniformeremo ai Suoi pensieri e verremmo tratti in salvo. Come Mosè, ogni cristiano è tratto in salvo dalle acque del Nilo e tratto in salvo dalle acque del mar Rosso. Con il battesimo Dio ci ha resi suoi figli... passano gli anni ed è come se percorressimo il deserto: momenti sereni, momenti di fatica, momenti gioiosi, momenti di dolore, momenti di ribellione, momenti di ceffoni, momenti di carezze... ma se perseveriamo, se vogliamo aver fede, se continueremo a mettere Dio al primo posto, Lui ci libererà e ci darà la vita proprio come a Mosè.
Spesso vorremmo che ci fosse risparmiata un pochetto di angoscia... ma chi ha deciso di seguire Dio deve sapere che non è esonerato dalla fatica; se Lui ci lascia con il fiato sospeso fino alla fine rallegriamoci... vorrà dire che ha deciso di  rendere forti i nostri polmoni!!!
Personalmente la storia dell'Esodo mi ha sempre affascinata... E' la mia storia. Se penso al popolo eletto (meno male che era eletto!!!) quarant'anni a girovagare a vuoto nel deserto... e pensare che la terra promessa si sarebbe potuta raggiungere in pochi mesi... invece Dio fa percorrere al "suo popolo" un lungo cammino, con mille fatiche, disagi, fame, pericoli e chi più ne ha più ne metta... mi viene quasi da sorridere: l'Esodo è la storia del nostro viaggio ed è la storia di un'attesa... il deserto non è la nostra patria, la nostra destinazione è un'altra. E' la storia di un fidanzamento... un pochetto tormentato da tensioni, da fatiche, da disagi, ma anche da tanti sogni, desideri, speranze... si cammina insieme, si barcolla insieme, si cade insieme... ma con un fine: "Il matrimonio!!!"...
Ma nel cammino verso la conoscenza di Dio, come di solito accade, ci sono anche momenti di ribellione... quasi tutti poi prendiamo il virus della mormorazione... brontoliamo per ogni cosa... non ci va mai bene niente... io desidero questo, perché fai così?... perché mi fai soffrire inutilmente?... non mi piace come cucini... non mi piace come ti vesti... non mi ascolti mai... ti dimentichi dell'anniversario... non mi compri mai dei fiori... non mi porti mai a fare un viaggio... pensi solo a te... Che incubo!!!... Quando si tira troppo, alla fine l'elastico si rompe... è la fine di un fidanzamento... Noi vogliamo che il nostro futuro sposo si adegui a noi!!!... Nel mondo di oggi qualche volta succede anche... ma con Dio le cose vanno diversamente. Quando infatti iniziamo a rompere le scatole commettiamo un peccato... perché è come se non ci fidassimo di Lui... perché vogliamo vivere come piace a noi e non come piace a Lui... insomma, ci viene il mal d'Egitto e iniziamo a tirare la corda... Allora Dio che fa?... Ci fa vagare, vagare, vagare... prima o poi ci stancheremo e, come si dice: “torneremo a bordo a mangiare gallette!!!”...
Chiediamo al buon Dio di aumentare la nostra fede in modo da porre saldamente in Lui la nostra forza e speranza della nostra salvezza. Quando poi dovremo affrontare difficoltà e tribolazioni, chiediamogli di darci la lucidità per continuare a cercare in Lui la luce, il conforto e la pace; chiediamogli inoltre di togliere dal nostro cuore il rimpianto per il passato e la paura per il futuro...
Però Gesù mio... scusa se ardisco... ma metti caso... se io mi innamoro di una persona e inizio a frequentarla... e in questo periodo in cui inizio a conoscerla questa mi massacra di botte... capisci che avrei qualche problemino a desiderare un futuro in sua compagnia? Quindi... se Tu, magari, fossi un pochetto più soave... forse avresti qualche amico in più, non credi?... Pensaci un pochetto... e poi ne parliamo!... Ti ricordi? Lo hai detto Tu per bocca del profeta Isaia: "Su, venite e discutiamo" (Is 1, 18)… e come sempre io ti prendo in parola!!!
Pace e bene