sabato 29 novembre 2014

Dal Vangelo secondo Marco - Mc 13, 33-37 - Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà.


Mc 13, 33-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Parola del Signore

Riflessione

Parto dal presupposto che un vero cristiano dovrebbe vigilare sempre, 365 giorni all'anno, ma nel mese di dicembre il Signore ci mette la sveglia con l'allarme sempre inserito per non farci addormentare... per scuoterci... se per caso fossimo un poco rilassati. Ogni giorno ci sembra di fare le stesse cose: lavoro, casa, amici, divertimento, riposo... ma non è così, perchè ogni Santo giorno è sempre diverso; le persone che il buon Dio ci fa incontrare non sono mai le stesse... e anche il nostro comportamento è condizionato dai diversi incontri che facciamo. Evitiamo allora il classico lamento di fine giornata: "Che barba... che noia... sempre la stessa cosa... non c'è mai niente di nuovo...". Forse non è proprio così...
Che tristezza quando si arriva a questo stato di torpore, niente ci sorprende, niente ci stupisce... è quindi normale che dal nostro cuore non esca per ogni cosa un: “Grazie Gesù”.
Allora... SVEGLIA!!!
Dobbiamo provare a vivere questo avvento come Dio comanda... con tanta speranza, spalancando la porta del nostro cuore perché possa entrarvi una ventata di aria fresca e pulita.
Con l'inizio dell'Avvento la Chiesa presenta la parabola in cui Gesù ci esorta a stare attenti e vigili. E' un invito a vigilare sul nostro desiderio di incontrare il Signore. Dovremmo vivere questi momenti di attesa con gioia, una gioia che non sia posta in primo luogo nel decorare la casa... con l'alberello verde... con l'alberello bianco... con le lucette... per non parlare della corsa all'acquisto del solito regalo scontato e inutile, regalo che molte volte viene pure riciclato... Che brutto!!!
Se dunque qualcuno di noi si era un pochetto assopito, ecco che è arrivato il momento giusto per risvegliarci e prepararci all'incontro con Gesù nostro che, come sappiamo bene, non conosciamo né il giorno né l'ora in cui arriverà; ma proprio a causa di questa incertezza si potrà distinguere chi avrà fatto il possibile per rimanere sveglio e chi no, solo i primi avranno dimostrato di amarlo veramente. Viviamo allora ogni giorno come se fosse l'ultimo, sempre pronti, con le fiaccole accese...
Ma oggi il mondo è molto occupato e preoccupato per altre cose, e insiste a voler vivere come se Dio non esistesse... ma un un bel giorno, “Qualcuno”, ci chiederà conto di tutto, e allora? Che ne sarà di noi? Meglio pensarci prima che sia troppo tardi...
Proviamo a fermarci un attimo... proviamo a fare silenzio... proviamo a fare una sorta di revisione del bilancio della nostra anima... proviamo a pensare all'anno appena trascorso... Questo servirà a farci capire quanto siamo insensibili per le cose di Dio... servirà a farci capire le nostre mancanze, le nostre miserie, la nostra povertà, la nostra impotenza, il non senso della nostra vita, la nostra infelicità... ma anche il nostro desiderio di felicità, il nostro desiderio di senso, il nostro desiderio di vita... c'è forse un modo migliore di prepararsi al natale se non desiderare un salvatore, se non desiderare Gesù!!!...
Penso anche a tutto il baccano che, nonostante la crisi, affligge le nostre città in questo periodo. Gesù??? Chi è??? Chi lo vuole???... I centri commerciali stracolmi fanno invidia all'invasione delle cavallette in Egitto... musica natalizia di ogni genere, bambini che strillano per la macchinetta, la bambola, il giocattolo di ultima generazione di cui non si può fare a meno... Babbi Natale di ogni sesso – anche in questo non c'è più rispetto – che invitano i bimbi a farsi una foto sulle loro ginocchia. Insomma, una confusione megagalattica... ma alla fine è come vivere in un mondo illusorio che ci lascia presto vuoti, come presto si è svuotato il nostro portafoglio. E così, dopo qualche momento di felicità apparente, puntuale come un treno svizzero arriva la delusione, l'amaro in bocca, la depressione...!!!
Allora mi domando: "Che senso ha farsi condizionare dalla pubblicità, dalla moda, dal 'così fan tutti'... e correre dietro a vanità che durano un istante? Perché non cercare di più e di meglio?... Perché accontentarci di un solo attimo?"... Gesù ci vuole dare la felicità eterna!!!
Proviamo allora a cercare di sapere dov'è la fonte di questa gioia... se noi faremo un passo verso la Fonte, la Fonte ne farà dieci verso di noi... e inizierà un'avventura in cui non mancheranno certo le sorprese...
Vigilare significa anche discernere... Se noi vigiliamo infatti, ci sarà dato di distinguere la luce dalle tenebre... se vigiliamo saremo saggi nelle decisioni importanti e prudenti in quelle difficili... se vigiliamo non ci lasceremo prendere dal panico nell'ora della prova... se vigiliamo eviteremo di cadere nelle trappole del demonio che, come sappiamo, è sempre in agguato. Non vigilare nella vita cristiana è come andare in cantina senza accendere la luce... non possiamo poi pretendere di non fracassarci la testa.
Chiediamo allora al buon Dio di aumentare la nostra fede per vivere questa attesa col giusto fervore, contageremo così le persone a noi vicine.
Per quanto mi riguarda, chiedo perdono al mio Gesù di tutte quelle volte che con le mie debolezze, le mie mancanze, i miei peccati, ho contribuito a diffondere nebbia intorno a me. Lo ringrazio però di tutte quelle volte che mi ha aiutato a essere luce per qualcuno. Grazie Gesù per questo anno che hai voluto trascorrere con me... e, anche se è stato un anno difficile, non mi hai abbandonata un attimo, mi hai sempre riempito e soccorso con le Tue grazie. Grazie sopratutto per l'angelo che mi hai mandato a settembre 2013, mi ha sostenuto nei momenti duri e mi ha aiutato a non lasciar spegnere la fiammella della fede. E poi, come non ringraziarti per il regalo anticipato che mi hai fatto per questo natale? Portando infatti le mie gambe fino alla Chiesa del Carmelo mi hai fatto un dono: non speciale, ma specialissimo. Grazie Gesù... e che Tu possa nascere in tanti cuori come sei nato nel mio!!!
Pace e bene

mercoledì 26 novembre 2014

L'anima che non è dimora di Cristo è infelice - Dalle «Omelie» attribuite a san Macario, vescovo (Om. 28; PG 34, 710-711)



Una volta Dio, adirato contro i Giudei, diede Gerusalemme in balia dei loro nemici. Così caddero proprio sotto il dominio di coloro che essi odiavano e si trovarono nell'impossibilità di celebrare i giorni festivi e di offrire sacrifici. Nello stesso modo, Dio, adirato contro un'anima che trasgredisce i suoi precetti, la consegna ai suoi nemici, i quali, dopo averla indotta a fare il male, la devastano completamente. Una casa, non più abitata dal padrone, rimane chiusa e oscura, cadendo in abbandono; di conseguenza si riempie di polvere e di sporcizia. Nella stessa condizione è l'anima che rimane priva del suo Signore. Prima tutta luminosa della sua presenza e del giubilo degli angeli, poi si immerge nelle tenebre del peccato, di sentimenti iniqui e di ogni cattiveria.
Povera quella strada che non è percorsa da alcuno e non è rallegrata da alcuna voce d'uomo! Essa finisce per essere il ritrovo preferito di ogni genere di bestie. Povera quell'anima in cui non cammina il Signore, che con la sua voce ne allontani le bestie spirituali della malvagità! Guai alla terra priva del contadino che la lavori! Guai alla nave senza timoniere! Sbattuta dai marosi e travolta dalla tempesta, andrà in rovina.
Guai all'anima che non ha in sé il vero timoniere, Cristo! Avvolta dalle tenebre di un mare agitato e sbattuta dalle onde degli affetti malsani, sconquassata dagli spiriti maligni come da un uragano invernale, andrà miseramente in rovina.
Guai all'anima priva di Cristo, l'unico che possa coltivarla diligentemente perché produca i buoni frutti dello Spirito! Infatti, una volta abbandonata, sarà tutta invasa da spine e da rovi e, invece di produrre frutti, finirà nel fuoco. Guai a quell'anima che non avrà Cristo in sé! Lasciata sola, comincerà ad essere terreno fertile di inclinazioni malsane e finirà per diventare una sentina di vizi.
Il contadino, quando si accinge a lavorare la terra, sceglie gli strumenti più adatti e veste anche l'abito più acconcio al genere di lavoro. Così Cristo, re dei cieli e vero agricoltore, venendo verso l'umanità, devastata dal peccato, prese un corpo umano, e, portando la croce come strumento di lavoro, dissodò l'anima arida e incolta, ne strappò via le spine e i rovi degli spiriti malvagi, divelse il loglio del male e gettò al fuoco tutta la paglia dei peccati. La lavorò così col legno della croce e piantò in lei il giardino amenissimo dello Spirito. Esso produce ogni genere di frutti soavi e squisiti per Dio, che ne è il padrone.

lunedì 24 novembre 2014

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 21, 1-4 - Vide una vedova povera, che gettava due monetine.


 Lc 21, 1-4
 
In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio.
Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

Parola del Signore

Riflessione

La prima cosa che mi ha colpito in questo passo del Vangelo è la frase: “... Gesù, alzàti gli occhi, vide...”.
Quello dello sguardo è un punto per me dolente... infatti, io penso che un vero cristiano debba camminare sempre a testa alta, e uno dei motivi è che, per vedere le cose che ci circondano, non si deve essere tutt'uno con il marciapiede!
Evitiamo di giustificarci: "Oh, non mi sono accorta che quella persona stava male... oh, non mi sono accorta che quella persona aveva un problema di salute... oh, non mi sono accorta che quella persona piangeva"... Sfido io!!! Se si continua ad essere all'unisono con il pavimento non si potrà mai vedere quello che accade davanti ai nostri occhi...
Ma torniamo al Vangelo. Ecco una bella lezione per tutti... ossia che dobbiamo dare al buon Dio tutto ciò che abbiamo e che siamo. Non dovremmo mai dimenticarci che Gesù è venuto e ha dato tutta la Sua vita per noi. Questo dovrebbe stimolarci a donarGli con generosità: non gli avanzi, ma tutto.
Dovremmo allora imitare la vedova che ha dato tutto ciò che aveva; questa è una figura di ciò che dovremmo fare noi: darci completamente a Dio, cedere le redini della nostra vita e lasciare che Lui metta a morte in noi "l'uomo vecchio". Dare tutto quindi, con la certezza che il buon Dio non ci lascerà a mani vuote. Mi viene in mente a questo punto la storia della vedova di Serepta che, grazie alla condivisione dell'unica porzione di cibo che le rimaneva, ha poi beneficiato della ricompensa del Signore. Diceva bene Santa Teresa d'Avila: “Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!”
Il fatto poi che Gesù noti e prenda come esempio, davanti a tutti, la povera vedova che getta due monetine, ci deve far comprendere quanto Dio ami e apprezzi i piccoli gesti. Per tante persone forse le cose piccole sono insignificanti e di poco valore, ma a Gesù, come vediamo, non passano inosservate. La cosa che conta per Lui non è la quantità di ciò che si dona, ma la sincerità e lo spirito con cui si dona. Il poco che si dà, se è dato con amore, agli occhi di Dio pesa tanto. La Sua bilancia come il Suo orologio sono diversi dai nostri.
Chiediamo allora al buon Dio di aumentare la nostra fede per avere il coraggio di gettare tutto il nostro cuore nel tesoro del Tempio. Tutto... anche e soprattutto le nostre miserie, di quelle infatti ne abbiamo in abbondanza e a Dio invece mancano; e siccome il Signore è molto abile con le “trasformazioni”... chiediamogli di trasformare il nostro cuore per renderlo simile al Suo.
Mi piace concludere con una citazione di Sant'Anselmo: “Ama Dio più di te stesso e già comincerai ad avere su questa terra quanto vuoi avere perfettamente in cielo”.
Pace e bene

I PECCATI DI LINGUA di Don Giuseppe Tomaselli – sacerdote salesiano



INTRODUZIONE
Ci sono dei peccati che vengono commessi soltanto da certe categorie di persone, come il furto, l'omicidio; i peccati di lingua invece si sogliono commettere da tutti. Trovare chi non pecchi di lingua è cosa difficile, tanto che San Giacomo Apostolo dice: Chi non pecca con la lingua, è perfetto. -
In vista della grande utilità che potrà apportare a tutte le anime la trattazione di un tale argomento, mi son proposto di scrivere qualche cosa sull'uso della lingua, facendo vedere il male che arreca colui il quale non sa frenarla ed il bene che compie chi ne fa buon uso.
IL DONO DELLA LINGUA
La libertà si apprezza di più quando si visita un carcere e si vedono rinchiusi i detenuti nelle oscure celle; l'agilità delle membra e la vista allora si stimano maggiormente, quando ci si trova davanti a un paralitico o ad un cieco.
Entriamo in un istituto di muti, i quali sogliono essere pure sordi. Osserviamo questi esseri pieni di vita, che vorrebbero parlare e manifestare i loro pensieri e non ci riescono; tentano di balbettare qualche sillaba, ma è inutile; solamente con i segni delle mani e con lo sguardo possono in qualche modo esprimersi. A tale vista, il visitatore rientra naturalmente in se stesso e dice: Povere creature!. Hanno la lingua, ma come se non l'avessero! Io invece posso parlare! Signore, vi ringrazio! -
Realmente dovremmo rendere continue grazie a Dio per averci dato la lingua, questo piccolo muscolo con cui possiamo cantare le lodi al Creatore, manifestare i nostri pensieri ed andare incontro ai bisogni del prossimo.
Quanto bene non può fare una lingua ben moderata e intenta ad aiutare il prossimo spiritualmente e corporalmente! Al contrario, quanta rovina non apporta una lingua viperina, che bestemmia, che calunnia, che scandalizza! Giustamente la lingua può chiamarsi un'arma molto pericolosa. Guai a non saperla usare!
Viene qui a proposito una favola. Un ricco signore ordinò al suo servo di preparargli un pranzo, con quanto di meglio potesse trovare. Il servo, buon filosofo, pensò di provvedere un piatto di lingue. Quando il padrone arrivò a tavola e vide quel cibo, se ne meravigliò. - Non potevi trovare, disse al servo, cosa migliore di questa?
- No, padrone! La lingua è la cosa più buona del mondo, poiché con essa si può fare un bene immenso a sé ed agli altri. -
Il padrone, un poco bizzarro, gli soggiunse: Per il, pranzo di domani mi preparerai la cosa più cattiva che potrai trovare! - Il servo preparò un altro piatto di lingue. Allorché il ricco signore vide a tavola il cibo del giorno precedente, ne domandò la spiegazione al servo, il quale da buon pensatore, rispose: Questa è la cosa più cattiva! Invero il male che può fare la lingua, non può farlo nessuna altra cosa al mondo! - Il padrone rimase profondamente meravigliato della sapienza del suo servo.

venerdì 21 novembre 2014

TIEPIDEZZA – Tratto da “ Cammino” di Josemaría Escrivá




Capitolo 1 - Carattere



Punto 16 - Tu, uno qualunque? Tu... del gregge!? Ma se sei nato per essere un leader! In mezzo a noi non c'è posto per i tiepidi. Umìliati, e Cristo ti accenderà di nuovo con fiamme d'Amore.

 
Punto 17 - Attento a non cadere in quella malattia del carattere che ha per sintomi la mancanza di stabilità in tutto, la leggerezza nell'operare e nel dire, la superficialità...: in una parola, la frivolezza.
E la frivolezza —non dimenticarlo—, che rende i tuoi programmi quotidiani così vuoti (così “pieni di vuoto”), farà della tua vita, se non reagisci in tempo —non domani: adesso!— un fantoccio, morto e inutile.

Capitolo 9 - Propositi



Punto 257 - Stai lì come un sacco di sabbia. —Da parte tua, non fai nulla. E così non è strano che cominci a sentire i sintomi della tiepidezza. —Reagisci.

 

Capitolo 14 - Tiepidezza

 
Punto 325 - Lotta contro quella fiacchezza che ti fa pigro e rilassato nella vita spirituale. —Bada che può essere il principio della tiepidezza..., e, come dice la Scrittura, i tiepidi Dio li vomiterà.


Punto 326 - Mi addolora vedere il pericolo della tiepidezza che ti minaccia, quando non ti vedo camminare seriamente verso la perfezione nel tuo stato.
—Di' con me: la tiepidezza, no! Confige timore tuo carnes meas —dammi, Dio mio, un timore filiale che mi faccia reagire!

Punto 327 - Lo so che eviti i peccati mortali. —Vuoi salvarti! —Ma non ti preoccupa quel continuo cadere deliberatamente nei peccati veniali, benché ogni volta tu senta la chiamata di Dio a vincerti.
—È la tua tiepidezza a farti avere questa cattiva volontà.

 
Punto 328 - Che poco Amore di Dio hai quando cedi senza lottare perché non è un peccato grave!

 
Punto 329 - I peccati veniali fanno un gran danno all'anima. Per questo, capite nobis vulpes parvulas, quae demoliuntur vineas, dice il Signore nel “Cantico dei cantici”: date la caccia alle piccole volpi che distruggono la vigna.

 
Punto 330 - Che pena mi fai: non senti ancora dolore per i tuoi peccati veniali! —Perché, fino a quel momento, non avrai cominciato ad avere una vera vita interiore.
Punto 331 - Sei tiepido se fai pigramente e di malavoglia le cose che si riferiscono al Signore; se vai cercando con calcolo o con furbizia il modo di diminuire i tuoi doveri; se non pensi che a te stesso e alla tua comodità; se le tue conversazioni sono oziose e vane; se non aborrisci il peccato veniale; se agisci per motivi umani.


Capitolo 16 - Formazione


Punto 368 - Ti annoi? —È perché tieni desti i sensi e addormentata l'anima.

 
Capitolo 17 - Il piano della tua santità

Punto 414 - Che pena un “uomo di Dio” pervertito! —Ma fa ancora più pena vedere un “uomo di Dio” tiepido e mondano.



 

Maria accolta nel Tempio. Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la Piena di Sapienza. Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta – Libro I capitolo 8



30 agosto 1944.

Vedo Maria fra mezzo al padre e alla madre camminare per le vie di Gerusalemme.
I passanti si fermano a guardare la bella Bambina, tutta vestita di un bianco di neve e avvolta in un leggerissimo tessuto che per i suoi disegni, a rami e fiori, più opachi fra il tenue dello sfondo, mi pare sia lo stesso che aveva Anna il giorno della sua Purificazione. Soltanto che, mentre ad Anna esso non sorpassava la cintura, a Maria, piccolina, scende fin quasi a terra e l'avvolge in una nuvoletta leggera e lucida di una vaghezza rara. Il biondo dei capelli sciolti sulle spalle, meglio, sulla nuca gentile, traspare là dove non vi è damascatura nel velo, ma unicamente il fondo leggerissimo. Il velo è trattenuto sulla fronte da un nastro di un azzurro pallidissimo, su cui, certamente per opera della mamma, sono ricamati in argento dei piccoli gigli. L'abito, come ho detto, candidissimo, scende fino a terra, e i piedini appena si mostrano nel passo, coi loro sandaletti bianchi. Le manine sembrano due petali di magnolia che escano dalla lunga manica. Tolto il cerchio azzurro del nastro, non vi è altro punto di colore. Tutto è bianco. Maria pare vestita di neve. Gioacchino ed Anna sono vestiti, lui con lo stesso abito della Purificazione, e Anna invece di viola scurissimo. Anche il mantello, che le copre anche il capo, è viola scuro. Ella se lo tiene molto calato sugli occhi. Due poveri occhi di mamma, rossi di pianto, che non vorrebbero piangere e non vorrebbero, soprattutto, esser visti piangere, ma che non possono non piangere sotto la protezione del manto.

giovedì 20 novembre 2014

IL COMANDAMENTO CALPESTATO - NON RUBARE - di Don Giuseppe Tomaselli




INTRODUZIONE

Attraversavo in filobus la via Etnea di Catania. In una « fermata facoltativa » ebbi modo di osservare le copertine di alcuni libri esposti in vetrina presso una libreria. Mi colpì un titolo: « Tutti la­dri ».

- Possibile, dissi tra me, che tutti siamo ladri? - Non mi diedi la briga di provvedermi del volume; ma ritor­nando col pensiero a quel titolo, con­clusi: Se non si è ladri da tutti, lo si è certamente da una gran maggioranza!

Volli in seguito approfondire il pro­blema e mi decisi a comporre questo scritto.

Tratterò della giustizia, in genere ed in specie, e dell'obbligo della restitu­zione.


PARTE PRIMA

NON RUBARE


PRELUDIO.

Simpatico quel vecchietto messinese che, anni or sono, mi raccontava le sue avventure! Dopo la narrazione, soggiun­se: Io sono di novant'anni e voi di qua­ranta; non dimenticate ciò che vi dico: La società è un ammasso di ladri! È la­dro chi vende, perché falsifica la merce e pretende più del giusto; è ladro chi com­pra, non volendo pagare quanto deve. Ladro il datore di lavoro, perchè riduce la paga all'operaio; ladro l'operaio, che non compie con coscienza il lavoro. La­dro chi dà denaro in prestito, esigendo troppo interesse; ladro chi ha avuto il prestito, perché non vuol restituire ... Tutti ladri oggi; ma ai miei tempi c'era più coscienza! –

IL COMANDO DI DIO.

I Comandamenti di Dio contengono i doveri che abbiamo verso di Lui, verso il prossimo e verso noi stessi. Queste leggi morali sono conformi alla retta ragione e si possono osservare con la buona vo­lontà e con l'aiuto della grazia divina.

Ascoltiamo quanto Iddio ha coman­dato nell'Antico Testamento e nel Nuo­vo, riguardo alla roba altrui.

« Io sono il Signore Dio tuo... Non rubare » (Es., 20, 15).
« A nulla gioveranno i tesori male acquistati » (Prov., 10,2).
« Altri rubano l'altrui e sono sempre in miseria » (Prov., 11, 24).
« È meglio poco con giustizia, che grandi entrate con iniquità» (Prov., 16,8).
« Molti uomini son chiamati misericor­diosi; ma un uomo fedele chi lo potrà trovare? » (Prov., 20, 6).
« Chi ruba a suo padre ed a sua madre e dice che non è peccato, è compagno del­l'omicida » (Prov., 28, 24).
« Chi si associa al ladro, odia la sua anima » (Prov., 29, 24).
« Immonda è l'offerta di chi sacrifica roba di male acquisto » (Eccl., 34, 21).
« Chi offre sacrifici con la roba dei po­veri, è come chi sgozza un figliuolo sotto gli occhi del padre. Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri; chi loro lo toglie, è un assassino » (Eccl., 34, 24).
« Chi toglie il pane del sudore, è come se uccidesse il prossimo. Chi sparge il san­gue e chi defrauda la mercede all'operaio, sono fratelli » (Eccl., 34, 26).
« Guai a colui che accumula roba non sua! Diranno: E fino a quando durerà a caricarsi addosso denso fango? (Abacuc, 2, 6).
« La maledizione si spande sopra la faccia di tutta la terra, perché tutti i la­dri saranno giudicati » (Zacc., 5, 3).
« Badate di non errare: Nè i ladri, né gli avari possederanno il Regno di Dio » (Cor., 1, 6-9).

lunedì 17 novembre 2014

GESU’ MIO! Chi sei tu? – Chi sono io?...... di Don Tomaselli Giuseppe




INTRODUZIONE

Un'insegnante di quarta elementare diede a svolgere alle alunne il tema: " Dite chi è la mamma ».

Lo svolgimento doveva farsi in classe. Le bambinette fecero del loro meglio per esporre i sentimenti verso la propria mamma. Tutte alla fine presentarono il compito, con una o due paginette di svol­gimento.

Il migliore voto fu dato ad una bam­bina, che ridusse il compito ad una sola proposizione: " La mamma... è... la mam­ma! ..."

L'insegnante, madre di famiglia, vide in questa proposizione l'animo dell'alun­na, l'effluvio dei suoi sentimenti filiali e l'incapacità di esprimere ciò che sentiva in cuore, e, quando scorse sul foglio in bianco l'impronta di due lacrimoni, si commosse e diede un bel dieci di svolgi­mento.

Scrivere un libro per svolgere il tema: « Gesù mio, chi sei Tu? Chi sono io? » non è cosa facile. Per quanto di bello, di grande e di santo si possa dire, si dice sempre poco. Lo svolgimento potrebbe ridursi ad una sola espressione: « Gesù mio, Tu sei il tutto! Io sono il nulla! ».

Tuttavia tenterò di esprimere i miei sentimenti di amore e di riconoscenza verso Gesù, facendo miei i sentimenti di molte anime. Che queste pagine diven­tino fuoco ed infiammino i cuori di amo­re verso Gesù, Figlio di Dio, Verbo In­carnato!

PROEMIO

Un uomo viveva della sua figliuola; la vedeva crescere buona e giudiziosa e faceva sogni d'oro sul suo avvenire; ave­va posato gli occhi sopra un bravo gio­vane, fiducioso di darlo ad essa come com­pagno della vita.

Niente mancava in casa alla signorina; avrebbe potuto dirsi felice, a preferenza di cento altre coetanee.

Un pomeriggio, nella solitudine della camera, si svolse un colloquio tra figlia e padre:

- Tu sai, babbo mio, quanto ti ami. Ho fatto di tutto per risparmiarti i di­spiaceri. Eppure, devo dirti una cosa che ferirà il tuo cuore.

- Parla pure, figlia mia!

- Devo lasciarti, per seguire la mia vocazione religiosa; da anni coltivo l'a­spirazione di divenire Suora; è Gesù che mi chiama e m'invita dolcemente; Gesù mi ha fatto comprendere che nel mondo è tutto vanità, felicità falsa. Sono risoluta di seguire Gesù molto da vicino e di ser­virlo fra le mura di un convento. -

Il padre, tanto affettuoso verso la figlia, ma ateo, rimase impietrito e poi esclamò:

- E tu avresti il coraggio di lasciare me, tuo padre?... E tu dici di amarmi?... Se mi ami, non devi staccarti da me!

- Ti amo, ma più di te amo Gesù. Egli ha detto: Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me!

- Ma, dunque, tu sei innamorata di questo Gesù?

- Sì, e sono disposta a seguirlo ove Egli mi vuole! -

Il padre invitò la figlia a lasciarlo solo un momento; passeggiando concitatamente nella camera, livido per la rab­bia, sembrava un orso ferito. Il suo sguardo si posò sopra un'immagine di Gesù, davanti alla quale spesso la figlia si raccoglieva in preghiera.

I due sguardi s'incontrarono e subito l'uomo esclamò: Chi sei tu, o Gesù, che hai la forza di strapparmi la figlia? –

Gesù

Gli uomini mi chiedono chi sia io! Me lo chiesero anche gli Ebrei, meravi­gliati della mia dottrina e dei miei prodigi; e la risposta fu: Sono il Principio, che vi parlo! - Nessuno mi conosce appieno, tranne il Padre mio Celeste. Mi conob­be Simon Pietro, quando disse: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. - Ed io gli soggiunsi: Beato te, Simone, figlio di Giona! Non é stata la carne nè il san­gue a rivelarti ciò, ma il Padre mio che è nei Cieli. - Tanti altri mi conoscono, perchè il Padre lo rivela loro.

domenica 16 novembre 2014

Dieci cose che Dio non vorrà sapere......





Dio non vorrà sapere che genere di automobili hai avuto; ti chiederà se ci hai accompagnato dei bisognosi.

Dio non vorrà sapere il numero di metri quadri della tua casa, ti chiederà quante persone vi hai accolte.

Dio non vorrà sapere che tipo di abili hai indossalo: ti chiederà se hai contribuito a vestire esseri umani.

Dio non vorrà sapere quanto lunghi e belli siano stati i tuoi viaggi; ti chiederà se ti sei fermato per donare una carezza a chi era ai bordi della tua strada.

Dio non vorrà sapere quanto alto fosse il tuo stipendio; ti chiederà se per ottenerlo hai distolto attenzione e premura a chi ti vuole bene.

Dio non vorrà sapere quale fosse il tuo titolo di studio; ti chiederà se hai svolto il tuo lavoro al meglio delle tue capacità.

Dio non vorrà sapere quanti amici hai avuto; ti chiederà se ti sei dimostrato un vero amico.

Dio non vorrà sapere in quale quartiere hai abitato; ti chiederà se hai avuto cura dei tuoi vicini.

Dio non vorrà sapere quale fosse il colore della tua pelle; ti chiederà cosa era nascosto nel tuo cuore.

Dio non vorrà sapere perché hai impiegato così tanto tempo per avvicinarti a Lui; ti porgerà la Sua mano e ti accompagnerà amorevolmente verso le porte del Paradiso.

sabato 15 novembre 2014

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 25,14-30 - Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.


 Mt 25, 14-30
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Parola del Signore


Riflessione
Il Vangelo di oggi è splendido!!! Immaginiamo la scena: qualcuno ci lascia in custodia una grande quantità di soldi e parte per un viaggio in qualche lontana isola tropicale... Il nostro pensiero, qual'è? ..."Speriamo che non torni più... chissà, magari facendo il bagno... qualche squalo affamato gli passa vicino e ops!!!"
Pensieri non molto igienici per un vero cristiano! Prima o poi i conti li dobbiamo fare... e siccome con il Signore non abbiamo scampo è meglio accogliere questa parabola come un serio avvertimento.
Gesù racconta la storia di un uomo che, prima di partire per un lungo viaggio, chiama i suoi dipendenti e consegna loro i suoi beni. Al primo vengono dati cinque talenti, al secondo due e al terzo uno. I primi due, come dei bravi imprenditori, si mettono subito al lavoro e ricavano il doppio di quanto avevano ricevuto. Il terzo, che lo chiameremo “scansafatiche”, prende il talento e lo sotterra in una buca... Ma un bel giorno, ecco che il padrone riappare e chiama i dipendenti per verificare come sono stati gestiti i suoi beni. Per i primi due, che sono stati in grado di raddoppiare il capitale, la risposta è la stessa: “Bene, servo buono e fedele... sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”... Ci verrebbe da dire: "Ma come?... i miei cinque talenti sono diventati dieci e mi tratti allo stesso modo di chi con due ne ha ricavati quattro? Non si fanno forse delle preferenze?"... Ma Dio, comportandosi in questo modo, forse ci vuol far capire che se ai suoi figli da dei talenti in misura diversa, lo fa in base alle reali capacità di ognuno, e ciò che conta ai suoi occhi è che tutti si impegnino al massimo. Quindi, chi ha ricevuto più talenti non deve sentirsi autorizzato ad avere un trattamento migliore, deve evitare di essere geloso, il che in effetti in questa parabola non accade.
Poi il padrone va dal terzo per esaminare anche lui... ma ahimè... ecco l'amara sorpresa: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”... Incredibile la risposta di quest'ultimo... è come se qualcuno si mettesse a criticare il proprio datore di lavoro perché lo paga per essere produttivo.
Il terzo servitore, purtroppo, rappresenta tanti di noi che spesso non investiamo i doni ricevuti: l'esistenza, il tempo e l'intelligenza, per crescere nella conoscenza e nell'amore di Dio, per amare i nostri fratelli... ed è come se seppellissimo il talento. E siamo anche molto bravi a trovare mille scuse: io non sono capace... io non sono brava... io non capisco niente... Tutti questi discorsi nascondono una falsa umiltà... perché Dio ha dato a tutti almeno un talento e dobbiamo farne buon uso investendolo per aiutare, per servire, per cercare di conoscere di più il Signore. Però dobbiamo fare anche attenzione a un'altra cosa... non dobbiamo impuntarci e volere un talento che Dio non prevede per noi. Volere ad ogni costo una certa cosa solo perché ci piace, significa non far sbocciare il dono che Dio ha pensato per noi... Potrebbe succedere che, svolgendo un ministero che ci gratifica, ma che non è ciò che Dio ha pensato per noi, rischiamo di dare scandalo ai fratelli e di non dare lode al Signore. A questo proposito... mi viene in mente il caso di chi insiste a voler proclamare la parola di Dio convinto di fare un servizio, senza rendersi conto che sarebbe meglio lasciare il posto ad altri... Proclamare la Parola del Signore è un dono che non tutti hanno... A volte, quando sento leggere le meravigliose lettere di San Paolo, mi viene un “coccolone”... e penso che lui si rivolti nella tomba nel sentire come le sue lettere vengono maltrattate!!!
Domandiamo al buon Dio di aumentare la nostra fede, di aiutarci ad avere più fiducia in noi, di aiutarci a riconoscere le capacità che Lui ci ha dato, evitando sia la sindrome dello struzzo, sia la presunzione. Tutte le opportunità che il buon Dio ci offre dobbiamo coglierle al volo cercando di essere dei bravi amministratori, e allora, come per i primi due, verremmo ricompensati non solo in Cielo, ma anche quaggiù Lui ci farà pregustare dei piccoli antipasti.
Oh Gesù mio, tu mi hai dato e continui a darmi tanto. Aiutami a far fruttificare i tuoi doni, aiutami a essere responsabile e fedele, ma sopratutto accetta lo sforzo che faccio per servirti.
Pace e bene

SANTA GERTRUDE DI HELFTA di Don Giuseppe Tomaselli





Eisleben, Germania, ca. 1256 - Monastero di Helfta, Germania, 1302

INTRODUZIONE
Ricevetti una lettera spedita dall'Abbadessa del Monastero " Romite Ambrosiane ", dimorante al Sacro Monte di Varese.
Mi fece meraviglia quella lettera, perché spedita da persona a me ignota. Il contenuto era: Reverendo, Le mando un volume importante, perché credo che nelle sue mani potrebbe essere utile.
Mi pervenne il volume dal titolo "L'Araldo del Divino Amore", cioè "Santa Geltrude".
Dopo averlo letto ed averne constatato la preziosità, pensai: L'Abbadessa avrà avuto una santa ispirazione per inviarmi il volume.
Anch'io ebbi un' altra ispirazione: scrivere un libretto popolare per fare conoscere Santa Geltrude, chiamata "La Grande", degna di paragonarsi, secondo il giudizio de' Teologi, a Santa Teresa D'Avila.
Il titolo del libretto "L'Araldo del Divino Amore" significa che la Santa è stata scelta dal Signore come canale dei tesori divini a vantaggio delle anime.
Il volume contiene cinque libri. Nella esposizione della materia per il libretto che intendo comporre, spero essere fedele a quanto già è stato pubblicato nel volume sopra indicato.


INFANZIA
Sono tre le Sante che portano il nome di Geltrude, ma quella di cui trattiamo è Santa Geltrude La Grande, detta anche Santa Teresa della Germania.
Nacque il 6 gennaio 1256 ad Helfta (Sassonia). Ancora bambina rimase orfana di padre e di madre. Ormai è conosciuta la lodevole condotta delle Suore nell'accettare le orfanelle nei loro istituti.
La piccola Geltrude all'età di cinque anni fu ricevuta nel Monastero Cistercense di Helfta. Questo Monastero era in quel tempo un notevole centro di vita intellettuale e spirituale. Ammessa alla scuola, subito si distinse per vivacità e finezza d'intelligenza, sorpassando le compagne in qualsiasi ramo di studio.
La sorella dell'Abbadessa, che poi fu dichiarata Santa, di nome Matilde, era direttrice delle scuole del Monastero ed anche Maestra delle Novizie.
Santa Matilde ebbe una cura particolare di Geltrude, fino a disporla a divenire Suora.
GIOVANE SUORA
Geltrude era così avida di sapere, che per venti anni lo studio era diventato la sua occupazione preferita; cosicché all'età di venticinque anni aveva una grande istruzione Provava il suo diletto nello studio delle lettere, della filosofia, del canto e delle arti belle.
Quantunque fosse Suora e vivesse nel Monastero da vera Suora, la sua vita spirituale s'intiepidì nella pratica degli esercizi spirituali.
A Suor Geltrude, sebbene fosse tiepida spiritualmente per il troppo attaccamento allo studio profano, Dio, siccome voleva attuare su di lei dei meravigliosi disegni spirituali, le venne in aiuto per mezzo di una forte crisi spirituale. Era necessaria questa crisi per farla uscire dallo stato di tiepidezza ed introdurla nella via dell'ardente fervore spirituale. La crisi durò parecchie settimane.
Suor Geltrude cominciò a provare un'angosciosa mestizia; si sentiva sola, sperduta ed avvilita. Non sapeva come uscire da quello stato.
Non trovando più soddisfazione alcuna in ciò che non tendeva a Dio, stabili di darsi generosamente a Dio e di trovare il suo diletto nell'amore divino.
PRIMA VISIONE DI GESÙ
Dopo questa risoluzione venne nell'anima sua la serenità ed il conforto. Essendo cessata la tiepidezza ed incominciato il vero fervore spirituale, Geltrude il 27 gennaio 1281, quando contava ventisei anni, ebbe la prima visione di Gesù.

Al Tempio nella festa dei Tabernacoli. Le condizioni per seguire Gesù. La parabola dei talenti e la parabola del buon samaritano. Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" – Libro IV capitolo 281.



20 settembre 1945.

Gesù è diretto al Tempio. Lo precedono a gruppi i discepoli, lo seguono in gruppo le discepole, ossia la Madre, Maria Cleofe, Maria Salome, Susanna, Giovanna di Cusa, Elisa di Betsur, Annalia di Gerusalemme, Marta e Marcella. Non c'è la Maddalena. Intorno a Gesù, i dodici apostoli e Marziam. Gerusalemme è nella pompa dei suoi tempi di solennità. Gente in ogni via e di ogni terra. Canti, discorsi, mormorio di preghiere, imprecazioni di asinai, qualche pianto di bambino. E su tutto un cielo nitido che si mostra fra casa e casa, e un sole che scende allegro a ravvivare i colori delle vesti, ad accendere i morenti colori delle pergole e degli alberi che si intravvedono qua e là oltre i muri dei chiusi giardini o delle terrazze. Talora Gesù incrocia persone di conoscenza, e il saluto è più o meno deferente a seconda degli umori dell'incrociante. Così è profondo ma sussiegato quello di Gamaliele, il quale guarda fisso Stefano, che gli sorride dal gruppo dei discepoli e che Gamaliele, dopo essersi inchinato a Gesù, chiama in disparte e gli dice poche parole, dopo di che Stefano torna nel gruppo. Venerante è il saluto del vecchio sinagogo Cleofa di Emmaus, diretto insieme ai suoi concittadini al Tempio. Aspro come una maledizione è quello di risposta dei farisei di Cafarnao.
Un gettarsi a terra baciando i piedi di Gesù nella polvere della via è quello dei contadini di Giocana, capitanati dall'intendente. La folla si ferma ad osservare stupita questo gruppo di uomini che ad un quadrivio si precipita con un grido ai piedi di un giovane uomo, che non è un fariseo né uno scriba famoso, che non è un satrapo né un potente cortigiano, e qualcuno domanda chi è, e un bisbiglio corre: «È il Rabbi di Nazaret, quello che si dice sia il Messia». Proseliti e gentili si affollano allora curiosi, stringendo il gruppo contro al muro, facendo ingombro nella minuscola piazzetta, finché un gruppo di asinai li disperde vociando imprecazioni all'ostacolo. Ma la folla subito si riunisce di nuovo, separando le donne dagli uomini, esigente, brutale nella sua manifestazione che è anche di fede. Tutti vogliono toccare le vesti di Gesù, dirgli una parola, interrogarlo. Ed è sforzo inutile, perché la loro stessa fretta, la loro ansia, la loro irrequietezza per farsi avanti, respingendosi a vicenda, fa sì che nessuno ci riesce, e anche le domande e le risposte si confondono in un unico rumore incomprensibile. L'unico che si astrae dalla scena è il nonno di Marziam, il quale ha risposto con un grido al grido del nipotino e, subito dopo aver venerato il Maestro, si è stretto al cuore il nipote stando così, ancora rilassato sui calcagni, i ginocchi a terra, se lo è seduto nel grembo e se lo ammira e carezza con lacrime e baci, beati, e lo interroga e ascolta. Il vecchio è già in Paradiso tanto è beato. Accorrono le milizie romane credendo che vi sia qualche rissa e si fanno largo. Ma quando vedono Gesù hanno un sorriso e si ritirano tranquille, limitando a consigliare i presenti a lasciare libero l'importante quadrivio. E Gesù subito ubbidisce, approfittando dello spazio fatto dai romani che lo precedono di qualche passo come per fargli strada, in realtà per tornare al loro posto di picchetto perché la guardia romana è molto rinforzata, come se Pilato sapesse esservi malcontento nella folla e temesse sommosse in questi giorni in cui Gerusalemme è colma di ebrei di ogni parte. Ed è bello vederlo andare preceduto dal drappello romano, come un re al quale si fa largo mentre va ai suoi possessi. Ha detto, nel muoversi, al bambino e al vecchio: «State insieme e seguitemi»; e all'intendente: «Ti prego lasciarmi i tuoi uomini. Mi saranno ospiti fino a sera». L'intendente risponde ossequioso: «Tutto ciò che Tu vuoi sia fatto», e se ne va da solo dopo un profondo saluto.

MARTA ROBIN - La gioia nella croce - Papa Francesco l'ha dichiarata Venerabile il 7 novembre 2014


 
MARTA ROBIN
La gioia nella croce

RAYMOND PEYRET - © EDITRICE ANCORA MI

DICHIARAZIONE - Conformemente al decreto di Papa Urbano VIII, l'autore dichiara che tutto ciò che è scritto in questa biografia, essendo fondato con certezza solo su testimonianze umane, fa le dovute riserve sulle manifestazioni soprannaturali, finché la Chiesa non s'è pronunciata. Dichiara inoltre che usando a volte qualificativi tipo «santa» e parlando di fatti d'ordine soprannaturale e pre­ternaturale, egli adotta semplicemente un linguaggio ricevuto, senza voler pregiudicare in niente le decisioni della Chiesa alle quali si sottomette senza riserve.

Imprimatur

R. GLAS, vicario generale

Valence, 11 ottobre 1981

I documenti in questo libro, sono riprodotti grazie alla gen­tile autorizzazione di padre Finet e delle famiglie Serve - Bros­se - Gaillard.

PRESENTAZIONE


La traduzione italiana della biografia di Marta Robin, scritta da Raymond Peyret, vuol essere un modesto contributo per diffondere la conoscenza di uno dei più significativi movimenti religiosi del no­stro tempo: i Focolari di Carità.
Sorti in Francia negli anni trenta, essi sono or­mai diffusi in più di 30 nazioni ed esprimono, con la loro presenza discreta ed efficace, il dinamismo dello Spirito, la cui inventiva si pone come fermen­to nella realtà umana di ogni nuova generazione.
Ma qual è la loro origine? Chi mai ha avuto l'idea di orientare il laicato cattolico verso una forma di vita comunitaria «nuova» e particolarmente adatta alla diffusione del Regno in un mondo ateo e senza speranza?
Dio, che si serve dei deboli per confondere i for­ti, ha scelto Marta Robin, l'umile popolana di Chà­teauneuf-de-Galaure, perché fosse la pietra angolare posta a fondamento della grande costruzione.
L'azione misteriosa della grazia e la risposta fe­dele di questa eroina della sofferenza hanno fatto di lei un miracolo vivente, polo di attrazione per chiunque si accosti al soprannaturale in semplicità di cuore, richiamo pressante alla scoperta della mi­sericordia di Dio, la cui «bellezza antica e sempre nuova» vive e si manifesta nei santi.
L'esistenza di Marta Robin si snoda in un cre­scendo di amore per Cristo, fino ad assimilarne le atroci sofferenze della Passione.
Ridotta all'immobilità, ella rivive ogni settimana il mistero del Calvario e, per oltre cinquant'anni, sof­fre e prega per la salvezza del mondo. La sua è una sfida contro la disperazione di chi non sa più dare un senso alla vita e, come sfida, dimostra che tutto ha un senso nella realtà dello Spirito; infatti, le preghiere e le lacrime degli uni, assunte come un prolungamento della Passione di Cristo, possono gio­vare alla conversione e alla felicità degli altri.
La conquista dell'amore vero, quello che rende gli uomini partecipi della gioia di Dio, non conosce altra via se non la via della croce: «Nella croce e nella gioia...» (p. 94 ed. franc.).
p. V. LETTRY

martedì 11 novembre 2014

CRESCERE NEL SIGNORE - Rev. P. Jude O. Mbukanma, O.P. Imprimatur Ayo-Maria Atoyebi, O.P. Vescovo di Ilorin






Questo libro è dedicato al Padre Eterno, che mi ha creato e mi ha chiamato a servirlo come sacerdote consacrato il 16 dicembre 1976. A Lui va il mio eterno ringraziamento per questi anni spesi al suo servizio. 19 dicembre 2001

INTRODUZIONE

Dobbiamo rivolgerci costantemente a Cristo e pregarlo incessantemente affinché ci bat­tezzi con il fuoco della Spirito Santo perché è nell'unzione dello Spirito Santo che possia­mo condurre una vita religiosa più dinami­ca. Lo Spirito Santo è la fonte vitale della nostra conoscenza cristiana di Dio, della maturazione spirituale e di una proficua azione apostolica.

La nostra trasformazione è essenzialmente opera dello Spirito Santo, nostro amico e santificatore. Lo Spirito Santo è qui per liberarci dal peccato, dalle debolezze e dalle limitazioni umane affin­ché l'opera di Cristo (la redenzione dell'uma­nità) possa essere portata a compimento nelle nostre vite.

Gesù non ha chiesto ai cristiani di compiere miracoli, guarigioni o scacciare i demoni (Mt 29, 19-20). Egli ha dato alla Chiesa un compito pre­ciso: trasformare le persone in suoi discepoli, "insegnare loro a obbedire ai comandamenti".

I Santi nella gloria sono passati per questo stesso mondo che a noi sembra presentarsi come un ostacolo per la nostra crescita spirituale. Se essi sono stati santificati per la grazia dello Spirito Santo, anche noi possiamo sperare che lo Spirito Santo faccia lo stesso con noi.

È possibile sviluppare e incrementare le qualità morali (la bontà morale, la virtù) e prevenire il loro opposto solo facendo e rifacendo la cosa giusta. In poche parole "bisogna mettere in prati­ca ciò che si impara e farne un'abitudine..." (Aristotele, Etica a Nicomaco, Libro IX).

Nella storia della spiritualità si nota che ci sono molti asceti che credono che la maturazione spi­rituale consista nel privarsi di cibo e bevande. Naturalmente la rinuncia è importante, fa parte dell'autodisciplina. La Bibbia, però, ci insegna che non è con ciò che mangiamo o beviamo che ci rendiamo graditi a Dio (Mc 7, 14-23): la nostra crescita e la nostra santità dipendono esclusiva­mente dalla grazia di Dio.

IL POTERE DELLA SPERANZA (Gv 5, 1-14)

Solo la ricerca di Dio non è mai vana e, quando Lo si cerca con speranza, Lo si trova sempre.

(San Bernardo di Chiaravalle)





RIVELAZIONE FATTA A S. BERNARDO DA GESU’ DELLA PIAGA ALLA SACRA SPALLA APERTA DAL PESO DELLA CROCE




San Bernardo, Abate di Chiaravalle, domandò nella preghiera a Nostro Signore quale fosse stato il maggior dolore sofferto nel corpo durante la sua Passione. Gli fu risposto: “Io ebbi una piaga sulla spalla, profonda tre dita, e tre ossa scoperte per portare la croce: questa piaga mi ha dato maggior pena e dolore di tutte le altre e dagli uomini non è conosciuta. Ma tu rivelala ai fedeli cristiani e sappi che qualunque grazia mi chiederanno in virtù di questa piaga verrà loro concessa; ed a tutti quelli che per amore di essa mi onoreranno con tre Pater, tre Ave e tre Gloria al giorno perdonerò i peccati veniali e non ricorderò più i mortali e non moriranno di morte improvvisa ed in punto di morte saranno visitati dalla Beata Vergine e conseguiranno la grazia e la misericordia”.

PREGHIERA ALLA SACRA SPALLA

Dilettissimo Signore Gesù Cristo, mansuetissimo Agnello di Dio, io povero peccatore, adoro e venero la Vostra Santissima Piaga che riceveste sulla Spalla nel portare la pesantissima Croce del Calvario, nella quale restarono scoperte tre Sacralissime Ossa, tollerando in essa un immenso dolore; Vi supplico, per virtùà e meriti di detta Piaga, ad avere su di me misericordia col perdonarmi tutti i miei peccati sia mortali che veniali, ad assistermi nell’ora della morte e di condurmi nel vostro regno beato.   


SAN PIO E LA PIAGA DELLA SPALLA

San Pio da Pietrelcina è stato uno di quei pochissimi sacerdoti santi ad aver avuto l'onore di portare sul proprio corpo i segni visibili e tangibili della Passione di Nostro Signore Gesù Cri­sto, e anche lui ha patito gli stessi atroci dolori alla piaga della sua spalla, a conferma di quanto rivelato diretta­mente da Gesù a San Bernardo sulla presenza di una dolorosissima ed inco­gnita piaga alla Sua Sacra Spalla. Una sconcertante scoperta riguardo ai dolori alla spalla patiti da Padre Pio è stata fatta dopo la sua morte da un carissimo amico del Padre, nonché suo figlio spirituale, Fra' Modestino da Pie­trelcina, il quale riferì: "... Dopo la morte di Padre Pio, continuai ad esplo­rare con cura ed oculatezza ogni lembo dei suoi indumenti che sistemavo e ar­chiviavo, con il presentimento che an­cora qualche altra sconcertante sco­perta avrei dovuto fare. Non mi sba­gliai! Quando fù la volta delle maglie, mi venne in mente che una sera del 1947, davanti alla cella N0 5, Padre Pio mi confidò che uno dei suoi più grandi dolori era quello che provava quando si cambiava la maglia... avevo pensato che quel dolore fosse stato causato al venerato Padre dalla piaga che egli aveva sul costato. Il 4 febbraio 1971 però dovetti cam­biare opinione allorché, osservando con più attenzione una maglia di lana da lui usata, notai sopra di essa, con mia grande sorpresa, all'altezza della clavicola destra, una traccia indelebile di sangue. Non mi sembrava, come nella "camicia della flagellazione" una macchia di essudazione sanguigna. Si trattava del segno evidente di una ec­chimosi circolare di circa dieci centi­metri di diametro, all'inizio della spal­la destra, vicino alla clavicola. Mi ba­lenò l'idea che il dolore lamentato da Padre Pio potesse derivargli da quella misteriosa piaga. Rimasi scosso e per­plesso. D'altra parte avevo letto su qualche libro di pietà una preghiera in onore della piaga della spalla di Nostro Si­gnore, apertagli dal legno della Croce che, scoprendogli tre sacratissime ossa, Gli avevano procurato acerbissimo dolore. Se in Padre Pio si erano ripetu­ti tutti i dolori della Passione, non era da escludersi che egli avesse sofferto anche quelli provocati dalla piaga del­la spalla. La sua sofferenza nel con­templare Cristo carico del pesante le­gno e più ancora, carico dei nostri peccati, gli aveva procurato certamen­te sulla spalla quella ennesima ferita. Dolore mistico e dolore fisico. Ormai, grazie al mio amico medico, avevo le idee chiare, o quasi, in proposito. In Gesù, carico della croce, sulla spalla si era avuta la distruzione del­l'epidermide e del sottocutaneo. Il peso del legno e lo strofinio del durissimo elemento rigido contro le parti molli, gli aveva prodotto una lesione trauma­tica muscolare, con "risentimento al­gico nevritico osseo". In Padre Pio quella lesione fisica, generata dalla sofferenza mistica, aveva determinato un profondo ematoma e una fuoriusci­ta di liquido ematico sulla spalla de­stra, con secrezione sierosa. Ecco quin­di sulla maglia un alone sfocato con al centro la macchia scura del sangue assorbito. Di questa scoperta parlai subito al padre superiore che mi disse di scrive­re una breve relazione. Anche Padre Pellegrino Funicelli, che per anni ave­va assistito Padre Pio, mi confidò che, aiutando parecchie volte il Padre a cambiare la maglia di lana che indos­sava, aveva notato quasi sempre, sulla spalla ora destra ora sinistra, una ec­chimosi circolare. In aggiunta a questa, un 'importan­te conferma mi venne dallo stesso Pa­dre Pio. A sera, prima di addormentar­mi, feci a lui, con tanta fede, questa preghiera: "Caro Padre, se tu avevi veramente la piaga alla spalla, dam­mene un segno". Mi addormentai. Ma, esattamente all'una e cinque minuti di quella notte, mentre dormivo tranquil­lamente, un improvviso, acuto dolore alla spalla mi fece svegliare. Era come se qualcuno, con un coltello mi avesse scarnito l'osso della clavicola. Se quel dolore fosse durato qualche minuto ancora, penso che sarei morto. Con­temporaneamente sentii una voce che mi diceva: "Così ho sofferto io!". Un intenso profumo mi avvolse e riempì tutta la mia cella. Sentii il cuore tra­boccante di amor di Dio. Provai anco­ra una strana sensazione: l'essere sta­to privato di quella insopportabile sof­ferenza mi era ancora più penoso. Il corpo voleva respingerla ma l'anima, inspiegabilmente, la desiderava. Era dolorosissima e dolce insieme. Ormai avevo capito! Confuso più che mai avevo la certezza che Padre Pio, oltre alle stigmate alle mani, ai piedi e al costato, oltre ad aver subito la flagellazione e la coronazione di spine, per anni, novello Cireneo di tutti e per tutti, aveva aiutato Gesù a porta­re la croce delle nostre miserie, delle nostre colpe, dei nostri peccati. E quel­la maglia ne portava indelebile il se­gno!".
da "Novissimum Verbum" (sett. - dic. 2002) 

Preghiera per domandare una grazia

Dilettissimo Signore mio Gesù Cristo, mansueto Agnello di Dio, io povero peccatore Ti adoro e considero la dolorosissima piaga della tua spalla aperta dalla pesante croce che hai portato per me. Ti ringrazio del Tuo immenso dono d’Amore per la Redenzione e spero le grazie che Tu hai promesso a co­loro che contemplano la Tua Passione e l’atroce piaga della Tua Spalla. Gesù, mio Salvatore, incoraggiato da Te a chiedere quello che desidero, Ti chiedo il dono del Tuo Santo Spiri­to per me, per tutta la Tua Chiesa, e la grazia (...chiedere la grazia desiderata); fa che sia tutto per la Tua gloria e il mio maggior bene secondo il Cuore del PADRE. Amen. tre Pater, tre Ave, tre Gloria.

TU SEI MIA MADRE



Ricordati e rammentati, o dolcissima Vergine,
che Tu sei mia Madre e che io sono Tuo figlio;
che Tu sei potente
e che io sono poverissimo, timido e debole.
Io Ti supplico, dolcissima Madre,
di guidarmi in tutte le mie vie,
in tutte le mie azioni.
Non dirmi, Madre stupenda, che Tu non puoi,
poiché il Tuo amatissimo Figlio
Ti ha dato ogni potere, sia in cielo che in terra.
Non dirmi che Tu non sei tenuta a farlo,
poiché Tu sei la Mamma di tutti gli uomini
e, particolarmente, la mia Mamma. Se Tu non potessi ascoltare,
io Ti scuserei dicendo :
“è vero che è mia Mamma e che mi ama come Suo figlio,
ma non ha mezzi e possibilità per aiutarmi”.
Se Tu non fossi la mia Mamma,
io avrei pazienza e direi :
“ha tutte le possibilità di aiutarmi,
ma, ahimé, non è mia Madre
e, quindi, non mi ama”.
Ma invece no, o dolcissima Vergine,
Tu sei la mia Mamma
e per di più sei potentissima.
Come potrei scusarti se Tu non mi aiutassi
e non mi porgessi soccorso e assistenza?
Vedi bene, o Mamma,
che sei costretta ad ascoltare
tutte le mie richieste.
Per l’onore e per la gloria del Tuo Gesù,
accettami come Tuo bimbo
senza badare alle mie miserie
e ai miei peccati.
Libera la mia anima e il mio corpo
da ogni male e dammi tutte le Tue virtù,
soprattutto l’umiltà.
Fammi regalo di tutti i doni, di tutti i beni e
di tutte le grazie che piacciono
alla SS. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo


San Francesco di Sales


sabato 8 novembre 2014

La cacciata dei mercanti dal Tempio. Tratto da "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta. Libro I capitolo 53.



24 ottobre 1944. (...)

Vedo Gesù che entra con Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, nel recinto del Tempio. Vi è grandissima folla entro e fuori di esso. Pellegrini che giungono a frotte da ogni parte della città. Dall'alto del colle, su cui il Tempio è costruito, si vedono le vie cittadine, strette e contorte, formicolare di gente. Pare che fra il bianco crudo delle case si sia steso un nastro semovente dai mille colori. Sì, la città ha l'aspetto di un bizzarro giocattolo, fatto di nastri variopinti fra due fili bianchi e tutti convergenti al punto dove splendono le cupole della Casa del Signore. Nell'interno poi è... una vera fiera. Ogni raccoglimento di luogo sacro è annullato. Chi corre e chi chiama, chi contratta gli agnelli e urla e maledice per il prezzo esoso, chi spinge le povere bestie belanti nei recinti (sono rudimentali divisioni di corde o di pioli, al cui ingresso sta il mercante, o proprietario che sia, in attesa dei compratori). Legnate, belati, bestemmie, richiami, insulti ai garzoni non solleciti nelle operazioni di adunata e di cernita delle bestie e ai compratori che lesinano sul prezzo o che se ne vanno, maggiori insulti a quelli che, previdenti, hanno portato, di loro, l'agnello. Intorno ai banchi dei cambiavalute, altro vocìo. Si capisce che, non so se in ogni momento o in questo pasquale, si capisce che il Tempio funzionava da... Borsa, e borsa nera. Il valore delle monete non era fisso. Vi era quello legale, di certo vi sarà stato, ma i cambiavalute ne imponevano un altro, appropriandosi di un tanto, messo a capriccio, per il cambio delle monete.
E le assicuro che non scherzavano nelle operazioni di strozzinaggio!... Più uno era povero e veniva da lontano, e più era pelato. I vecchi più dei giovani, quelli provenienti da oltre Palestina più dei vecchi. Dei poveri vecchierelli guardavano e riguardavano il loro peculio, messo da parte con chissà che fatica in tutta l'annata, se lo levavano e se lo rimettevano in seno cento volte, girando dall'uno all'altro cambiavalute, e finivano magari per tornare dal primo, che si vendicava della loro iniziale diserzione aumentando l'aggio del cambio... e le grosse monete lasciavano, tra dei sospiri, le mani del proprietario e passavano fra le grinfie dell'usuraio e venivano mutate in monete più spicciole. Poi altra tragedia di scelte, di conti e di sospiri davanti ai venditori di agnelli, i quali, ai vecchietti mezzi ciechi, appioppavano gli agnelli più grami.