Mt. 26, 36-50
Allora
Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai
discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare". E
presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare
tristezza e angoscia.
Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me". E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!".
Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?
Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà". E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti.
E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina". Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!".
E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbì!". E lo baciò.
E Gesù gli disse: "Amico, per questo sei qui!". Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.
Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me". E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!".
Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?
Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà". E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti.
E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina". Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!".
E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbì!". E lo baciò.
E Gesù gli disse: "Amico, per questo sei qui!". Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.
Siccome
gli apostoli erano inseparabilmente vicini a Gesù, per questo egli
dice: “Fermatevi qui, mentre io vado là a pregare”. Egli è
solito pregare in disparte; e si comporta così per insegnarci a
cercare quiete e grande pace quando ci disponiamo a pregare. Prende
quindi i tre discepoli prediletti e dice loro: “L’anima mia è
triste sino alla morte”. Perché non prende tutti con sé? Perché
non si abbattano. Conduce solo questi, che sono stati testimoni della
sua gloriosa trasfigurazione. Ma poi lascia anche costoro. E,
avanzando un poco, prega dicendo: “Padre
mio, se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia non come io
voglio, ma vuoi tu”. Ritornato poi dai suoi discepoli, li trovò
addormentati; dice allora a Pietro: “Non avete dunque potuto
vegliare con me neppure un’ora? Vegliate e pregate per non cadere
in tentazione; lo spirito è pronto ma la carne è debole” .
Non senza motivo si rivolge particolarmente a Pietro, sebbene anche
gli altri si siano addormentati come lui. Egli vuole toccarlo sul
vivo anche qui, per la ragione precedentemente esposta. Poi, siccome
anche gli altri discepoli avevano detto la stessa cosa – dopo che
Pietro aveva detto: “Anche se dovessi morire con te, non ti
rinnegherò”, riferisce l’evangelista: “lo stesso dissero pure
tutti i discepoli” - Gesù si rivolge a tutti, rimproverando
la loro debolezza. Essi, che volevano morire con lui, ora non hanno
la forza di star svegli per partecipare alla sua tristezza, ma si
lasciano vincere dal sonno. Gesù, al contrario, prega intensamente,
affinché la sua tristezza non sembri fittizia.
E abbondante sudore
scorre dal suo corpo, perché gli eretici non dicano che egli
simulava quell’angoscia. Il sudore scorre come gocce di sangue, un
angelo gli appare per confortarlo ed egli ci dà mille altre prove
del timore da cui è assalito, per evitare che qualcuno affermi che
le sue parole sono fittizie. Per questo egli prega. Le parole: “Se
è possibile, passi…” mostrano la sua umanità; ma le altre:
“tuttavia non come io voglio, ma come vuoi tu”, manifestano la
sua virtù e filosofia e ci insegnano a obbedire a Dio, nonostante la
resistenza della nostra natura. E siccome per gli stolti non è
sufficiente il fatto che Gesù mostra il volto pieno di tristezza,
egli aggiunge anche le parole. Essendo tuttavia insufficienti anche
le parole, occorrono anche i fatti: e Gesù unisce i fatti alle
parole, affinché anche i più ostinati credano che egli si è fatto
uomo ed è morto. Se ora, malgrado tutte queste prove, alcuni non
credono ancora alla sua incarnazione, tanto più diffusa sarebbe
questa incredulità se queste prove mancassero. Notate in quanti modi
e con quanti mezzi il Signore dimostra la verità della sua
incarnazione? La conferma con le parole che esprime e con i dolori
che soffre. Tornato presso i discepoli Gesù, riferisce un
evangelista, dice a Pietro: “Non hai potuto vegliare un’ora con
me?”. Si sono tutti addormentati, ma Cristo rimprovera Pietro,
alludendo a ciò che egli ha precedentemente dichiarato. E le parole
“con me” non sono dette senza motivo; è come se Gesù dicesse:
Non sei stato capace di vegliare con me, e pretendi di dare la tua
vita per me? E la stessa allusione è contenuta nelle parole che
seguono: “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione”.
Vedete come Cristo insegna ancora agli apostoli a non essere
presuntuosi, ma a spezzare il proprio spirito, a umiliarsi, ad
attribuire tutto a Dio?E a volte si rivolge in particolare a
Pietro, a volte parla a tutti gli apostoli insieme. A Pietro dice:
“Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati
per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te”; e a tutti
insieme: “Pregate per non cadere in tentazione”, reprimendo con
tutti questi mezzi la loro presunzione e preparandoli alla lotta. In
seguito, per evitare che tutto il suo discorso appaia eccessivamente
duro, aggiunge: “Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.
Infatti, anche se tu sei risoluto nel disprezzare la morte – sembra
dire Cristo – non vi riuscirai, se Dio non ti tende una mano: la
carne trascina a terra lo spirito.
E
di nuovo allontanatosi, tornò a pregare dicendo: Padre,
se non è possibile che questo calice passi da me, senza che io lo
beva, sia fatta la tua volontà {0}.
Dimostrando qui di essere totalmente concorde con la volontà di Dio
e mettendo in evidenza il dovere di seguirla e di ricercarla.
E,
tornato, li trovò addormentati :
oltre al fatto che la notte è già inoltrata, i loro occhi sono
anche appesantiti dalla tristezza. E, allontanatosi per la terza
volta, ripeté le medesime parole , confermando così di essere
veramente uomo. Il fatto che una cosa avvenga due o tre volte è
segno indubbio, nelle Scritture, di verità. Così anche Giuseppe
aveva detto al Faraone: “Il sogno ti è apparso per la seconda
volta?”: questo è accaduto per indicarti che è vero, e perché tu
creda che la cosa avverrà sicuramente. Cristo rivolge, quindi, la
stessa preghiera una, due, tre volte per confermare la fede nella sua
incarnazione. E per qual motivo torna una seconda volta dagli
apostoli? Per riprenderli, giacché si sono lasciati prendere
talmente dall’abbattimento che non si accorgono nemmeno della sua
presenza. Tuttavia non li rimprovera, ma si allontana per un poco
mettendo in evidenza la loro indicibile debolezza: il fatto è che,
dopo essere stati ripresi la prima volta, non sono capaci di
perseverare nella veglia.
Gesù
non li sveglia e non li rimprovera un’altra volta per non abbattere
coloro che già sono abbattuti, ma si ritira e prega ancora; poi di
ritorno, dice loro: Dormite
pure e riposatevi.
Eppure anche ora è il momento di vegliare; tuttavia egli vuol far
loro intendere che non riusciranno a sopportare neppure la vista dei
mali terribili che sopraggiungeranno, ma verranno messi in fuga e si
allontaneranno terrorizzati; qui inoltre dimostra che non ha alcun
bisogno del loro aiuto e che deve essere assolutamente consegnato
nelle mani dei suoi persecutori. Dice pertanto: “Dormite pure e
riposatevi; ecco,
l’ora è vicina, e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei
peccatori”,
manifestando nuovamente che quanto accade è nell’economia divina.
Non
si limita solo a questo, ma dicendo che egli sarà dato “nelle mani
dei peccatori” eleva i pensieri degli apostoli; in pratica dichiara
che la sua passione è opera della malvagità dei peccatori, non del
fatto che egli sia reo di peccato.
Alzatevi,
andiamo; ecco, si avvicina colui che mi tradisce.
In tutte le occasioni – notate – Gesù insegna agli apostoli che
la passione non dipende da necessità né da debolezza, ma da
ineffabile economia.
Cristo
infatti sa che il traditore sta per giungere, ma non fugge, anzi gli
va incontro. Infatti, mentre
ancora parlava, ecco Giuda, uno dei dodici, arrivò, e con lui una
masnada di gente, con spade e bastoni, mandati dai gran sacerdoti e
dagli anziani del popolo .
Belli veramente gli strumenti dei sacerdoti! Con spade e bastoni
viene quella turba! E “Giuda – riferisce l’evangelista – uno
dei dodici” è con loro. Lo chiama ancora “uno dei dodici” e
non se ne vergogna.
Colui
che lo tradiva, aveva dato loro questo segno: Chi bacerò, è lui:
prendetelo .
Ahimè, quanta scelleratezza manifesta l’anima del traditore! Con
quali occhi guarda il volto del Maestro? Con quale bocca osa
baciarlo? O mente sciagurata! Che cosa hai tramato? Che osi mai
compiere? Quale segno hai dato per tradirlo? “Chi bacerò”, aveva
loro detto. Giuda fida nella mitezza del Maestro: il che è
sufficiente più d’ogni altra cosa a coprirlo di vergogna e a
privarlo di ogni perdono, in quanto egli tradisce un Maestro così
dolce e mite. Ma perché Giuda dà questo segno? Perché sovente, pur
essendo trattenuto dai suoi avversari, Gesù era passato in mezzo a
loro, senza che essi lo vedessero. Tuttavia anche ora accadrebbe
così, se Gesù non volesse lasciarsi prendere. Per far comprendere
questo, anche ora acceca la loro vista e chiede loro: “Chi
cercate?”. Essi infatti non lo riconoscono, benché portino torce e
lanterne e con loro ci sia Giuda. E quando quelli rispondo: “Gesù”,
egli replica: “Io sono colui che voi cercate”{0}; e a Giuda di
nuovo: Amico,
a che scopo sei qui? .
Infine,
dopo aver manifestato il suo potere, consente che lo prendano.
Giovanni da parte sua rileva che fino a quel momento Gesù tenta di
correggere l’apostolo e perciò dice: “Giuda, con un bacio
tradisci il Figlio dell’uomo?”, cioè: Non ti vergogni del modo
in cui effettui il tradimento? Tuttavia, poiché neppure queste
parole trattengono il discepolo, Gesù accetta il suo bacio e si
consegna spontaneamente: Misero
le mani addosso a Gesù e lo catturarono ,
quella notte stessa in cui avevano celebrato la Pasqua, tanto erano
pieni d’impazienza e ricolmi di furore. Tuttavia non potrebbero
farlo, se Gesù non permettesse loro di prenderlo. D’altra parte,
il fatto che Cristo acconsenta, non libera Giuda dall’estremo
supplizio; al contrario lo condanna ancor più gravemente, perché,
pur avendo tante prove della potenza di Gesù, della sua bontà e
mitezza, egli si comporta più crudelmente di una belva.
Sapendo
questo, fuggiamo l’avarizia. È stata questa passione infatti a
renderlo così furioso: l’avarizia spinge a estrema crudeltà e
spietatezza le sue vittime. Se induce a disperare della propria
salvezza, tanto più fa disprezzare quella altrui. Questa passione è
tanto tirannica che supera il più violento amore sensuale. Io mi
copro il volto per la vergogna costatando che spesso molti frenano la
loro concupiscenza per risparmiare il loro denaro, mentre per timore
di Dio non intendono vivere castamente e con temperanza. Fuggiamo
perciò l’avarizia; io non smetterò mai di dirvi questo.
Per
qual motivo, o uomo, accumuli oro? Perché rendi la schiavitù più
amara? E più pesante la custodia? Perché fai più pungente
l’affanno? Immagina tue le vene d’oro che si trovano nelle
miniere e tutti i tesori che stanno nei palazzi dei re. Ebbene, anche
se tu avessi tutta quella mole di ricchezze, le serberesti in
disparte, senza usarle. Se ora, infatti, non tocchi ciò che
possiedi, quasi appartenesse ad altri, tanto più ti comporteresti
così possedendo maggiori ricchezze. È normale che gli avari quanto
più sono ricchi, tanto più risparmiano le loro ricchezze. Ma – tu
insisti – io sarò temuto dagli uomini. Anzi tu diventi per questo
più attaccabile sia da parte dei poveri, dei ladri, dei rapinatori,
dei tuoi familiari e, in pratica, da ogni sorta di insidiatori. Se
vuoi essere veramente temibile, elimina tutto ciò che può
costituire occasione per tutti coloro che mirano a derubarti e a
danneggiarti. Non hai mai udito il proverbio che dice: Colui che è
povero e nudo, non possono spogliarlo nemmeno cento uomini insieme?
Egli ha una grandissima protettrice nella povertà, che neppure
l’imperatore stesso può attaccare e ridurre in suo potere.
Tutti,
al contrario, possono nuocere all’avaro. Ma perché parlo degli
uomini, quando anche le tignole e i vermi possono dargli battaglia?
Ma che dico: le tignole? Anche il tempo, se è di lunga durata, basta
da solo, senza alcun altro intervento a danneggiare immensamente
l’avaro. Qual è dunque il piacere della ricchezza? Io vedo
esclusivamente le sue molestie e i suoi motivi di afflizione.
Spiegami tu dov’è il suo piacere. Allora tu replicherai: Quali
sono le sue molestie? Preoccupazioni, insidie, inimicizie, odio,
timore, sete insaziabile e afflizioni senza tregua. Se qualcuno
abbracciasse una fanciulla amata, ma non potesse soddisfare il suo
desiderio, soffrirebbe il più grande tormento; così anche il ricco:
egli ha infatti abbondante ricchezza e la abbraccia; tuttavia non può
soddisfare tutta la sua avidità, ma gli accade ciò di cui parla il
saggio: “Desiderio di eunuco di possedere una vergine fanciulla”.
Come un eunuco che geme abbracciando una vergine, così sono tutti i
ricchi. E chi potrà dire tutto il resto? Come, cioè, l’avaro sia
odioso a tutti: ai domestici, ai contadini, ai vicini, a coloro che
amministrano e governano la città, a quelli che egli ha offeso e a
quelli che non ha offeso, a sua moglie soprattutto, ai suoi figli più
di tutti? L’avaro infatti educa i suoi figli non come persone
libere, ma più miserabilmente dei servi e degli schiavi comprati al
mercato. Offre infiniti motivi d’ira, di dolore, di furore e di
risa contro se stesso, e diventa la commedia e il divertimento comune
di tutti. Queste sono le molestie dell’avarizia e forse ve ne sono
altre ancora; nessuno infatti potrebbe enumerarle tutte; l’esperienza
sola riuscirebbe a presentarle. Ma tu, ora, spiegami il piacere che
ne ritrai. Ritengo di essere ricco – mi risponderai – e sono
considerato ricco. Ma che piacere trovi nell’essere considerato
tale? Questo nome è il più grande motivo d’invidia. Puro nome è
in realtà la ricchezza, privo di realtà. Ma tu replichi: l’uomo
ricco gode di tale considerazione. Purtroppo si rallegra di ciò che
dovrebbe essere motivo di afflizione. Ma per quale motivo dovrebbe
affliggersi? – tu mi chiederai. Perché la ricchezza lo rende
inadatto a tutto, pigro, codardo sia a intraprendere un viaggio, sia
ad affrontare la morte, che egli ritiene duplice, desiderando le
ricchezze più della luce. Neppure il cielo dà gioia all’avaro,
perché non offre oro; neppure il sole lo rallegra, perché i suoi
raggi non sono d’oro e non può quindi rinchiuderli nei suoi
forzieri. Voi obietterete che molti godono le loro ricchezze,
abbandonandosi ai piaceri nei banchetti e nelle orge, e sperperando a
profusione. Ebbene, io vi dico che ora mi state parlando di quei
ricchi che sono peggiori di tutti gli altri; sono infatti proprio
questi che non godono dei loro beni. L’avaro, dominato unicamente
dall’amore per il denaro, si astiene dagli altri vizi; ma quei
ricchi di cui mi avete parlato sono peggiori dell’avaro, perché,
oltre a ciò che è stato detto, si attirano un’accozzaglia di
altre dure schiavitù e, come a crudeli tiranni, essi servono al
ventre, alla lussuria, alla ubriachezza e quotidianamente si rendono
schiavi di altri vizi, mantenendo donne di malaffare, imbandendo
sontuosi banchetti, comprando parassiti e adulatori, cadendo in
passioni contro natura e scatenando nell’anima e nel corpo
un’infinità di malattie. Costoro non usano dei propri beni per
necessità, ma per corrompere il loro corpo e insieme la loro anima.
Si comportano come chi, per ornare il proprio corpo, ritiene tali
spese indispensabili. È invece nella gioia ed è veramente padrone
dei suoi beni solo colui che li usa debitamente. Gli altri ricchi
sono soltanto schiavi e prigionieri, poiché aumentano le infermità
del loro corpo e i vizi della loro anima. Che godimento si trova là
dove esiste un assedio e si combatte una guerra? Dove soffia una
tormenta più forte di qualunque burrasca marina? Se la ricchezza si
imbatte in uomini insensati e dissoluti, li rende ancor più
insensati e dissoluti. Ma – tu mi chiederai – a che serve la
saggezza a un povero? A ragione tu ignori questo. Anche il cieco non
conosce il vantaggio della luce. Ascolta ciò che dice Salomone: “Il
vantaggio del sapiente sullo stolto è tale quale la luce sulle
tenebre”. Come potremo insegnare a chi è nelle tenebre? Tenebra
infatti è l’amore delle ricchezze, che non permette di vedere
nessuna delle cose quale in realtà essa è, ma in un modo totalmente
diverso. Come un uomo avvolto dalle tenebre, anche se intravede un
vaso d’oro, una pietra preziosa e abiti di porpora, pensa che non
abbiano valore, così l’avaro non vede, come dovrebbe, la bellezza
delle cose veramente desiderabili.
Dissipa,
ti prego, l’oscurità che deriva da tale passione e allora vedrai
la natura delle cose: esse non appaiono così chiaramente come nella
povertà; in nessuna parte, come nello stato di povertà, si scopre
che ciò che sembra essere qualcosa in realtà non è niente.
Quanto
stolti sono gli uomini che maledicono i poveri e affermano che le
case e la vita vengono da loro deturpate e che tutto è insozzato
dalla povertà. Ditemi qual è il disonore di una casa? Voi mi
risponderete: il fatto che non possiede un letto d’avorio e
suppellettili d’argento, ma tutte sono in terracotta e in legno.
Eppure io vi dico che proprio in questo sta la gloria più grande e
la nobiltà di una casa. Il disprezzo delle cose terrene spesso
induce a dedicare tutto il proprio tempo e a mettere tutto il proprio
impegno nella cura dell’anima. Quando invece tu metti un grande
impegno nelle cose esteriori, allora vergognati. Le case dei ricchi
hanno un aspetto e un arredamento che non è assolutamente attraente
e onesto. Quando tu vedi pareti ricoperte di tappezzerie, letti
decorati d’argento come nei teatri e nelle decorazioni
scenografiche, dimmi: che può esservi paragonabile a tale vergogna?
Quale casa assomiglia di più a un teatro e a ciò che si trova in un
teatro: quella del ricco o quella del povero? La casa del ricco
evidentemente, che è perciò piena di turpitudine. Quale casa invece
assomiglia a quella di Paolo o di Abramo? Evidentemente quella del
povero. Questa, dunque, è la più bella e splendida dimora. E perché
tu ti renda conto in che consiste l’ornamento migliore di
un’abitazione, entra nella casa di Zaccheo e osserva come egli la
ornò per ricevere Cristo. Zaccheo non andò a chiedere in prestito
dai suoi vicini tendaggi da mettere alle porte, sedie e sedili
d’avorio, né tirò fuori dai forzieri i tappeti della Laconia; ma
scelse l’ornamento che si adeguava a Cristo. Qual era? “Do la
metà dei miei beni” - dice - “ai poveri e di quanto ho rubato
renderò il quadruplo” .
Orniamo
così, anche noi, le nostre case, affinché Cristo venga anche presso
di noi. Questi tendaggi ornamentali sono preparati nei cieli, lassù
vengono intessuti. Dove essi si trovano, là c’è pure il re dei
cieli. Se invece tu adorni la tua casa in altro modo, tu richiami il
diavolo con il suo coro. Il Signore si è recato anche nella casa del
pubblicano Matteo. E che ha fatto costui? Dapprima adornò se stesso
con grande fervore e poi abbandonò tutto per seguire Cristo .
Anche Cornelio ornò in tal modo la sua casa: con preghiere e con
elemosine ; perciò risplende ancor oggi al di sopra dei palazzi
dei re. Ciò che disonora una casa non è l’arredamento
disarmonico, i letti trascurati e le pareti annerite dal fumo, ma la
malvagità di coloro che vi abitano; Cristo stesso dimostra questa
verità: egli non si è vergognato di entrare in una casa misera, se
i suoi abitanti erano virtuosi; ma non è mai entrato in quell’altra
casa, anche se era rivestita d’oro. Come la casa del povero
virtuoso, accogliendo il Signore dell’universo, è più splendente
dei palazzi imperiali, così la casa del ricco malvagio, pur avendo
il tetto d’oro e colonne, somiglia a sentine e cloache immonde,
piena com’è di strumenti diabolici.
Noi
non diciamo tutto questo per i ricchi che usano debitamente delle
loro ricchezze, ma per gli avari e per coloro che amano il denaro.
Costoro non hanno nessuna sollecitudine, nessuna preoccupazione per
le cose veramente necessarie, ma ricercano sempre i piaceri della
gola, del bere e altre simili vergognose soddisfazioni. Il povero,
invece, pensa a vivere virtuosamente. Ecco perché Cristo non è mai
entrato in uno splendido palazzo, mentre ha visitato la casa di un
pubblicano, la dimora di un capo dei pubblicani e quella di un
pescatore, trascurando i palazzi reali e quanti indossano molli
vesti.
Se
vuoi, dunque, anche tu invitare Cristo nella tua casa, adornala con
le elemosine, con le preghiere, con le suppliche e con le veglie.
Questi sono gli ornamenti degni del re che è Cristo; le decorazioni
d’altro genere sono invece opera del mammona, nemico di Cristo.
Nessuno quindi si vergogni di avere una casa misera, se possiede
quegli ornamenti spirituali. E, d’altra parte, nessun ricco si
insuperbisca del suo sontuoso palazzo, ma ne arrossisca piuttosto e,
abbandonatolo, preferisca un’abitazione povera per meritare di
accogliere in questa vita Cristo e di essere accolto in quell’altra
nei tabernacoli eterni per la grazia e l’amore di Gesù Cristo,
nostro Signore. A lui sia la gloria e il potere per i secoli dei
secoli. Amen.
Nessun commento:
Posta un commento