Gv 21, 15 - 19
Una delle manifestazioni di Gesù
risorto si è svolta sulle rive del lago di Tiberiade. Pietro con
alcuni discepoli esce a pescare, ma quella notte non presero
nulla. Sulla riva incontrano un personaggio misterioso che dice
loro di gettare la rete dalla parte destra, i discepoli obbediscono
ed è una pesca miracolosa. Poi Gesù, ora riconosciuto, mangia
insieme a loro.
L’inizio dell’esame
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse
a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di
costoro?» (v 15). È l’inizio dell’esame di Pietro
sull’amore. L’esame, come ogni iniziativa del Signore, ha un
andamento piuttosto strano e sconcertante per diversi motivi. Pietro
dà l’impressione di essere intimidito e imbarazzato come uno che è
coinvolto in una vicenda più grande di lui, come uno studente non
troppo preparato quando è interrogato. Ed è effettivamente così,
perché il Signore tende sempre a sconvolgere i nostri schemi, a
demolire e ricostruire, a farci morire e a farci risorgere, a
condurci oltre gli orizzonti terreni, oltre i nostri corti pensieri;
è allora normale che ci sentiamo intimiditi, inadeguati,
impreparati, spaesati. Dobbiamo subito osservare che la domanda del
Signore, per certi aspetti un po’ enigmatica, esigerebbe due sole
risposte: “Si, io ti amo più di costoro” oppure: “No, io non
ti amo più di costoro”. Sia il vostro parlare sì, sì; no, no
(Mt 5, 37) aveva insegnato Gesù ai suoi. Evidentemente, sia
Pietro sia noi, abbiamo parecchie difficoltà ad assimilare e a
praticare gli insegnamenti di Gesù.
La prima risposta di Pietro
La risposta di Pietro è una via di
mezzo fra il sì e il no; Pietro tende a trovare una scappatoia per
evitare lo sconcerto di una domanda imbarazzante la cui risposta è
molto semplice o impossibile. Pietro risponde: Certo, Signore, tu
lo sai che ti voglio bene. Risponde cioè come se il Signore
avesse voluto sapere se gli voleva bene. Ma la domanda era per sapere
se sì o no Pietro riteneva di amare il Signore più degli altri
apostoli. Pietro, che sicuramente voleva bene al Signore, non se la
sente però di affermare che il suo amore è superiore a quello dei
suoi compagni. Non se la sente di affermarlo perché una simile
affermazione è impossibile. Noi non sappiamo nemmeno valutare quanto
è grande e quanto vale l’amore per Gesù che c’è in noi,
figuriamoci se siamo in grado di vedere quanto è grande e quanto
vale questo amore negli altri; confrontare poi i diversi amori fra di
loro è un compito sovrumano, è un compito che solo Dio sa svolgere.
Sant’Agostino a questo proposito osserva che Pietro nella sua
risposta, “non aggiunge «più di costoro», risponde solo per
quello che sa di se stesso, perché non poteva conoscere il grado
d’amore che avevano gli altri discepoli per Gesù non potendo
leggere nel profondo del loro cuore” (Trattato 124 su S. Giovanni).
Conviene ancora considerare che c’è un modo di intendere la
domanda del Signore, che stride, che non suona bene. Se non si fa
attenzione, si corre il rischio di comprendere la domanda come se il
Signore invitasse o incoraggiasse Pietro a dichiarare di essere il
primo della classe, il più bravo e il più amante fra i suoi
compagni.
Questo modo di comprendere la domanda mi sembra che contrasterebbe con diversi insegnamenti di Gesù. Possiamo pensare alla parabola del fariseo e pubblicano; il primo si compiace e si vanta di essere il più bravo, di adempiere i precetti della legge con una precisione e una perfezione che gli altri si sognano, soprattutto quel pubblicano che in fondo al tempio non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Ma il Signore dichiara che è quest’ultimo a tornare a casa giustificato e non il fariseo. Nella conclusione della parabola poi, afferma chiaramente che Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato (Lc 18, 9-14). Per correggere il difetto di coloro che cercano sempre i primi posti, Gesù racconta la parabola degli invitati al banchetto di nozze, in cui dice espressamente di andarsi a mettere all’ultimo posto, perché nessuno può sapere se ci sia al banchetto un invitato più degno di occupare i primi posti. E la conclusione della parabola è ancora: Chiunque si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14, 7-11). Nel vangelo di Marco sono chiaramente indicate le disposizioni interiori che dovrebbero governare i rapporti fra i discepoli: Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti (Mc 10, 43-44). Anche l’insegnamento di San Paolo va nella stessa direzione, infatti, alle comunità a cui scrive raccomanda: Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda… Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso (Rm 12, 10; Fil 2, 3). Quest’ultima esortazione non lascia dubbi per le situazioni in cui si presentasse la tentazione di fare confronti, in questi casi tutti gli altri devono essere considerati superiori. Alla luce di questi insegnamenti potremmo chiederci: qual è la risposta che Gesù si aspettava da Pietro? Possiamo forse dire che Gesù non poteva esigere una risposta impossibile e non poteva volere una risposta in contrasto con i suoi insegnamenti. Proviamo allora a sentire come suona una diversa risposta. Se Pietro avesse detto: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene, ma non posso dire di volerti bene più di costoro; io per tre volte ti ho rinnegato, loro questo non l’hanno fatto”. Il Signore non avrebbe forse gradito una risposta su questo tono e non gli avrebbe più detto Pasci i miei agnelli?
Questo modo di comprendere la domanda mi sembra che contrasterebbe con diversi insegnamenti di Gesù. Possiamo pensare alla parabola del fariseo e pubblicano; il primo si compiace e si vanta di essere il più bravo, di adempiere i precetti della legge con una precisione e una perfezione che gli altri si sognano, soprattutto quel pubblicano che in fondo al tempio non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Ma il Signore dichiara che è quest’ultimo a tornare a casa giustificato e non il fariseo. Nella conclusione della parabola poi, afferma chiaramente che Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato (Lc 18, 9-14). Per correggere il difetto di coloro che cercano sempre i primi posti, Gesù racconta la parabola degli invitati al banchetto di nozze, in cui dice espressamente di andarsi a mettere all’ultimo posto, perché nessuno può sapere se ci sia al banchetto un invitato più degno di occupare i primi posti. E la conclusione della parabola è ancora: Chiunque si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14, 7-11). Nel vangelo di Marco sono chiaramente indicate le disposizioni interiori che dovrebbero governare i rapporti fra i discepoli: Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti (Mc 10, 43-44). Anche l’insegnamento di San Paolo va nella stessa direzione, infatti, alle comunità a cui scrive raccomanda: Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda… Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso (Rm 12, 10; Fil 2, 3). Quest’ultima esortazione non lascia dubbi per le situazioni in cui si presentasse la tentazione di fare confronti, in questi casi tutti gli altri devono essere considerati superiori. Alla luce di questi insegnamenti potremmo chiederci: qual è la risposta che Gesù si aspettava da Pietro? Possiamo forse dire che Gesù non poteva esigere una risposta impossibile e non poteva volere una risposta in contrasto con i suoi insegnamenti. Proviamo allora a sentire come suona una diversa risposta. Se Pietro avesse detto: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene, ma non posso dire di volerti bene più di costoro; io per tre volte ti ho rinnegato, loro questo non l’hanno fatto”. Il Signore non avrebbe forse gradito una risposta su questo tono e non gli avrebbe più detto Pasci i miei agnelli?
La seconda domanda di Gesù
Il fatto che Gesù insista a
interrogare Pietro, forse significa anche che la risposta ottenuta
non era stata molto soddisfacente e allora è offerta a Pietro una
nuova possibilità. Con tono solenne, per la seconda volta, Gesù
chiede a Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami? In questa
seconda domanda c’è una difficoltà in meno, non è più chiesto a
Pietro di confrontare il suo amore con quello dei suoi compagni.
Pietro risponde: Certo Signore, tu lo sai che ti voglio bene.
Ma, anche questa volta, Pietro risponde come se il Signore avesse
voluto sapere da lui se gli voleva bene; il Signore però, non gli
aveva chiesto se gli voleva bene, ma se lo amava. Per cercare di
capire bene e apprezzare il più possibile ciò che sta accadendo in
quest’ora presso il lago dobbiamo farci aiutare da chi conosce la
lingua greca. Chiederemo aiuto al papa Benedetto XVI che nell’udienza
generale di mercoledì 24 Maggio 2006 ha detto cose molto
interessanti su questo dialogo fra Gesù e Pietro. Dobbiamo sapere
che nella lingua greca, la lingua con cui sono stati scritti i
vangeli, ci sono diversi verbi per indicare l’amore, ogni verbo
riassume o indica un amore di un certo tipo, un amore che ha
caratteristiche particolari. Il papa dice che in questo dialogo “si
rivela un gioco di verbi molto significativo”. I verbi in questione
sono “agapáo” e “filéo”. “Agapáo” viene utilizzato dal
Signore nella prima e nella seconda domanda, mentre Pietro nelle sue
risposte utilizza sempre il verbo “filéo”; nella terza domanda
anche il Signore utilizzerà il verbo “filéo”. A differenza
della traduzione precedente la nuova versione della CEI cerca di
evidenziare questo gioco di verbi traducendo le domande di Gesù con
“… mi ami?” e le risposte di Pietro con “… ti voglio bene”,
mentre la terza domanda sarà: “… mi vuoi bene?” e la risposta
di Pietro sarà ancora “… ti voglio bene”. La cosa interessante
è cercare di capire i possibili significati di questo gioco di
verbi, per scorgere le luci o le prospettive che possono sorgere
dell’episodio. Prospettive e luci che ci consentono di conoscere
meglio chi è Dio e chi è l’uomo, l’immensa misericordia di Dio
e l’immensa miseria dell’uomo, cosa accade quando la misericordia
di Dio si prende cura della miseria dell’uomo per sollevarlo e
condurlo a poco a poco sulla via che conduce all’intimità divina.
Il papa dice che le caratteristiche dell’amore indicate dal verbo
“agapáo” sono quelle di un amore “senza riserve, totale e
incondizionato”, un amore che, se le circostanze lo richiedono, è
disposto a dare la vita per la persona amata. Nessuno ha un amore
più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,
13). Possiamo allora dire che il verbo “agapáo” indica il più
grande e il più pregiato di tutti gli amori. Mentre “il verbo
«filéo» esprime l’amore di amicizia, tenero ma non
totalizzante”, un amore che, se le circostanze lo richiedono, non
se la sente di dare la vita per la persona amata, è un amore che ha
un certo pregio ma non è il massimo degli amori possibili.
Le implicite affermazioni di Pietro
Dobbiamo considerare ora che Pietro,
“nella sua presunzione”, nella sua “imprudenza colpevole”
(Sant’Agostino) aveva a parole dichiarato sia di amare il Signore
più di tutti gli altri sia che avrebbe dato la vita per Lui, ma,
come spesso accade, alle parole non erano seguiti i fatti. Verso la
fine dell’ultima Cena Gesù rivela in anticipo agli apostoli le
cose che stanno per accadere e dice loro: Tutti rimarrete
scandalizzati, perché sta scritto: «percuoterò il pastore e le
pecore saranno disperse». Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò
in Galilea. Sentite queste parole Pietro interviene e audacemente
dichiara: Anche se tutti si scandalizzeranno, io no! (Mc 14,
26-29). Il che equivale a dire: “Se tutti si scandalizzeranno io
non mi scandalizzerò, perché io ti amo più di costoro”. Allora
Gesù prosegue: In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa
notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai.
Queste parole sono come della benzina sul fuoco, infatti il cuore
ardente e imprudente di Pietro divampa e, con grande insistenza,
con l’autorità di uno che sa il fatto suo, per la seconda volta
dichiara: Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò.
Affermare di essere pronto a morire per la persona amata significa
affermare di avere il più grande di tutti gli amori: l’àgape. Per
questo Gesù gli chiede nella prima e nella seconda domanda: Simone
… mi ami tu (agapâs-me)?. Ma dopo che è successo quello che è
successo, Pietro non può più rispondere in modo affermativo, allora
risponde utilizzando il verbo “filéo” che indica un amore
inferiore rispetto all’àgape. “Signore ti voglio bene (filô-se),
cioè «ti amo del mio povero amore umano»”… “Signore ti
voglio bene come so voler bene”, così commenta Benedetto XVI.
Conviene di nuovo osservare che sia alla prima che alla seconda
domanda Pietro non risponde correttamente con un si o un no come le
domande richiederebbero, ma cerca delle scappatoie per non confessare
i suoi limiti. Se Pietro avesse risposto a questa seconda domanda:
“Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene, ma non posso
dire di volerti bene fino a dare la vita per te, io che di fronte a
una giovane portinaia ti ho rinnegato” (Gv 18, 17), possiamo
pensare che il Signore non gli avrebbe più detto: Pasci le mie
pecore, Lui che vuole esaltare coloro che si umiliano? Conviene
qui osservare un atteggiamento comune a Pietro e a noi, atteggiamento
o tendenza a nascondere davanti a Dio le nostre povertà, i nostri
limiti, il nostro peccato; noi vorremmo nascondere tutto questo
mettendo avanti il nostro “povero amore umano” senza doverne
riconoscere i limiti e le insufficienze o confessare le disavventure
a cui questo povero amore umano a volte ci conduce.
Pietro abbandonato dal Signore
A questo punto dobbiamo però
considerare bene un fatto, ossia che Pietro era effettivamente
disposto a dare la vita, a morire per il Signore, ma, come acutamente
osserva padre Molinié op, Pietro più che abbandonare il Signore si
è sentito abbandonato da lui quando avrebbe voluto tagliare le
orecchie e le teste di coloro che volevano catturare Gesù. Mosso da
un amore ardente per il Signore Pietro era disposto a dare la vita
per lui secondo una prospettiva umana, prospettiva per cui uno può
dare il suo corpo alle fiamme senza avere la carità, senza avere
l’àgape (1 Cor 13, 3). Ma Pietro non poteva avere una prospettiva
diversa fino a quando il Signore non gliel’avesse mostrata durante
la sua passione e lo Spirito Santo, nel corso degli anni, non
gliel’avesse fatta assimilare. È bene ora chiederci: Pietro e i
suoi compagni, dove erano stati condotti dal Signore? Erano stati
condotti a essere i testimoni di un “prodigioso duello” in cui la
morte e la vita, la luce e le tenebre, si sarebbero affrontate nella
battaglia decisiva. In questo prodigioso duello vi è una duplice
manifestazione: da una parte il volto orribile delle tenebre,
conseguenza del peccato, e dall’altra il volto inimmaginabile della
Misericordia che affronta le tenebre come un Agnello condotto al
macello. È inoltre importante considerare come le schiere in campo
non sono composte soltanto da forze umane ma sono composte
soprattutto da forze sovrumane. Allora, quando la battaglia divampa,
tutto ciò che è soltanto umano si rivela assolutamente inadeguato
ed è ridotto in frantumi. Infatti sia in Pietro, sia negli altri
discepoli, saltano tutti gli schemi mentali, tutti i criteri di
giudizio e le loro attese nei confronti del Signore; la loro
comprensione di Dio e delle vicende umane non regge più; lo
smarrimento, la fuga, l’angoscia, prendono il sopravvento; il loro
povero amore umano per il Signore, su cui speravano di poter contare,
si rivela inadatto a farli attraversare quell’ora. Considerando
quindi bene l’importanza e il peso di questi eventi, possiamo
tentare di rendere più esplicita la seconda domanda del Signore:
“Simone, figlio di Giovanni, mi ami a tal punto da rimanermi vicino
quando la malizia degli uomini e dei demoni ripetutamente si
abbatterà su di me fino a farmi morire”. Evidentemente Pietro non
se la sente di rispondere in modo affermativo perché fatti recenti
sono lì a testimoniare il contrario, ma non se la sente neanche di
rispondere negativamente come sarebbe stato più conforme sia allo
spirito di umiltà sia ai fatti. Allora la sua risposta è ancora una
via di mezzo che, come propone il papa, suona un po’ così:
“Signore ti voglio bene come so voler bene”. Il fatto che il
Signore non abbia reso più esplicite le sue domande può essere il
segno di una grande misericordia e delicatezza nei confronti di
Pietro, come se il Signore non avesse voluto calcare la mano, come se
non avesse voluto caricare Pietro di un peso che non era ancora in
grado di portare, e allora ha lasciato che Pietro comprendesse le
domande come era in grado al momento di comprenderle. Il peso che
probabilmente Pietro non era ancora in grado di portare era l’acuta
consapevolezza della sua miseria, della sua povertà, della sua
cocciutaggine che a più riprese aveva voluto e ancora vorrebbe
sostituire i propri giudizi a quelli di Dio.
Nato per fare il capo
Pietro è evidentemente un capo, spesso
vorrebbe governare lui, perché in certi casi e in certe situazioni
si ritiene più esperto e più saggio del Signore. Infatti, quando
Gesù dice ai discepoli che a Gerusalemme dovrà soffrire e morire,
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo:
«Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,
21-22). Sul monte Tabor è ancora lui che prende in mano la
situazione e dice: Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè,
una per Elia (Mc 9, 5). A Cafarnao, dopo il discorso sul Pane di
Vita, molti discepoli se ne vanno, e quando Gesù chiede: Volete
andarvene anche voi? è Pietro che interviene e indica a tutti
l’atteggiamento giusto: Signore, da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna (Gv 6, 68). Quando durante l’ultima cena Gesù
lava i piedi ai discepoli, Pietro protesta: Signore, tu lavi i
piedi a me?... Tu non mi laverai i piedi in eterno!… Se non
ti laverò, non avrai parte con me. … Signore, non solo i
miei piedi, ma anche le mani e il capo! (Gv 13, 6-9). Sempre
durante l’ultima cena: Tutti rimarrete scandalizzati predice
Gesù, ma Pietro assicura: Io no!, … Tu mi rinnegherai…,
ma Pietro con grande insistenza replica: Anche se dovessi morire
con te, io non ti rinnegherò! (Mc 14, 30-31). Il sottinteso di
questa affermazione è: “Io conosco me stesso e le vicende umane
più di quanto le conosci tu”. Robe da matti, di cui spesso anche
noi siamo protagonisti. Quando i soldati e le guardie vengono per
catturare Gesù, è lui che maneggia la spada e taglia l’orecchio
di Malco servo del sommo sacerdote (Gv 18, 10). Dopo la risurrezione
è lui che decide di andare a pescare con alcuni discepoli;
l’iniziativa in un primo tempo non avrà molto successo (Gv 21,
2-14). Con simili predisposizioni e premesse, Pietro è il candidato
naturale al governo del collegio apostolico e della Chiesa, ma la
formazione necessaria per tale incarico è piuttosto sconcertante.
Il fatto che il Signore vorrebbe
condurre sia Pietro sia noi a prendere coscienza della nostra
povertà, e che senza di lui non possiamo far nulla (Gv 15, 5), è
indicato molto bene da quanto è successo quella notte e quel mattino
sul lago. L’iniziativa di Pietro e dei suoi compagni termina con un
fallimento totale: quella notte non presero nulla, ma questo
clamoroso fallimento diventa l’occasione in cui una misericordia al
di là di ogni immaginazione trasforma il fallimento in
sovrabbondanza di vita. La lezione in sé è molto chiara, ma noi
facciamo fatica a comprenderla e a praticarla con una certa agilità.
Infatti, la rigidità di Pietro, figura della nostra, si manifesta
anche in occasione della terza domanda di Gesù.
La terza domanda di Gesù
In questa terza domanda che, insieme
alle due precedenti, discretamente ma fermamente suggerisce un
collegamento con il triplice rinnegamento di Pietro, vi è un
cambiamento di verbo. Gesù non utilizza più il verbo «agapáo»,
che indica il massimo e il più prezioso degli amori, ma utilizza il
verbo «filéo» che indica un amore inferiore. La nuova versione
della CEI traduce così: Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?
(fileîs-me). Pietro questa volta risponde correttamente: Signore
tu conosci tutto tu sai che ti voglio bene (filô-se). La
risposta è più facile perché l’amore richiesto in questa terza
domanda è meno esigente rispetto a quello richiesto nelle
precedenti. E il Papa commenta: "Verrebbe da dire che Gesù si è
adeguato a Pietro piuttosto che Pietro a Gesù!". Questo
adeguamento di Gesù a Pietro lo possiamo scorgere anche dal fatto
che Gesù si rivolge Pietro non chiamandolo Pietro, che è il suo
nome secondo la grazia, ma Simone, figlio di Giovanni, che è
il suo nome secondo la natura, perché la natura è l’unico piano
in cui Pietro è al momento in grado di rispondere.
In questa terza domanda dobbiamo ancora
considerare un fatto molto significativo, così riportato da
Giovanni: Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli
domandasse: «mi vuoi bene?». Questo dolore o tristezza rivela
che in Pietro c’erano un pensiero e un giudizio secondo cui il
Signore non avrebbe dovuto insistere così a lungo nell’interrogarlo
sull’amore, lui già due volte aveva risposto e forse pensava anche
di aver risposto bene. Emerge qui, ancora una volta, la tendenza di
Pietro e nostra, di voler rinchiudere o ridurre le iniziative di Dio
nei limiti angusti dei nostri corti pensieri. Viene fuori ancora una
volta la pesantezza e la rigidità dell’uomo che non sa rispondere
con agilità e serena fiducia alle iniziative di Dio. Dio parla
all’uomo, gli parla d’amore, e l’uomo si rattrista. Ci
sarebbero tutti i motivi per perdere la speranza e la pazienza. Ma
Gesù non perde né la speranza né la pazienza e, nonostante tutto,
continua a dare fiducia a Pietro dicendogli per la terza volta: Pasci
le mie pecore.
Riassunto
Potremmo a questo punto tentare di
riassumere l’esame di Pietro sull’amore alla luce di quanto è
appena successo nell’episodio della pesca miracolosa. Conviene
partire dall’intenzione di Gesù di dare la vita e di darla in
abbondanza, ma la vita che vuole dare Gesù non è di questo mondo, è
qualcosa che proviene direttamente dal mondo di Dio. Anche l’uomo è
in cerca di vita, ma l’unica vita che è in grado di procurarsi è
quella che può ottenere dai beni di questo mondo, per questo Pietro
e i suoi compagni escono a pescare. Ora, sembra inevitabile fare
prima o poi l’esperienza di come i beni di questo mondo non siano
assolutamente in grado di darci la vita, infatti: quella notte non
presero nulla. Ma, dopo l’esperienza del fallimento, è
comunicata miracolosamente la sovrabbondanza di una vita che proviene
da Dio stesso, è la pesca miracolosa seguita dal banchetto finale.
Qui, i discepoli giungono a conoscere più profondamente chi è Gesù
e chi è Dio. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico
vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17, 3).
Quanto è successo in modo visibile e fisico sul lago, è simile a
ciò che deve succedere in modo invisibile e spirituale nel cuore di
Pietro e nostro a proposito dell’amore. Noi, come Pietro, ci
muoviamo nella vita mossi da una capacità di amare che è umana,
naturale. Questa capacità naturale di amare è rivolta in varia
misura verso Dio, verso i fratelli e verso le cose, sembra tuttavia
inevitabile che prima o poi dobbiamo fare l’esperienza del limite e
dell’insufficienza del nostro amore naturale. Questo limite e
questa insufficienza sono soprattutto manifestati quando in qualche
modo siamo condotti ad affrontare l’ora delle tenebre, ossia a
prendere coscienza del volto orribile del peccato che c’è in noi e
attorno a noi. In quell’ora, più che incoraggiati a dichiarare un
amore verso Dio e verso i fratelli a cui vorremmo poterci appoggiare,
ma che in realtà scricchiola da tutte le parti, siamo invitati a
confessare un amore verso Dio e verso i fratelli che non c’è;
questa confessione sarebbe per noi molto utile e fruttuosa perché
renderebbe il nostro cuore contrito e umile, ossia capace di ricevere
ciò che solo Dio può donarci: il suo Spirito, il suo Amore,
l’àgape. Un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi
(Sal 50, 19). Come l’esperienza del fallimento totale in occasione
della pesca è stata necessaria perché si manifestasse la gloria
della sovrabbondante generosità divina, così l’esperienza
umiliante della nostra incapacità di amare è necessaria perché
possa manifestarsi la straordinaria tenerezza di Dio che vuole
rimediare al nostro non amore donandoci il suo amore, l’unico
capace di farci funzionare in ogni circostanza secondo le sue vie e i
suoi pensieri.
Teresina di Lisieux e don Divo
Barsotti
Può essere utile e interessante
ascoltare ora l’insegnamento di Santa Teresina di Lisieux e alcune
intuizioni di don Divo Barsotti. Così scrive S. Teresina nella
lettera 140: “Gli apostoli senza Nostro Signore lavorarono tutta la
notte e non presero neppure un pesce, ma la loro fatica era accetta a
Gesù. Voleva mostrare loro che lui soltanto ci può dare qualche
cosa. Voleva che gli apostoli si umiliassero… Figlioli, dice
loro, avete nulla da mangiare? (Gv 21, 5) Signore - rispose
san Pietro - abbiamo pescato tutta la notte senza prendere nulla (Lc
5, 5). Non avevano nulla, e così Gesù riempì subito la loro
rete fino al punto da farla rompere. Ecco qual è il carattere di
Gesù: dona da Dio, ma vuole l’umiltà del cuore”. Di don Divo
Barsotti riportiamo i seguenti pensieri: “Prima che Dio salvi
l’uomo, bisogna che l’uomo esperimenti fino in fondo la sua
incapacità di agire; bisogna che sperimenti fino in fondo
l’inutilità della sua vita e della sua morte”. E ancora: “La
presenza del Cristo rivela all’anima il suo vuoto”. E per finire
due ciliegine sulla torta: “Quando il niente sta nel suo niente,
Dio lo santifica”… “La riuscita di una vita religiosa è il suo
fallimento”. Queste non sono frasi ad effetto dette solo per
stupire, per mania di essere originali o per spirito di
contestazione, esse sono un commento azzeccatissimo e sorprendente
all’episodio che stiamo meditando. Se Pietro avesse potuto
beneficiare dell’insegnamento di questi maestri, forse avrebbe
superato brillantemente l’esame. “La riuscita di una vita
religiosa è il suo fallimento”… infatti, come il fallimento
totale della pesca notturna e l’umiliazione che questo ha
comportato sono stati necessari perché Dio riuscisse finalmente a
manifestare la sua generosità e a comunicare il suo dono, così è
quando noi accettiamo di stare nell’umiliante consapevolezza della
nostra incapacità di amare che Dio ci santifica. La difficoltà,
grande come una montagna, è nello “stare”, finché il Signore lo
vorrà, in questa umiliante consapevolezza. Anzi, noi non vorremmo
nemmeno giungere a tale consapevolezza, la nostra volontà, come
quella di Pietro, tende a percorrere una via che va nella direzione
opposta.
Suggerimenti
Per aiutarci a comprendere potremmo
immaginare la scena seguente: mentre Gesù sulla riva del lago
interroga Pietro, Teresina e don Divo Barsotti in qualche modo gli
offrono i loro suggerimenti. Gesù dunque chiede a Pietro: Simone,
figlio di Giovanni, mi ami? Nella mente di Pietro prende forma la
risposta: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. A
questo punto intervengono i suggeritori e gli dicono: “Attento
Pietro, l’amore di cui parla il Signore non è quello che tu hai,
ma quello che tu non hai; l’amore di cui parla il Signore è quello
che Lui ti vuole dare se umilmente accetti di riconoscere
l’insufficienza del tuo povero amore umano. Il gioco a cui ti
invita il Signore è quello in cui chi si umilia sarà esaltato,
chi perde vince, chi è povero è arricchito, chi è affamato è
saziato. È come nella pesca miracolosa, Gesù dona da Dio, ma vuole
l’umiltà del cuore. È una logica un po’ strana quella del
Signore, ma se vuoi riuscire, se vuoi superare l’esame, devi
confessare il tuo fallimento”. Ma forse in quel momento, tutto
questo era un po’ troppo per Pietro, e poi, il giorno di Pentecoste
doveva ancora venire ed era necessario un certo tempo perché, con
l’aiuto dello Spirito, fatti e parole di Gesù fossero meglio
compresi. E Pietro comprenderà così bene che un giorno glorificherà
il Signore con una morte simile alla sua. L’unica cosa da fare, per
lui e per noi, in attesa di quel giorno, è indicata nella
conclusione di questo episodio che è anche la conclusione del
vangelo di Giovanni, e si riassume in una sola parola: Seguimi.
Che il Signore conceda anche a noi la docilità e la perseveranza per
seguirlo fino alla fine ovunque vorrà condurci.
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