LA
GOLA
La
gola è il rapporto irrazionale con il cibo. È golosità. È
voracità. È bisogno di mettere sempre qualcosa in bocca. «La gola
è illusione degli occhi».(1) dinanzi alle pietanze.
Innanzi
tutto è fondamentale prendere atto che la gola è un vizio, cioè
una passione. Come il fumo, così la voracità crea assuefazione. Ci
rende dipendenti dai gusti, dai capricci, da un irrazionale anelito a
mangiare continuamente. I gusti poi, che crediamo tanto “nostri”,
sono in genere il frutto dei condizionamenti dell'abitudine, delle
mode, della pubblicità, o anche delle sostanze quasi narcotiche (per
es. il glutammato) presenti in molti alimenti industriali.
Chiediamoci: “Sono capace di mangiare cibi che non mi piacciono o
di rinunciare a quelli che amo o di non mangiare per cinque ore o per
un giorno (tutte cose che non danneggiano la salute, ma anzi la
beneficano)?”. Se non ci riesco, significa che non sono padrone di
me, ma che la gola mi rende dipendente.
Lo
vedo, se mi metto in osservazione di me stesso. Dopo un pranzo
abbondante cammino per strada e passo di fronte a una pasticceria. In
vetrina vedo dolci alla crema e altre prelibatezze. Mi fermo e mi
guardo dentro: subito vedo all’opera il meccanismo che agisce in
me. Non avevo fame, eppure l’inveterata abitudine mentale ad
assecondare sempre la gola mi porta a reagire in maniera automatica
alle stimolazioni esterne. Mentre passavo dinanzi alla vetrina, forse
pensavo a tutt'altro, ma in me, senza che me ne accorgessi, ha agito
un meccanismo psicofísico, il quale, proprio in virtù del suo
ripetersi ogni giorno a mia insaputa, si consolida sempre più.
Se
però affino l’occhio della consapevolezza, imparo a scovare questa
“abitudine” ogni volta che comincia ad operare in me. Quando
compro degli alimenti o quando mi accingo a mangiare, mi chiedo: “Sto
agendo per golosità o voracità o abitudine?”. Se mi accorgo di
sì, ne prendo coscienza, e così, piano piano, questo roditore
segreto che è il vizio della gola si troverà sempre una luce
puntata addosso e quindi, anche se continuerà ad agire in me, non
sarà però più a mia insaputa. In tal modo verrà a mancare il
fattore essenziale che costituisce la passione e il vizio: il
costruirsi di un’abitudine automatica e inconsapevole.
Ho
fatto il primo passo: non ho ancora liberato il pollaio dagli assalti
della faina, ma ho preso atto della sua esistenza, ne studio i
movimenti e le tattiche, vedo da dove arriva e la osservo mentre si
introduce attraverso il buco della rete. La gola, come ogni vizio,
danneggia l'uomo. È risaputo quanto faccia male alla salute una
scorretta alimentazione: mangiare troppo e troppo spesso, mangiare
cibi grassi, zuccherati, manipolati industrialmente e con aggiunte di
ogni genere di conservanti, coloranti, dolcificanti artificiali,
nonché mangiare troppa carne e bere alcolici. E la causa di questa
cattiva nutrizione è appunto la golosità, a sua volta provocata
dalla pessima «tirannia dell'abitudine» (2) (l'educazione
ricevuta e il forte condizionamento delle consuetudini sociali),
dalla pubblicità che cerca di vendere i suoi prodotti a qualunque
costo, dall’assuefazione e dalla mancanza di lucidità mentale
prodotte dall'eccesso stesso di cibo, specialmente di cibi pesanti.
«Non è solamente l’eccesso del vino che inebria la mente, ma
anche l'eccedenza in tutte le vivande la rende vacillante e instabile
e la priva della capacità di una contemplazione completa e
pura»”(3). Come ogni “demone”, la gola è ingannevole e
si presenta in maniera piacevole e innocua.
La
gola ci asservisce perché ci offre una sensazione di piacere. Ma
anche qui basterebbe aguzzare la vista e osservare quale sia
veramente il piacere che ci dà: rapido, effimero, non esente da
fastidi e che dopo poco si trasforma in senso di pesantezza, nausea,
stanchezza, fatica, dolori di digestione, gonfiore (cf. Sir 31, 20;
37, 30-31). Non bisogna però lasciarsi ingannare dal semplice
concetto di salute. I vizi — come abbiamo visto – sono
atteggiamenti passionali, indipendentemente dall’oggetto a cui si
dirigono. Chỉ mangia solo crusca, yogurt, piadine di soia e altri
cibi biologici e sani, può essere schiavo della gola come chi mangia
salsicce e paste alla crema, anche se quasi sempre il “demone”
della gola preferisce i cibi meno sani. I vizi si travestono. Uno
crede di aver vinto la gola, ma la passione in lui rimane e si
manifesta in altre forme meno appariscenti: ha sempre una gomma in
bocca, beve continuamente caffè, non smette di succhiare caramelle,
fuma. Tutti questi — lo ripetiamo — non sono “peccati”,
quanto piuttosto probabili sintomi di uma “malattia”. I vizi si
danno il cambio. Uno non è goloso né vorace, ma in compenso è
libertino, iracondo, attaccato al denaro, arrogante. In lui la
passione, che è la sostanza del vizio, è ben lontana dall’essere
spenta, anche se egli appare irreprensibile nel regime aliÎmentare.
I
vizi cercano pretesti ragionevoli per non essere censurati dalla
coscienza: «Oggi devi cucinare carne e manicaretti, perché ci sono
ospiti», «Domani bisogna comprare dei dolci, perché ci sono i
bambini»... È certamente giusto accogliere al meglio gli ospiti, ma
se con ciò rinforzo in me il potere del vizio, vale la pena? A
questa obiezione, dunque, che ci pone la scelta tra due beni (la
carità dell’ospitalità e la lotta contro la passione), bisogna
rispondere: si può essere ospitali anche con cibi parchi e una
parola gentile.
Inoltre,
i vizi capitali si chiamano così perché producono altri vizi.
L’assuefazione alla golosità e alla voracità comporta grandi
spese e quindi può condurre all’avidità di denaro,
all’insensibilità verso i poveri e all’inaridimento nel fare
l’elemosina; può creare curiosità verso nuovi prodotti,
dipendenza dalla pubblicità e consumismo; può far perdere tempo che
si potrebbe dedicare ad attività più utili; può impedire alla
mente di essere lucida e concentrata, allontanandoci così anche
dalla preghiera e dalle sane letture; l'eccesso di cibo può
surriscaldare la lussuria; ci rende meno padroni di noi stessi e
quindi incapaci di dominarci anche in altre situazioni (la tentazione
di adulterio, di vendetta, di frode...).
La
gola si può dunque considerare un danno sia personale che sociale.
Preso atto di tutto ciò, decido di combattere in me la gola. Ma è
chiaro che «non è possibile vincere tutt’a un tratto una o più
passioni, come non è possibile di fatto guarire in un attimo da una
lunga malattia» (4).
Di un peccato commesso, è sufficiente, in un certo senso, pentirsi
con sincerità di fronte a Dio e il peccato non esiste più; ma con i
vizi non è così. Occorre un lungo e faticoso lavoro. La prima arma,
ovvero la prima medicina, è l’ascesi, che vuol dire allenamento
alla rinuncia. Come un tossicodipendente in terapia, comincio con
l'astenermi dall'oggetto del vizio. La tradizione cristiana ha
elaborato a questo proposito numerose pratiche: astenersi
completamente da ogni cibo per un certo lasso di tempo (sei ore, un
giorno, tre giorni...); mangiare solo a ore stabilite; astenersi
dagli alimenti pesanti e poco sani (specialmente carne, grassi,
fritti, dolciumi); imporsi come disciplina di evitare certi cibi
particolari (per esempio non mangiare carne, latte e uova durante la
Quaresima); vincere la golosità astenendosi volutamente da una
pietanza che piace molto o viceversa scegliendo volontariamente una
che non piace; Smettere di mangiare prima di aver raggiunto la
completa sazietà.
Queste
forme di rinuncia hanno trovato una sistemazione organica nell'antica
disciplina ecclesiastica del digiuno . Anche se quest’ultima non è
oggi più normativa nella Chiesa cattolica, rimane tuttavia molto
consigliabile seguirla o, per lo meno, praticare queste varie forme
di rinuncia di propria iniziativa. In tal modo infatti si ottengono
tre importanti risultati: recido le cattive conseguenze concrete
della gola (il consumismo, la perdita di tempo, i danni alla salute);
comincio a liberarmi dalla dipendenza meccanica dal vizio;
disintossico non solo il corpo, ma anche la mente. I vizi sono come
piante: se si vuole che non crescano fino a diventare alberi robusti,
bisogna smettere di innaffiarle. Innaffio la pianta della gola ogni
volta che mi reco in luoghi dove essa viene stuzzicata visivamente od
olfattivamente; ogni volta che guardo o ascolto una pubblicità,
rendendomi così permeabile ai suoi sofisticati metodi di persuasione
subliminale; disponendo di denaro, che rende la tentazione più
seducente e irresistibile, in quanto ce la presenta come
immediatamente realizzabile. Bisogna dunque cominciare a non dare più
acqua al vizio, evitando ciò che lo alimenta. La gola è la
deformazione viziosa di un istinto naturale, e in quanto tale buono.
Bisogna quindi riportare l’alimentazione alla sua modalità e al
suo scopo naturali: mangiare per vivere, cioè per fornire al corpo
gli elementi vitali di cui ha bisogno per muoversi e mantenersi in
salute (carboidrati, vitamine, proteine, ecc.).
Mangiare
in conformità non a gusti indotti, ma alle finalità naturali del
corpo, non è una penosa mortificazione, ma ci fa anzi riscoprire il
sano piacere del cibo: il sapore gustoso della verdura e della frutta
così come è in natura, il piacere di uno stomaco leggero, la gioia
di poter mangiare serenamente tutto ciò che ci viene offerto, senza
dover soggiacere ai dettami capricciosi dei nostri gusti. Quando poi
si scoprono i tanti altri piaceri sani della vita, come leggere libri
spirituali, pregare, fare gesti gentili verso il prossimo, guardare
con amore un bambino o passeggiare silenziosamente nei boschi, le
seduzioni artificiali con cui ci accattivava un tempo la gola ci
appariranno in tutta la loro banalità.
Come
in ogni cosa, però, ci vuole discrezione e oculatezza. È facile,
presi dall’entusiasmo, lanciarsi in eroiche mortificazioni della
gola, ritrovandosi poi schiavi della superbia (sotto forma di
orgoglio per la propria ascesi, di disprezzo per gli altri, di
rigorismo fanatico), oppure finendo con il cadere ancor più in balia
della voracità dopo aver esaurito quell’effimero e instabile
slancio ascetico iniziale. Come chi vuole guarire da una malattia non
può intraprendere la terapia di testa propria, così anche il
cristiano deve attenersi alle regole della medicina (le direttive
contenute nei libri ascetici dei Padri) e affidarsi a un medico
esperto (un padre spirituale).
3
Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche, V, 6.
Tratto
dal libro “ I 7 vizi capitali “ di Dag Tessore
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