mercoledì 26 aprile 2017

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo - 1Gv 1, 5-2, 2 - Il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato.




 1Gv 1, 5-2, 2
Figlioli miei, questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.
Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.
Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Parola di Dio

Riflessione personale 

Ecco una bella catechesi sul peccato!
Le dichiarazioni di San Giovanni non sono molto popolari oggi... e molti sono convinti che il peccato non sia una cosa così grave, specialmente il proprio! Si sentono in giro tante scemenze che ti fanno congelare, robe da farti venire una broncopolmonite in estate!... Io non pecco, o almeno non commetto peccati gravi: non rubo... non uccido... mi comporto bene... mi faccio i fatti miei... non rompo le scatole a nessuno, al limite sono gli altri che le rompono a me, e così via. Poveri noi, povero Gesù e poveri Confessori! Cosa devono sentire le loro orecchie!!!
Scusate... ma allora mi domando: "Gesù, per chi è morto? Per chi ha sofferto? Per chi ha versato il Suo preziosissimo sangue?". O forse Gesù si è sbagliato a pensare che noi eravamo dannati e che solo Lui poteva salvarci? No, Gesù non si è sbagliato... diceva bene Qoelet (7, 20) Non c'è infatti sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi”, o il libro dei Proverbi (20, 9) Chi può dire: Ho purificato il cuore, sono mondo dal mio peccato?.
Quando non osserviamo una legge sulla terra, sappiamo bene di dover rispondere a un giudice in tribunale; e quando non osserviamo i comandamenti del Signore sappiamo, altrettanto bene, di dover un giorno, volenti o nolenti, rispondere a Dio. Nel primo caso ci indaffariamo a cercare scappatoie per cavarcela alla belle meglio... e generalmente ci riusciamo; nel secondo caso invece preferiamo non pensarci, come se fossimo immortali, come se il tribunale del Cielo facesse meno paura, ma forse è il contrario!... Perchè Dio non si fa abbindolare da menzogne, da scuse, da discorsi fumosi... e non si fa corrompere come spesso accade su questa terra.
Proviamo allora a essere onesti con noi stessi, proviamo a essere umili e riconosciamo che davanti a Dio siamo dei veri disastri... se lo faremo veramente ci verrà offerto un rimedio, ci verrà suggerito di fare appello alla Sua Misericordia. Diceva molto bene Silvano del Monte Athos: “Il Signore ci ama più di quanto noi siamo capaci di amarci, ma l'anima infelice nella tristezza pensa che il Signore l'abbia dimenticata e che Lui non vuole neppure vederla e per questo si tortura e soffre nel dolore. Ma non è così fratelli. Il Signore ci ama fino alla fine e ci dona la grazia dello Spirito Santo, il quale ci consola. Il Signore non vuole affatto che l'anima si trovi nello scoraggiamento e nel dubbio riguardo alla sua salvezza”. Il demonio, attenzione, ci farà sempre sentire sporchi e indegni di avvicinarci al Signore, ma non diamogli retta perché lui è il maestro della menzogna!

Pago Io... la risposta cristiana al problema della sofferenza - di padre Serafino Tognetti

Santa Gianna Beretta Molla Madre di famiglia - Magenta, Milano, 4 ottobre 1922 - 28 aprile 1962 - Tema : Apostolato - Preghier - Educazione – Aborto - E' stata proclamata santa da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004.



I vescovi, riuniti in Sinodo a Roma, nell'ottobre 2001, hanno inviato un «messaggio al Popolo di Dio», in cui viene affrontato il tema della dignità della vita umana: «Quello che, forse, sconvolge maggiormente il nostro cuore di pastori, è il disprezzo della vita, dalla concezione alla fine, e la disgregazione della famiglia. Il no della Chiesa all'aborto e all'eutanasia è un sì alla vita, un sì alla bontà fondamentale della creazione, un sì che può raggiungere qualsiasi essere umano nel santuario della coscienza, un sì alla famiglia, prima cellula della speranza in cui Dio si compiace al punto di chiamarla a diventare «chiesa domestica».»
Qualche anno prima, Papa Giovanni Paolo II diceva già ai giovani, a Denver (Stati Uniti): «Le minacce contro la vita non si attenuano coll'andar del tempo. Al contrario, assumono dimensioni enormi... Si tratta di minacce programmate scientificamente e sistematicamente. Il ventesimo secolo sarà stato un'epoca di aggressioni pesanti contro la vita, un'interminabile serie di guerre ed un massacro permanente di vite umane innocenti...» (14 agosto 1993). Ci troviamo di fronte ad una «congiura contro la vita umana», in cui gli Enti internazionali programmano vere e proprie campagne di diffusione della contraccezione, della sterilizzazione, dell'aborto e dell'eutanasia, con la complicità dei mass media. Il ricorso a tali pratiche viene presentato all'opinione pubblica come un segno di progresso ed una conquista della libertà, mentre i difensori della vita vengono denigrati quali nemici della libertà e del progresso (ved. enciclica Evangelium vitæ, 25 marzo 1995, n. 17).
Nel momento in cui il mondo è gravemente inquieto per la pace, ricordiamo le parole di Madre Teresa quando ricevette il premio Nobel della pace, il 10 dicembre 1979: «Il massimo distruttore della pace, oggi, è il crimine commesso contre il nascituro innocente». Infatti, Dio non può lasciare impunito il crimine di Caino: il sangue di Abele esige che Dio faccia giustizia. Dio disse a Caino: Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo (Gen. 4, 10). Non soltanto il sangue di Abele, ma anche quello di tutti gli innocenti assassinati grida vendetta al Cielo (ved. Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, n. 2268). Ora, nel corso degli ultimi decenni, milioni di innocenti sono stati uccisi nel seno delle madri.

Santa Zita Vergine - Monsagrati, Lucca, 1218 - 27 aprile 1278


La famiglia di origine
Zita nasce nel 1218 a Monsagrati a 16km da Lucca in una famiglia povera e di grandi virtù cristiane. I suoi genitori si chiamavano Giovanni e Bonissima. A Monsagrati Giovanni si era recato fin da giovinetto dalla natia Soccisa, vicino a Pontremoli. Essendo di condizioni poverissime, si era fermato là facendo il pastore e il contadino.. Quand’ebbe vent’anni pensò a formarsi una famiglia. Era povero ma buono, e per questo nella sua patria adottiva tutti lo amavano e lo stimavano. Pensava a quale potesse essere la fanciulla del suo cuore; non la voleva ricca, non solo perché le sue condizioni non glielo consentivano, ma anche perché le ricchezze non bastavano a rendere felice un matrimonio: la voleva buona e trovò un tesoro. Il nome di Buonissima sembrava una predizione per la sua vita fatta nel giorno del Battesimo. La memoria non ha lasciato ne il nome ne il numero esatto dei loro figli ad eccezione di una figlia di nome Margherita e della nostra Santa. Margherita non fu seconda a Zita nella santificazione della sua anima e fu Zita stessa che si occupò di lei perché potesse seguire la sua vocazione; mirabile esempio di come si debbano amare le sorelle e come debbano aiutarsi, non solo per la vita materiale, ma soprattutto per quella dello spirito. La Divina Provvidenza si servì della stessa Zita, andata a Lucca per servizio, per far trovare alla sorella un convento dove seguire la chiamata di Dio. Fu così che Margherita, divenuta monaca cistercense, visse anch’essa nelle più alte virtù e morì in concetto di Santa.
L’infanzia
Al fonte battesimale fu imposto alla nostra il nome di Zita. Questo nome è pieno di significato perché nel linguaggio di allora significava “vergine”.
Zita, infatti, passerà i suoi anni nella più pura verginità servendo fedelmente Dio.
Seguendo l’esempio dei genitori, la piccola Zita inizia gli anni della sua vita in un aurea di santità. Le ristrettezze e la miseria renderanno la sua casa somigliante alla casa di Nazareth. Zita passa questi anni ora intenta ai lavori domestici con la più pronta obbedienza, ora assorta nella preghiera.
La casa di Zita era come un tempio dove il lavoro e il dolore, dove le gioie e le amarezze erano offerte a Dio. La giornata cominciava e si chiudeva con la preghiera rivolta al Signore e alla Madonna.

domenica 23 aprile 2017

BEATA M.GABRIELLA SAGHEDDU - Dorgali, Sardegna, 17 marzo 1914 - 23 aprile 1939



MARIA GABRIELLA SAGHEDDU nacque a Dorgali, in Sarde­gna, diocesi di Nuoro, il 17 marzo 1914, da Marcantonio Sagheddu, pastore, e Caterina Cucca. Era la quinta di otto figli di una famiglia modesta, ma ricca di fede. Al battesimo, il 22 marzo 1914, ricevette il nome di Maria.

A cinque anni perse il padre e fu poi educata dalla madre ad una vita solida e cristiana. Da fanciulla non si distinse dalle coetanee. Frequentò la scuola locale. Verso i dieci anni fece la Prima Comunione e il 31 maggio 1931 fu ammessa alla Cresima. Di carattere generoso, volitivo, talvolta ribel­le, irascibile e prepotente, nell'adolescenza si mostrò piuttosto indifferente nelle pratiche religiose. A quindici anni si registrò un primo cambiamento nella sua vita; divenne più seria e riflessiva. A diciotto anni ebbe infine una svolta radicale. La morte di una sorella poco più giovane di lei la spinse ad un ripensamento interiore che segnò l'inizio deciso d'una profonda trasfor­mazione spirituale. La fede per lei divenne motivo di vita, anzi, la vita. La preghiera privata e pubblica e la carità fattiva ne erano i segni più evidenti. Si iscrisse, in parrocchia, all'Associazione della Gioventù Femminile di Azio­ne Cattolica, vivendone l'impegno con fedeltà e convinzione e assumendo il ministero della catechesi.

venerdì 21 aprile 2017

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 21,1-14 - Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce.


 Gv 21,1-14

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Parola del Signore

Riflessione

E' la terza volta che Gesù, dopo la risurrezione, appare ai discepoli. Questa volta il luogo scelto è il lago di Tiberiade in Galilea. Gesù è stato di parola... infatti nella prima apparizione alle donne aveva detto:...andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”. I discepoli che troviamo nel Vangelo di oggi non sono più pieni di paura e fuggitivi come a Gerusalemme... ora hanno imparato a controllarsi e così hanno ripreso a svolgere il lavoro di prima. Quella notte uscirono a pescare in sette, ma ahimè non presero nulla. Tutto questo rispecchia in qualche modo le nostre esperienze di vita... quando vediamo che nonostante il nostro impegno e il duro lavoro, otteniamo poco o nulla.

martedì 18 aprile 2017

Dagli Atti degli Apostoli - At 3, 1-10 - Quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!






In quei giorni, Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera delle tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio.
Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, li pregava per avere un’elemosina. Allora, fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa.
Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!». Lo prese per la mano destra e lo sollevò.
Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e, balzato in piedi, si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.
Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era colui che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio, e furono ricolmi di meraviglia e stupore per quello che gli era accaduto.
Parola di Dio


Riflessione

La lettura di oggi descrive una scena che ognuno di noi può osservare ogni giorno o che si ritrova a vivere.
Andiamo in Chiesa e fuori della porta chi troviamo? Generalmente uno zingaro, un mendicante o un povero Cristo che chiede l'elemosina... gli diamo uno spicioletto, giusto per non sembrare taccagni... due se c'è qualcuno vicino a noi per farci vedere generosi. Se poi siamo noi ad avere bisogno di un “favore”, vorremmo poter contare su chi ci ha detto: "Io per te ci sarò sempre... chiamami per qualsiasi cosa tu abbia bisogno"... Ma per favore!!! La cosa buffa è che, se si chiede un favore che in qualche modo è visibile agli occhi del mondo, allora la disponibilità è così pronta che attraversare l'oceano a nuoto sarebbe una cosa da niente, ma se un favore viene chiesto a tu per tu e nessuno vedrebbe il servizio richiesto, allora ecco che la prontezza rallenta in maniera paurosa ed è corredata da scuse e compromessi... Arrivo, ma prima, con calma, devo fare un'altra cosa... scusa, non puoi aspettare domani? E così via... Come al solito, nel nostro cuore il nostro io antepone alla carità le proprie esigenze... Vogliamo sempre essere lodati, vogliamo l'approvazione degli altri, siamo sempre troppo preoccupati di cosa la gente dice o pensa di noi... e non ci rendiamo conto che lo “storpio” della lettura di oggi siamo noi!!! Con una differenza però... Lo storpio stava fuori dal tempio... noi entriamo dentro... ma siamo davvero convinti di saper camminare diritto? E' vero che ascoltare la Parola del Signore e riceverLo ogni giorno è un mezzo potente per crescere in santità, ma quanti di noi vanno in Chiesa per stare un po' con il buon Dio, per fargli compagnia, per parlare con Lui, per adorarlo, per ringraziarlo?... E quanti invece vanno a chiedere solo “elemosine”? Quanti fanno certi servizi solo per ottenere dei favori? Questi comportamenti equivalgono a stare fuori della porta del Tempio. A volte Gesù viene preso per una slot-machine che sputa miracoli o posti di lavoro... Gli si chiede, a forza di continue preghiere e orazioni, di risolvere i nostri problemi materiali o spirituali, ma questo potrebbe anche significare che non siamo molto disposti ad uniformarci alla volontà di Dio. Diceva bene San'Alfonso Maria de Liguori: Il forte sta nell’abbracciare la volontà di Dio in tutte le cose che avvengono o prospere, o avverse ai nostri appetiti. Nelle cose prospere anche i peccatori ben sanno uniformarsi alla divina volontà; ma i santi si uniformano anche nelle contrarie, e dispiacenti all’amor proprio... Di più bisogna uniformarci al divino volere, non solo nelle cose avverse, che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, la povertà, la morte de’ parenti, e simili; ma ancora in quelle, che ci vengono per mezzo degli uomini, come sono i dispregi, l’infamie, l’ingiustizie, i furti, e tutte le sorte di persecuzioni. In ciò bisogna intendere, che quando noi siamo offesi da alcuno nella fama, nell’onore, ne’ beni, benché il Signore non voglia il peccato di colui, vuole nondimeno la nostra umiliazione, la nostra povertà, e mortificazione. E’ certo, e di fede, che quanto avviene nel mondo, tutto avviene per divina volontà".

domenica 9 aprile 2017

La Passione di nostro Signore Gesù Cristo - Commento al Vangelo di S. Matteo - vol. ° 3 - San Giovanni Crisostomo




Mt. 26 , 17-25


Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: "Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?".
Ed egli rispose: "Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli". I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: "In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà". Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io, Signore?".
Ed egli rispose: "Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!".
Giuda, il traditore, disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai detto".


L’evangelista chiama “primo giorno degli azzimi” il giorno che precede la festa degli azzimi. Gli ebrei, infatti, usano computare il giorno a partire dalla sera: e qui Matteo ricorda appunto il giorno nella sera del quale si deve celebrare la Pasqua. I discepoli, quindi, vanno da Gesù per parlargli il quinto giorno della settimana. Un altro evangelista lo definisce il giorno precedente la festa degli azzimi, volendo mettere in risalto il tempo in cui i discepoli si avvicinano a Cristo. L’evangelista Luca dice, invece, così: “Venne poi il giorno degli azzimi nel quale si doveva immolare la Pasqua”. Con le parole “venne” intende dire che il giorno è imminente, è alle porte, riferendosi evidentemente alla sera del dí precedente. I giudei, infatti, cominciavano la festa dalla sera. Ecco perché gli evangelisti aggiungono che in tal giorno si deve immolare la Pasqua.

La Passione di nostro Signore Gesù Cristo - Commento al Vangelo di S. Matteo - vol. ° 3 - San Giovanni Crisostomo


Mt. 26, 26-35


Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo". Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.
Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio".
E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Allora Gesù disse loro: "Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge, ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea".
E Pietro gli disse: "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai".
Gli disse Gesù: "In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte".
E Pietro gli rispose: "Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.

Ahimè, quant’è grande l’accecamento del traditore! Pur partecipando ai misteri, rimane tale e non cambia neppure dopo aver fruito di quella sublime cena. Appunto questo vuol sottolineare Luca dicendo che, dopo di ciò, “entrò in lui Satana”, non certo per disprezzare il corpo del Signore, bensì per stigmatizzare la vergogna del traditore. In realtà il suo peccato è doppiamente grave: sia perché si è accostato ai misteri con tale disposizione d’animo, sia perché, dopo, né il timore né il beneficio né l’onore lo rendono migliore. Tuttavia Cristo, pur sapendo ogni cosa, non glielo impedisce, per dimostrare che non trascura niente di quanto può servire a correggere. E, sia prima di questo momento che in seguito, ricorda continuamente a Giuda il suo delitto, cercando di distoglierlo con le parole e con gli atti, con il timore e con le minacce, manifestandogli le sue attenzioni e rendendogli onore. Ma niente riesce ad allontanare Giuda da quell’ostinata e terribile infermità. Ecco perché alla fine, abbandonatolo a se stesso, per mezzo dei misteri che celebra ricorda ai suoi discepoli la sua morte e, durante la cena, parla della croce ripetendone la predizione, per rendere più accettabile la sua passione. Se, dopo tutto quanto ha fatto e detto, i discepoli si turbano, quale sarebbe stato il loro turbamento se non fossero stati preavvertiti.

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Mt. 26, 36-50


Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare". E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia.
Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me". E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!".
Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?
Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà". E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti.
E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina". Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!".
E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbì!". E lo baciò.
E Gesù gli disse: "Amico, per questo sei qui!". Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.

Siccome gli apostoli erano inseparabilmente vicini a Gesù, per questo egli dice: “Fermatevi qui, mentre io vado là a pregare”. Egli è solito pregare in disparte; e si comporta così per insegnarci a cercare quiete e grande pace quando ci disponiamo a pregare. Prende quindi i tre discepoli prediletti e dice loro: “L’anima mia è triste sino alla morte”. Perché non prende tutti con sé? Perché non si abbattano. Conduce solo questi, che sono stati testimoni della sua gloriosa trasfigurazione. Ma poi lascia anche costoro. E, avanzando un poco, prega dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia non come io voglio, ma vuoi tu”. Ritornato poi dai suoi discepoli, li trovò addormentati; dice allora a Pietro: “Non avete dunque potuto vegliare con me neppure un’ora? Vegliate e pregate per non cadere in tentazione; lo spirito è pronto ma la carne è debole” . Non senza motivo si rivolge particolarmente a Pietro, sebbene anche gli altri si siano addormentati come lui. Egli vuole toccarlo sul vivo anche qui, per la ragione precedentemente esposta. Poi, siccome anche gli altri discepoli avevano detto la stessa cosa – dopo che Pietro aveva detto: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò”, riferisce l’evangelista: “lo stesso dissero pure tutti i discepoli” - Gesù si rivolge a tutti, rimproverando la loro debolezza. Essi, che volevano morire con lui, ora non hanno la forza di star svegli per partecipare alla sua tristezza, ma si lasciano vincere dal sonno. Gesù, al contrario, prega intensamente, affinché la sua tristezza non sembri fittizia. 

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Mt. 26, 51-66


Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.
Allora Gesù gli disse: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada.
Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?
Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?".
In quello stesso momento Gesù disse alla folla: "Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti". Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono. Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.
I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: "Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni". Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?".
Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio".
"Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo". Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: "Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?". E quelli risposero: "È reo di morte!".

Chi è colui che mozza l’orecchio del servo? Giovanni dice che è Pietro . Il gesto infatti denota il fervore del suo temperamento. Ma ciò che vale la pena di indagare è per qual motivo i discepoli hanno delle spade. Che le portino con sé risulta non solo da questa circostanza, ma anche dalla risposta che precedentemente hanno data al Maestro che li interrogava: “Ci sono qui due spade”. Perché Cristo permette loro di portarne? Luca riferisce che, a un certo momento, Gesù chiede ai discepoli: “Quando vi mandai senza borsa, senza bisaccia, e senza calzari, vi è forse mancato qualcosa?”. “Niente” essi rispondono. Ed egli allora: “Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così pure una bisaccia; e chi non l’ha, venda il suo mantello e compri una spada”. E quando essi dicono: “Ci sono qui due spade”, egli risponde loro: “Basta”. Come mai, dunque, consente loro di avere delle spade? Perché i discepoli credano veramente che egli sarà preso. Perciò dice loro: “compri una spada”, non certo perché si armino - scacciate questo pensiero! – ma per dimostrare anche in tal modo la sua prossima cattura. E perché li esorta a prendere anche una borsa? Per insegnar loro che ormai dovranno essere attenti e vigilanti e usare personalmente grande accortezza e diligenza. All’inizio, infatti, essendo inesperti, il Maestro li ha sostenuti e confortati con la sua grande potenza; ma in seguito, facendoli uscire, come uccellini, dal nido, ha ordinato loro di servirsi delle proprie ali. Infine, perché non pensino che li abbandona per debolezza, esortandoli a fare anch’essi la loro parte, ricorda il passato dicendo: “Quando vi mandai senza borsa, vi è mancato forse qualcosa?”. Vuole insomma che i discepoli siano convinti in due modi della sua potenza: sia per il fatto che dapprima li ha sostenuti e confortati, sia perché ora li lascia gradualmente.

La Passione di nostro Signore Gesù Cristo - Commento al Vangelo di S. Matteo - vol. ° 3 - San Giovanni Crisostomo


Mt. 26, 67 - 27, 10


Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: "Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?".
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!".
Ed egli negò davanti a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire".
Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con Gesù, il Nazareno".
Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco quell'uomo".
Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!".
Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo!". E subito un gallo cantò.
E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.
Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Ma quelli dissero: "Che ci riguarda? Veditela tu!". Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: "Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue". E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.

Perché costoro trattano tanto oltraggiosamente Gesù, mentre si preparano a ucciderlo? Che bisogno c’è di tale crudele commedia, se non perché tu veda sotto tutti gli aspetti il loro insolente comportamento? Sembra infatti che, avendo finalmente nelle loro mani la preda, sfoghino il furore e la rabbia da cui sono posseduti, celebrando una specie di festa, alla quale si abbandonano con voluttà, dando prova del loro istinto sanguinario.
Ammirate, d’altra parte, la filosofia degli evangelisti, i quali riferiscono con precisione ogni circostanza. Qui si manifesta il loro amore per la verità: con tutta obiettività, infatti, essi narrano quello che in apparenza sembra ignominioso, senza nascondere nulla, senza vergognarsi, considerando anzi grandissima gloria – come di fatto è – che il Signore di tutta la terra abbia tollerato di patire tali obbrobriose sofferenze per amor nostro. Ciò manifesta la sua ineffabile carità e insieme l’imperdonabile malvagità dei suoi avversari, i quali osano trattare con tanta crudeltà Gesù, così dolce e mite, che ha parole tali da mutare un leone in agnello. Niente, difatti, niente tralascia Cristo per dimostrare la sua mansuetudine e, dal canto loro, i suoi avversari non trascurano niente di ciò che può essere violenza e crudeltà, sia negli atti sia nelle parole. Tutto questo era stato predetto in passato da Isaia, il quale in una sola frase aveva riassunto tale ignominiosa violenza: “Molti si turberanno, tanto il suo aspetto apparirà senza gloria al cospetto degli uomini, e la tua gloria tra i figli degli uomini”. Quale oltraggio è paragonabile a questo? Questo volto, che il mare guardò con timoroso rispetto e il sole non potrà contemplare sulla croce senza ritirare i suoi raggi, questo volto i nemici ora lo coprono di sputi, lo schiaffeggiano, lo percuotono, mettendo in atto senza moderazione, anzi con ogni eccesso, il loro furore. Gli infliggono difatti i colpi più insultanti, prendendolo a schiaffi e a pugni, e aggiungono a tali oltraggi l’insolente infamia degli sputi. Gli rivolgono, inoltre, parole piene di ingiuriosa derisione: “Indovinaci, Cristo, chi ti ha percosso?”. Gli parlano così, perché la moltitudine lo considera un profeta. Un altro evangelista  riferisce che l’offendono in questo modo, dopo aver ricoperto il suo volto con un panno, come se avessero tra loro un individuo ignobile e di nessuna considerazione. E non solo uomini liberi, ma anche gli schiavi si burlano di lui.

La Passione di nostro Signore Gesù Cristo - Commento al Vangelo di S. Matteo - vol. ° 3 - San Giovanni Crisostomo


Mt. 27, 11-26

Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose "Tu lo dici". E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di te?". Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore. Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta.
Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba.
Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?". Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua". Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù.
Allora il governatore domandò: "Chi dei due volete che vi rilasci?". Quelli risposero: "Barabba!". Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?". Tutti gli risposero: "Sia crocifisso!".
Ed egli aggiunse: "Ma che male ha fatto?". Essi allora urlarono: "Sia crocifisso!". Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!".
E tutto il popolo rispose: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli". Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.

Notate che cosa esamina dapprima il governatore? Si tratta dell’accusa che gli avversari di Cristo continuamente e confusamente presentano. Costatando che Pilato non fa alcun caso delle questioni legali ebraiche, essi portano l’accusa sui reati politici. Così faranno in seguito anche con gli apostoli, accusandoli senza tregua in tal senso: diranno infatti che essi vanno proclamando ovunque come re un certo Gesù , e parleranno di lui come di un semplice uomo, gettando sugli apostoli il sospetto di ambire al potere assoluto. Questo fatto dimostra chiaramente che anche il gesto del sommo sacerdote di stracciarsi le vesti e il suo spavento sono stati solo una finzione. I giudei infatti muovono e orientano tutto al solo scopo di portare Cristo alla morte. Su tale accusa appunto Pilato interroga Gesù. Ed egli che risponde? “Tu l’hai detto”. Gesù confessa di essere re, ma re del cielo. E afferma ciò ancor più chiaramente – lo riporta un altro Vangelo – rispondendo a Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo”, in modo che né i giudei né Pilato muovendogli tale accusa non abbiano alcuna giustificazione. E fornisce una prova che non ammette replica, dicendo: “Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei avrebbero combattuto, perché io non fossi consegnato”. Appunto per eliminare ogni sospetto a tale proposito, Gesù aveva pagato il tributo e aveva comandato agli altri che lo pagassero; e quando la folla voleva farlo re, egli s’era sottratto. Perché dunque – voi obietterete – non espone tutto questo quando lo accusano di aspirare al potere? Perché negli atti e negli avvenimenti della sua vita, essi hanno mille prove della sua potenza, della sua mansuetudine, della sua umiltà e, tuttavia, rimangono volontariamente ciechi. Essi tramano azioni inique e il tribunale che processa Cristo è corrotto. Perciò egli non risponde a nessuna accusa, ma tace, e solo brevemente replica quando il sommo sacerdote lo scongiura di parlare e quando il governatore lo interroga, in modo da non dare col silenzio assoluto l’impressione di arroganza. Alle loro accusa non risponde, in quanto sa perfettamente che non li persuaderà. Il profeta già da tempo aveva predetto il suo comportamento, dicendo: “Nella sua umiltà si è compiuto il suo giudizio”. Di fronte a tale atteggiamento il governatore si meraviglia. 

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Mt. 27, 27-44 

 

Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: "Salve, re dei Giudei!".
E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo. Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirène, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere.
Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. E sedutisi, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: "Questi è Gesù, il re dei Giudei". Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!".
Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: "Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!". Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.

Quasi a un segnale dato, il diavolo si scatena in tutti. Passi il fatto che i giudei, divorati dall’invidia e dalla gelosia, infieriscano contro di lui; ma i soldati che motivo hanno di insultarlo? Non è quindi evidente che il diavolo sta ora furoreggiando in tutti? Crudeli e disumani, i soldati trasformano in sollazzo e piacere gli oltraggi cui sottopongono Gesù. Quando dovrebbero aver compassione e versar lacrime, come fa successivamente il popolo, essi si comportano in modo del tutto diverso: ingiuriano e insultano, sia per compiacere i giudei, sia per soddisfare il loro istinto brutale. E gli oltraggi sono i più vari: essi, uomini scellerati e sacrileghi, ora colpiscono il suo capo divino, ora lo disonorano con la corona di spine, ora lo percuotono con la canna . Ditemi: quale giustificazione potremmo noi addurre, se ci adiriamo ancora quando veniamo offesi, dopo che Cristo ha sofferto tutto questo? È difatti l’estremo limite della violenza e dell’oltraggio che vien fatto subire a Gesù. Non maltrattano infatti una sola parte ma tutto il suo corpo: il capo, con la corona e la canna; il volto, con le percosse e gli sputi; le guance, con gli schiaffi; l’intero corpo, che viene flagellato, spogliato, e rivestito di un manto, - infine, esibiscono una simulata adorazione; le mani, con la canna che gli viene data perché l’impugni al posto di uno scettro; la sua bocca, con l’aceto che gli viene offerto. Esiste qualcosa di più insopportabile e oltraggioso di simile trattamento? Ciò che Gesù subisce supera ogni parola e ogni pensiero. Sembra che i giudei, temendo di tralasciare qualcosa nel loro misfatto, dato che in passato hanno ucciso direttamente i profeti, mentre ora uccidono Cristo mediante la sentenza di un giudice, mettano in atto tutto il piano di esecuzione con le loro stesse mani: essi giudicano e condannano Gesù, dapprima fra di loro, in seguito dinanzi a Pilato, dicendo: “il suo sangue su di noi e sui nostri figli”. Sono loro che l’insultano e l’oltraggiano, legandolo e conducendolo da Pilato, loro, i responsabili delle violenze dei soldati, loro che lo crocifiggono e l’ingiuriano ignominiosamente, loro che gli sputano addosso e lo scherniscono beffardamente. Pilato non ha dato nessun ordine in questo senso; sono loro a far tutto: loro gli accusatori, i giudici, i carnefici; essi sono tutto.

La Passione di nostro Signore Gesù Cristo - Commento al Vangelo di S. Matteo - vol. ° 3 - San Giovanni Crisostomo


Mt. 27, 45 -61


Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "Elì, Elì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia".
E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!". E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!". C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo. Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato.
Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo
e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria.

Questo è il segno che Gesù aveva promesso di dare ai giudei che prima gliel’avevano chiesto, dicendo: “Una generazione malvagia e adultera chiede un segno; nessun prodigio però le sarà dato di vedere se non quello del profeta Giona”. Con queste parole egli si riferiva alla croce, alla morte, alla sepoltura e alla risurrezione. E ancora, per manifestare in altro modo la forza della croce, aveva detto: “Quando avrete sollevato in alto il Figlio dell’uomo, allora comprenderete che io sono”, il che significa: quando mi avrete crocifisso e crederete di avermi vinto, allora soprattutto conoscerete la mia forza. Infatti, dopo essere stato crocifisso, la città venne distrutta, il giudaismo fu annientato, gli ebrei perdettero il loro stato e la loro libertà, mentre cominciò a fiorire la predicazione del Vangelo e la dottrina di Cristo si estese fino agli estremi confini del mondo. E la terra, il mare, le contrade abitate e i deserti proclamano ora dovunque la sua potenza. Di tali eventi parlava Gesù e di quanto sarebbe accaduto nel momento stesso della sua crocifissione. Ed è ben più straordinario che tutto questo accada mentre egli si trova inchiodato sulla croce e non mentre è in cammino sulla terra. Ma non in questo soltanto consiste il sensazionale, bensì anche nel fatto che nel cielo si manifesta ciò che essi hanno chiesto, e si estende a tutta la terra: cosa mai successa prima, se non in Egitto, quando gli ebrei stavano per celebrare la Pasqua. E in realtà i prodigi verificatisi in Egitto erano figura di questi. Osservate in quale ora calano le tenebre. 

sabato 8 aprile 2017

PARTECIPAZIONE ALLA MORTE DI CRISTO - don Divo Barsotti



PARTECIPAZIONE ALLA MORTE DI CRISTO - don Divo Barsotti

La partecipazione attiva alla Messa è, sì, rispondere al Sacerdote, alzarsi quando si legge il Vangelo, ma questa è una partecipazione attiva al rito, non ancora al mistero. Invece noi possiamo partecipare al mistero anche quando non siamo presenti alla Messa. La partecipazione al mistero si realizza in una morte che ci associa alla Morte del Cristo, in una morte che fa presente in noi la sua Morte come atto di amore, di offerta, di redenzione.
Nel rito orientale della Messa, viene posto sopra l'altare un pane benedetto – non consacrato – di cui si fanno nove parti; e queste parti rappresentano tutto il popolo fedele: i defunti, i santi del Cielo, tutti i cristiani, anche i peccatori. Il pane è un simbolo reale: ogni cristiano è una vittima posta sull'altare, e vi dimora come Gesù, per essere offerto, immolato a Dio per il bene di tutti. È questa la nostra Messa. Tutta la nostra vita è partecipazione al Sacrificio di Cristo.

mercoledì 5 aprile 2017

Fulton John Sheen, nato Peter John (El Paso, 8 maggio 1895 – New York, 9 dicembre 1979), è stato un arcivescovo cattolico e scrittore statunitense. Fu uno dei primi e più celebri telepredicatori cattolici, prima via radio e successivamente per televisione




Il 2 Ottobre 1979, nella cattedrale St. Patrick di New York,  davanti a un'immensa folla di fedeli venuti a salutare il Sovrano Pontefice, avanza faticosamente, tra i vescovi americani, un venerabile ottuagenario che inizia a inginocchiarsi. San Giovanni Paolo II lo rialza e lo abbraccia dicendo: « Ha scritto e parlato bene del Signore GESÙ CRISTO. Lei è un figlio leale della Chiesa. » La folla è toccata dal gesto, ma il prelato è commosso dalle parole del Papa: nulla poteva rallegrare di più mons. Fulton Sheen, al termine della sua vita tutta dedicata all'amore di GESÙ CRISTO e della sua Chiesa. Secondo le sue proprie parole: « La Chiesa è il Tempio della Vita e io ne sono una pietra viva; essa è l'Albero dal Frutto Eterno e io ne sono un ramo; è il Corpo mistico di Cristo sulla terra, di Cui io sono membro. La Chiesa è quindi per me più di quanto sono io per me stesso... Essa mi assorbe a tal punto che i suoi pensieri sono i miei pensieri, i suoi amori i miei amori, i suoi ideali i miei ideali. Considero il fatto di condividere la sua vita come il più grande dono che Dio mi abbia mai fatto, come considererei il fatto di perdere la sua vita come la più Mons. Fulton Sheen grande disgrazia che potesse accadermi... La mia vita è la sua vita, il mio essere è il suo essere, essa ha il mio amore, la mia dedizione. »
Mons. Sheen è venuto al mondo l'8 maggio 1895, a El Paso (Illinois, Stati Uniti), primogenito di quattro figli maschi. Il giorno del suo Battesimo, viene posto sull’altare della Vergine in segno di speciale consacrazione alla Regina del Cielo. Riceve allora i nomi di Peter John, ma verrà comunemente chiamato con il cognome da nubile di Sua madre, Fulton, ed è con questo nome che sarà Conosciuto. Per tutta la sua vita, sarà riconoscente di aver avuto genitori profondamente cattolici. « Le influenze più proficue, scriverà, sono quelle inconsapevoli, non intenzionali, quando nessuno sta guardando, o quando la reazione alla buona azione non è ricercata. Tale è l'influenza a lungo termine di una madre casalinga; adempiendo ai suoi doveri quotidiani con amore e spirito di sacrificio, lascia la sua traccia impressa nei figli, traccia che si approfondisce con gli anni. »
Fulton segue una formazione scolastica classica e si dimostra sotto tutti gli aspetti un allievo eccellente. Durante l'estate, aiuta suo padre nella fattoria, nonostante non sia attratto da questi lavori perché i suoi centri d'interesse sono piuttosto intellettuali. Un vicino dice un giorno a suo padre: «Il tuo figlio maggiore non varrà mai nulla: ha sempre il naso in un libro. » Dopo i suoi studi secondari, il giovane entra all'università, dove i suoi successi gli valgono una borsa di studio in vista del conseguimento di un dottorato. Egli ha tuttavia percepito la chiamata del Signore al sacerdozio. Chiede consiglio a un buon prete, padre Bergan, che gli risponde con chiarezza: « Rinuncia alla tua borsa di studi: ecco quello che il Signore vuole che tu faccia. E se riporrai in Lui la tua fiducia, riceverai, dopo la tua Ordinazione, una formazione universitaria ancora migliore. » Fulton decide allora di entrare in seminario; non lo rimpiangerà mai.
Un tempo notevole

martedì 4 aprile 2017

NEL FUOCO ETERNO – del cardinale Giacomo Biffi – Tratto da “Linee di escatologia cristiana”



Come già s’è detto, l'idea di un «giudizio» porta implicita l'idea di una discriminazione, anzi, poiché si tratta del giudizio ultimo e senza appello, l'idea di una discriminazione definitiva. La riflessione sulla glorificazione dell'uomo non può non coinvolgere dunque una riflessione simmetrica sulla dannazione dell'uomo.
Difatti la stessa Rivelazione che ci parla di un premio eterno ci parla anche di un castigo eterno: la proposta di Dio non può essere accolta con beneficio d'inventario; o l'accettiamo o la rifiutiamo in blocco. Perciò la terribile e insopportabile prospettiva di un destino di punizione e di sofferenza è necessaria per una visione non snaturata dell'escatologia cristiana.
Mai come per questo argomento è valido e indispensabile il principio metodologico di metterci prima di tutto alla scuola di Dio, senza voler interferire subito con le nostre difficoltà e le nostre ripugnanze, e solo in un secondo momento proporre a Dio i nostri interrogativi, per non rischiare di meditare, più che sulla realtà delle cose, su quello che noi vorremmo che le cose fossero.
Resta una condizione preliminare di necessità assoluta per ogni seria attività teologica la convinzione senza dubbi contrari che il nostro compito non è quello di creare il mondo, ma di conoscerlo così come è stato creato.

Il nostro destino è Cristo
L’idea biblica del castigo
L'Antico Testamento possiede da sempre la concezione di un castigo escatologico, che si sviluppa in perfetta consonanza con quella del premio. All'inizio è anch'essa inquadrata nella visione collettiva e terrestre dell'alleanza: chi osserva il patto con Dio sarà premiato con i beni della terra, chi lo viola sarà punito con le disgrazie della carestia, della sterilità, della sconfitta.
I profeti, soprattutto prima dell'esilio-intenti come sono a portare il popolo a una concezione meno automatica e più personalistica e interiore dell'alleanza- sono logicamente indotti a richiamare il castigo molto più frequentemente della ricompensa e ad accentuare a poco a poco la dimensione individuale.
A partire dal secondo secolo a.C. la letteratura apocalittica localizza il castigo escatologico mediante fuoco nel Wadi er-rababi, a sud-ovest di Gerusalemme. Era la «valle dei figli di Hinnon» o Geenna, dove al tempo di Achaz e Manasse erano stati compiuti sacrifici umani; un abominio agli occhi degli ebrei che aveva per sempre contaminato la località (Ger 7,32; 19,6). Il re Giosia l'aveva dichiarata immonda (2Re 23,10) e perciò era forse diventata deposito delle immondizie. Probabilmente la stessa presenza di un fuoco permanente per la distruzione dei rifiuti offrì l'immagine del fuoco eterno come punizione dei cattivi. Comunque le profezie del libro di Isaia, senza citare la Geenna, parlano di un «fuoco che non si spegne» e di «un verme che non muore», come destino riservato agli empi (Is 66,24).

lunedì 3 aprile 2017

Venerabile Marcello Candia - Laico missionario



Dove c'è gioia, fervore voglia di portare Cristo agli altri, scriveva papa Francesco, sorgono vocazioni genuine. Tra queste non vanno dimenticate le vocazioni laicali alla missione. Ormai è cresciuta la coscienza dell'identità e della missione dei fedeli laici nella Chiesa, come pure la consapevolezza che essi sono chiamati ad assumere un ruolo sempre più rilevante nella diffusione del Vangelo” (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2014). Nel ventesimo secolo, la vita di Marcello Candia illustra queste parole, dopo aver vissuto nell'agiatezza di una famiglia dell'alta borghesia milanese, si è impegnato come laico nella missione e ha costruito, grazie alla vendita dei suoi beni, un Ospedale per i poveri in Brasile.
Marcello Candia è nato nel 1916 a Portici, nella regione della Campania, terzo di cinque figli. Camillo, Suo padre, è un industriale: ha fondato a Milano, poi a Napoli, Pisa e Aquileia, una serie di fabbriche di acido carbonico. Egli non pratica la sua religione, ma ha mantenuto della sua educazione cattolica un senso elevato della rettitudine, del rispetto per le persone e della giustizia professionale e sociale. È un dirigente tutto dedito alla sua famiglia e alla sua impresa, uomo del dovere e della responsabilità. Si oppone al fascismo fin dal suo inizio, e affida i figli a scuole private in modo che non siano raggiunti dall'ideologia totalitaria dominante.
Passione per i poveri
Marcello apprende da sua madre, Luigia Bice Mussato, i primi rudimenti della fede. Donna colta e dotata di grandi qualità umane, ella si dona completamente ai suoi nonché ai poveri attraverso opere caritative, in particolare l'associazione San Vincenzo de Paoli. Marcello accompagna volentieri sua madre: con lei, visita i poveri, non senza essere passato prima in una chiesa per incontrarvi Gesù Eucaristia. Nel suo cuore si sviluppa una vera passione per i diseredati e i sofferenti; sarà l'orientamento fondamentale della sua vita. Fin dall'età di dodici anni, aiuta i Padri Cappuccini della via Piave a Roma a distribuire la minestra ai poveri. Ma il 7 febbraio 1933, la signora Candia muore, all'età di quarantadue anni. Marcello, che ha diciassette anni, ne prova un dolore così profondo che si ammala. Da quel giorno, soffrirà di frequenti mal di testa e insonnia.
La profonda pietà di Marcello impressiona i suoi parenti, che lo accusano di condurre una "doppia vita": in effetti, da un lato si mostra giovane ricco, elegante e corteggiato, studente brillante e di buona compagnia, ma dall'altro, tutti constatano che è immerso in un dialogo incessante con Dio. Nel 1939, Marcello consegue la laurea in chimica. All'inizio della seconda guerra mondiale, occupa per qualche tempo un posto di chimico in una fabbrica di esplosivi, poi viene smobilitato. Prosegue allora i suoi studi, mentre lavora assistendo il padre nella sua professione. Nel 1943, consegue le lauree in biologia e in farmacia. In quei tempi di guerra, partecipa alla resistenza contro l'occupazione tedesca, rischiando più volte la libertà e anche la vita, e s'impegna, a fianco dei Padri Cappuccini, nell'aiuto agli ebrei minacciati di deportazione. Alla fine della guerra, assiste i deportati e prigionieri che tornano in patria. Con tre amici, organizza, in stazione, un'accoglienza sia medica che umanitaria, e fa installare, in gran parte a proprie spese, nel parco del palazzo Sormani, messo a disposizione, rifugi temporanei prefabbricati. Un giorno, un cappellano-capitano autoritario fa annunciare: « Inizia la Messa; quelli che non ci vengono non avranno da mangiare». Marcello afferra il microfono e rettifica: «No, tutti avranno da mangiare ! »