Augustin Guillerand
Nato nel 1877 nel Nivernese
(Francia), A. Guillerand diventò sacerdote nel 1900. Era cappellano
in una piccola parrocchia di campagna, quando, nel 1916, il fascino
che provava per la solitudine e la preghiera lo condusse alla Certosa
della Valsainte. Nel 1935, viene nominato priore di Vedana, in
Italia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, fece parte del
piccolo gruppo di certosini francesi che, non potendo restare in
Italia, trovò rifugio nella Grande Certosa i cui edifici erano in
completo abbandono. Fu là che scrisse, per sostenere la propria
meditazione, degli appunti che furono pubblicati dopo la sua morte
avvenuta nel 1945.
Tutto il discorso di Gesù sul pane
della vita s'impernia sulla fede, la esige, ne fa la condizione di
salvezza e di unione a lui. Ottenere la nostra fede è la ragione
della sua venuta e della sua parola. Chiunque gliela concede, fosse
pure una Samaritana, lo raggiunge e gli appartiene. Invece, un abisso
si scava fra lui e chiunque tale fede gli rifiuti, foss'anche un
Giudeo o un seguace assiduo del suo ministero; e la separazione è
definitiva.
Gesù resta solo con i Dodici. La folla si è ritirata, incapace di una fede siffatta e del sacrificio ch'essa comporta. Non una parola per trattenerla. AI contrario, s'impone sempre di più l'esigenza divina fino al momento in cui tutti lo abbandonano, circondato soltanto da quel piccolo gruppo scelto nel quale egli già intravvede una defezione. Giovanni non cerca di parlare i della sofferenza del suo Maestro di fronte a tale abbandono; egli racconta i fatti, annota le parole. Non descrive gli stati d'animo; li lascia indovinare; e la sua discrezione nel narrare ci permette di andare più in là in quell'immensità di cui egli non parla.
Tuttavia Gesù non vuoi diminuire la portata di questa esigenza che gli causa, in un sol giorno, la perdita completa del frutto del suo ministero e del beneficio dei miracoli più grandi. Non solo; egli addirittura è pronto a vedere scomparire quei pochi che gli restano, piuttosto che ripiegare: Allora Gesù disse ai Dodici: Volete andarvene anche voi?Il Padre, però, non gli chiede questo sacrificio totale. San Pietro, a nome dei Dodici, fa una professione di fede che lo consola nell'abbandono della folla: Simon Pietro gli rispose: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio (Gv. 6, 68-69).
Gli apostoli non comprendevano il linguaggio di nostro Signore più degli altri; anche per loro esso era molto enigmatico. Non credevano all'evidenza di ciò che veniva loro detto, ma all'autorità di colui che parlava. Credevano al Maestro nel quale avevano riconosciuto il Figlio di Dio, il Verbo eterno, la Luce e la Vita. Credevano che le parole del Verbo erano parole di vita e che, sebbene sgradevoli al loro spirito, meritavano e dovevano ottenere la loro adesione. Essi non aderivano dunque alla luce della loro ragione, ma alla luce che procedeva dal Verbo, riconosciuto tale dalla loro ragione. Essi aderivano, perché il Padre generava in loro questa luce, la luce del suo Spirito d'amore, mediante la quale li attirava a vedere nel divino Maestro e nelle sue parole, la verità. Era lui, in definitiva, che li metteva in movimento. Era da lui che quel movimento partiva, ed era a lui, mediante il Verbo incarnato, che questo movimento li riconduceva. Ed era per questo che tale movimento era la vita.
Il miracolo e le parole ottenevano il loro effetto: la fede. Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato (Gv. 6, 29). L'opera di Dio si compiva in quel ristretto numero di cuori. Essi si nutrivano delle parole vivificatrici che il Verbo aveva sparso in loro e che, tramite loro, avrebbe sparso nel mondo.
Gesù resta solo con i Dodici. La folla si è ritirata, incapace di una fede siffatta e del sacrificio ch'essa comporta. Non una parola per trattenerla. AI contrario, s'impone sempre di più l'esigenza divina fino al momento in cui tutti lo abbandonano, circondato soltanto da quel piccolo gruppo scelto nel quale egli già intravvede una defezione. Giovanni non cerca di parlare i della sofferenza del suo Maestro di fronte a tale abbandono; egli racconta i fatti, annota le parole. Non descrive gli stati d'animo; li lascia indovinare; e la sua discrezione nel narrare ci permette di andare più in là in quell'immensità di cui egli non parla.
Tuttavia Gesù non vuoi diminuire la portata di questa esigenza che gli causa, in un sol giorno, la perdita completa del frutto del suo ministero e del beneficio dei miracoli più grandi. Non solo; egli addirittura è pronto a vedere scomparire quei pochi che gli restano, piuttosto che ripiegare: Allora Gesù disse ai Dodici: Volete andarvene anche voi?Il Padre, però, non gli chiede questo sacrificio totale. San Pietro, a nome dei Dodici, fa una professione di fede che lo consola nell'abbandono della folla: Simon Pietro gli rispose: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio (Gv. 6, 68-69).
Gli apostoli non comprendevano il linguaggio di nostro Signore più degli altri; anche per loro esso era molto enigmatico. Non credevano all'evidenza di ciò che veniva loro detto, ma all'autorità di colui che parlava. Credevano al Maestro nel quale avevano riconosciuto il Figlio di Dio, il Verbo eterno, la Luce e la Vita. Credevano che le parole del Verbo erano parole di vita e che, sebbene sgradevoli al loro spirito, meritavano e dovevano ottenere la loro adesione. Essi non aderivano dunque alla luce della loro ragione, ma alla luce che procedeva dal Verbo, riconosciuto tale dalla loro ragione. Essi aderivano, perché il Padre generava in loro questa luce, la luce del suo Spirito d'amore, mediante la quale li attirava a vedere nel divino Maestro e nelle sue parole, la verità. Era lui, in definitiva, che li metteva in movimento. Era da lui che quel movimento partiva, ed era a lui, mediante il Verbo incarnato, che questo movimento li riconduceva. Ed era per questo che tale movimento era la vita.
Il miracolo e le parole ottenevano il loro effetto: la fede. Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato (Gv. 6, 29). L'opera di Dio si compiva in quel ristretto numero di cuori. Essi si nutrivano delle parole vivificatrici che il Verbo aveva sparso in loro e che, tramite loro, avrebbe sparso nel mondo.
Au seuil de l'abîme de Dieu,
Benedettine di Priscilla
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