martedì 27 gennaio 2015

Orgoglio e umiltà di C. S. Lewis


IL GRANDE PECCATO

Verrò adesso a quella parte della morale cristiana dove essa differisce più nettamente da tutte le altre. C’è un vizio dal quale nessuno al mondo è esente; un vizio che ognuno aborrisce quando lo vede in altri, e di cui ben pochi, tranne i cristiani, immaginano di essere a propria volta colpevoli. Ho sentito gente ammettere di avere un cattivo carattere, o di non sapersi contenere riguardo alle donne o al bere, e perfino di essere vile. Ma non ho mai sentito nessuno, che non fosse un cristiano, accusarsi di questo vizio. Al tempo stesso, mi è capitato molto raramente di conoscere qualcuno, non cristiano, che riscontrandolo in altri lo considerasse con clemenza. Non c’è difetto che renda un uomo più malvisto, e nessuno di cui siamo meno consapevoli in noi stessi. E più ne siamo intrisi, più lo detestiamo nel prossimo. Il vizio di cui parlo è la superbia, l’orgoglio presuntuoso; e la virtù opposta, nella morale cristiana, si chiama umiltà. Forse ricorderete che parlando della morale sessuale vi ho avvertito che il punto centrale della morale cristiana non era quello. Ebbene, ora siamo arrivati al punto centrale. Secondo l’insegnamento cristiano, il vizio essenziale, il male supremo, è la superbia. Lussuria, ira, avarizia, ubriachezza, ecc., sono inezie, in confronto: fu per superbia che il diavolo diventò il diavolo; la superbia è la fonte di tutti gli altri vizi, è la condizione di spirito assolutamente contraria a Dio. Vi sembra un’esagerazione? Pensateci bene. Ho osservato, un momento fa, che più si è superbi, più si prova avversione per la superbia altrui. Se volete misurare la vostra superbia, il modo più facile è domandare a voi stessi: “Mi dispiace, e quanto, che gli altri mi snobbino, non mi prestino attenzione, mi diano sulla voce, mi trattino con degnazione, si mettano in mostra?”.

domenica 25 gennaio 2015

Alcune lettere tratte da The Screw' tape Letters (Le lettere di Berlicche, 1942) di C.S. Lewis.




Un funzionario di Satana istruisce un giovane diavolo apprendista, suo nipote, spiegandogli quali mezzi ed espedienti ha trovato per esperienza più idonei per fare prigionieri gli uomini e strapparli alla parte nemica; e nell'argomentare soppesa lodi e rimproveri allo scopo di richiamare l'attenzione critica del discepolo sulle cause o sui fatti che hanno determinato un suo successo o un insuccesso nella quotidiana battaglia con i ministri di Dio.

Mio caro Malacoda,

ho notato quanto mi dici sull'opportunità di dirigere le letture del paziente sottoposto alla tua cura, e di far sì che il più spesso possibile stia in compagnia di quel suo amico materialista. Ma non ti pare di essere un pochino ingenuo? Le tue parole fan pensare che tu sia d'opinione che la discussione sia il metodo per tenerlo lontano dalle grinfie del Nemico. Avrebbe potuto essere così se egli fosse vissuto alcuni secoli fa. A quei tempi gli uomini avevano una coscienza ancora abbastanza chiara di quando una cosa veniva provata e di quando no; e, se gli argomenti erano convincenti, la credevano veramente. Mantenevano ancora una relazione fra il pensare e l'agire, ed erano pronti, come risultato di una serie di ragionamenti, a mutar vita. Ma, un po' per mezzo della stampa settimanale, un po' con altre armi, siamo riusciti in gran parte a mutare questo stato di cose. Il tuo giovanotto è stato abituato, fin da ragazzo, ad avere nella testa una dozzina di filosofie irriconciliabili fra di loro, che danzano insieme allegramente. Non considera le dottrine come, in primo luogo, "vere" o "false", ma come "accademiche" o "pratiche", "superate" o "contemporanee", "convenzionali" o "audaci". Il gergo corrente, non la discussione, è il tuo alleato migliore per tenerlo lontano dalla chiesa. 

sabato 24 gennaio 2015

LA PAZIENZA, UNITA ALLE ALTRE VIRTÙ - San Francesco di Sales



Bisogna tollerare con pazienza non solo di essere ammalati, ma anche di esserlo della malattia che Dio vuole, dove egli vuole, tra le persone che vuole e con i disagi che vuole: e così per tutte le altre sofferenze. Quando sopraggiungerà il male, adopera pure tutti i rimedi che saranno possibili e conformi al volere di Dio, perché fare diversamente sarebbe tentare la sua divina Maestà. Ma poi, fatto questo, attendi con piena rassegnazione quell'effetto che Dio vorrà. Se a lui piacerà che i rimedi vincano il male, lo ringrazierai umilmente; se invece gli piacerà che il male prevalga sui rimedi, benedicilo con pazienza.
Io sono del parere di S. Gregorio: quando verrai accusata giustamente per una colpa da te commessa, umiliati profondamente e confessa di meritare l'accusa mossa contro di te. Se invece l'accusa è falsa, scusati in bel modo, negando di essere colpevole, perché devi questo riguardo alla verità e all'edificazione del prossimo: se però, dopo la tua vera e legittima scusa, continuano ad accusarti, non turbarti e non cercare di fare accettare la tua scusa, perché - dopo aver reso omaggio alla verità devi renderlo anche all'umiltà. In questo modo non verrai meno alla sollecitudine che devi avere per la tua buona fama, né all'affetto che devi nutrire verso la tranquillità, la dolcezza del cuore e l'umiltà.
Lamentati il meno possibile dei torti ricevuti perché è certo che, in genere, chi si 'lamenta cade in qualche peccato, dato che il nostro amor proprio ci fa sempre sentire le ingiurie più grandi di quanto non siano: ma soprattutto non lamentarti con persone facili a sdegnarsi e a pensar male. Se fosse opportuno dolerti con qualcuno - o per rimediare all'offesa o per calmare il tuo spirito  devi procurare che ciò avvenga con anime miti e che amano veramente Dio, perché altrimenti, invece di sollevarti il cuore, lo getterebbero in maggiori inquietudini e invece di cavarti dal piede la spina che ti punge, te la ficcherebbero dentro più di prima...
Il vero paziente non piange il suo male, né desidera di essere compianto dagli altri, ma ne parla con un linguaggio schietto, verace e semplice, senza lamenti, senza rammarichi, senza esagerazioni. Se lo compiangono, lo sopporta pazientemente, tranne quando lo compatiscono di un male che non ha; perché allora dichiara modestamente che non ha quel male e se ne sta tranquillo tra la verità e la pazienza, dicendo il male che ha, senza lagnarsene... Quando sarai malata, offri tutti i tuoi dolori, pene e debolezze a Nostro Signore e supplicalo di unirti ai tormenti che egli ha sofferto per te. Obbedisci al medico, prendi le medicine, gli alimenti e gli altri rimedi per amore di Dio, richiamando alla mente il fiele che Gesù ha preso per nostro amore. Desidera ,di guarire per servirlo; non rifiutare di patire per obbedirgli e sii disposta anche a morire se così gli piace, per lodarlo e godere in lui.




L' amicizia spirituale. S. Francesco di Sales "Filotea".



LE VERE AMICIZIE

Ama tutti, Filotea, con un grande amore di carità, ma legati con un rapporto di amicizia soltanto con coloro che possono operare con te uno scambio di cose virtuose. Più le virtù saranno valide, più l'amicizia sarà perfetta.
Se lo scambio avviene nel campo delle scienze, la tua amicizia sarà, senza dubbio, molto lodevole; più ancora se il campo sarà quello delle virtù, come la prudenza, la discrezione, la fortezza, la giustizia.
Ma se questo scambio avverrà nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana, allora sì, che si tratterà di un'amicizia perfetta. Sarà ottima perché viene da Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché sarà eterna in Dio. E' bello poter amare sulla tetra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come faremo eternamente nell'altro. Non parlo qui del semplice amore di carità, perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell'amicizia spirituale, nell'ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito. A ragione quelle anime felici possono cantare: Com'è bello e piacevole per i fratelli abitare insieme. 

LE CONSOLAZIONI SPIRITUALI E SENSIBILI E COME BISOGNA COMPORTARSI CON ESSE - Capitolo XIII S. Francesco di Sales: La Filotea



Dio porta avanti la vita di questo meraviglioso mondo in un continuo avvicendamento: al giorno segue la notte, all'autunno, l'inverno, all'inverno la primavera; un giorno non è mai la monotona ripetizione di un altro; ce ne sono di nuvolosi, di piovosi, di secchi, di agitati dal vento; tutta questa varietà conferisce all'universo una grande bellezza.
La stessa cosa avviene per l'uomo, che, secondo gli antichi, è un piccolo mondo; perché non si trova mai nella stessa condizione, e la sua vita scorre su questa terra come le acque che scrosciano e ondeggiano in un continuo turbinio di movimenti; e ora lo alzano verso la speranza, ora lo prostrano nella paura, ora lo spingono verso la destra della consolazione, ora verso la sinistra dell'afflizione, e non si dà mai un giorno solo, anzi nemmeno un'ora sola, che sia identica all'altra.
Voglio darti un consiglio fondamentale: dobbiamo sforzarci di conservare una continua ed inattaccabile uguaglianza di cuore in una simile varietà di situazioni; e benché intorno a noi tutto muti in continuazione, dobbiamo rimanere saldamente fermi per guardare, tendere e protendere sempre al nostro Dio.

San Francesco di Sales - Tema : Bontà - Dolcezza - Apostolato presso i calvinisti - Vita spirituale dei laici - Ordine della Visitazione - Trattato dell'Amore di Dio




Re Enrico IV chiamava san Francesco di Sales “la fenice dei vescovi”, perché, diceva, “è un uccello raro sulla terra”. Dopo aver rinunciato ai fasti di Parigi e alle proposte reali di una sede episcopale prestigiosa, Francesco di Sales divenne il pastore instancabile della sua terra savoiarda, che amava sopra ogni cosa. Lasciandosi guidare dai Padri della Chiesa, egli attingeva dalla preghiera e da una grande conoscenza meditata della Scrittura la forza necessaria a compiere la sua missione e guidare le anime a Dio (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera al Vescovo di Annecy, 23 novembre 2002).
Francesco di Sales nasce il 21 agosto 1567, in una famiglia cattolica della nobiltà savoiarda, nel castello di Sales, a una ventina di chilometri a nord di Annecy. È il maggiore di sei fratelli e sorelle. I suoi genitori seguono il principio educativo di spiegare le ragioni di ciò che esigono, perché l’obbedienza dei loro figli sia più consapevole. Molto presto, il bambino impara a servirsi di una spada, ma anche a fare l’elemosina ai poveri: se sente un povero che chiama, lascia la tavola per portargli una parte del suo pasto. Tuttavia, non è perfetto: un giorno, entra in cucina, nonostante il divieto ricevuto, e chiede al cuoco un piccolo pâté succulento ma ancora fumante. Il bruciore che sente non gli impedisce di portarlo in mano e di mangiarlo. Va quindi a farsi curare da sua madre senza rivelarle la causa di questa scottatura.

venerdì 23 gennaio 2015

L’INDURIMENTO del cuore - Sac. Cornelio A Lapide





CHE COSA È L'INDURIMENTO. - «Qual è che si chiama cuore indurito? domanda S. Bernardo, e risponde: È quello che non inorridisce di se medesimo, perché non sente più nulla. È quello che la compunzione non ispezza, la pietà non ammollisce, le preghiere non commuovono, le minacce non scuotono, i flagelli intristiscono. Esso è ingrato ai benefizi, sordo ai buoni consigli, spietato nel giudicare, spudorato nelle cose disoneste, temerario nei pericoli della salute, inumano con i suoi simili, superbo con Dio, dimentico del passato, non curante del presente, imprevidente del futuro. Del passato altro non ricorda che le ingiurie ricevute, perde il presente, chiude gli occhi sull'avvenire, eccetto che per vendicarsi. E per comprendere tutti in una parola i mali di così orrendo male, si chiama cuore indurito quello che non ha nessun timore di Dio, nessun rispetto agli uomini (De Consid., lib. I)».
L'indurimento è: 1° la malizia di colui che vuole peccare e non fare il bene; 2° un così forte ed ostinato attaccamento a ciò che è proibito, che non si vuole abbandonarlo né per ammonizioni, né per consigli, né per minacce, né per promesse, né per ricompense, né per castighi, né per ispirazioni, né per grazie.
Un cuore indurito: 1° non vuole comprendere, per timore di dover fare il bene (Psalm. XXXV, 3). Medita l'iniquità ad animo calmo, tiene il piede in tutte le strade non buone; non si rifiuta ad alcuna ribalderia (Ib. 4). 2° Si rallegra quando fa il male e gode dei più enormi delitti (Prov. II. 14). Quando uno si compiace delle cose vergognose è arrivato al fondo della disgrazia; poiché è disperata la guarigione di colui che fa dei vizi un affetto, un abito... 3° Il cuore indurito corre tutta la via del male, si burla di Dio e della virtù... 4° Il suo peccato diventa quasi indistruttibile, incurabile la sua piaga... 5° Non arrossisce dei suoi fatti per quanto maliziosi e vergognosissimi... 6° E incorreggibile... 7° Dio l'abbandona, lo rigetta. lo disprezza, lo maledice... 8° Flagellato da Dio, non sente più nulla, ha soffocato perfino i rimorsi... 9° L'abito gagliardo e inveterato di fare il male gli rende quasi impossibile fare il bene e schivare il peccato... 10° S. Paolo dice che un tal cuore accumula sopra di sé il furore di Dio, che è abbandonato al reprobo senso; lo chiama figlio di perdizione, vaso destinato all'esterminio. pieno di furore, che trabocca nei peggiori misfatti... 11° Questo cuore aggiunge iniquità ad iniquità, peggiora di più in più la deplorevole e disperata sua condizione, macchiandosi di sempre nuove immondizie, tuffandosi di ora in ora, di momento in momento, sempre più profondamente nella sterminata cloaca delle più vituperose e laide passioni...

giovedì 22 gennaio 2015

Dal Vangelo secondo Marco - Mc 3, 13-19 - Chiamò a sé quelli che voleva perché stessero con lui.


Mc 3, 13-19 

In quel tempo, Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni.
Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.

Parola del Signore


Riflessione

Tanti seguono Gesù... ma, alla fine, è Lui solo che decide chi avere con se per una missione particolare.

E' importante per noi sapere che è sempre Lui che chiama e che sceglie. E' bello osservare come la scelta dei Dodici avviene dopo una lunghissima notte in preghiera, infatti, solo all'alba chiama i discepoli e comunica loro la Sua decisione.

E' quello che dovremmo fare noi... pregare e chiedere al buon Dio il Suo parere prima di prendere qualsiasi decisione importante.

Ne sceglie dunque dodici che rappresentano in qualche modo tutti i popoli: nessuno deve rimanere senza un buon pastore. Ma per essere tale, Gesù è come se mettesse una condizione: “Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni”.

Questo significa che la cosa più importante è prima di tutto stare con Gesù, conoscere Gesù e amare Gesù sopra ogni cosa. I nostri occhi devono essere orientati verso di Lui... il nostro cuore deve palpitare per Lui... e le nostre braccia devono dirigersi verso di Lui. E solo dopo che avremmo posto Gesù al centro della nostra vita, saremmo in grado di essere degli strumenti affidabili per la costruzione del Suo Regno. Riusciremo quindi ad amare il prossimo, a servirlo e a guarirlo, solo se Cristo è radicato nel nostro cuore. Dobbiamo insomma conoscere ogni cosa di Gesù: le parole, le opere, gli insegnamenti, le risposte, ma soprattutto gli atteggiamenti, un certo stile, un certo sentire come Cristo...

Nella nostra società c'è un po' di confusione... si pensa di essere religiosi compiendo un certo numero di pratiche esteriori, ma questo non significa avere fede, o al massimo è come la fede di un granello di senapa diviso quattro. L'errore di tanti consiste nel pretendere di fare proseliti da ogni parte a suon di parole; parole che vengono spesso smentire dai fatti, ossia dall'incoerenza dei comportamenti; parole che non hanno molta autorità perché ripetono più che altro cose sentite da altri, ma non sono  veramente assimilate, vissute, "sofferte"...

Troppi si credono evangelizzatori, troppi si credono buoni, troppi si credono miti, troppi si credono umili, troppi credono di amare Dio... Ma troppo pochi hanno il coraggio di dire gemendo: "Mio Dio, io non ti amo... io non credo in te... io non spero in te...". A questo punto mi domando, ma il Curato d'Ars quando esclamava: “Popolo insensibile, perché non ti lasci toccare!?... a chi si rivolgeva, se tutti sono così perfettini?... Diceva bene Benedetto XVI: “Conoscere Cristo, come processo intellettuale e sopratutto esistenziale, è un processo che ci fa testimoni. In altre parole, possiamo essere testimoni soltanto se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Le belle parole non incantano il Signore, ma è il riconoscere la nostra miseria che commuove il buon Dio, perché sa di grido e di gemito... e questi gemiti sono musica per le Sue orecchie... allora non rimarrà sordo, ma trasformerà i nostri cuori. Quindi, suggerimento pratico... non iniziare e non terminare mai una giornata senza almeno una bella chiacchierata con Dio.

Quando Dio sceglie qualcuno usa dei criteri diversi dai nostri; come vediamo, infatti, i discepoli non erano farina da ostie, ma Gesù non li ha scelti perché erano belli, intelligenti, dolci o irresistibili, ma perché ha visto nel loro cuore qualcosa di speciale. Essi volevano veramente conoscere Cristo, e anche se non capivano subito - l'amore di Dio è più forte delle nostre comprensioni -, il loro desiderio di verità, di giustizia, di amore... ha fatto superare loro tante paure, tanti dubbi, tante difficoltà... 

Chiediamo al buon Dio di rafforzare la nostra fede perché gli altri, vedendoci, possano dire: "Ecco, quello è un vero discepolo!". Chiediamogli di aiutarci ad imitare i dodici; e che anche loro ci incoraggino quando andiamo contro corrente, quando siamo derisi perché andiamo in Chiesa, quando parliamo di Lui, quando non vogliamo adeguarci alla logica del mondo... ma sopratutto ci aiutino a cedere le redini della nostra vita al capitano migliore che c'è sulla piazza.

Pace e bene



martedì 20 gennaio 2015

La costante situazione dei servi di Dio...



Essi devono affrontare una contraddizione che nessuna sapienza riesce a chiarire:
- da un lato, la ripetuta affermazione di un amore straordinario e geloso, rafforzata da segni anch'essi straordinari – questo esternamente – e internamente un fuoco divorante, che spinge a “sperare contro ogni speranza”:
- dall'altro, fatti... indiscutibili, gravi, innumerevoli, soffocanti, e nell'intimo la complicità del cuore umano, il quale abbandonato a se stesso, ricade ben presto e irresistibilmente nell'impressione (che egli crede del tutto giustificata da questi fatti) che non può essere così, che è tutto un sogno, una favola... e proprio allora il demonio ci attende per trascinarci al di là del dubbio, nella vertigine del nulla e nelle tenebre dell'angoscia dove non c'è più nemmeno Dio...
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Vi è una lotta fra l'uomo e Dio che non risparmierà nessuno, perché Dio stesso vuole che essa abbia luogo... (e questo è il mistero di Giobbe). I cuori semplici non hanno bisogno di tanta teologia per essere sconvolti dal mistero del male e per rivolgersi a Dio con quell'accento appassionato che viene dall'amore – accento che Jahvè preferisce di gran lunga ai ragionamenti consolanti e tiepidi degli amici di Giobbe, poco ansioni in realtà di percorrere il cammino che li condurrà alla visione...

p. Marie Dominique Molinié (dal libro “La lotta di Giacobbe”)

ANCHE SE EGLI HA FATTO DI TUTTO PER SPEZZARE LA MIA FEDE IN LUI...

domenica 18 gennaio 2015

Beata Cristina (Mattia) Ciccarelli da L'Aquila Vergine - Colle di Lucoli, L'Aquila, 24 febbraio 1480 - L'Aquila, 18 gennaio 1543



 
La Beata Cristina è uno dei personaggi più cari alla popolazione lucolana e quello per cui tutti nutrono una speciale devozione.
LA VITA IN CASA
Nacque nella frazione Colle il 24 febbraio 1480 e ricevette il nome di Mattia. Sin da bambina manifestò i segni di una serietà superiore ai suoi interessi religiosi ed era indifferente ai giochi spensierati tipici della sua età. Suor Giacoma dell'Aquila del monastero della S.S. Eucarestia, detto poi di S. Chiara, avutane notizia, esclamò: "Anima beata, tu sarai tutta di Cristo!".Fu un augurio profetico che, divenuta monaca agostiniana, si rivelò nella scelta del nome Cristina (che significa "tutta di Cristo").
Amava la ritiratezza, la semplicità, l'umiltà, il servizio; era una ragazza esemplare ed influiva persino sui buoni genitori perchè pensassero più al cielo che alla terra. Trascorreva molte ore dinnanzi all'immagine della Pietà dipinta nella sua casa e, nonostante le noie della salute, tra cui un dolore ai denti che l'accompagnò per tutta la vita, si mostrava sempre ben lieta e pensava più agli altri che a se stessa, dedicando cure ai poveri e agli infermi. Per la direzione spirituale si affidò a frate Vincenzo dall'Aquila, oggi beato, del convento di San Giuliano. Egli si trovava spesso a passare per il territorio lucolano per la questua e, ospite della famiglia Ciccarelli, disse ai genitori di Mattia che sarebbe stata una prediletta di Gesù. Addirittura la futura Beata ebbe la visione dell'ingresso al cielo dello stesso frate Vincenzo avvenuto in S. Giuliano la sera del 7 agosto 1504.

sabato 17 gennaio 2015

IL SIGNORE TE LO CHIEDE......di Don Giuseppe Tomaselli esorcista salesiano



Confessati bene

- Non nascondere per vergogna o paura qualche peccato!

- Vuoi sapere quali siano, d’ordinario, i peccati che il demonio fa nascondere in Confessione o confessare male? Sono le mancanze commesse contro il sesto comandamento, cioè, i brutti pensieri, i discorsi vergognosi, le cattive azioni.

- Credi tu che per confessarti bene si richieda solo la sincerità? Oltre a ciò, è necessario il dolore dei peccati, condizione principalissima per avere il perdono. Il dolore è il dispiacere interno dei peccati commessi, che fa proporre di non peccare più. Se ti confessi senza il dolore, non ricevi il perdono!!

- Il termometro del dolore è il proponimento, cioè la volontà di fuggire le occasioni prossime di peccato. Perciò, se ti confessi e non hai la volontà risoluta di troncare un occasione prossima di peccato grave, in tal caso commetti un sacrilegio. Richiama con carità e tatto chi per ignoranza o cattiva volontà dovesse compiere tali sacrilegi.

- Hai nulla da rimproverarti riguardo alle confessioni passate? Se ne sia il caso, che cosa aspetti per rimediarvi? Guai a te se rimandi sempre questa sistemazione! Potrebbe mancartene il tempo.

- Se hai imbrogli di coscienza, presentati al Ministro di Dio e digli: “Padre, aiutatemi a mettere a posto i conti della mia anima!”

Ogni volta che vieni alla confessione, posso versare in te tutta la mia grazia.. Io stesso ti aspetto nel confessionale.. infelici coloro che non ne approfitteranno, la invocherete invano quando sarà troppo tardi!!” (Gesu a S. Faustina Kowalska)

venerdì 16 gennaio 2015

Beato Giustino Maria Russolillo – Una vita per le vocazioni - Biografia e Film


Nascita e Infanzia

I. – LA NASCITA.
Il 18 gennaio 1891 Pianura si svegliò sotto la neve; mai se n’era veduta tanta. Durò dodici tredici giorni. Crollò qualche vecchia casa.I parenti avrebbero voluto rimandare il battesimo per organizzare i festini. Era il terzo maschio e si distingueva dagli altri tanto che la levatrice, zia Girolama, con la confidenza che le consentiva l’età avanzata e l’ufficio delicato, tenendo in braccio il neonato, disse alla puerpera: – Questo figlio non è come gli altri; con chi l’hai avuto? – Il Signore Vi perdoni, comare mia, rispose sorridente Giuseppina Simpatia, nient’affatto offesa ma commossa, perché aveva tradotto benissimo il significato di quella battuta “è frutto del cielo e non della terra”. Questa prima impressione resterà immutata: dovunque andrà, con chiunque tratterà, Giustino comparirà sempre come l’uomo di Dio, una creatura del cielo vivente sulla terra. Il giorno dopo, Giuseppina avvolse il neonato in uno scialle, chiamò il marito Luigi e gli disse molto risolutamente:- Il Signore ci manda i figli per la sua gloria e non per i nostri festini; mandiamo subito a battezzare questa creatura.
Luigi precedette il piccolo corteo spalando la neve. La levatrice osservò che il bimbo, rimasto quieto durante il sacro rito, al momento dell’infusione aveva abbozzato un sorriso di beatitudine celeste.- Sentite che vi dico, divinò poi alla mamma, questo bambino sarà prete, e fin d’ora pretendo una messa per l’anima mia.
2. – L’INFANZIA.
Fin dai primissimi anni, fu chiaro che Giustino non era fatto per un mestiere, nemmeno per una professione: egli aveva una missione. L’ingegno precoce, la docilità assoluta, la pietà singolare lo preconizzavano sacerdote. Era tutto sale, né gli mancava qualche acino di pepe. – Perché, domandò allo zio Giuseppe, perché i morti li chiamano “la buonanima”? Si diventa buoni dopo la morte ? – No, spiegava lo zio, dobbiamo diventare buoni durante la vita; dopo la morte ci chiamano buonanima per pietà, ma solo il Signore conosce la verità. Secondo una credenza popolare le creature molto giudiziose campano poco; perciò le vicine di casa pronosticavano male. – È troppo intelligente, dicevano, non può andare innanzi.- E perché ? rispondeva la mamma lusingata e risentita, forse solo gli scemi vanni innanzi?
La nonna, Giuseppina Scherillo, istruita e lesta, troncò una questione del genere con una sentenza d’oro: – Ve lo dico io dove stava questa creatura: nel talento di Dio ! Non gli mancava il pepe. La vecchia Santina prillava il fuso; egli, lesto, l’acchiappava e tirava. – “Statte sora, statte sora” (Stà fermo), biascicava la vecchia. Egli le rifaceva il verso fino a che, infastidita, Santina aggiungeva: – Madonna mia, pigliatillo! E l’impertinente, di rimando, correggeva a pigliatella. Stava, quieto, solo quando poteva celebrare, confessare, predicare all’uditorio senile delle casigliane che poi si sdebitavano insegnandogli il ricamo, l’uncinetto, la calza tanto che da grande egli fu un competente nel distinguere ed apprezzare i lavori donneschi. Era il benvenuto in tutte le cucine: non gli importava il meglio o il peggio, gli premeva solo di scansare le patate.

Su Fogulone - In Sardegna, quella di Sant'Antonio Abate e' fra le ricorrenze piu' celebrate



Col suo porchetto e col suo bastone di férula, Sant' Antonio si presentò, dunque, alla porta dell'inferno e bussò: - Apritemi! Ho freddo e mi voglio riscaldare. I diavoli alla porta videro subito che quello non era un peccatore, ma un Santo e dissero: - No. no! T'abbiamo riconosciuto! Non ti apriamo. Se vuoi lasciamo entrare il porchetto, ma te no.

E così il porchetto entrò. Cari miei, appena dentro si mise a scorrazzare con una tale furia da mettere lo scompiglio ovunque, tanto che i diavoli, ad un certo punto, non ne poterono proprio più. Finirono perciò per rivolgersi al Santo, che era rimasto fuori dalla porta. - Quel tuo porco maledetto ci mette tutto in disordine! Vientelo a riprendere. Sant'Antonio entrò nell' inferno, toccò il porchetto col suo bastone e quello se ne stette subito quieto. - Visto che ci sono, - disse Sant'Antonio, - mi siedo un momento per scaldarmi. E si sedette su un sacco di sughero, proprio sul passaggio dei diavoli. Infatti, ogni tanto, davanti a lui passava un diavolo di corsa.

E Sant'Antonio,col suo bastone di fèrula, giù una legnata sulla schiena! Ad un certo punto i diavoli, arrabbiati, esclamarono: - Questi scherzi non ci piacciono. Adesso ti bruciamo il bastone. Infatti lo presero e ne fìccarono la punta tra le fiamme. Il porco, in quel momento, ricominciò a buttare all'aria tutto: cataste di legna, uncini, torce e tridenti. E i diavoli avevano un bel da fare a mettere a posto. Non ci riuscivano e non riuscivano neppure ad acchiappare quel.., diavolo di porchetto. - Se volete che lo faccia star buono, - disse Sant'Antonio, - dovete ridarmi il mio bastone. Glielo diedero ed il porchetto stette subito buono. Ma il bastone era di fèrula ed il legno di fèrula ha il midollo spugnoso. Se una scintilla entra nel midollo questo continua a bruciare di nascosto, senza che di fuori si veda. Così i diavoli non s'accorsero che Sant'Antonio aveva il fuoco nel bastone. Il Santo col suo bastone se ne uscì ed i diavoli tirarono un sospiro di sollievo. Appena fu fuori, Sant'Antonio alzò il bastone con la punta infuocata e la girò intorno, facendo volare le scintille, come dando la benedizione. E cantò: - Fuoco, fuoco, per ogni loco; per tutto il mondo fuoco giocondo!

Da quel momento, con grande contentezza degli uomini, ci fu il fuoco sulla Terra e Sant'Antonio tornò nel suo deserto a pregare.



mercoledì 14 gennaio 2015

La guarigione di un lebbroso - Prima parte - Meditazioni sul Vangelo di Eugenio Pramotton

 

Mc 1, 40-45

In questa guarigione di un lebbroso raccontata dall'evangelista Marco potremmo vedere le condizioni per venire infallibilmente guariti da Gesù. Esse sono: 1 - La consapevolezza della gravità della propria malattia (il lebbroso era dolorosamente consapevole di essere tale). 2- Il desiderio della guarigione. 3 - La consapevolezza che Dio solo potrà veramente guarirci. 4 - Andare da Gesù. 5 - Supplicarlo in ginocchio. 6 - Attendere con fiducia di sentire il suo tocco e la sua parola di salvezza.

Osservazioni

Dopo il tocco e la parola di Gesù la guarigione del lebbroso è immediata. Ciò che non è immediato ma carico di lunghe e amare tribolazioni è la caduta nella malattia, la presa di coscienza della sua gravità, l'inutile lotta per cercare di venirne fuori, l'esperienza dell'esclusione sociale, della solitudine, dell'impotenza; la tentazione della disperazione e del suicidio.
In questo buio profondo e angosciante è tuttavia possibile constatare la presenza di un'aspirazione, di un grido, di un gemito inesprimibile verso una guarigione e una salvezza. Si sente che la condizione disastrata in cui ci si trova non è normale, si sente che siamo fatti per la vita e per la gioia, non per la morte. È in questa situazione che l'orecchio si fa attento e sensibile alle voci di coloro che raccontano di uno che ha il potere di guarire e di risolvere anche i casi più disperati. Si cerca allora di sapere se le voci e i fatti uditi sono veramente affidabili, di ciarlatani e di venditori di fumo è pieno il mondo, mettersi nelle loro mani servirebbe solo a peggiorare la situazione.
Una volta verificate e approfondite, per quanto possibile, queste notizie, può sorgere la decisione di andare a chiedere la propria guarigione, e allora ci si mette in cammino. Lungo il cammino per incontrare personalmente il Salvatore ci potranno ancora essere degli alti e bassi, tentazioni e scoraggiamento, perché, nonostante le assicurazioni, non si è ancora incontrato il Salvatore, tuttavia, se si persevera, prima o poi il Salvatore si farà trovare ed allora dalla sua parola e dal suo tocco seguirà immediata la guarigione.

Cosa centra questa storia con la nostra

La guarigione di un lebbroso - Seconda parte - Meditazioni sul Vangelo di Eugenio Pramotton

 

Mc 1, 40-45

Stranezza

Possiamo considerare adesso un fatto strano, uno dei tanti che si incontrano nel Vangelo e nella vita. La stranezza è nel contrasto fra il comportamento che umanamente avrebbe chi passa da una malattia grave alla completa guarigione, dalla desolazione alla consolazione, dalla morte alla vita, e il comportamento che invece Gesù con severità chiede a colui che ha appena beneficato. Umanamente parlando sembrerebbe naturale e giusto che il lebbroso esulti per la sua guarigione, che racconti a tutti il cambiamento straordinario avvenuto nella sua vita e diffonda la fama di colui che possiede una bontà e un potere così grandi. Gesù invece con severità gli ordina di non dire niente a nessuno e di andare dal sacerdote a compiere il rito di purificazione previsto dalla legge. L'esito di questo contrasto non è secondo le indicazioni del Signore, ma secondo le inclinazioni naturali dell'uomo appena guarito, il quale non prende minimamente in considerazione le severe parole di Gesù. Evidentemente il lebbroso era stato guarito nel corpo, ma non completamente guarito nello spirito. Aveva ricevuto la guarigione fondamentale, ma aveva ancora bisogno di molta guarigione progressiva. Doveva imparare ad ubbidire alle indicazioni del Signore anche quando queste erano in contrasto con le sue vedute e il suo sentire.
La conseguenza di questa disubbidienza è che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori in luoghi deserti, e venivano a Lui da ogni parte. Se invece avesse ubbidito le cose, probabilmente, sarebbero andate diversamente e: Gesù avrebbe potuto entrare pubblicamente in città e la gente per incontrarlo non avrebbe dovuto inoltrarsi nel deserto. Vediamo così che l'agire del lebbroso secondo l'emozione e l'esaltazione del momento e in contrasto con le raccomandazioni del Signore, complica e rende più disagevole sia la missione di Gesù, sia il cammino di chi vuole incontrarlo. Inoltrarsi nel deserto per incontrare Gesù è molto più scomodo che poterlo incontrare nella propria città.
Conviene ancora osservare che la disobbedienza del lebbroso rende Gesù impotente: Gesù non poteva più entrare. Quando la volontà dell'uomo preferisce agire secondo le sue luci e i suoi criteri, nonostante le siano noti i comandamenti di Dio, Dio rispetta la libertà dell'uomo e si tiene in disparte, fuori, in luoghi deserti; lascia che le conseguenze delle scelte umane abbiano il loro corso. Normalmente seguono disagi e complicazioni.

Il primato dell'obbedienza e il fraintendimento delle parole e delle opere di Gesù

martedì 13 gennaio 2015

La giornata di Cafarnao - Prima parte Mc 1, 21-39 - Meditazioni sul Vangelo di Eugenio Pramotton



Mc 1, 21-39
Un giorno di sabato, all'inizio della sua vita pubblica, Gesù arriva a Cafarnao con i suoi primi quattro discepoli: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni. Cafarnao era una cittadina situata su una riva del lago di Tiberiade chiamato anche Mare di Galilea, qui Pietro aveva la casa, una moglie, una suocera, suo fratello Andrea e l'attività peschereccia. La casa di Pietro diventerà poi il quartier generale di Gesù e dei suoi apostoli.
Il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta le attività che caratterizzano la vita pubblica di Gesù: Gesù insegna, Gesù risana, Gesù prega. Entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. È interessante notare come Gesù abbia scelto proprio un tempo ed un luogo di Dio per manifestare la sua sapienza e il suo amore, come dice infatti la tradizione giudaica: il sabato è il luogo di Dio nel tempo mentre la sinagoga è il luogo di Dio nello spazio. Spazio e tempo sono le coordinate entro le quali ognuno di noi si muove, e Dio ha riservato a sé alcuni spazi e alcuni tempi, vediamo quindi che i tempi e i luoghi di Dio vengono scelti da Gesù per manifestarsi all'uomo.
La prima manifestazione che i frequentatori della sinagoga di Cafarnao ricevono è una manifestazione di sapienza. Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento. Noi ci saremmo aspettati o avremmo desiderato che ci venisse riportato questo insegnamento, ed invece ci viene detto solo che l'insegnamento di Gesù destava ammirazione perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. C'era dunque un insegnamento secondo gli scribi a cui stava incominciando ad affiancarsi l'insegnamento di Gesù, l'insegnamento di Gesù metterà sempre più in evidenza la scarsa autorità dell'insegnamento degli scribi e questo, a lungo andare, farà crescere la loro inimicizia nei confronti di Gesù. Potremmo allora chiederci: Da che cosa dipendeva la scarsa autorità dell'insegnamento degli scribi?
Uno dei motivi è senz'altro da attribuire al fatto che parlare di Dio, delle sue vie e delle sue leggi non è semplice, si tratta infatti di parlare di misteri che superano le capacità dell'uomo; a questo proposito così si esprime il libro della sapienza: Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi, e incerte le nostre riflessioni... a stento ci raffiguriamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo? (Sap 9, 13-16).

La giornata di Cafarnao - Seconda parte Mc 1, 21-39 - Meditazioni sul Vangelo di Eugenio Pramotton



Verso la comunione intima con Dio
Per rispondere alle domande lasciate in sospeso la volta scorsa, potremmo dedurre dal comportamento di Gesù le indicazioni che ci orientano verso una comunione intima con Dio. Questa intima comunione con Dio non è qualcosa di facoltativo, ma è la meta che tutti raggiungeremo quando entreremo in paradiso, è il bene massimo che possiamo desiderare ed il solo capace di renderci pienamente felici. Ora, per raggiungere qualsiasi intimità bisogna necessariamente ritirarsi ed isolarsi da tutto. Il bambino, ad esempio, lascia i giochi ed i compagni quando vuole rifugiarsi nelle braccia della mamma. I fidanzati si appartano dagli amici e dai divertimenti per conoscersi più a fondo e manifestarsi il loro affetto. Lo scienziato di genio si isola da tutto e da tutti per dedicarsi alle sue ricerche. Lo sportivo di valore si sottopone a dure discipline ed ha le sue giornate di ritiro per raggiungere traguardi elevati. Allo stesso modo, bisogna ritirarsi da tutto ciò che non è Dio per giungere a beneficiare dell'intimità con Dio.
L'intimità con Dio però, non è un bene di cui abbiamo normalmente esperienza e perciò è un bene che non sappiamo desiderare, di conseguenza non siamo disposti a fare un gran che per venirne in possesso. Ciò di cui abbiamo esperienza è invece il beneficio che otteniamo dalle cose e dalle persone che ci circondano. Godiamo così della bellezza dei mari e dei monti, delle giornate di sole, di una casa confortevole, della compagnia delle persone che ci vogliono bene e a cui vogliamo bene. Se si presentasse allora qualcuno a chiederci il distacco da questi beni non avrebbe molto successo.
Col passare del tempo però, facciamo anche un'altra esperienza, sperimentiamo cioè che le cose e le persone si rivelano a poco a poco incapaci di rispondere pienamente alle nostre attese; un senso di vuoto, di disagio e di insoddisfazione affligge allora le zone più profonde del nostro cuore. È bene non reprimere questa presa di coscienza, perché sarà uno dei mezzi che orienterà il nostro desiderio verso la ricerca dell'intimità con Dio. Un altro mezzo è il fascino che la persona di Gesù esercita su coloro che hanno fame e sete di una vita veramente autentica e piena, una vita che non si può trovare nelle realtà di questo mondo.

lunedì 12 gennaio 2015

Sulla fiducia in Dio - Sac. DOLINDO RUOTOLO - da “La storia della mia vita nel piano della misericordia di Dio”





Gesù all'anima – Perché vi confondete agitandovi? Lasciate a me la cura delle vostre cose e tutto sì calmerà. Vi dico in verità che ogni atto di vero, cieco, completo abbandono in me, produce l'effetto che desiderate e risolve le situazioni spinose. Abbandonarsi a me non. significa arrovellarsi, sconvolgersi e disperarsi, volgendo poi a me una preghiera agitata perché io segua voi e, cambiare così l'agitazione in preghiera. Abbandonarsi significa chiudere placidamente, li occhi dell'anima, stornare il pensiero dalla tribolazione, e rimettersi a me perché io solo operi, dicendo: pensaci tu. E' contro l'abbandono, essenzialmente contro, la preoccupazione, l'agitazione e il voler pensare alle conseguenze di un fatto. E' come la confusione che portano i fanciulli, che pretendono che la mamma pensi alle loro necessità, e vogliono pensarci essi, intralciando con le loro idee e le loro fisime infantili il suo lavoro. Chiudete gli occhi e lasciatevi portare dalla corrente della mia grazia, chiudete gli occhi e lasciatemi lavorare, chiudete gli occhi e non pensate al momento presente, stornando il pensiero dal futuro come da una tentazione, riposate in me credendo alla mia bontà, e vi giuro per il mio amore che, dicendomi con queste disposizioni: pensaci tu, io ci penso in pieno, vi consolo, vi libero, vi conduco.
E quando debbo portarvi in una via diversa da quella che vedete voi, io vi addestro, vi porto nelle mie braccia, vi fo trovare, come bimbi, addormentati nelle braccia materne, all'altra riva. Quello che vi sconvolge e vi fa male immenso è il vostro ragionamento, il vostro pensiero, il vostro assillamento, ed il volere ad ogni costo provvedere voi a ciò che vi affligge. Quante cose io opero quando l'anima, tanto nelle sue necessità spirituali quanto in quelle materiali, si volge a me, mi guarda, e dicendomi: pensaci tu, chiude gli occhi e riposa! Avete poche grazie quando vi assillate voi per produrle, ne avete moltissime quando la preghiera è affidamento pieno. Non vi rivolgete a me, ma volete voi, che io mi adatti alle vostre idee; non siete infermi che domandano al medico la cura, ma, che gliela suggeriscono.

Adolfo Retté - Tema: Conversione - Discernimento degli spiriti


Questi sono i veri miracoli che Cristo continuamente compie, quando un cuore gli apre umilmente la porta della libertà. È il miracolo della Pasqua che si ripete nel tempo…(Mons. Angelo Comastri)

Nel 1907, veniva pubblicato a Parigi un libro dal titolo suggestivo: Dal diavolo a Dio. L'autore, Adolfo Retté, vi narra la sua conversione al cattolicesimo. L'opera ebbe un successo considerevole; ha contribuito alla conversione di numerose anime che vi hanno trovato luce e incoraggiamento per le proprie lotte spirituali.
Nato a Parigi il 25 luglio 1863, Adolfo Retté non conosce nell'infanzia la gioia di una famiglia. Suo padre vive in Russia, precettore dei figli di un granduca. Sua madre, musicista assorbita dalla sua arte, si occupa del figlio solo per capriccio, per sperimentare su di lui metodi di educazione contraddittori. Il piccolo riceve il battesimo per iniziativa della nonna, cattolica pia e praticante. Suo nonno, rettore dell'Università di Liegi, un anticlericale accanito, si oppone a qualsiasi istruzione religiosa.
Adolfo è un bambino sognatore, impressionabile, avido di letture e già amico della solitudine. A quattordici anni, viene messo in collegio. Suo padre esige che segua le pratiche del culto protestante: il ragazzo ne ricava unicamente una vaga credenza in Dio, ed una ripulsione per il cristianesimo. Ha diciotto anni, quando si arruola volontario per cinque anni nell'esercito. La vita militare gli insegna a frenare la sua natura imperiosa, ma si lascia andare alla dissolutezza. Se un amico propone: «Andiamo a far bisboccia», esclama: «Non andiamoci, corriamoci!» Dopo aver ottenuto il congedo militare, inizia una carriera letteraria. Si entusiasma per la natura, soprattutto per la foresta, e si indirizza inizialmente verso il panteismo (sistema che identifica Dio con il mondo).
Risparmi dilapidati
Nel 1894, si innamora di una ragazza, generosa e retta, cui impone un'unione puramente civile, ritenendo ipocrisia la richiesta della benedizione di una Chiesa in cui non credeva. Malgrado l'amore per la moglie, Adolfo, è un coniuge violento ed infedele. Un giorno, essa riesce a mettere da parte un po' di denaro per comprargli alcuni libri che egli desidera, nonchè un vestito per sè di cui ha bisogno. Quando egli lo viene a sapere, esige che essa gli rimetta la somma. Davanti al di lei rifiuto, gliela strappa brutalmente, e se ne va a dilapidarla con una donna di cattivi costumi. Vittima di numerose scene del genere, la Signora Retté muore prematuramente. Adolfo si mette allora in concubinaggio con una donna senza morale, che dilapida le loro magre risorse, moltiplicando litigi e ingiurie. Solo l'ascendente che la donna esercita sui suoi sensi pervertiti, trattiene Retté presso di lei, sempre più triste e disgustato, ma troppo debole per rompere.

sabato 10 gennaio 2015

IL BATTESIMO DEL SIGNORE San Massimo di Torino




Il Vangelo ci racconta che il Signore venne al Giordano per essere battezzato e volle che in questo stesso fiume la sua consacrazione fosse confermata da segni celesti. Non dobbiamo meravigliarci che in questo egli abbia preceduto tutti gli altri. Volle compiere per primo quello che comandava di fare, per insegnare - da buon maestro - la sua dottrina non tanto con le parole, quanto piuttosto con gli atti che compiva...
E' significativo che questa festa segua, nello stesso volgere di tempo, quella della nascita del Signore, nonostante siano intercorsi degli anni fra i due avvenimenti, perché credo che tale festività celebri ancora una nascita... Là nasce come uomo e Maria, sua madre, lo riscalda stringendolo al seno; qui nasce secondo il mistero e Dio, suo Padre, lo abbraccia con la carezza della sua voce, dicendo: Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho riposto ogni mia compiacenza, ascoltatelo (Mt. 3, 17 e 17, 5)...
Oggi dunque il Signore Gesù è venuto a ricevere il battesimo e ha voluto che il suo corpo fosse lavato nell'acqua del Giordano. Qualcuno forse dirà: «Perché ha voluto farsi battezzare se è Santo?». Ascoltami dunque: Cristo è battezzato, non per essere santificato dalle acque, ma per santificare lui stesso le acque e per purificare - lui, puro - le acque che tocca. Si tratta dunque più di una consacrazione dell'acqua che di quella del Cristo.
Dal momento in cui il Salvatore è lavato, tutta l'acqua è resa pura in vista del battesimo di noi tutti é viene purificata la sorgente, perché la grazia del lavacro passi alle generazioni che si succederanno nel tempo.
Il Cristo passa per primo attraverso il battesimo, perché i popoli cristiani seguano con fiducia il suo esempio.
Così la colonna di fuoco precedette i figli di Israele nel Mar Rosso, perché la seguissero coraggiosamente nel cammino da essa indicato e, ancora per prima, attraversò le acque, per preparare la strada a quanti la seguivano. Quest'avvenimento fu, secondo la parola dell'Apostolo, una figura del battesimo (cfr. 1Cor. 10, 1 ss.) e battesimo era veramente quello in cui gli uomini erano coperti da una nube e portati dalle acque. Tutto ciò ha compiuto lo stesso Cristo nostro Signore, che, come allora aveva preceduto nella colonna di fuoco i figli d'Israele, così nel Giordano precedette nella colonna del suo corpo i popoli cristiani. La stessa colonna, dico, che illuminava gli occhi degli Ebrei in marcia, dona la luce ai cuori dei credenti. Allora essa tracciò un cammino sicuro tra le onde, ora corrobora la via della fede in questo lavacro: chi procederà intrepido, con fede, come i figli di Israele, non temerà la persecuzione degli Egiziani.


Homilia XXX De Epiphania

venerdì 9 gennaio 2015

Alessandra di Rudini - Tema: Scetticismo - Fede e ragione - Conversione - Monte Carmelo - Carmelitane - Biografia e video



Nel più profondo del cuore dell'uomo sono iscritti il desiderio e la nostalgia di Dio. Sant'Agostino, all'inizio delle Confessioni, testimonia del carattere imperioso di tale desiderio: «Ci hai creati per Te, o Signore, e il nostro cuore non ha pace fino a che non riposi in Te» (Confessioni 1, 1, 1).
Alessandra di Rudinì nasce il 5 ottobre 1876 a Roma, in una famiglia dell'alta aristocrazia siciliana. Suo padre, marchese di Rudinì, sindaco di Palermo a venticinque anni, dopo la spedizione del «condottiero» Garibaldi nella Sicilia dei Borboni, sarà parecchie volte ministro. Egli condivide l'ostilità del re Vittorio Emanuele II nei riguardi della Chiesa. Maria de Barral, la madre di Alessandra, soffre per le idee rivoluzionarie del marito; la salute cagionevole non le permette di circondare la figlia di tutte quelle attenzioni che vorrebbe darle il suo affetto. Alessandra ha un fratello maggiore, Carlo.
Un vulcano costantemente in eruzione
«Sandra» dimostra fin dall'infanzia un carattere testardo e indomabile. Affascinata dai cavalli, diventerà ben presto un'ottima cavallerizza. A dieci anni, viene messa in collegio al Sacro Cuore della Trinità dei Monti, a Roma. Sua madre spera che le Suore la aiuteranno a correggere il suo carattere indipendente; ma Sandra si comporta come una ribelle, fa il diavolo a quattro nel convitto e distrae le altre convittrici. Viene espulsa, alla fine dell'anno scolastico. Suo padre la fa allora ammettere all'Annunciazione di Poggio Imperiale; in quel collegio improntato al pensiero liberale, la direttrice le dà la massima libertà affinchè segua la sua inclinazione smodata per la lettura... Malgrado tutto, Sandra diventa, in poco tempo, un'ottima alunna; tuttavia, fin dall'età di tredici anni, influenzata da un insegnante miscredente, ha dubbi nei riguardi della fede. «La sua intelligenza era come un vulcano, costantemente in eruzione», dirà una delle sue compagne. D'altro canto, ha un cuore d'oro e torna spesso in convitto senza un soldo, avendo dato tutto ai poveri.
A sedici anni, tornata nella dimora familiare, Sandra non vi trova la madre, che, ammalata, è dovuta entrare in una casa di cura. Si riavvicina allora al padre, che va orgoglioso di lei: alta, bella quanto intelligente, Sandra è una che si nota. Assolve il compito di padrona di casa e si lascia nello stesso tempo iniziare all'alta politica da suo padre, che sarà parecchie volte Presidente del Consiglio. Tuttavia, una profonda crisi spirituale sopraggiunge e le turba l'anima. «Mi sembrava, dirà più tardi, che tutto crollasse attorno a me, e cercavo disperatamente un punto d'appoggio fermo, fuori di me. Ricordo certe notti d'angoscia e di sofferenza indicibile. Non vi è dolore peggiore di quello dell'anima che cerca e non riesce a raggiungere la verità». Conscio delle difficoltà incontrate da coloro che cercano la verità, Papa Giovanni Paolo II scriveva: «Non vi è preparazione più urgente della seguente all'annuncio del messaggio evangelico: condurre gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere la verità e del loro desiderio di avanzare verso il senso ultimo e definitivo dell'esistenza» (Enciclica Fides et ratio, settembre 1998; n. 102).
La lettura della Vita di Gesù di Renan, opera che nega il soprannaturale e vede in Gesù soltanto un «uomo straordinario», è fatale per la fede vacillante di Alessandra. Di quel giorno, dirà più tardi: «fu uno dei più tristi della mia esistenza. Sentii allora che la vita perdeva per me la sua unica ragione di essere». Si apre per la ragazza una lunga strada di tenebre. Essa cerca di distrarsi frequentando la società più facoltosa: parte in crociera sullo yacht personale dell'imperatore di Germania Guglielmo II, mantiene strette relazioni con la regina Margherita d'Italia... A diciotto anni, Sandra sorprende il suo ambiente sposando Marcello Carlotti da Garda, marchese di Riparbella, maggiore di lei di dieci anni. Forse la decisione si spiega in parte per il desiderio della ragazza di lasciare la famiglia: suo padre ha un'amante, che diventerà sua moglie dopo la morte di Maria de Barral, sopravvenuta nel 1896. I giovani sposi si sistemano nella lussuosa proprietà dei Carlotti a Garda. Negli anni seguenti, la giovane sposa metterà al mondo due maschi, Antonio e Andrea.
Ma Marcello presenterà ben presto i sintomi della tubercolosi. Fin dall'inizio del 1900, sa di essere spacciato e si sforza di affrontare la morte quale seguace delle teorie materialistiche. Sua moglie, all'epoca, scrive: «Marcello fa tutti gli sforzi possibili e immaginabili per mostrarsi sereno e direi quasi indifferente... Tuttavia, sono quasi certa che tutto ciò è artificiale e l'infelice soffre due volte, non volendo neppur mostrare che soffre». Per questo, Sandra, a quell'epoca, torna un po' alla fede e si preoccupa di non permettere al marito di lasciare la terra senza i soccorsi della religione. Si rivolge ad un prelato di Verona, Monsignor Serenelli; ma questi non può far altro che manifestare il proprio interessamento alla coppia colpita dalla sciagura: il marchese Carlotti rifiuta qualsiasi soccorso religioso. Si spegne il 29 aprile 1900, senza aver dato alcun segno di apertura alle realtà eterne. Alessandra è vedova a 24 anni, con due bambini, e con il senso di non aver saputo portare a buon fine la sua missione spirituale nei riguardi del marito.
Un vuoto che nulla può colmare
Tuttavia, la marchesa si dedica all'educazione dei figli e sembra riprender gusto alla vita. Nel novembre del 1901, scrive a Monsignor Serenelli: «Risento profondamente l'assenza di un ideale; è un vuoto nella vita che nulla può colmare, nessuna distrazione, nessuna pazzia, nessuna occupazione. Che m'importa di aver la salute, una grande agiatezza, un nome, se sono diventata odiosa a me stessa? Lei, che ha consacrato la vita al sollievo di tante miserie, creda pure che la mia, per quanto celata e sopportata con volto impassibile, non è tuttavia fra le meno importanti». Nel corso dell'inverno del 1900-1901, Alessandra affida i figli ad una governante e parte, assieme ad una Lady inglese, per un pericoloso viaggio di esplorazione in Marocco. Alessandra nota la religiosità delle guide mussulmane, che si prosternano cinque volte al giorno davanti all'Eterno. Impressionata, si chiede se tutte le religioni non si equivalgano: «Ho pensato per molto tempo che tutte le religioni avessero un valore quasi uguale e dovessero di conseguenza esser tutte considerate dal punto di vista dell'utilità sociale» (lettera del 14 gennaio 1902).
Tale mentalità è oggigiorno molto diffusa. La Chiesa vi risponde: «Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in Lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, n. 65). «Bisogna riaffermare che la rivelazione di Gesù Cristo è definitiva e completa. Infatti, si deve credere fermamente che la rivelazione della pienezza della verità divina si realizza nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, che è la via, la verità e la vita (Giov. 14, 6)» (Dichiarazione Dominus Jesus, della Congregazione per la Dottrina della Fede, 6 agosto 2000, n. 4). La Chiesa è autorizzata a diffondere tale insegnamento con la massima certezza, perchè Gesù Cristo ha provato di esser Dio attraverso le sue opere. Egli ha potuto dire a coloro che si apprestavano a metterlo a morte: Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi. Ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perchè sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre (Giov. 10, 37-38). Il più gran miracolo di Gesù Cristo è l'evento storico, e in pari tempo trascendente, della sua propria risurrezione. L'ha predetta lui stesso pubblicamente, e gli Apostoli l'hanno comprovata a rischio della loro vita.
Piena di dubbi, Sandra si rivolge a Dio: «Talvolta pregavo, scriverà, chiedendo insistentemente a Dio un raggio di luce e di grazia, e soprattutto il dono della fede... Allora mi capitava di ripetere, ma a gran distanza di tempo fra una volta e l'altra, la promessa di dare la vita a Nostro Signore, nella forma più perfetta e completa che mi fosse dato di concepire, se Egli si fosse degnato di farmi la grazia richiesta».
Lavoro leale ma inefficace
Di ritorno in Italia, Alessandra si rituffa nel mondo; confida tuttavia a certe persone il suo smarrimento e la sua ricerca spirituale. Il cardinale francese Mathieu le consiglia di studiare con perseveranza la filosofia e la teologia; le propone addirittura un piano di studio. Purtroppo, invece di attenercisi, essa si butta febbrilmente nella lettura di opere di critica filosofica o biblica di spirito razionalistico. Confesserà di esserne uscita profondamente turbata. Si immagina di poter risolvere la sua crisi spirituale attraverso un lavoro leale e perseverante. Ma voler conquistare la fede con le proprie forze, vuol dire dimenticare che essa è un dono divino: Senza di me non potete far nulla, dice Gesù (Giov. 15, 5). Pensando di poter leggere tutto senza discernimento, Sandra è sballottata fra le onde mobili del dubbio. Monsignor Serenelli se ne accorge e, in una lettera, le raccomanda di essere più umile nella sua ricerca della Verità: «La fede pura e luminosa non è il frutto di ragionamenti umani, bensì il dono di Dio... di conseguenza, chiediamo al Signore il dono di questa fede». A seguito delle esortazioni del prelato, nel febbraio del 1902, si confessa e si comunica. Ma tale passo manca di profondità, ingenera soltanto una pratica sacramentale intermittente, compiuta nel turbamento e l'incertezza: non ha veramente ritrovato la fede. Si annuncia una crisi più grave.
Il 26 maggio 1903, alla Scala di Milano, Alessandra viene presentata a Gabriele d'Annunzio, amico di suo fratello. L'uomo alla moda, che si dice sia il più grande poeta italiano della sua epoca, non piace di primo acchito alla giovane signora, che conosce la sua fama di seduttore. Lui, invece, concepisce una viva passione per quella donna, tanto bella quanto intelligente. Non si scoraggia di fronte alla sua freddezza, perchè sa rendersi irresistibile grazie al fulgore incomparabile della parola. Alessandra confessa di esser stata toccata dal «colpo di fulmine» il 12 novembre 1903, giorno del matrimonio del fratello Carlo; in seguito, accetterà di ricevere d'Annunzio parecchie volte e subirà il fascino del seduttore. Tuttavia, Sandra prova a sfuggirgli, risponde con un rifiuto alle lettere quotidiane che le manda. Prende addirittura in considerazione la possibilità di un ritiro spirituale in un convento del Cenacolo che le raccomanda Monsignor Serenelli; ma il ritiro non avrà luogo. Allora, la trappola si chiude. Malgrado i rimproveri della famiglia, nel maggio del 1904, va a raggiungere d'Annunzio nella villa della «Capponcina», vicino a Pisa, rinunciando all'onore e abbandonando i due figli. L'ebbrezza dei due amanti durerà un anno.
Nella primavera del 1905, Sandra si ammala gravemente e deve esser ricoverata in una clinica, dove subisce tre interventi chirurgici. Teme di morire senza esser munita dei sacramenti, ma non ha il coraggio di rompere la relazione con d'Annunzio. Quando viene dimessa dalla clinica, guarita, la sua bellezza è in parte sfiorita ed essa constata ben presto che il poeta non è più lo stesso con lei; instabile com'è, ha già in vista un'altra conquista. Alla fine del 1906, le fa capire che è di troppo alla «Capponcina». L'anno seguente è terribilmente doloroso per Alessandra. Tuttavia, la penosa avventura la aiuta a capire di esser fatta per amare non una creatura, ma il Creatore. La beatitudine alla quale Dio chiama l'uomo «ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova nè nella ricchezza o nel benessere, nè nella gloria umana o nel potere, nè in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le tecniche e le arti, nè in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore» (CCC, 1723).
«L'unico oggetto dei miei pensieri»
Di ritorno nella sua villa, a Garda, Alessandra, sul finire del 1907, riallaccia i rapporti con Monsignor Serenelli, cui scrive: «So che la mia preghiera è troppo indegna per salire fino a Dio. Eppure, oserò dire con il re Davide: Abbi pietà di me, Signore; guarisci la mia anima, perchè ho peccato contro di Te... Mi aiuti a trovare la strada che mi conduca a Dio, perchè sono molto addolorata di essermi allontanata da Lui, e questo è l'unico oggetto dei miei pensieri». Il prelato non rifiuta di ricevere il figliol prodigo, di cui raccoglie ben presto la confessione; nella primavera del 1908, Sandra fa un ritiro spirituale di sant'Ignazio. Gli Esercizi di sant'Ignazio hanno prodotto, attraverso i secoli, abbondanti frutti di santità. Papa Giovanni Paolo II, seguendo le orme dei suoi predecessori, li ha raccomandati per tutti e specialmente per i giovani: «Sono un'esperienza quasi necessaria, soprattutto in certi momenti delicati della crescita, se vogliamo che i giovani rimangano cristiani» (17 novembre 1989).
Sandra assume quale precettore un sacerdote francese, l'abate Gorel, affinchè si occupi dell'educazione dei suoi due figli. Gli espone le sue ultime obiezioni contro la fede. Convinta che la dottrina cattolica sia in contraddizione con la ragione, stenta ad ammettere, per esempio, la possibilità del miracolo. Non ha ancora capito che, «anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione, poichè lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione; questo Dio non potrebbe negare se stesso, nè mai il vero contraddire il vero» (Concilio Vaticano I, Dei filius, IV). Il miracolo è possibile, poichè Dio, che è l'autore delle leggi della natura, ha altresì la potenza di derogarvi. Gesù Cristo ha compiuto miracoli onde provare la propria missione e la propria natura divina, ed attribuisce lo stesso potere a certi Santi, in vista del bene delle anime.
L'abate Gorel consiglia allora a Sandra di fare un viaggio a Lourdes. Essa vi consente, non senza scetticismo, e, il 5 agosto 1910, si trova provvidenzialmente presente nell'ufficio delle constatazioni mediche, all'atto della guarigione miracolosa più notevole di quell'anno, cioè quella di un paralitico colpito da una mielite incurabile. Ormai, la sua convinzione sulla possibilità dei miracoli è acquisita. In un profondo raccoglimento, si confessa all'abate Gorel, che, dopo la di lei morte, dirà: «Tutte le esitazioni, tutte le tergiversazioni, tutte le resistenze erano vinte, e, quella volta, proprio per sempre». Alessandra preciserà: «Ho riflettuto molto all'atto compiuto a Lourdes e sono lieta di riconoscere di non aver agito spinta da un momento di emozione religiosa, ma di aver compiuto un atto volontario e ponderato, preparato lungamente da anni di studio e di meditazione».
Il luogo del tuo riposo
L'idea di farsi Suora non la lascia più. Rinnova a Dio l'offerta di se stessa e Gli chiede lumi. Lei che, un tempo, esclamava, dopo aver fatto visita ad una Religiosa: «Per quanto mi riguarda, potrei sopportare la povertà, ma non rinunciare alla mia indipendenza nè sottomettere la mia volontà a qualcuno», aspira ora all'obbedienza. Si sente attratta dall'ordine delle Carmelitane, in gran parte «perchè è un ordine di penitenza... Ho un'assoluta necessità di una vita un po' dura; è una delle ragioni principali che mi hanno fatto scegliere l'ordine delle Carmelitane». Nel luglio del 1911, la marchesa parte alla volta di Paray-le-Monial, città nota per via delle apparizioni del Sacro Cuore; l'abate Gorel le ha raccomandato il convento delle Carmelitane. È preferibile che ciò avvenga in Francia piuttosto che in Italia dove è troppo conosciuta. Appena arrivata, sente una voce interiore che le dice: «Questo è il luogo del tuo riposo». La Priora dà il suo assenso e l'ammissione viene fissata all'autunno seguente. Prima di lasciare Garda, si reca presso la parrocchia per chiedere perdono di tutti gli scandali dati. Il 28 ottobre 1911, la porta del convento delle Carmelitane di Paray si richiude dietro di lei.
Il noviziato di Alessandra, che ha assunto il nome di Suor Maria di Gesù, è un periodo difficile: malgrado la sua generosità, incontra difficoltà per abituarsi ad una vita povera, dipendente. Ha 35 anni e non è assolutamente preparata all'austerità della vita delle Carmelitane, nè all'ambito ristretto di un monastero di clausura. Ma, soprattutto, è l'aridità spirituale che la tormenta fin dall'inizio del 1912: «Impossibile pregare, pensare, leggere. Non vedo la fine di questa prova. Non so se sia divina, o se io non sia caduta in un abisso senza fondo», scrive nel suo diario. Solo rimangono intatte la fede, conquistata tanto laboriosamente, e la certezza della sua vocazione religiosa. Tuttavia, a partire dal 1914, le consolazioni e le grazie mistiche succedono allo stato di abbandono interiore.
Il demonio, molto turbato dalla novizia, la assilla in mille modi, ivi incluse persecuzioni fisiche, sovente avvertite dalle altre Carmelitane: strani frastuoni, rumore di passi che seguono Suor Maria di Gesù... Ma lei non si lascia intimidire. La sua attrattiva per la sofferenza riparatrice e la penitenza è molto profonda; deve addirittura esser frenata dalla Priora. Nominata infermiera, si occupa di una Carmelitana colpita da tubercolosi. Mentre fa un'iniezione all'ammalata, a causa di un falso movimento, si punge con la siringa e si inocula il microbo. Qualche giorno più tardi, la malattia comincerà a manifestarsi nell'infermiera improvvisata: accessi di febbre, enormi ascessi che si riproducono a brevi intervalli per quattro anni. Eppure, non muore; il Signore ha ancora bisogno di lei. Il 26 aprile 1913, durante una tregua della malattia, Suor Maria di Gesù pronuncia i voti. Un anno dopo, la Priora nomina Istruttrice delle Novizie la giovanissima professa.
Nel 1916, perde i due figli, colpiti anch'essi da tubercolosi. Poi, nel marzo del 1917, sopravviene il decesso della Priora di Paray. Suor Maria di Gesù viene eletta alla di lei successione. Essa dà un'impronta profonda al suo Convento, attraverso una spiritualità esigente, ed insiste sulla funzione delle contemplative, incaricate da Dio e dalla Chiesa di ottenere, a forza di preghiere e di sacrifici, le grazie di conversione di cui il mondo ha bisogno. Pensa a tante anime che, come lei un tempo, cercano la luce.
Grazie alle numerose vocazioni che affluiscono al convento delle Carmelitane di Paray, Madre Maria di Gesù può intraprendere tre fondazioni: nel 1924, quella dell'ordine delle Carmelitane a Valenciennes; nel 1928, quella di Montmartre, a due passi dalla Basilica del Sacro Cuore, a Parigi. Questa seconda fondazione viene realizzata fra numerose difficoltà materiali e politiche. Infine, a partire dallo stesso anno 1928, avviene il ripristino dell'ex Certosa del Reposoir, situata in una grande solitudine in Savoia. Madre Maria di Gesù si sente infatti spinta a installare un «Convento di Carmelitane sulla montagna», per glorificare Gesù Cristo nel mistero della Trasfigurazione. Totalmente in rovina, la proprietà deve esser restaurata pazientemente; Madre Maria di Gesù vi passa tutte le estati. L'istituzione della clausura è privista per il 1931.
Facile e bello
Ma nel marzo del 1930, la Madre è colpita da una malattia del fegato e dei reni; vuole tuttavia partire alla volta del Reposoir, per sorvegliare gli ultimi lavori. La malattia si aggrava in novembre. Trasferita in una clinica di Ginevra per ordine dei medici, essa subisce quattro interventi chirurgici infruttuosi. Riceve gli ultimi sacramenti e si spegne il 2 gennaio 1931, pronunciando le ultime parole di Gesù sulla croce: Signore, nelle tue mani consegno il mio spirito. Mentre la sua reazione abituale di fronte alla morte era il terrore, aveva confidato qualche giorno prima: «Ho provato qualcosa che non avevo mai provato all'avvicinarsi della morte: il fascino di Dio, la sete di Dio; ed ho capito quanto fosse facile e bello andare verso di Lui... Mentre fisicamente provavo le sofferenze più angosciose, l'anima era in una pace, in una letizia indicibile, grazie a quella presenza che appaga totalmente».
Incoraggiati dall'esempio della conversione di Alessandra, chiediamo allo Spirito Santo di guidare anche noi, secondo la promessa di Gesù, alla verità tutta intera (ved. Giov. 16, 13) per andare verso Dio, in cui si trovano la letizia e la pace per le quali siamo creati.
Dom Antoine Marie osb
 
"Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, 
F. 21150 Flavigny- Francia (Website :www.clairval.com)"