Trattato
La
vanagloria
1.
Ora fece qualcuno ciò che richiesi? Pregò qualcuno Dio per noi e
per tutto il corpo della chiesa, cosicché si spegnesse l’incendio
generato dalla vanità, che ha guastato tutto il corpo, ha diviso un
solo corpo in molte membra ed ha lacerato l’amore?
Infatti
come una belva piombata su un corpo nobile e delicato ed incapace di
difendersi, così vi ha conficcato i denti lordi ed iniettato il
veleno e diffuso un grande fetore ed alcune parti, dopo averle
mutilate, ha gettato via, altre ha dilaniato, altre ha divorato. Ed
anche se fosse stato possibile vedere con gli occhi la vanità e la
chiesa, qualcuno avrebbe visto uno spettacolo miserando e molto più
penoso di ciò che avviene negli stadi: il corpo gettato via, quella
che sta ritta sopra e guarda da ogni parte e respinge chi la assale e
non si allontana mai né desiste.
Chi
dunque caccerà questa fiera? È compito di colui che stabilì questa
lotta di inviare, invocato da noi, i suoi angeli, e, dopo aver chiuso
come con freni la sua bocca ardita e sfrontata, di cacciarla in
questo modo. Ma colui che stabilì la lotta farà questo allorquando
non la ricercheremo, una volta cacciata; se invece la manderà via,
ordinando che quella fiera per noi terribile stia lontana, e noi,
dopo essere stati salvati e dopo che quella sarà stata cacciata nel
suo antro, levatici con mille ferite la cercheremo di nuovo, la
desteremo e la ecciteremo, allora egli non avrà più pietà di noi e
non ci risparmierà: "Chi infatti avrà pietà di un incantatore
morsicato da un serpente e di tutti coloro che si accostano alle
fiere?".
2.
Che fare allora? Come potremmo liberarci del cattivo e malvagio
demonio? Infatti è un demonio che ha un aspetto amabile.
Ora
come se un demonio trasformatosi in una etera e, adorna di molti
oggetti d’oro, indossando delicate vesti e spirando molti profumi,
si insinuasse nascondendo completamente il suo splendido aspetto di
donna e l’eccesso di ogni bellezza; se poi comparisse in quell’età
in cui soprattutto eccita le anime dei giovani, offrendo lo stesso
fiore della bellezza, cinta di una fascia d’oro e facendo cadere
dal capo dei riccioli variamente intrecciati, simili al nodo
persiano; quindi cingesse sul capo un diadema ponendo il grande
ornamento sulla semplice capigliatura e mostrando intorno al collo
oro splendente e pietre preziose e, simulando l’età giovanissima
di una prostituta, si fermasse in un luogo appartato dinanzi ad una
stanza e affettasse molta riservatezza, quale dei passanti non
riuscirebbe a conquistare?
E
se dopo questo entrato in casa si spogliasse di tutta quella
bellezza, mostrandosi nero, affocato e selvaggio, come conviene ad un
demonio; facesse uscire di senno l’infelice irretito e, assalendo e
conquistando la sua anima, ne sconvolgesse la mente,... qualcosa di
simile è il malvagio demonio della vanità.
Infatti
che cosa sembra essere più bello di essa? Che cosa di più amabile?
Ma
se ci accorgeremo che la cosa è fantasia e finzione, non ci
lasceremo prendere nelle reti e non cadremo nell’inganno. Infatti
ciò che è stato detto della prostituta, ciò si potrebbe
convenientemente dire anche di costei: "Miele stilla dalle
labbra di una prostituta". Non ci si sbaglierebbe ad affermare
la stessa cosa anche della vanità.
3.
Infatti come è il frutto di Sodoma , tale è la vanità: quello ha
uno splendido aspetto e a chi lo vede offre all’apparenza
l’impressione di frutti sani. Ma se prenderai in mano una melagrana
o una mela, cede subito sotto le dita e la buccia che l’avvolge di
fuori, disfattasi, le lascia cadere in polvere ed in cenere.
Qualcosa
di simile è pure la vanità: alla vista sembra essere qualcosa di
grande ed ammirevole, ma presa dalle nostre mani fa subito cadere in
cenere la nostra anima.
E
che la vanità sia tale è evidente da molti esempi. Che dunque?
Volete che cominciamo prima dai pagani?.
Gli
spettacoli
4.
Si riempie il teatro e tutto il popolo si siede in alto offrendo uno
spettacolo veramente splendido e composto di tanti volti che sovente
lo stesso piano ed il soffitto sovrapposto sono nascosti dai corpi
degli uomini e non è possibile scorgere né lastre né pietre, ma
tutti i volti e i corpi degli uomini. E prima di tutto, appena
entrato l’uomo generoso che li ha riuniti, sorti subito in piedi
levano come da una sola bocca una sola voce, chiamandolo tutti
concordemente protettore e capo della comune città e tendendo le
mani.
In
seguito poi lo paragonano al fiume più grande di tutti, accostando
l’ampia e traboccante generosità all’abbondanza delle acque del
Nilo e chiamano lui stesso un Nilo dei doni.
Altri
invece adulandolo ancora di più, poiché ritengono che sia piccolo
questo paragone del Nilo, adducono fiumi e mari e, mettendo in campo
l’Oceano, affermano che ciò che quello è rispetto alle acque,
costui lo è rispetto ai suoi benefici. Insomma, non tralasciano
alcuna forma di lode.
Splendido
è il volto della vanità: ma voi tenetemi bene in mente la figura
della fanciulla, con la quale rappresentammo il demonio, ponendogli
attorno ornamenti d’oro e dandogli la giovinezza di un’etera, e
vedrete che non è molta da differenza dell’immagine.
5.
Che avviene in seguito? Inchinatosi verso di essi e riveritili anche
lui in tale modo, si siede felicitato da tutti quelli, mentre
ciascuno di essi si augura di diventare ciò che quello è, e poi
subito morire.
Dopo
avere sprecato molto oro e argento, cavalli, vesti, servi e tutti
quei beni ed esaurite molte sostanze, lo accompagnano di nuovo con
grandi elogi, non però altrettanti: infatti, terminato lo
spettacolo, ciascuno si affretta a casa. Poi in casa si svolgono
banchetti sontuosi e regna molta abbondanza e grande è lo splendore
della giornata.
Nel
primo pomeriggio di nuovo le stesse cose e per due e tre giorni allo
stesso modo. Quando poi tutto è esaurito, anche innumerevoli talenti
d’oro, allora finalmente si rivela l’inconsistenza di questa fama
e la cenere e la polvere.
6.
Infatti quando in casa fa i conti e riflette sull’eccesso della
spesa, allora si affligge.
Fino
a quando gode del desiderio, come preso da un’ebbrezza della vanità
farebbe spreco anche di se stesso e non può avere che un’impressione
ridotta del danno.
Ma
quando, trovandosi in casa, entro l’abitazione di questo demonio,
si accorge che il momento della riunione, ormai scioltasi, è passato
e, guardando al teatro, trova che è vuoto di uomini e che nessuno
più si fa sentire in alcun modo e che si è ormai verificato il
danno non nell’immaginazione, ma nelle sostanze, allora si accorge
della cenere.
7.
Se poi, dopo avere sperperato oltre le sue sostanze, ha bisogno e,
dopo essere stato innalzato in alto, va mendicando in mezzo alla
piazza, allora di quelli che un tempo lo acclamavano capo nessuno si
avvicina né stende la mano, ma si rallegrano di ciò che è avvenuto
(ed infatti anche allora, quando ne parlavano bene, lo mordevano di
invidia e ritenevano un conforto dei loro mali il fatto che una
persona divenuta così illustre stesse per diventare il più
disonorato di tutti); quando dunque nessuno si avvicina né tende la
mano, che cosa c’è di più compassionevole di questo? Non è
piuttosto degno di lacrime? Che cosa c’è di più penoso di questo?
8.
Forse non conoscete affatto qualcuno che ha sofferto questo?. Non
stendessero soltanto la mano; anzi proprio al contrario è colpito da
accuse da parte di coloro che lo lodavano. "Perché, dice, era
impazzito? Perché innamorato di gloria? Per quale motivo si
dilettava di prostitute e mimi?".
O
uomo stolto, non eri tu che l’ammiravi? Non eri tu a lodarlo? Non
sei tu che lo conducesti a ciò con gli applausi e le lodi? Non lo
chiamavi Nilo? Non Oceano? Non sprecavi tutto il giorno nelle sue
lodi? Perché dunque improvvisamente sei cambiato? E quando bisogna
aver compassione, allora soprattutto lo accusi per ciò per cui un
tempo lo applaudivi? Infatti se rispetto a ciò per cui l’accusiamo
non siamo così duri da non essere piegati a compassione quando lo
vediamo punito, non bisognerebbe che ci piegassimo molto di più
quando lo vediamo soffrire qualche male rispetto a ciò per cui lo
abbiamo lodato?
Adesso
lo accusi: quando ti rallegrava con lo spettacolo, quando passavi
l’intero giorno trascurando tutte le tue cose, perché non
l’accusavi?
9.
Vedi quali sono le azioni del diavolo? Quali i frutti della vanità?
Io la definii cenere e polvere; vedo però che non è solo cenere e
polvere, ma anche fuoco e fumo: infatti la sua azione non si arresta
al non giovare per nulla, ma giunge sino al far cadere nei mali.
Potrebbe essere cenere e polvere per quelli che perdono molto ma non
guadagnano nulla; non certo anche per quelli che soffrono ciò di cui
ho recentemente trattato.
10.
"Ebbene, si dice, quando sono onorati e ammirati da molti per
quei servizi , è forse piccolo questo frutto?". E molto:
infatti non è grande questo onore, di cui ho trattato ora, essere
colpiti dal disprezzo, accusati e calunniati.
"Ma
che c’entra questo con chi è onorato?". Ora quelli non sono
onorati per i servizi, ma perché si attende che si spenda di nuovo
per la folla. Se è per ciò che è avvenuto prima, perché accusano
quelli che non hanno? Perché non li accolgono ma li scherniscono
definendoli miserabili ed empi? Hai visto quale pazzia è la vanità?
11.
Ma si lasci pure questo aspetto, proprio di uno solo o di due, e
passiamo ad un altro.
Se
qualcuno dicesse: "Che è di coloro che spendono con misura nei
divertimenti delle città?". Dimmi, ti prego, quale è il
guadagno? Anche per essi infatti effimera è la gloria e l’applauso.
E che ciò potrebbe succedere lo prova il fatto che se qualcuno
offrisse loro la scelta di riprendere quelle ricchezze o anche un
terzo o meno ancora e non sentire più in alcun modo simile applauso,
non pensi che essi avrebbero infinite volte compiuto la loro scelta?
Infatti
quelli che per un solo obolo si comportano spessissimo in modo
spudorato e sfrontato, che cosa non avrebbero fatto per queste
ricchezze perdute invano?
12.
Ora per me il discorso è rivolto a quei nostri fedeli che non
vogliono offrire a Cristo indigente e privo del nutrimento necessario
neppure una cosa qualunque; e quanto essi elargiscono a prostitute,
mimi, danzatori in cambio di un solo applauso, questo non lo danno in
cambio di un regno eterno.
13.
Ma passiamo ad un altro tipo di vanità. Quale è questo? È proprio
di molti e non più di uno o due: ci rallegriamo quando siamo lodati
ed a proposito di cose delle quali non siamo in nessun modo
consapevoli neppure minimamente a noi stessi.
Ed
il povero fa ogni cosa onde poter indossare delle belle vesti, per
nessun altro motivo se non per ottenere fama presso i molti; e spesso
pur potendo servire a se stesso, si compra un domestico non per
necessità, ma perché non sembri di essere disonorato servendo a se
stesso.
Infatti
per quale motivo, dimmi, tu che per tutto il tempo ti servi con le
tue stesse mani vuoi ora essere servito dalle mani di un altro?
Inoltre,
se si aggiunge altro denaro, compra suppellettili d’argento ed una
casa splendida. Niente di ciò per bisogno: se infatti ciò avvenisse
per bisogno, la maggior parte della stirpe degli uomini sarebbe già
perita e scomparsa.
Questo
ti voglio dire: ci sono delle cose necessarie e senza le quali non è
possibile vivere, come il prodotto della terra è una cosa necessaria
e, se questa non porta frutto, non è possibile vivere; il ricoprirsi
con vestiti, il tetto, le pareti ed i calzari: queste cose
appartengono a quelle necessarie, mentre tutte le altre sono
superflue.
Infatti
se anche quelle fossero necessarie e non fosse possibile ad un uomo
vivere senza servo, come non è possibile vivere senza di quelle, la
maggior parte degli uomini perirebbe, poiché la maggior parte non
possiede servitori.
Se
fosse necessario usare suppellettili d’argento e non fosse
possibile vivere senza di queste, la maggior parte degli uomini
sarebbe pure perita, poiché neppure l’argento si trova presso i
molti.
"Io
acquisto per essere ammirato e non essere disprezzato, e poi nascondo
per non essere invidiato e minacciato". Che cosa ci potrebbe
essere di peggiore di questa illogicità?. Se possiedi per la stima
presso i molti, mostralo a tutti; se invece temi l’invidia, è bene
non possedere neppure la più piccola cosa.
14.
Devo dirti anche un’altra illogicità? Spesso alcuni, dopo essersi
privati del necessario e pur essendo divorati dalla fame, non
trascurano questi oggetti.
E
se tu li interrogassi: "Devo avere la mia dignità",
direbbero. Quale dignità, o uomo? Non è questa la dignità di un
uomo.
Allora
dunque perdeva del tutto la sua grande dignità il giusto Elia ed
Eliseo e Giovanni; poiché non possedeva nulla di più di un mantello
di pecora e ricorreva all’aiuto di una vedova, anch’essa povera,
e conduceva una vita da mendicante presentandosi alla porta di quella
povera donna e pronunziando le parole dei mendicanti.
Perdeva
la dignità anche Eliseo, ospite lui pure di una poveretta. Perdeva
la dignità anche Giovanni non possedendo né mantello né un solo
pane.
Una
sola è la perdita di dignità, possedere molte cose, ed è realmente
una grande perdita di dignità. Infatti si ottiene fama di crudeltà,
mollezza, pigrizia ed orgoglio, vanità, brutalità. Non è dignità
portare bei vestiti, ma è dignità rivestirsi di belle azioni.
15.
Sento che molti si meravigliano di ciò. "Un tale, si dice, ha
la sua dignità. Il letto è ben preparato e possiede molte
suppellettili di bronzo. È un signore padrone di casa".
"Perché
ci rinfacci, si dice, chi possiede questi beni, mentre si dovrebbe
rimproverare quelli che possiedono di più?".
Mediante
voi accuso molto di più quelli: infatti se non risparmio l’accusa
a quelli che hanno poco, a più forte ragione accuso quelli che
possiedono di più.
Non
è dignità lo splendore della casa né la sontuosità dei tappeti né
il giaciglio ben preparato né il letto adorno né la quantità dei
domestici.
Infatti
tutte queste cose sono fuori di noi e non ci riguardano affatto. Le
cose che ci riguardano sono la moderazione, il disprezzo delle
ricchezze, il disprezzo della gloria, il ridersi della rinomanza
presso i molti, il considerare nulla le cose umane, l’abbracciare
la povertà, il superare la natura con la virtù della vita.
Questa
è la vera dignità, questa la gloria, questa la fama. Ma la causa di
tutti i mali, questa nasce all’origine ed io ti dico come.
L’educazione
dei figli
16.
Il figlioletto è appena nato. Ogni cosa macchina il padre non per
dirigere rettamente la sua vita, ma per abbellirlo e circondarlo di
ori e di vesti.
Perché
mai fai questo, o uomo? E sia: indossa pure tu queste cose; ma perché
allevi in queste il bambino, che non ha ancora fatto esperienza di
questa pazzia? Per quale motivo gli metti un ornamento intorno al
collo?
C’è
bisogno di un diligente pedagogo per guardare il fanciullo, non
d’oro.
E
gli lasci cadere la chioma all’indietro secondo l’uso di una
fanciulla, rendendo subito effeminato il fanciullo ed infiacchendo il
vigore della natura, istillando in lui fin dall’inizio l’amore
delle ricchezze ed inducendolo ad appassionarsi delle cose vane.
Perché
rendi per lui più grande la minaccia? Perché lo spingi ad
appassionarsi delle cose corporali?
"Se
un uomo ha la chioma, dice, è un disonore per lui". Non lo
vuole la natura. Non lo permise Dio. La cosa è vietata. È opera di
superstizione greca .
Molti
poi attaccano oggetti d’oro anche alle orecchie: volesse il cielo
che neppure le donne si dilettassero di queste cose, mentre voi
estendete la vergogna anche ai maschi.
17.
Forse molti ridono di ciò che è stato detto, come se si trattasse
di cose insignificanti. Non sono tali, ma anzi molto importanti.
Una
fanciulla educata nella stanza materna ad appassionarsi all’ornamento
muliebre, quando abbandonerà la casa paterna sarà astiosa e
difficile col suo sposo e più esigente degli esattori delle imposte.
Già
vi dissi che di qui nasce il male difficilmente estirpabile, che
nessuno pensa ai figli, che nessuno parla loro della verginità,
nessuno della moderazione, nessuno del disprezzo delle ricchezze e
della gloria, nessuno di ciò che è annunziato nelle Scritture.
18.
Quando dunque i figli sono privi di maestri fin dalla prima età, che
cosa diventeranno? Se infatti al cuni allevati sin dal seno materno
ed educati sino alla vecchiaia non camminano ancora rettamente,
coloro che sin dagli esordi della loro vita sono abituati a questi
insegnamenti quale male non commetteranno?
Ora
ciascuno si dà ogni cura per educare i propri figli nelle arti,
nelle lettere e nell’eloquenza, mentre nessuno ha la minima
preoccupazione di questo, di formare la loro anima.
19.
Non cesso di esortarvi e di pregarvi e di supplicarvi, perché prima
di ogni altra cosa educhiate finora i vostri figli.
Infatti
se tu hai cura del figlio, lo mostri di qui ed in più hai pure una
ricompensa.
Ascolta
Paolo che dice: "Se rimarranno nella fede, nell’amore e nella
santità con moderazione". Anche se tu hai coscienza di avere in
te stesso innumerevoli mali, procura ugualmente qualche conforto ai
tuoi mali.
Alleva
un atleta per Cristo. Non dico questo: distoglilo dal matrimonio,
mandalo nei luoghi solitari ed avvialo a scegliere la vita dei
monaci. Non dico questo. Lo vorrei certo e mi augurerei che tutti la
scegliessero, ma poiché sembra essere un peso, non voglio
costringere.
Alleva
un atleta per Cristo e, mentre è nel mondo, educalo pio sin dalla
prima età.
L’anima
del fanciullo
20.
Se i buoni insegnamenti si imprimono nell’anima che è ancora
tenera, nessuno potrà cancellarli, quando diverranno duri come
impronte, proprio come la cera.
Hai
in lui ancora un essere che trema e si spaventa e teme sguardo,
parola e ogni altra cosa. Approfitta dell’inizio per il dovere.
Tu
per primo trai profitto dei beni, se hai un figlio buono, e Dio in
seguito; ti affatichi per te stesso.
21.
Dicono che le perle, non appena sono prese, sono acqua. Ora se chi le
prende è un esperto, deposta sulla mano quella goccia, muovendo la
mano tenendola piana sulla palma e facendola girare con cura la
tornisce e la rende perfettamente rotonda. Una volta che ha ricevuto
la forma, non c’è più chi sia capace di mutarla.
Un
essere tenero infatti è favorevolmente disposto a tutto, non
possedendo ancora una propria forma fissa: per questo è attirato
facilmente verso tutto; invece un essere duro come se avesse ricevuto
una certa disposizione non perde facilmente la sua durezza né si
cambia in un’altra forma.
22.
Orbene ciascuno di voi, padri e madri, come vediamo i pittori
lavorare con gran cura i ritratti e
le
statue, così prendiamoci cura di queste meravigliose statue.
I
pittori infatti, postisi innanzi ogni giorno il quadro, lo colorano
secondo il bisogno. Gli scultori di pietre anch’essi fanno la
stessa cosa, eliminando il superfluo, aggiungendo il necessario. E
così anche voi: come fabbricatori di statue dedicate a questo tutto
il vostro tempo, fabbricando per Dio le meravigliose statue; e
togliete il superfluo, aggiungete il necessario; ed esaminatele
attentamente ogni giorno, quale prerogativa hanno di natura, da
poterla sviluppare; quale difetto possiedono per natura, da poterlo
eliminare.
E
soprattutto con molta cura allontanate da essi il richiamo
dell’intemperanza: infatti questa passione tenta straordinariamente
le anime dei giovani.
Piuttosto
prima che sia giunto a questa esperienza, insegnagli ad essere
sobrio, vigilante , a vegliare in preghiera, a porre su tutto ciò
che dice e fa il suggello della croce.
L’anima
come città
23.
Pensa di essere un re che ha come una città sottomessa l’anima del
figlio: una città infatti è realmente l’anima.
E
come nella città alcuni rubano, altri agiscono giustamente, altri
lavorano, altri fanno semplicemente tutto ciò che capita, così
anche nell’anima ci sono pensieri e ragionamenti: gli uni
combattono contro chi commette ingiustizia, come fanno in una città
i soldati; altri si prendono cura di tutto, del corpo e della casa,
come fanno gli amministratori nelle città; altri danno ordini, come
fanno i comandanti; altri trattano di cose licenziose, come fanno i
dissoluti; altri di cose sante, come fanno i saggi; e gli uni sono
effeminati, come sono le donne tra di noi, altri discorrono con
maggiore dissennatezza, come i bambini; gli uni danno ordini come
degli schiavi, ciò che sono i servitori; gli altri da nobili, ciò
che sono i liberi.
24.
Abbiamo dunque bisogno di leggi, onde poter esiliare i malvagi,
accogliere i buoni e non permettere che i malvagi si rivoltino contro
i buoni.
Infatti
allo stesso modo che in una città, se uno ponesse delle leggi che
concedono molta impunità ai ladri, sconvolgerebbe tutto; e se i
soldati non impiegassero il coraggio secondo il bisogno, metterebbero
tutti in pericolo; e se ciascuno, tralasciato il proprio posto,
inseguisse quello di un altro, comprometterebbe il buon ordine con
l’ambizione, così pure anche qui.
25.
Una città è dunque l’anima del bambino, una città fondata ed
ordinata da poco, una città che ha cittadini stranieri, non ancora
esperti di nulla.
È
molto facile guidare costoro. Infatti quelli allevati in una cattiva
costituzione, come ad esempio i vecchi, malvolentieri sarebbero
disposti a cambiare, ma non è impossibile: possono trasformarsi
anche quelli, se vogliono; invece coloro che sono inesperti di tutto,
facilmente sarebbero disposti ad accogliere le leggi da te.
26.
Imponi dunque delle leggi temibili e severe a questa città ed a
quelli che vivono in essa e diventa giudice di quelli che le
trasgrediscono: infatti non serve a nulla imporre delle leggi, se poi
non seguisse anche il castigo.
27.
Imponi dunque delle leggi e bada attentamente ad esse: infatti la
nostra legislazione riguarda tutta la terra e noi oggi fondiamo una
città.
Siano
dunque muri e porte i quattro sensi: tutto il resto del corpo sia
come una fortezza e le sue porte gli occhi, la lingua, l’udito,
l’olfatto, se vuoi anche il tatto, poiché attraverso queste porte
entrano ed escono i cittadini di questa città, cioè i pensieri
mediante queste porte hanno esito cattivo e buono.
La
prima porta: la lingua
28.
Orsù dunque accostiamoci prima alla porta costituita dalla lingua,
poiché questa è la più affollata, e prima di ogni cosa
prepariamole frattanto dei battenti e delle sbarre non di legno né
di ferro, ma d’oro.
Infatti
è realmente d’oro la città che si sta così formando, poiché non
un uomo, ma lo stesso re dell’universo sta per abitare questa
città, non appena sarà costruita.
E,
proseguendo il discorso, vedrete dove gli disponiamo la reggia.
Prepariamole
dunque battenti e sbarre d’oro, le parole di Dio, come dice il
profeta: "Per la mia bocca le parole di Dio sono superiori al
miele ed al favo, all’oro ed alla pietra molto preziosa".
Impariamo
ad avere sempre queste parole sulle labbra, anche durante le nostre
passeggiate, non semplicemente né superficialmente né
saltuariamente, ma costantemente.
Non
bisogna porre sulle porte soltanto lamelle d’oro, ma fabbricarle
tutte spesse e salde completamente d’oro, ed avere pietre preziose
al posto di pietre comuni infisse al di fuori. E sbarra di queste
porte sia la croce di Cristo, tutta interamente composta di pietre
preziose e fissata trasversalmente in mezzo alle porte.
Quando
avremo preparato le porte così spesse e d’oro ed avremo messo la
sbarra, prepariamo anche i cittadini degni.
Chi
sono questi? Le parole nobili e sante che insegniamo a pronunziare al
bambino.
Ed
espelliamo frequentemente gli stranieri, cosicché non si insinuino
tra questi cittadini individui mescolati alla rinfusa ed uomini
nocivi: i discorsi arroganti ed oltraggiosi, insensati, vergognosi,
terreni, mondani cacciamoli tutti.
E
nessuno entri attraverso queste porte, ma solo il re. E questa porta
sia aperta a lui ed a tutti i suoi, affinché anche di essa si dica:
"Questa è la porta del Signore, i giusti passeranno per essa".
E secondo il beato Paolo: "Se c’è una buona parola ad
edificazione, per concedere grazia a chi ascolta".
Le
parole siano rendimento di grazie, inni santi trattino sempre di Dio,
della saggezza di lassù.
29.
Come dunque avverrà questo? Ed in che modo li educheremo? Se saremo
sicuri interpreti della realtà: ampia infatti è la disponibilità
del fanciullo.
Come?
Non lotta per ricchezze, non per gloria: è ancora piccolo; non per
donna, non per figli, non per casa. Così quale motivo avrebbe di
violenza e di bestemmia? Tutta la sua lotta è con coetanei.
30.
Impari subito una legge: non essere violento con nessuno, non
calunniare nessuno, non giurare, non essere litigioso.
E
se vedessi che trasgredisce la legge, rimproveralo, ora con uno
sguardo severo, ora con parole che possono ferire, ora con biasimi; a
volte invece blandiscilo e fagli delle promesse.
Nessuna
pena corporale senza interruzione, perché non lo abitui ad essere
educato in questo modo: se infatti imparerà ad essere educato
continuamente così, imparerà pure a disprezzare tale educazione e,
una volta imparato a disprezzarla, tutto è rovinato.
Tema
invece sempre le pene corporali, senza però riceverne; e sia vibrata
la sferza, senza però essere fatta cadere.
E
le minacce non si traducano mai in realtà, senza però che sia
palese questo, che le parole arrivano solo fino alle minacce: la
minaccia infatti è un bene, quando si crede che si possa realizzare,
mentre se chi sbaglia verrà a conoscere l’effettivo risultato, ne
avrà disprezzo.
Sia
preparato invece ad essere corretto, ma non venga corretto, affinché
non svanisca il timore, ma rimanga come un fuoco vivo e che divora
d’ogni parte le spine o come una vanga aguzza e profonda che scava
sino in fondo.
29.
Come dunque avverrà questo? Ed in che modo li educheremo? Se saremo
sicuri interpreti della realtà: ampia infatti è la disponibilità
del fanciullo.
Come?
Non lotta per ricchezze, non per gloria: è ancora piccolo; non per
donna, non per figli, non per casa. Così quale motivo avrebbe di
violenza e di bestemmia? Tutta la sua lotta è con coetanei.
30.
Impari subito una legge: non essere violento con nessuno, non
calunniare nessuno, non giurare, non essere litigioso.
E
se vedessi che trasgredisce la legge, rimproveralo, ora con uno
sguardo severo, ora con parole che possono ferire, ora con biasimi; a
volte invece blandiscilo e fagli delle promesse.
Nessuna
pena corporale senza interruzione, perché non lo abitui ad essere
educato in questo modo: se infatti imparerà ad essere educato
continuamente così, imparerà pure a disprezzare tale educazione e,
una volta imparato a disprezzarla, tutto è rovinato.
Tema
invece sempre le pene corporali, senza però riceverne; e sia vibrata
la sferza, senza però essere fatta cadere.
E
le minacce non si traducano mai in realtà, senza però che sia
palese questo, che le parole arrivano solo fino alle minacce: la
minaccia infatti è un bene, quando si crede che si possa realizzare,
mentre se chi sbaglia verrà a conoscere l’effettivo risultato, ne
avrà disprezzo.
Sia
preparato invece ad essere corretto, ma non venga corretto, affinché
non svanisca il timore, ma rimanga come un fuoco vivo e che divora
d’ogni parte le spine o come una vanga aguzza e profonda che scava
sino in fondo.
più
conviene che indossino questo abbigliamento regale coloro che si
dedicano alla milizia celeste.
Impari
dunque a salmodiare a Dio, per non perdere tempo in canti vergognosi
ed in racconti sconvenienti.
35.
E questa porta sia così assicurata e siano scelti quei determinati
cittadini; uccidiamo invece dentro gli altri, come le api i fuchi,
non lasciandoli uscire né ronzare.
La
seconda porta: l’udito
36.
Passiamo ora all’altra porta. Quale è questa? Quella che le è
posta vicino ed ha molta affinità con essa, l’udito dico.
Infatti
quella ha i cittadini che escono di fuori e nessuno entra attraverso
di essa; questa invece li ha che entrano dal di fuori e nessuno esce
attraverso di essa.
Ora
questa ha molta affinità con quella: infatti se non permette che
varchi le sue soglie nessun criminale o scellerato, non provoca
grande difficoltà alla bocca, poiché chi non ode cose vergognose né
malvagie non pronunzia neppure cose vergognose, allo stesso modo che,
se questa è aperta a tutti, recherà danno a quella e provocherà
confusione a tutti quelli di dentro. Forse bisognava dire prima tutto
intorno a questa e sbarrare il primo ingresso.
37.
Ora nulla di sconveniente ascoltino i fanciulli né da parte dei
servitori né dal pedagogo né dalle nutrici. Ma come le piante hanno
soprattutto bisogno di molta cura allorquando sono giovani, così
anche i fanciulli.
Preoccupiamoci
dunque di buone nutrici, affinché fin dalla base si ponga un buon
fondamento e dall’inizio non accolgano in nessun modo nulla di
malvagio.
38.
Perciò non ascoltino neppure racconti frivoli e da vecchierelle.
"Il
tale, dice, amò il tale. Il figlio del re e la figlia più piccola
fecero questo". Non ascoltino niente di ciò, ma ascoltino altre
cose senza alcuna circonlocuzione, con molta semplicità.
E’
possibile da parte di schiavi e di servitori, ma non di tutti:
infatti non sia permesso ad ogni servitore di unirsi ad essi, ma
siano ben noti, come sono noti quelli che si accostano ad una statua,
coloro che collaborano con noi all’opera d’arte.
Come
infatti non è sconveniente, se noi siamo architetti e costruiamo una
casa per un signore, non permettere da parte nostra che si accostino
alla costruzione indistintamente tutti i servitori, così ora
fondando una città e dei cittadini per il re celeste non è
sconveniente affidare a tutti il lavoro?
Invece
quanti dei servi sono validi collaborino; se invece non ce n’è
nessuno, cercane uno a pagamento, un uomo di valore, e affida il
tutto specialmente a lui, cosicché collabori all’impresa.
La
storia di Caino e Abele
39.
Non ascoltino dunque siffatti racconti. Ma quando abbia interrotto le
fatiche derivanti dagli studi (lo spirito infatti ama trattenersi
sulle antiche narrazioni), parlagli distogliendolo da ogni
atteggiamento puerile, dal momento che tu stai allevando un saggio ed
un atleta ed un cittadino dei cieli.
Digli
dunque e raccontagli: "C’erano una volta due figli di un solo
padre, due fratelli". Poi, dopo esserti fermato, aggiungi: "Ed
usciti da uno stesso ventre. Uno era più vecchio, l’altro più
giovane. Ed uno era contadino, il più vecchio; l’altro, il più
giovane, pastore. E questo conduceva le greggi nelle valli e negli
stagni".
Ed
addolcisci il racconto, in modo che il fanciullo provi qualche
diletto e non gli affatichi lo spirito. "Quello seminava e
piantava. E talvolta parve bene ad essi rendere onore a Dio. Ed il
pastore, presi i primi capi delle greggi, le offrì a Dio".
Non
è molto meglio raccontare queste cose al posto dei montoni dal vello
d’oro e di quella fanfaronata? Quindi tienilo desto ha un certo
senso il racconto , non aggiungendo nulla di falso, ma ciò che
deriva dalla Scrittura. E quando ebbe offerto a Dio le primizie,
all’improvviso discese un fuoco dal cielo e tutto attrasse verso
l’altare celeste. Il più vecchio non fece così, ma se ne andò e,
riservatesi le primizie delle sue fatiche, offrì a Dio le seconde
parti. E Dio non le gradì, ma le trascurò e le lasciò rimanere
sulla terra. Quelle invece le accolse in alto presso di sé. E come
avviene per i soprintendenti nelle campagne, che il padrone onora ed
accoglie in casa uno di quelli che gli recano offerte, mentre ne
lascia stare fuori un altro, allo stesso modo avvenne anche qui.
Che
avviene poi dopo ciò? Il fratello più vecchio si afflisse come
disonorato e messo da parte, ed era fosco. Gli dice Dio: "Perché
ti sei afflitto? Non sapevi che tu offri a Dio? Perché mi hai
offeso? Che cosa hai da protestare? Perché mi hai offerto le seconde
parti?".
E
se ti pare opportuno usare un linguaggio più semplice, dirai:
"Quello non avendo nulla da dire se ne stava zitto o piuttosto
cessò di parlare. Dopo ciò, visto il suo fratello più piccolo, gli
disse: "Usciamo in campagna". E, sorpresolo con inganno, il
maggiore lo uccise.
Pensava
di sfuggire a Dio. Ma Dio gli si avvicina e gli dice: "Dov’è
tuo fratello?". Quello risponde: "Non lo so: sono forse
guardiano di mio fratello?". Dio gli dice: "Ecco, il sangue
di tuo fratello dalla terra grida verso di me".
Si
sieda accanto anche la madre mentre l’anima del fanciullo viene
così plasmata da questi racconti, affinché anch’essa collabori e
lodi ciò che si dice.
"Che
avvenne dunque dopo ciò? Dio accolse quello in cielo e, una volta
morto, è lassù".
Con
questi racconti il fanciullo apprende la dottrina della risurrezione.
Infatti se si spacciano nei miti notizie di tal genere, come "e
la rese una semidea", ed il fanciullo vi crede e non sa che cosa
vuol dire "semidea", ma sa bene che è qualcosa di più
grande rispetto all’uomo e udendo ne rimane subito ammirato, quanto
di più se ascolterà della risurrezione e che la sua anima è salita
al cielo.
"E
subito accolse quello lassù. Costui invece, l’assassino,
continuava a vivere per molti anni soffrendo intensamente, in
compagnia di timore e tremore, e pativa infiniti mali ed era
castigato ogni giorno".
Ed
insisti a lungo sul castigo, non momentaneamente, sul fatto che "udì
da parte di Dio: "Sarai afflitto e tremante sulla terra".
Poiché il bambino non sa che cosa vuol dire ciò, digli: "Come
tu che ti trovi davanti ed in lotta col maestro, se per caso stai per
essere sferzato tremi ed hai paura, così viveva quello
continuamente, dopo aver offeso Dio".
40.
Basta fin qui per lui: e narragli questo racconto in una sola sera a
cena.
La
madre poi ripeta le stesse cose. In seguito, quando le avrà udite
spesso, domandi anche a lui: "Dimmi il racconto", affinché
si senta pure preso dalla emulazione. E quando avrà assimilato il
racconto, allora gliene rivelerai anche la utilità. Infatti l’anima
che ha assimilato in sé il racconto sa portare frutti prima del tuo
intervento, ma tuttavia anche tu digli in seguito: "Vedi quale
male è la gola? Quale male è invidiare il fratello? Vedi quale male
è pensare di nascondersi di fronte a Dio? Infatti egli vede tutto,
anche ciò che avviene in segreto".
Se
riuscirai ad inculcare nel fanciullo questo solo pensiero, non avrà
bisogno del pedagogo, poiché questo timore da parte di Dio incombe
sul fanciullo più di ogni timore ed assilla la sua anima.
41.
E non solo questo, ma conducilo guidandolo per mano alla chiesa e
preoccupati di condurvelo specialmente quando si legge questo
racconto.
Lo
vedrai rallegrarsi ed esultare e gioire perché egli conosce ciò che
tutti ignorano, ed afferrare ed apprendere e trarne grande profitto.
E da quel momento il fatto è riposto nella sua memoria.
42.
C’è pure un altro profitto da trarre dal racconto. Impari da te
che non bisogna affliggersi quando si soffre del male: qui subito fin
dall’inizio Dio lo mostra in questo fanciullo, dal momento che
mediante la morte accolse su in cielo colui che gli era accetto.
La
storia di Giacobbe ed Esaù
43.
Quando questo racconto si sarà impresso nella mente del fanciullo,
introducine un altro, come quello dei due altri fratelli, e narra:
"C’erano una volta due altri fratelli, di nuovo uno più
vecchio e l’altro più giovane. E il più vecchio era cacciatore;
il più giovane, dedito ai lavori di casa".
Questo
racconto possiede pure una attrattiva più grande del primo, in
quanto contiene molte peripezie ed essi erano maggiori di età.
Questi
due fratelli erano pure gemelli . Ma dopoché nacquero, la madre
prediligeva il più piccolo, il padre il più grande. E quello
trascorreva fuori molto tempo nei campi; questo invece, il più
giovane, in casa. Ed una volta narra il racconto " suo padre
divenuto vecchio dice a quello che prediligeva: "Poiché, o
figlio, sono divenuto vecchio, va’ e preparami della selvaggina,
cioè cattura una gazzella o una lepre e portala e falla cuocere,
affinché dopo averne mangiato io ti benedica".
Al
più piccolo invece non disse nulla di simile. Ma la madre, avendo
udito il padre che diceva tali cose, chiamato il più giovane gli
dice: "Figlio, poiché tuo padre ordinò a tuo fratello di
portargli della selvaggina, affinché dopo aver mangiato lo benedica,
ascoltami. Va’ dal gregge e, presi dei capretti teneri e molli,
portameli ed io li preparerò come desidera tuo padre e tu andrai da
lui affinché, mangiatili, ti benedica".
Ora
il padre aveva la vista debole a causa della vecchiaia. Quando dunque
il più giovane portò i capretti, la madre li fece cuocere e, poste
su un piatto le vivande, le diede al figlio e lo fece entrare. Gli
fece però indossare pelli di capra per non essere scoperto, poiché
quello era glabro, suo fratello invece peloso, affinché potesse
rimanere nascosto ed il padre non se ne accorgesse. E così lo mandò.
Il
padre allora, credendo che fosse realmente il più vecchio, dopo aver
mangiato lo benedisse. Quindi, dopo che si compi la benedizione,
arriva il più vecchio portando la selvaggina e, visto l’accaduto,
gridando ad alta voce si mise a piangere.
44.
Guarda quante cose belle nascono da questo racconto. E non entrare in
tutti i suoi dettagli: infatti osserva quanti spunti nascono da esso.
Anzitutto
i figli provano rispetto e stima per i padri vedendo che è così
ambita la benedizione dei padri e preferiranno ricevere infiniti
colpi piuttosto che udire delle maledizioni da parte dei padri.
Se
poi un racconto fittizio di qualcosa occupa così la loro anima da
essere ritenuto degno di fede, ciò che è realmente vero come non
potrà occuparla e riempirla di molto timore?
Bisogna
disprezzare il ventre. È necessario infatti che quel racconto mostri
come non guadagnò nulla dall’essere il primogenito ed il più
vecchio: per la intemperanza del ventre perdette la prerogativa della
primogenitura.
45.
Quindi quando avrà diligentemente appreso questo, un’altra sera
gli dirai di nuovo: "Raccontami la storia di quei due fratelli".
E
se comincerà a narrare quella di Caino e Abele, fermalo e digli:
"Non voglio questa, ma quella degli altri due, dove il padre
benedisse". E dà le indicazioni, senza citare ancora i nomi.
Quando
ti avrà raccontato tutto, aggiungi il seguito e dì:
46.
"Ascolta ora ciò che capitò dopo questi fatti.
Anche
costui cercava di uccidere il fratello, come quello di prima, ed
attendeva la fine del padre. Ma la madre avendone avuto sentore ed
essendosi spaventata, lo fece andare in esilio".
Ora
la profonda saggezza che oltrepassa la capacità di intendere del
fanciullo può tuttavia con un opportuno adattamento essere
comunicata anche alla tenera mente infantile, se presenteremo
convenientemente il racconto.
Così
dunque gli diremo: "Questo fratello se ne andò e giunse in un
luogo non avendo nessuno con sé, né schiavo né domestico né
pedagogo né alcun altro. Giunto in un luogo si mise a pregare e
disse: "O Signore, dammi pane e vestito e salvami". Quindi,
dopo aver detto ciò, per la tristezza si addormentò. E vide nel
sonno una scala dalla terra al cielo e gli angeli di Dio che salivano
e scendevano e Dio stesso posto in alto sulla cima e disse:
"Benedicimi". E lo benedisse e lo chiamò Israele ".
Il
nome dei figli
47.
A buon punto mi sono ricordato e mi è venuta un’altra idea dal
nome. Quale è mai questa? Infondiamo subito in loro a partire
dall’attribuzione del nome lo zelo della virtù. Nessuno dunque per
dare il nome ai figli ricorra ai nomi degli antenati, del padre e
della madre e del nonno e del bisnonno, ma a quelli dei giusti, dei
martiri, dei vescovi, degli apostoli. Sia anche questo per loro uno
stimolo: uno si chiami Pietro, un altro Giovanni, un altro abbia"
un altro nome di un santo.
48.
E non imitatemi le usanze greche. Infatti non è piccola vergogna e
scherno quando in casa di cristiani si svolgono certe usanze greche
ed accendono fiaccole e si fermano ad aspettare quella che si spegne
e consuma per prima, ed altre simili cose che arrecano un danno non
comune a quelli che le fanno.
Non
pensiate che ciò che avviene sia cosa da poco ed insignificante.
49.
Ora esorto anche voi a questo, a chiamare i vostri figli con i nomi
dei giusti.
Infatti
all’inizio era naturale che ciò avvenisse e chiamassero i figli
con i nomi degli antenati: era un conforto della morte, perché lo
scomparso sembrasse vivere per il nome; ora non più.
Infatti
vediamo che i giusti non chiamano così i loro figli: Abramo generò
Isacco; furono chiamati l’uno Giacobbe, l’altro Mosè non dagli
antenati, né troveremo mai qualcuno dei giusti chiamato in questo
modo. Di quale virtù e conforto se è quindi esempio anche
l’attribuzione del nome!
Per
il fatto che non troveremo nessun’altra causa del nome se non
questa, che è ricordo della virtù. "Infatti, dice, tu sarai
chiamato Cefa, che significa Pietro". Per quale motivo? Perché
hai reso testimonianza.
"E
tu ti chiamerai Abramo". Per quale motivo?
"Perché
sarai padre di popoli". " Ed Israele, perché vedesti Dio".
Di
qui dunque anche noi cominciamo a prenderci cura dei figli e ad
educarli.
50.
Ma, come dicevo, " vide una scala che saliva al cielo e
discendeva qui".
Entri
dunque nelle case il nome dei santi attraverso l’imposizione del
nome ai figli, affinché possa educare non solo il figlio, ma anche
il padre, quando penserà che è padre di Giovanni, di Elia, di
Giacobbe. Se sarà infatti dato con devozione e con rispetto per gli
scomparsi e riusciremo ad ottenere la parentela dei giusti piuttosto
che quella degli antenati, molto questo gioverà e a noi ed ai figli.
Non
credere già, perché è piccola cosa, che sia insignificante: è
invece garanzia di aiuto.
51.
Ma, come dicevo, torniamo di nuovo al seguito. "Vide una scala
ben fissa; chiese di essere benedetto; Dio lo benedisse; ritornò dai
suoi parenti; si dedicava al pascolo".
Raccontagli
poi le vicende riguardo la sposa ed il ritorno; e trarrà di qui
grande profitto.
Considera
infatti quanto apprenderà: sarà educato a sperare nel Signore; a
non disprezzare nessuno, pur discendendo da un nobile; a non
vergognarsi della semplicità; a sopportare coraggiosamente le
avversità e molte altre cose.
52.
Dopo questi racconti narrane a lui già cresciuto anche altri che
incutano più timore.
Alla
mente ancora giovane non imporre un tale peso, perché non ne sia
spaventata.
Quando
avrà quindici anni o anche più, senta parlare dell’inferno; anzi,
quando avrà dieci anni oppure otto o meno ancora, senta parlare del
diluvio e delle vicende di Sodoma e degli avvenimenti d’Egitto
(fatti tutti che sono pieni di castighi) con grande abbondanza di
particolari.
E,
ancora cresciuto di più, senta anche i fatti del Nuovo Testamento,
quelli relativi alla grazia, quelli dell’inferno.
Rafforza
tutto intorno il suo udito con questi discorsi e con infiniti altri,
presentandogli pure degli esempi attinti da casa sua.
53.
E se qualcuno raccontasse pure cose false, non permettiamo in nessun
modo, come dicevo, che alcuno gli si avvicini.
E
se tu noterai alla sua presenza uno schiavo che parla male, puniscilo
subito e sii severo e rigoroso censore delle colpe.
E
se vedrai una fanciulla..., o, meglio, non si accosti una fanciulla e
non attizzi il fuoco, a meno che si tratti di una vecchia e tale che
non abbia alcun mezzo sufficiente per attirare un giovane; stia
lontano invece da una fanciulla più che dal fuoco.
Così
dunque non dirà nulla di sconveniente se non udirà nulla di
sconveniente, ma sarà educato secondo questi principi.
La
terza porta: l’olfatto
54.
Vuoi che passiamo ad un’altra porta, quella dell’olfatto?
Anche
questa arreca grande danno se non è rafforzata, come le essenze ed i
profumi.
Nulla
distende così la tensione dell’anima, nulla così la rilassa come
dilettarsi di buoni profumi.
"Che
dunque, dici, bisogna rallegrarsi del sudiciume?". Non dico
questo, ma che non ci si deve rallegrare né di questo né di quello.
Che
nessuno gli offra del profumo: infatti il cervello, appena accolto
questo, si affloscia completamente. Di qui si ridestano anche i
piaceri e grande è il pericolo di questa situazione.
Ora
dunque rinforza questa porta: il suo compito infatti è di respirare
l’aria, non di aspirare il profumo. Forse alcuni ridono, come se ci
preoccupassimo di inezie nel discutere di una tale costituzione; non
si tratta però di inezie, ma della base e dell’educazione e
dell’ordine di tutto il mondo, se ciò fosse attuato.
La
quarta porta: gli occhi
55.
C’è anche un’altra porta più attraente di queste, ma più
difficile da custodire, quella degli occhi: per questo sta aperta al
di sopra e possiede la bellezza. Ha molte aperture non solo per
vedere ma anche per essere vista, se è stata ben rifinita.
56.
Qui c’è bisogno di leggi severe: anzitutto di una, che il
fanciullo non sia mai mandato a teatro, per non subire una rovina
totale attraverso l’udito e attraverso gli occhi.
A
questo, in piazza, badi soprattutto il pedagogo, facendolo passare
attraverso stretti sentieri e lo esorti, così da non subire mai
quella rovina.
57.
A molte cose si deve dunque badare, perché non subisca tale
influenza quando è visto: eliminare l’eccesso dell’eleganza
tagliando in segno di serietà i capelli posti in alto.
E
se il fanciullo ne fosse dispiaciuto come se fosse privato di
ornamento, impari anzitutto che questo è il miglior ornamento.
58.
Quanto poi al non vedere, sono sufficienti per la protezione quei
discorsi sui figli di Dio perdutisi per le figlie degli uomini ,
quelli sui Sodomiti, l’inferno e tutti gli altri racconti.
59.
Su questo punto soprattutto il pedagogo e l’accompagnatore devono
usare molta attenzione. Ma tu mostragli altre cose belle e stornerai
di là i suoi occhi, cioè il cielo, il sole, gli astri, i fiori
della terra, le praterie, la bellezza dei libri : rallegri la vista
con queste cose. E ce ne sono molte altre che non arrecano danno.
60.
Infatti questa porta è difficile da custodire, poiché ha il fuoco
posto all’interno e, come qualcuno direbbe, una necessità
naturale.
Impari
i canti divini. Se non è eccitato dall’interno, non vuole neppure
vedere al di fuori.
Non
prenda il bagno con donne: è un male questa abitudine, e che non lo
si mandi neppure a riunioni di donne.
61.
Ascolti continuamente tutto il racconto su Giuseppe ed impari inoltre
ciò che riguarda il regno dei cieli, quale ricompensa è destinata
ai temperanti.
Promettigli
anche di presentargli una graziosa sposa e di renderlo successore
dell’eredità.
Impiega
ogni minaccia se vedessi il contrario e digli: "Non riusciremo
ad incontrare, o figlio, una donna virtuosa, se tu non dimostrerai
molta vigilanza e l’accrescimento della virtù. Quando sarai
divenuto forte, ti condurrò subito alle nozze".
62.
Soprattutto se è educato a non dire cose vergognose, fin dall’inizio
ha come acquisita la riservatezza.
Parlagli
della bellezza dell’anima. Ispiragli nobili pensieri sulle donne.
Digli che è degno di uno schiavo essere disprezzato da una schiava e
ché il giovane ha soprattutto bisogno di molta cura.
Colui
che parla fuori posto sarà notato, mentre colui che vede non lo sarà
infatti rapida è questa sensazione e, pur sedendo in mezzo a molti,
può conquistare quella che vuole con lo sguardo degli occhi. Non
abbia niente in comune con una donna: ad eccezione della madre non
guardi alcuna donna.
Non
dargli del denaro; nulla di vergognoso penetri in lui; disprezzi il
lusso e le altre cose simili.
La
quinta porta: il tatto
63.
C’è poi un’altra porta, non simile a queste, ma che si estende a
tutto quanto il corpo, quella che chiamiamo il tatto e che sembra
essere chiusa, ma, come è aperta, così attira dentro ogni cosa.
Non
permettiamo che questa sia in relazione con languide vesti né con
corpi. Rendiamola dura. Noi alleviamo un atleta e pensiamo a questo.
Non si serva dunque di tappeti delicati né di vestiti. Ciò sia
disposto in questo modo per noi.
64.
Orsù dunque, dopo essere entrati in questa città scriviamo e
fissiamo delle leggi, poiché la disposizione delle porte va bene per
noi.
Anzitutto
impariamo a conoscere esattamente le case e le stanze interne dei
cittadini, dove essi dimorano, quelli forti e quelli deboli.
65.
Dicono dunque che la passione ha come sede e casa il petto e, nel
petto, il cuore; il desiderio, il fegato; la ragione, il cervello.
Propri
di quello sono virtù e vizio: virtù è temperanza e mitezza; vizio,
impudenza ed arroganza; a sua volta virtù di questo è la
continenza, vizio la lussuria;
e
virtù della ragione è la saggezza, vizio la stoltezza. Facciamo
dunque in modo che nascano in queste sedi le virtù e generino tali
cittadini, non quelli malvagi: infatti come madri di pensieri cattivi
si presentano questi elementi.
La
padronanza di sé
66.
Rivolgiamoci ora alla parte dominante, la passione. Né la si deve
stroncare del tutto da parte del giovane né gli si deve permettere
che vi accondiscenda dovunque: invece educhiamoli sin dalla prima età
a sopportare, qualora ricevano un’ingiustizia, e, se vedessero
qualcuno vittima di un’ingiustizia, ad andare coraggiosamente in
suo aiuto e a difendere in misura conveniente chi si trova in
difficoltà.
67.
Come avverrà questo? Se si esercitano tra i loro stessi servitori e
sopportano di essere disprezzati e non si affliggono di essere
ingannati, ma piuttosto esaminano attentamente le loro mancanze verso
gli altri.
Dovunque
in tali circostanze è sovrano il padre, severo ed intransigente
riguardo la trasgressione delle leggi, ma dolce e benevolo riguardo
la loro osservanza e dispensatore di molti doni al figlio.
Così
infatti anche Dio regge il mondo col timore dell’inferno e la
promessa del regno: allo stesso modo pure noi i nostri stessi figli.
68.
E ci siano molti d’ogni parte a stimolarli, in modo che si
esercitino ed imparino con quelli di casa a sopportare la passione.
E
come nella palestra prima dei combattimenti gli atleti si esercitano
con quei di casa, in modo che, superando quelli, diventino
invincibili con gli avversari, così anche il fanciullo sia educato
in casa.
E
spesso il padre o il fratello sia colui che in modo particolare lo
mette alla prova: e tutti si diano da fare soprattutto per la sua
vittoria; oppure qualcuno gareggi e gli si opponga nella lotta, in
modo da esercitarlo in quella.
Così
anche i servi lo provochino continuamente e giustamente ed
ingiustamente, in modo che dovunque impari a dominare la passione.
Infatti
se lo provoca il padre, non c’è nulla di notevole, poiché il nome
del padre condizionando la sua anima non gli permette di reagire.
Invece facciano ciò coetanei, schiavi e liberi, affinché per mezzo
di quelli impari l’equilibrio.
69.
C’è dell’altro. Che cosa dunque? Quando si adirerà, ricordagli
le proprie passioni; quando si irriterà con uno schiavo, ricordagli
se egli non ha mai sbagliato e come si comporterebbe trovandosi egli
stesso in questa situazione.
E
se vedrai che batte lo schiavo, puniscilo; e se lo tratta con
arroganza, fa’ altrettanto.
Non
sia né fiacco né rozzo, affinché possa essere uomo ed equilibrato.
Infatti spesso egli ha bisogno dell’energia se per caso dovesse
avere lui stesso dei figli o diventare padrone di schiavi.
Dovunque
è utile l’energia; là soltanto è inutile, quando difendiamo noi
stessi. Per questo motivo anche Paolo non approfitta mai della
situazione per se stesso, ma solo per quelli che subiscono
l’ingiustizia. E Mosè, avendo visto un fratello vittima
dell’ingiustizia, si valse dell’ira e molto coraggiosamente, lui
che era il più mite di tutti gli uomini`; invece quando fu
oltraggiato, non si difese affatto, ma fuggì.
E
ascolti questi racconti: infatti quando orniamo ancora le porte, c’è
bisogno di quei racconti più semplici; quando però educhiamo i
cittadini già entrati, è tempo di questi discorsi più elevati.
Così
ci sia per lui quest’unica legge, di non difendere mai se stesso
oltraggiato o maltrattato e di non tollerare mai che un altro soffra
questo.
70.
Insegnando tali cose ed educando se stesso, anche il padre sarà
molto migliore: infatti, se non per un altro motivo, almeno per non
compromettere l’esempio sarà molto migliore di se stesso.
Così
impari ad essere trascurato, disprezzato. Non chieda a quei di casa
nulla di quanto può chiedere un uomo libero, ma si faccia da solo i
maggiori servizi. Gli schiavi lo servano in quelle cose soltanto in
cui non gli è possibile servirsi da sé: ad esempio non può un uomo
libero cucinare. Non bisogna infatti destinarlo a questi lavori dopo
averlo sottratto alle fatiche che si adattano ad un uomo libero.
E
se avrà poi bisogno di lavarsi i piedi, non faccia questo servizio
uno schiavo, ma se li lavi da sé: renda così l’uomo libero bene
accetto e grandemente amabile a quei di casa.
E
nessuno gli porti il mantello né attenda in bagno l’aiuto da parte
di un altro, ma faccia ogni cosa da sé: ciò lo renderà vigoroso,
modesta ed affabile.
71.
Insegnagli anche ciò che riguarda la condizione umana, che cos’è
uno schiavo e che cosa un libero. Digli: " Piccolo, non c’erano
schiavi anticamente al tempo dei nostri progenitori; ma fu il peccato
ad introdurre la schiavitù. Poiché, infatti, uno divenne violento
contro il padre, pagò questa pena, di diventare schiavo dei
fratelli. Bada dunque di non essere schiavo degli schiavi. E se ti
adirerai come quelli e farai tutte le loro stesse cose e rispetto
alla virtù non avrai niente in più di essi, non avrai pure niente
rispetto alla stima.
"Sforzati
dunque di essere loro padrone e di diventarlo non in questo modo, ma
con la condotta, perché, pur essendo libero, non ti si rinvenga loro
schiavo.
Non
vedi forse quanti padri diseredarono i loro figli e li sostituirono
con gli schiavi? Bada quindi che non ti capiti niente di simile. Io
né voglio né mi auguro questo: tu però sei arbitro di entrambe
queste possibilità".
72.
Così frena la sua passionalità, imponendogli di trattare con quei
di casa come con dei fratelli ed insegnandogli ciò che riguarda la
condizione umana col dirgli le parole di Giobbe: "Se disprezzai
il diritto del mio servo o della mia serva, quando erano in giudizio
con me, che cosa farò se il Signore farà giustizia di me? Se farà
un esame, che risposta darò? Forse che come io nacqui nel ventre
anch’essi non vi nacquero? Siamo nati nello stesso ventre". E
di nuovo: " Forse che spesso mi dissero le mie serve: "Chi
ci darà da saziarci delle sue carni? Infatti io sono troppo buono".
73.
Ti pare forse ingenuo Paolo, per il quale colui che non sa governare
una casa non deve neppure essere a capo della chiesa?.
Dì
dunque: "Se vedrai che è stato perso uno stilo o una penna è
stata spezzata da un servo, non adirarti né insultarlo, ma sii
indulgente, sii comprensivo".
Così
a partire dalle piccole perdite saprai sopportare anche le grandi: o
una cinghia intorno alla tavoletta smarrita o una catena di bronzo.
Infatti i fanciulli si sdegnano per tali perdite e preferirebbero
rimettere la vita piuttosto che lasciare impunito il male che deriva
da queste cose.
A
questo punto dunque sia mitigata l’asprezza dell’ira. Sai bene
infatti che colui il quale è divenuto calmo e mite e virile rispetto
a ciò, sopporterà facilmente ogni perdita.
Ora
quando, possedendo una tavoletta fatta di legno prezioso, tutta
pulita e priva di macchia, con all’interno catene di bronzo e
cinghie non inferiori all’argento ed altri simili oggetti da
fanciulli, se per caso chi l’accompagna la perde o la rovina,
quello non si adira, ha già mostrato i segni di una grandissima
saggezza.
E
non comprargliela subito, purché non si sia spenta l’ira; ma
quando vedrai che non ne sente più il bisogno né continua ad essere
risentito, allora provvedi alla sua irritazione.
74.
Qui non si tratta di cose senza importanza: il nostro discorso
riguarda il governo della terra intera. Educalo anche a preferire il
fratello, se ne ha uno più giovane; se ciò non è possibile, anche
il servo: pure questo è segno di grandissima saggezza.
75.
E addolcisci la sua ira così da rendere miti i suoi pensieri per
noi: infatti quando non sarà risentito per nulla, quando sopporterà
la perdita, quando non avrà bisogno di alcun rimedio, quando non si
sdegnerà perché un altro è onorato, donde mai avrà motivo per
adirarsi ancora?
76.
È tempo ormai di passare al desiderio della carne. Qui duplice è la
saggezza e duplice il danno, io credo, dovendo fare in modo che egli
né si prostituisca né si dia alla fornicazione.
I
medici affermano che questo desiderio si presenta intorno ai quindici
anni.
Come
riusciremo ad incatenare questa belva? Quale freno le imporremo? Non
ne conosco altro se non quello dell’inferno.
77.
Anzitutto distogliamolo dal vedere e sentire cose vergognose ed un
fanciullo libero non vada mai a teatro.
Se
andrà alla ricerca di quel piacere, qualora trovassimo qualche suo
coetaneo che se ne astiene indichiamoglielo, cosicché sia trattenuto
dall’ammirazione, poiché nulla è così educativo come
l’emulazione, proprio nulla.
E
facciamo così in tutto, specialmente se è sensibile all’emulazione:
ciò possiede una forza ancora maggiore del timore, delle promesse e
di ogni altra cosa.
78.
Inoltre ricorriamo per lui ad altri piaceri non dannosi. Conduciamolo
da uomini santi, procuriamogli una distensione. Onoriamolo con molti
doni, in modo che la sua anima accetti di sopportare il disonore che
ne deriva: e al posto di quegli spettacoli presenta dilettevoli
racconti, praterie e magnifici edifici.
E
dopo questo disprezziamo col discorso quelle cose dicendogli: "O
figlio, sono da schiavi quegli spettacoli, il vedere donne nude che
parlano in modo turpe. Abituati a non ascoltare né a dire nulla di
sconveniente, e va’ pure. Ma non è possibile non udire là niente
di vergognoso. Ciò che là accade è indegno dei tuoi occhi".
E
contemporaneamente mentre parliamo baciamolo ed abbracciamolo e
teniamolo stretto, così da mostrargli il nostro affetto.
Confortiamolo con tutto questo.
79.
Che cosa poi ancora? Come già dissi, nessuna fanciulla si avvicini
né lo serva, ma una domestica già adulta, una donna anziana.
E
si introduca il discorso del regno e di coloro che un tempo
brillarono per la loro continenza, pagani e cristiani . Accostiamo
continuamente al suo orecchio questi esempi.
E
se avessimo pure dei domestici continenti, anche da costoro si
prendano gli esempi, affermando che è del tutto sconveniente che il
domestico sia così continente e l’uomo libero gli sia inferiore.
C’è
anche un altro rimedio Quale? Impari pure a digiunare, se non sempre,
almeno due giorni la settimana, il mercoledì ed il venerdì . E si
rechi in chiesa.
I1
padre poi prendendolo alla sera, quando il teatro si svuota, gli
indichi quelli che escono di là e prenda in giro i vecchi, che sono
divenuti più dissennati dei giovani, ed i più giovani che si sono
lasciati bruciare dalla passione.
Ed
interroghi il fanciullo: "Che cosa hanno guadagnato tutti
costoro? Nient’altro che vergogna, colpa e biasimo".
In
breve, non è piccolo vantaggio rispetto alla continenza astenersi da
tutto questo e da ciò che si vede e si sente.
80.
C’è ancora altro: impari a pregare con grande cura e compunzione.
E non dirmi che un fanciullo non sarebbe in grado di accogliere ciò.
Soprattutto il fanciullo, che ha uno sguardo penetrante e sveglio,
potrebbe essere in grado di accogliere ciò. Vediamo infatti molti
esempi simili tra gli antichi, come Daniele e Giuseppe.
E
non venirmi a parlare dei diciassette anni di Giuseppe, ma pensa a
questo, in che modo riuscì ad accattivarsi il padre ed in misura
maggiore degli stessi fratelli più vecchi.
E
Giacobbe non era più giovane? E Geremia? E Daniele non aveva dodici
anni? E Salomone non aveva anche lui dodici anni, quando fece quella
meravigliosa preghiera? E Samuele, pur essendo giovane, non istruì
lo stesso suo maestro?
Così
non disperiamo: infatti non potrebbe accogliere ciò se fosse più
giovane rispetto all’anima, non rispetto all’età.
Sia
educato dunque a pregare con molta compunzione ed a vegliare secondo
le sue possibilità: in breve, si imprima nel fanciullo il carattere
di un uomo santo.
Chi
infatti si preoccupa di non giurare, di non offendere se offeso e di
non diventare arrogante ed odioso, digiunando e pregando, ha da tutto
questo lo stimolo sufficiente alla continenza.
Il
fidanzamento
81.
E se lo indirizzerai alla vita del mondo, presentagli presto la sposa
e non attendere che egli sia in servizio militare oppure già allora
si dedichi agli affari pubblici, ma forma fin dall’inizio la sua
anima e preoccupati già allora della sua reputazione esteriore.
Credi forse che sia piccola cosa fare in modo che con le nozze un
uomo vergine si unisca ad una vergine? Non è cosa di poca importanza
per la continenza della donna, e non soltanto per quella del giovane.
Non
sarà puro soprattutto allora l’amore? E, ciò che è più
importante di tutto, Dio non sarà pieno di benignità e non colmerà
di infinite benedizioni quelle nozze, quando essi si uniranno come
egli ordinò?
E
fa’ in modo che egli rivolga l’amore verso la fidanzata: se sarà
preso da questo desiderio, si riderà di ogni altra donna.
82.
Se elogerai la fanciulla per la bellezza, per l’ornamento e per
ogni altra cosa e aggiungerai in seguito: "Non accetterà di
unirsi a te se avrà saputo che tu conduci una vita leggera",
farà molta attenzione come se corresse un rischio estremo.
Infatti
se l’amore della fidanzata convinse quel santo , pur essendo stato
deluso, a servire di nuovo sette anni, anzi quattordici, quanto più
convincerà noi.
Digli:
"Tutti quelli della sposa, il padre, la madre, i servi, i vicini
e gli amici si preoccupano della tua condotta e tutti gliela
riferiscono". Tienilo avvinto con questo legame, un legame che
favorisce la continenza.
E
così, anche se non potrà prendere moglie fin dalla prima età,
abbia invece fin da questa una fidanzata ed abbia cura di apparire
buono: ciò è sufficiente per ogni protezione.
83.
C’è pure un’altra difesa della continenza: osservi continuamente
colui che è capo della chiesa ed oda molti elogi da parte sua ed il
padre si vanti di questo con tutti coloro che ascoltano.
Le
fanciulle siano schive di vederlo. In seguito poi i racconti sa ed il
timore del padre e le promesse e successivamente la ricompensa
accordata da Dio ed i beni, di cui goderanno i continenti, gli
procureranno molta sicurezza.
84.
Aggiungi poi gli onori che si hanno nel servizio militare e negli
affari pubblici. Ed oltre a questo ci sia un modo di parlare
costantemente avverso alla dissolutezza, molti elogi invece per la
continenza.
Tutto
ciò è sufficiente per tenere a freno l’anima del giovane: e così
ci procurerà santi pensieri.
La
saggezza
85.
C’è pure altro: passiamo ora all’argomento principale, che
sovrasta su tutto. Quale è dunque? La saggezza intendo.
A
questo proposito c’è bisogno di molto sforzo per riuscire a
renderlo accorto e ad eliminare ogni Questo è soprattutto il compito
grande e mirabile della filosofa, di conoscere le cose di Dio, ciò
che riguarda tutto ciò che si trova qui in terra, l’inferno, il
regno.
"Principio
della sapienza è il timore di Dio".
86.
Facciamo nascere dunque in lui questa saggezza ed esercitiamolo a
conoscere gli affari degli uomini, che cos’è ricchezza, gloria,
potere; a disprezzare queste cose e ad aspirare alle cose più
grandi.
E
ricordiamogli tali consigli: "Figlio, temi solo Dio e al di
fuori di lui non temere alcun altro".87. In base a questo
diverrà un uomo assennato e piacevole: niente infatti rende
dissennato come queste passioni.
Per
la sapienza di Dio basta il timore e l’avere il discernimento delle
cose degli uomini, quanto conviene averne. Questo infatti è il sommo
della sapienza, non lasciarsi prendere dalle cose puerili.
Sia
educato a stimare nulla le ricchezze, nulla la gloria umana, nulla il
potere, nulla la morte, nulla la vita presente: così sarà saggio.
E
se dopo tale esercizio lo accompagneremo alla stanza nuziale, pensa
quale dono sarà per la sua sposa.
88.
Non celebriamo le nozze con flauti né con cetre né con danze:
infatti è indice di grande sconvenienza disonorare con tali mezzi un
simile sposo. Invece chiamiamo qui Cristo: ormai lo sposo è degno di
lui. Invitiamo i suoi discepoli. Tutto per lui sarà bellissimo. Egli
stesso poi imparerà a formare così i suoi figli e quelli i propri e
si intesserà così una catena d’oro.
89.
Facciamo pure in modo che egli si occupi secondo la sua capacità di
affari pubblici, di quelli che non ammettono colpe.
E
se sarà in servizio militare, impari a non guadagnare illecitamente,
come anche se difenderà chi soffre ingiustizia o se farà qualsiasi
simile professione.
90.
La madre impari ad educare la sua giovane figlia secondo questi
principi e ad allontanarla dal lusso, dall’eleganza e da tutto ciò
che è proprio delle prostitute.
Faccia
tutto secondo tale regola ed allontani sia il giovane che la giovane
dall’ostentazione e dall’ebbrezza. Ciò ha grande importanza per
la continenza: infatti il desiderio turba i giovani; l’amore
dell’eleganza e la vanità, le giovani.
Reprimiamo
dunque tutto ciò e cosi potremo piacere a Dio allevando tali atleti,
per potere anche noi ed i nostri figli avere in sorte i beni promessi
a coloro che lo amano, mediante la grazia e la benevolenza del
Signore nostro Gesù Cristo, al quale insieme col Padre e con lo
Spirito Santo sia gloria, potenza, onore, ora e sempre e per i secoli
dei secoli. Così sia.
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