mercoledì 31 dicembre 2014

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 2, 16-21 - I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù


 Lc 2, 16-21

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Parola del Signore

Riflessione

Il Vangelo di oggi è fantastico... Mi fa pensare al periodo dell'avvento appena trascorso: come l'ho vissuto, cosa mi ha lasciato, cosa ho notato...
Posso riassumere così: nonostante tante difficoltà, sono riuscita a stare molto vicino a Gesù, estraniandomi dalla mondanità che tutto invade anche in questo periodo; e questo mi ha lasciato tanta pace, tanta gioia, ma sopratutto tanta speranza. Cosa ho notato?... Tante brutture, tanta superficialità, tanta ipocrisia, anche tra chi si professa cristiano. Non c'è nulla da fare: "L'Amore non è amato", come diceva Santa Maria Maddalena de’ Pazzi: “Amore, Amore! O Amore, che non sei né amato né conosciuto!... O anime create d’amore e per amore, perché non amate l’Amore? E chi è l’Amore se non Dio, e Dio è l’amore? Deus charitas est!”. Tornando al Vangelo voglio partire dai pastori. Chi erano?... Erano persone a quel tempo emarginate, facevano un lavoro umile, vivevano lontano dalla società, la loro vita era sobria e senza troppi fronzoli, dormivano all'aperto in mezzo alle intemperie. Ma cosa succede a questi pastori?... Il buon Dio manda un angelo  con le indicazioni per poter andare da Gesù, proprio a loro. Quindi, una lezione che dobbiamo metterci bene in testa è che Dio si manifesta sempre per primo alle persone umili... Perché!?... E' semplice, le persone che non hanno il cuore pieno delle brutture del mondo, che vivono in modo sobrio, che ringraziano Dio per ogni cosa, anche per ciò che non hanno, che non hanno un'opinione troppo alta di sé... hanno un cuore che si dilata, un cuore che sa ascoltare, un cuore che dice si all'amore, un cuore che sa accogliere la luce e sa apprezzare anche le più piccole cose. Al contrario, chi vive per il mondo ha il cuore chiuso con un lucchetto e non permette a nessuno di entrare, se non le persone dello stesso entourage... Apparentemente queste persone hanno tutto, ma il loro comportamento ordinario la “dice lunga”!!! Infatti, sono sempre preoccupate, angosciate, tormentate, nervose, non riesci a suscitare in loro un sorriso neanche se ti ammazzi; insomma, sono talmente concentrate su loro stesse, sul loro modo di vivere, sui loro schemi... che ogni cosa che non rientra nel loro infallibile punto di vista è considerata come “strana”, nel migliore dei casi, e assolutamente da combattere nei peggiori... Ma, diciamocelo pure, se Dio avesse mandato un angelo a questo tipo di persone, e queste, per curiosità, fossero andate a Betlemme a vedere Gesù, pensate che una volta visto il Salvatore deposto in una mangiatoia, al freddo, con due poveri animali che fungevano da termosifone, si sarebbero poi comportate come i pastori?... “...I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto...”. Penso proprio di no. Una persona infatti che ha il cuore indurito, una persona superficiale che si ferma all'apparenza, non potrebbe mai pensare che quel bambino nella mangiatoia possa essere il suo Salvatore. Tutto questo lo possiamo vedere anche oggi. Ci sono, purtroppo, tante persone frivole, che frequentano un certo ambiente, che vestono in un certo modo, che vanno nei ristoranti di lusso - dove poi si mangia malissimo e sopratutto poco - ... che guardano le persone che non vivono come loro con compassione, come se fossero dei poveracci, ignoranti e grossolani... Ma i poveracci, come vengono chiamati tanti veri cristiani praticanti, hanno la pace nel cuore... e questa a loro manca. Una pace e una gioia che è stata donata dalla nascita di Gesù Bambino. Chi ha vissuto questo periodo di avvento come Dio comanda, e non è rimasto insensibile... qualcosa ha visto, qualcosa ha ottenuto, qualcosa è cambiato in lui o dovrà cambiare per forza... Imitiamo allora i pastori che, dopo aver visto Gesù, non sono ritornati alle loro occupazioni precedenti dimenticando quel Bambino...
Adesso che le feste stanno per finire e metteremo negli scatoloni l'albero e il presepio, chiediamo al buon Dio di aiutarci, di aumentare la nostra fede, perché il nostro cuore non vada anche lui a finire in cantina insieme all'albero e al presepio, sarebbe triste se dovesse rimanere lì fino all'anno prossimo. Tutto deve cambiare: lo spirito di fede, di umiltà, di carità, di povertà... devono stare al centro dei nostri pensieri e del nostro cuore in questo nuovo anno. Proviamo, con il nostro comportamento, a portare Gesù Bambino e il Suo messaggio di salvezza nei luoghi dove operiamo, senza cedere a compromessi... perché nella vita cristiana non si può conciliare Dio e il mondo. E se poi, per seguire Gesù, ci  ritroviamo soli e impotenti, non scoraggiamoci, perché come diceva don Divo Barsotti: “Basta un'anima sola che viva davanti a Dio a salvare il mondo”.
Pace e bene.

TE DEUM - Italiano - Latino



Noi ti lodiamo, Dio *
ti proclamiamo  Signore.
O eterno Padre, *
tutta la terra ti adora.
 
A te cantano gli angeli *
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo *
il Signore Dio dell'universo.
 
I cieli e la terra *
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli *
e la candida schiera dei martiri;
 
le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; *
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico figlio, *
e lo Spirito Santo Paraclito.
 
O Cristo, re della gloria, *
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre *
per la salvezza dell'uomo.
 
Vincitore della morte, *
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. *
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
 
Soccorri i tuoi figli, Signore, *
che hai redento col tuo sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria *
nell'assemblea dei santi.
 
Salva il tuo popolo, Signore, *
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, *
lodiamo il tuo nome per sempre.
 
Degnati oggi, Signore, *
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia: *
in te abbiamo sperato.
 
Pietà di noi, Signore, *
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza, *
non saremo confusi in eterno.

TE  DEUM 
Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem, * omnis terra venerátur.
Tibi omnes ángeli, *
tibi cæli et univérsæ potestátes:
tibi chérubim et séraphim *
incessábili voce proclamant:
 
Sanctus, * Sanctus, * Sanctus *
Dóminus Deus Sábaoth.
Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuae.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
te prophetárum * laudábilis númerus,
te mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum * sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ maiestátis;
venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.
 
Tu rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Filius.
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, *
non horruísti Virginis úterum.
Tu, devícto mortis acúleo, *
aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.
Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, *
quos pretióso sánguine redemísti. ætérna fac cum sanctis tuis * in glória numerári.
 
Salvum fac pópulum tuum, Dómine, *
et bénedic hereditáti tuæ. Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum. Per síngulos dies * benedícimus te;
et laudámus nomen tuum in sæculum, *
et in sæculum sæculi.
Dignáre, Dómine, die isto *
sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, *
quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: *
non confúndar in ætérnum.

Istruzioni per parlare con Dio.....Il nostro modo di parlare, indicherà quale passione anima il rapporto che abbiamo con Lui.

Per parlare con Dio




1) Scegli il prefisso giusto, non comporre un numero a caso.
 

2) Una conversazione telefonica con Dio non è un monologo.Non parlare sempre tu, ma ascolta anche Lui che ti parla dall'altro capo.
 

3) Se la comunicazione si è interrotta,
controlla se sei stato tu a far cadere la linea.

4) Non prendere l'abitudine di chiamare Dio nei casi urgenti.


 
5) Non telefonare a Dio solo nelle ore a tariffa ridotta cioè al termine della settimana. Dovresti riuscire a fare delle brevi chiamate ogni giorno.

 



6) Ricordati che le chiamate a Dio non costano nulla e sono a Sue spese.

7) Controlla che Dio non ti abbia lasciati
messaggi registrati nella segreteria telefonica.



Nota bene

Se, pur avendo osservato queste regole
la comunicazione risulta difficile o disturbata, rivolgiti confidenzialmente allo Spirito Santo.
Egli ristabilirà la comunicazione.

Se il tuo apparecchio non funziona più portalo a riparare in quell'Ufficio riparazioni che è il sacramento del perdono.

Il tuo apparecchio è gratuito a vita
e sarai rimesso a nuovo con un intervento gratuito.
 
buonDio@cielo.it



martedì 30 dicembre 2014

I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce ?..... IL TESORO - Tratto da “ MONDO PICCOLO “ di Giovannino Guareschi



Arrivò in canonica lo Smilzo, un giovane ex partigiano che faceva da portaordini a Peppone quando Peppone lavorava in montagna, e adesso l'avevano assunto come messo in Comune. Aveva una gran lettera di lusso, in carta a mano con stampa in gotico e l'intestazione del Partito. «La Signoria Vostra è invitata a onorare della Sua presenza la cerimonia a sfondo sociale che si svolgerà domattina alle ore 10 in Piazza della Libertà. Il Segretario della Sezione compagno Bottazzi Sindaco Giuseppe.» Don Camillo guardò in faccia lo Smilzo. «Di' al signor compagno Peppone sindaco Giuseppe che io non ho nessuna voglia di venire a sentire le solite stupidaggini contro la reazione e i capitalisti. Le so già a memoria.»«No» spiegò lo Smilzo «niente discorsi politici. Roba di patriottismo, a sfondo sociale. Se dite di no significa che non capite niente della democrazia.» Don Camillo approvò gravemente tentennando il capo. «Se le cose stanno così» esclamò «non parlo più.» «Bene. Dice il capo che veniate in divisa con gli arnesi.» «Gli arnesi?» «Sì, la secchia e il pennello: c'è da benedire roba.» Lo Smilzo parlava in questo modo a don Camillo appunto in quanto era lo Smilzo, uno cioè che, per la sua taglia speciale e per la sua sveltezza diabolica, in montagna poteva passare tra palla e palla senza scalfirsi. Così, quando il grosso libro lanciato da don Camillo arrivò nel punto dove c'era la testa dello Smilzo, lo Smilzo era già fuori dalla canonica e pigiava sui pedali della sua bicicletta. Don Camillo si alzò, raccolse il libro e andò a sfogare il suo risentimento col Cristo dell'altare.«Gesù» disse «possibile che non si riesca a sapere cosa combineranno domani quelli là? Non ho mai visto una cosa tanto misteriosa. Cosa vorranno dire tutti quei preparativi? Quelle fronde che stanno piantando tutto attorno al prato che sta fra la farmacia e la casa dei Baghetti? Che razza di diavoleria è quella?» «Figlio mio, se fosse una diavoleria per prima cosa non la farebbero all'aperto e secondariamente non ti chiamerebbero per benedirla. Abbi pazienza fino a domani.»

sabato 27 dicembre 2014

Dal libro della Gènesi - Gen 15, 1-6; 21, 1-3 - Uno nato da te sarà tuo erede


 
In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede».
Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».
Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.

Parola di Dio
Riflessione

La prima lettura di oggi è per me molto confortante, specialmente per quanto mi sta capitando in questo periodo... Come si dice: capita a “fagiolo”!!! Basta infatti cambiare il nome e il gioco è fatto: «Non temere, Paola. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande»... e vai... ce la posso fare!!!

Sapere infatti che Dio è il mio scudo mi da un senso di sicurezza, è come se avessi già vinto la battaglia. Caro Abramo, la tua fede, in confronto alla mia era poca cosa... scherzo naturalmente!!! I momenti di afflizione e di scoraggiamento infatti sono tanti, come tante sono le domande che rivolgo in continuazione a Dio, proprio per capire e non certo perché non ho fiducia in Lui. Come possiamo vedere anche Abram domanda, quasi con tono di rassegnazione: «Signore Dio, che cosa mi darai?...” Ma Dio continua a dirci: "Non temere...". E io voglio prenderLo in parola. Voglio dunque continuare a confidare in Lui nonostante i percorsi piuttosto misteriosi e incomprensibili sui quali mi sta conducendo. Ma il mio caro Gesù in questi anni mi ha insegnato che non devo ragionare più in termini umani, mi ha insegnato ad abbandonarmi a Lui e a dargli tutta me stessa. Con tanti sforzi, ci sto provando...

Ognuno di noi ha un “Isacco” dentro il proprio cuore, qualcosa di molto caro che non vogliamo mollare, ma se ci sforziamo a consegnarlo a Dio possiamo dire di avere almeno un po' di fede e possiamo poi attendere con fiducia l'impossibile, soprattutto quando Lui sembra toglierci tutto. Sembra!?... Diciamo pure che ci toglie tutto!!!... Chiediamo allora al buon Dio di rafforzare la nostra fede, per avere più fiducia nelle Sue promesse che, essendo Sue, sono umanamente impossibili. DomandiamoGli anche di aiutarci a non avere paura a seguire la Sua voce, specialmente quando le cose che ci succedono non coincidono con i nostri desideri e le nostre aspettative... ma soprattutto, chiediamoGli di darci forza per non uniformarci alle mode del momento o con gli schemi mentali disordinati e scomposti di chi si ostina a voler rimanere nelle tenebre. Però, caro Gesù... anche Tu!!!... Ogni tanto rallenta la presa!!! A questo punto mi viene da dare ragione a Santa Teresa d'Avila quando diceva che hai pochi amici... Sfido!!! E' normale infatti che chi sta “fuori”, i non cristiani, vedendo come Tu tratti gli amici, si guardino bene dall'entrare... chi poi, sta un po' dentro e un po' fuori, ci pensa un pochetto e poi se la da a gambe levate... Non pensi? Dov'è che non fila il mio ragionamento?

Oh povera me... sono proprio una sfrontata!!! Voglio concludere comunque questa mia povera riflessione con le parole del salmo 33: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce. L'angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva. Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia. Temete il Signore, suoi santi, nulla manca a coloro che lo temono. I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla”.

Grazie... aspetto... ma non tardare... e se non lo vuoi fare per me... fallo per la Tua reputazione... io sto dicendo a tutti che Tu mi aiuterai...
Pace e bene

giovedì 18 dicembre 2014

Dio rivelò il suo amore per mezzo del Figlio - Dalla «Lettera a Diognèto» (Cap. 8, 5 - 9, 6; Funk 1, 325-327)



Nessun uomo in verità ha mai visto Dio né lo ha fatto conoscere, ma egli stesso si è rivelato. E si è rivelato nella fede, alla quale soltanto è concesso di vedere Dio. Infatti Dio, Signore e Creatore dell'universo, colui che ha dato origine ad ogni cosa e tutto ha disposto secondo un ordine, non solo ama gli uomini, ma è anche longanime. Ed egli fu sempre così, lo è ancora e lo sarà: amorevole, buono, tollerante, fedele; lui solo è davvero buono. E avendo egli concepito nel cuore un disegno grande e ineffabile, lo comunica al solo suo Figlio.
Per tutto il tempo dunque in cui conservava e custodiva nel mistero il suo piano sapiente, sembrava che ci trascurasse e non si desse pensiero di noi; ma quando per mezzo del suo Figlio prediletto rivelò e rese noto ciò che era stato preparato dall'inizio, tutto insieme egli ci offrì: godere dei suoi benefici e contemplarli e capirli. Chi di noi si sarebbe aspettati tutti questi favori?
Dopo aver tutto disposto dentro di sé assieme al Figlio, permise che noi fino al tempo anzidetto rimanessimo in balia d'istinti disordinati e fossimo trascinati fuori della retta via dai piaceri e dalle cupidigie, seguendo il nostro arbitrio. Certamente non si compiaceva dei nostri peccati, ma li sopportava; neppure poteva approvare quel tempo d'iniquità, ma preparava l'era attuale di giustizia, perché, riconoscendoci in quel tempo chiaramente indegni della vita a motivo delle nostre opere, ne diventassimo degni in forza della sua misericordia, e perché, dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno, ne diventassimo capaci per la sua potenza.
Quando poi giunse al colmo la nostra ingiustizia e fu ormai chiaro che le sovrastava, come mercede, solo la punizione e la morte, ed era arrivato il tempo prestabilito da Dio per rivelare il suo amore e la sua potenza (o immensa bontà e amore di Dio!), egli non ci prese in odio, né ci respinse, né si vendicò. Anzi ci sopportò con pazienza. Nella sua misericordia prese sopra di sé i nostri peccati. Diede spontaneamente il suo Figlio come prezzo del nostro riscatto: il santo, per gli empi, l'innocente per i malvagi, il giusto per gli iniqui, l'incorruttibile per i corruttibili, l'immortale per i mortali. Che cosa avrebbe potuto cancellare le nostre colpe, se non la sua giustizia? Come avremmo potuto noi traviati ed empi ritrovare la giustizia se non nel Figlio unico di Dio?
O dolce scambio, o ineffabile creazione, o imprevedibile ricchezza di benefici: l'ingiustizia di molti veniva perdonata per un solo giusto e la giustizia di uno solo toglieva l'empietà di molti!


martedì 16 dicembre 2014

Gianna Jessen - La bambina di Dio - Una testimonianza fantastica tenuta a Queen's Hall - Melbourne 2008


"Sono stata abortita e non sono morta. La mia madre biologica era incinta di sette mesi quando andò da "Planned Parenthood" nella California del sud e le consigliarono di effettuare un aborto salino tardivo. Un aborto salino consiste nell'iniezione di una soluzione di sale nell'utero della madre. Il bambino inghiottisce la soluzione, che brucia il bambino dentro e fuori, e poi la madre partorisce un bambino morto entro 24 ore. Questo è capitato a me! Sono rimasta nella soluzione per circa 18 ore e sono stata partorita VIVA il 6 aprile 1977 alle 6 del mattino in una clinica per aborti della California. C'erano giovani donne nella stanza che avevano appena ricevuto le loro iniezioni ed aspettavano di partorire bambini morti. Quando mi videro, provarono l'orrore dell'omicidio. Un'infermiera chiamò un'ambulanza e mi fece trasferire all'ospedale. Fortunatamente per me il medico abortista non era alla clinica. Ero arrivata in anticipo, non si aspettavano la mia morte fino alle 9 del mattino, quando sarebbe probabilmente arrivato per il turno d'ufficio. Sono sicura che non sarei qui oggi se il medico abortista fosse stato alla clinica dato che il suo lavoro è togliere la vita, non sostenerla. Qualcuno ha detto che sono un "aborto mal riuscito", il risultato di un lavoro non ben fatto. Fui salvata dal puro potere di Gesù Cristo. Signore e Signori, dovrei essere cieca, bruciata... dovrei essere morta! E tuttavia, io vivo! (continua...)



lunedì 15 dicembre 2014

Beato Onorato (Venceslao) Kazminski Cappuccino (1829 – 1916) SACERDOTE PROFESSO DELL'ORDINE DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI FONDATORE DI MOLTE CONGREGAZIONI RELIGIOSE - Beatificazione: 16 ottobre 1988 - Festa: 16 dicembre




ONORATO KOŹMIŃSKI nacque a Biała Podlaska, nella provincia di Siedlce in Polonia, il 16 ottobre 1829, dall'architetto Stefano Koźmiński e da Alessandra Kahl, coniugi di agiata condizione. Era il secondo di quattro figli. Al battesimo, ricevuto due giorni dopo, gli vennero imposti i nomi di Fiorentino, Venceslao, Johann, Stefano. Era però comunemente chiamato Venceslao. I suoi genitori lo educarono a una vita profondamente cristiana. Trascorse i primi undici anni in famiglia, frequentando le scuole elementari nel paese natale e poi continuando gli studi, dal 1837, nella scuola circoscri­zionale. Nel 1840 ricevette la cresima e nel maggio dello stesso anni si tra­sferì a Włocławek. Frequentò poi il ginnasio nel governatorato di Płock con­seguendo la relativa licenza. Ancora quindicenne, nel settembre 1844 iniziava gli studi di architettura all'Accademia delle Belle Arti di Varsavia.

L'influsso di un compagno negli ultimi anni di studi ginnasiali, l'azione anti-cattolica svolta dal governo, l'illuminismo razionalista e la morte del pa­dre il 2 novembre 1845 gli causarono una crisi di fede, per cui si proclamò ateo e svolse attività antireligiosa tra i compagni.

Il 23 aprile 1846, sospettato dalla polizia zarista di aver fatto parte di un complotto contro il regime, fu arrestato e rinchiuso nella « Cittadella » (pri­gione) di Varsavia, nel X reparto, dove finivano i candidati alla sentenza ca­pitale. Sua madre si precipitò a Varsavia e fece di tutto per strapparlo alla morte. In carcere Venceslao, oltre che dall'attesa tremenda, fu anche tormen­tato dal tifo. La crisi religiosa si acuì, ma con il lento ricupero della salute, tornò anche la fede.

LE PICCOLE VIRTU' DELLA CORTESIA, DELLA DISCREZIONE, DELLA GRATITUDINE, DELLA MODESTIA, DELLA SINCERITA’ ,DELLA SPERANZA, DELL'ECONOMIA, DELL'ESATTEZZA - Estratto dal libro: Les petites vertus du foyer, Georges Chevrot, ed. Le Laurier, Paris




LA PICCOLA VIRTU’ DELLA CORTESIA
In una lettera a Madame de Chantal, san Francesco di Sales scriveva: "Piccola cortesia, virtù modesta, ma segno di una virtù maggio­re... E occorre esercitarsi nelle virtù piccole, senza le quali le grandi virtù sono spesso false ed ingannevoli". E' raro, infatti, rimanere estasiati davanti ad una persona regolarmente affabile e gentile. Ciononostante, questa affa­bilità e questa gentilezza presuppongono una vigilanza ed un dominio di sé poco comuni. Ora, vi è un certo numero di piccole virtù che, come la cortesia, non provocano un'ammira­zione rumorosa; ma quando vengono meno, le relazioni tra gli uomini sono tese, faticose, addirittura burrascose, a tal punto che talvolta portano a dei disastri. Queste "virtù modeste" sono esattamente quelle che rendono soppor­tabile e gradevole la nostra vita quotidiana. Perciò vorrei dedicare questa serie di conver­sazioni alle piccole virtù delle famiglie cri­stiane. A prima vista, è un proposito assai modesto. Eppure, non è forse logico che sia prima di tutto alla famiglia che l'insegnamen­to di Cristo apporti la sua luce, il suo calore ed i suoi semi di gioia?
Non è forse vero che è tra le quattro mura della stanza in cui vi trovate adesso che dove­te osservare la legge di Gesù Cristo? A questo riguardo, in molte menti bisognerebbe rettifi­care alcuni errori. Alcuni ritengono che l'uni­co oggetto della religione sia garantire agli uomini la felicità in un altro mondo. Certo, Gesù Cristo ci ha fatto questa promessa ed è per mantenerla che il Figlio di Dio è venuto a far parte della famiglia umana, si è incarnato e ci ha riscattati. Tuttavia, quel dono prodi­gioso di felicità eterna, senza paragone con le nostre risorse e le nostre ambizioni, ha come condizioni la nostra fede, la nostra buona volontà, i nostri sforzi sinceri, tutte cose che dobbiamo realizzare fin da adesso. In realtà, noi abbiamo soltanto una vita che, oltre la morte, non avrà fine. La nostra felice eternità è cominciata fin dal giorno del nostro battesi­mo. E' qui, sulla terra, che ha inizio per noi il nostro cielo, pregando Dio ed osservando i suoi comandamenti. La religione non è solo una questione riguardante l'aldilà; ha la sua bella funzione anche quaggiù. Essa deve rego­lare la nostra vita presente. Dicendo la nostra vita presente, intendo dunque la nostra vita reale, la nostra vita quotidiana. Anche a que­sto proposito, sbagliano molte persone, talvol­ta dei buoni cristiani. Costoro compiono una separazione artificiale tra ciò che chiamano vita profana ed i doveri propri della religione, che formerebbero una breve parentesi nella vita di ciascuno. Ma se, per la maggioranza degli uomini, il tempo riservato alla preghiera è per forza molto breve rispetto alle loro varie occupazioni, non dimentichiamo che noi viviamo tutto il giorno sotto lo sguardo di Dio, e che gli dobbiamo costantemente l'o­maggio della nostra obbedienza, il quale si traduce nell'offerta esplicita di ogni nostra attività. Per essere esatti, l'espressione "vita profana" non ha senso per un cristiano, perché tutta la sua vita è consacrata interamente a Dio, che egli deve onorare in ogni sua azione, perfino in quelle più ordinarie.
Che voi mangiate o che voi beviate, scrive san Paolo, qualunque cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio.

Santa Virginia Centurione - Tema: Rosario - Mariologia - Servizio del prossimo -Virginia Centurione Bracelli è stata proclamata Beata il 22 settembre 1985 a Genova e canonizzata a Roma, il 18 maggio 2003, dallo stesso Pontefice: San Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).



«Preghiera per la pace, il Rosario è anche, da sempre, la preghiera della famiglia e per la famiglia. Una volta, questa preghiera era particolarmente cara alle famiglie cristiane e favoriva certamente la comunione. Non bisogna che questa preziosa eredità si perda... Mi rivolgo a voi, fratelli e sorelle di ogni condizione...: riprendete in mano la corona con fiducia... Che il mio appello non rimanga lettera morta!» Così si esprimeva il Santo Padre nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariæ del 16 ottobre 2002, che istituiva un anno del Rosario (n. 41). L'esempio di una santa che ha saputo rispondere all'appello di Nostra Signora può incoraggiarci a vivere con Maria, poichè la devozione a Maria forma autentici servi di Gesù Cristo. Tale devozione può concretizzarsi per noi, attraverso la recita del Rosario.

Il 20 settembre 1801, nell'antico monastero di Santa Chiara, a Carignano, nel Piemonte (Italia), non lontano da Genova, alcuni operai ispezionano le tombe sotto il pavimento, nella speranza di trovarvi oggetti di valore o, quanto meno, piombo. In una bara, scoprono il corpo di una donna, assolutamente intatto. L'iscrizione rivela che si tratta di Virginia Centurione, moglie di Gaspare Bracelli, morta a 65 anni, il 15 dicembre 1651, vale a dire centocinquant'anni prima. Le autorità civili, piuttosto anticlericali (il Piemonte è all'epoca sotto il dominio di Napoleone) si sforza di temperare l'entusiasmo che la meravigliosa scoperta suscita fra la popolazione genovese. Il notaio Piaggio è incaricato di dimostrare scientificamente che la conservazione del corpo è dovuta ad un'imbalsamazione. Ma quando trova il cadavere morbido e flessibile, il Dottor Piaggio abbandona l'ispezione ed avverte le Suore di Bisagno che i resti mortali della loro fondatrice sono stati identificati. Quest'atto di sincerità, considerato dal governo come un tradimento, gli varrà di esser radiato dal collegio notarile. Non potendo più esercitare ormai la sua professione, egli accetta di vivere nella massima povertà e si adopera nella ricerca dei ricordi relativi alla defunta, in vista della di lei glorificazione.

venerdì 12 dicembre 2014

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 1,6-8.19-28 - In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.


 Gv 1,6-8.19-28
 
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore
Riflessione

La prima lettura di oggi riporta la profezia di Isaia, quella che Gesù leggerà sul rotolo nella sinagoga di Nazareth e al termine della quale dirà: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Lc 4, 21). Il vangelo invece ci mostra la missione di Giovanni Battista e la sintetizza sempre con una profezia di Isaia: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore" (Is 40, 3). Questo per dirci che, come in un seme sono già presenti in qualche modo lo splendore e i frutti dell'albero, così in Gesù che nasce a natale sono già contenuti come in un seme i frutti della salvezza che porterà al mondo.
Nella società di oggi, per preparare la venuta di Gesù come l'ha preparata Giovanni Battista, ci vorrebbero dei veri testimoni innamorati del Signore. Purtroppo, molto spesso, coloro che dovrebbero testimoniare Gesù non lo conoscono veramente, e allora l'evangelizzazione diventa più che altro un ripetere luoghi comuni come i pappagalli. E' triste notare che, mentre si avvicina il Natale, si respira un clima di tiepidezza, di approssimazione, di superficialità. Dovremmo essere pronti ad accogliere Gesù nel nostro cuore, dovremmo traboccare di gioia e di gratitudine... e invece che cosa vediamo? Tanti musi duri, tanto pessimismo, tanta tristezza, tanta poca fede... E' vero che viviamo dei momenti non facili per tutti: ci sono difficoltà economiche, manca molto spesso il necessario, c'è tanta confusione, smarrimento, incertezza per il futuro, si verificano fatti orribili e agghiaccianti; esplodono le fogne e diffondono il loro fetore... ma se ci si affida al Signore... Lui ha il potere di placare ogni tempesta e, con la pace che solo Lui può dare, riusciremo ad affrontare ogni situazione con più lucidità. La fretta, l'agitazione, la tristezza, la disperazione e l'angoscia, non fanno altro che farci sprofondare sempre più nel buio.
Proviamo allora ad aprire il nostro cuore e a non vergognarci di guardare in faccia la situazione in cui ci troviamo, forse, riusciremo a dire col cuore: "Vieni Signore Gesù, vieni a salvarmi".
Proviamo anche ad imitare l'umiltà di Giovanni Battista... lui infatti era consapevole di essere solo il “portavoce” di Dio e non ne ha approfittato, alla domanda dei sacerdoti e dei leviti: «Tu, chi sei?», ha risposto: «Io sono voce di uno che grida nel deserto...». Cosa avremmo risposto noi? Che domanda... la stessa cosa!!! Noi, poveri umani, mica abbiamo la sindrome dell'onnipotenza!!! No, solo qualche volta, un pochetto!!!...
Allora, sarebbe meglio considerare che, anche se il buon Dio ci ha fatti a Sua immagine e somiglianza, Lui è sempre il Creatore e noi le creature, Lui è primo e noi siamo secondi, ma questa consapevolezza non è così scontata. Proviamo ad ascoltare con il cuore la Parola che ci viene annunciata oggi, perché la voce che grida nel deserto, i suoi richiami, le sue sferzate, li possiamo considerare come se qualcuno proiettasse un filmato della nostra vita... è un po' come se, su uno schermo, vedessimo chiaramente i nostri peccati, i nostri limiti, le nostre miserie, le nostre continue infedeltà; e questo perché, per essere salvati, per essere liberati, abbiamo bisogno prima di tutto che qualcuno ci riveli la nostra reale situazione, la nostra schiavitù, il nostro peccato... ecco il ruolo di Giovanni Battista. Lui però ci annuncia anche la buona novella... ci dice che sta per arrivare un certo Gesù che può liberarci dalla prigione da brivido in cui ci dibattiamo... se accoglieremo questa voce che ci scuote, saremo anche pronti ad accogliere Gesù come Dio comanda. Una bella e approfondita Confessione in un “gabbiotto” non ci farà male!!!
Chiediamo al buon Dio di rafforzare la nostra fede. Chiediamogli di farci ricordare ogni santo giorno la nostra reale condizione di poveretti sempre bisognosi di tutto... perché così potremo apprezzare e gioire meglio della salvezza che Lui ci dona. Se ci rendiamo veramente conto della nostra miseria apprezzeremo molto di più la sua misericordia.
Supplichiamolo anche di aiutarci ad essere più coraggiosi, in modo da non comportarci come gli agenti segreti... un vero cristiano non ha paura di stare alla luce del sole e di testimoniare con la vita di appartenere alla famiglia di Gesù. Ascoltiamo anche le belle parole di San Paolo: "Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!" ( Fil 4, 4-5).
Pace e bene

La favola di Natale - GIOVANNINO GUARESCHI



Premessa

Questa favola è nata in un campo di concentramento del Nordovest germanico, nel dicembre del 1944, e le muse che l'ispirarono si chiamavano Freddo, Fame e Nostalgia. Questa favola io la scrissi rannicchiato nella cuccetta inferiore di un "castello" biposto, e sopra la mia testa c'era la fabbrica della melodia. Io mandavo su da Coppola versi di canzoni nudi e infreddoliti, e Coppola me li rimandava giù rivestiti di musica soffice e calda come lana d'angora. "Adesso la nonna racconta una fiaba al bambino per farlo addormentare", dicevo alle assicelle del soffitto. Oppure: "Adesso la nonna, il bambino e il cane montano in treno e fanno un lungo viaggio nella notte." E le muse ispiratrici salivano al piano superiore e dal soffitto piovevano semi biscrome. Si avvicinava il secondo Natale di prigionia: Fame, Freddo e Nostalgia. Tra i sei o settemila ufficiali prigionieri nel lager c'erano professionisti e dilettanti di musica e di canto. Qualcuno era riuscito a salvare il suo strumento, qualche strumento lo prestarono i prigionieri francesi del campo vicino. Coppola concertò le musiche e istruì orchestra, coro e cantanti. I violinisti non riuscivano a muovere le dita per il gran freddo; per l'umidità i violini si scollavano, perdevano il manico. Le voci faticavano a uscire da quella fame vestita di stracci e di freddo. Ma la sera della vigilia, nella squallida baracca del "teatro", zeppa di gente malinconica, io lessi la favola e l'orchestra, il coro e i cantanti la commentarono egregiamente, e il "rumorista" diede vita ai passaggi più movimentati. La nostalgia l'hanno inventata i prigionieri perché in prigionia tutto quello che appartiene al mondo precluso diventa favola, e gente ascolta sbalordita qualcuno raccontare che le tendine della sua stanza erano rosa. In prigionia anche i colori sono una favola, perché nel lager tutto è bigio, e il cielo, se una volta è azzurro, o se un rametto si copre di verde, sono cose di un altro mondo. Anche la realtà presente diventa nostalgia. Noi pensavamo allora alle cose più umili della vita consueta come meravigliosi beni perduti, e rimpiangevamo il sole, l'acqua, i fiori come se oramai non esistessero più: e per questo uomini maturi trovarono naturale che io, per Natale, raccontassi loro una favola, e giudicarono originalissimo il fatto che, nella favola, un uomo s'incontrasse con sua madre e col suo bambino. "Che fantasia", dicevano. "Come fai a pensare tutte queste strane faccende?" E la banalissima vicenda interessava i prigionieri forse più ancora del contenuto polemico della fiaba stessa. Perché La favola di Natale ha anche un contenuto polemico che le illustrazioni rendono oggi evidente anche al meno avvertito dei lettori, sì che io potrei premettere alla fiaba: "I personaggi di questo racconto sono tutti veri e i fatti in esso accennati hanno tutti un preciso riferimento con la realtà." La "realtà" era tutt'intorno a noi, e io la vedevo seduta a tre metri da me, in prima fila, vestita da Dolmetscher: e quando il "rumorista-imitatore" cantava con voce roca la canzoncina delle tre Cornacchie e il poliziotto di servizio sghignazzava divertito, io morivo dalla voglia di dirgli che non c'era niente da ridere: "Guardi, signore, che quella cornacchia è lei." "Io vi racconterò una favola, e voi la racconterete al vento di questa sera, e il vento la racconterà ai vostri bambini. E anche alle mamme e alle nonne dei vostri bambini, perché è la nostra favola: la favola malinconica d'ognuno di noi", Io, la sera della vigilia del '44, conclusi con queste parole la premessa: ma il vento avrà sentito? O, se ha sentito, sarà riuscito poi a superare i baluardi della censura? O, lungo la strada, avrà perso qualche periodo? Ci si può fidare del vento in un affare così delicato? Di qui l'idea di stampare la fiaba: il papà ex internato potrà così raccontarla al suo bambino, e da queste povere parole che sanno di fame, di freddo e di nostalgia il bambino capirà forse quel che il papà soffriva, lassù, nei desolati campi del Nord. E se non capirà il bambino, capirà la mamma. E - ripensando alle ultime parole della favola - anche per un mio orgoglietto personale: E se non v'è piaciuta - non vogliatemi male, ve ne dirò una meglio - il prossimo Natale, e che sarà una favola - senza malinconia: "C'era una volta - la prigionia..." Ho mantenuto la promessa e pago il mio debito: eccovi la favola. C'era una volta un prigioniero...

martedì 9 dicembre 2014

JUAN DIEGO CUAUHTLATOATZIN - (1474 – 1548) - IL MESSAGGERO DI NOSTRA SIGNORA DI GUADALUPE - Canonizzazione: 31 luglio 2002 - Festa: 9 dicembre



San JUAN DIEGO CUAUHTLATTOATZIN, dell'etnia indigena dei chichimecas, nacque verso il 1474 a Cuauhtitlán, venti chilometri a nord di Tenochtitlán (Città del Messico), oggi da questa assorbita. Il suo nome di nascita era Cuauh­tlatoatzin, che può essere tradotto con « Colui che parla come un'aquila », poiché l'aquila è simbolo dell'evangelista san Giovanni. Ciò dimostra come i missionari spagnoli tendessero a « inculturare » il cristianesimo, dando anche – quando era possibile – agli indios convertiti nomi cristiani di significato simbo­lico analogo a quello dei loro nomi originari. Secondo il più importante docu­mento biografico del Beato, il « Nican Motecpana », scritto dallo storico Fer­nando de Alva Ixtlilxochtl, Juan Diego era un « macehual », o « povero indio », un uomo del popolo, piccolo coltivatore diretto in un modesto villaggio: poco più di niente, nella società azteca, complessa e fortemente gerarchizzata. Ciò equivale a dire che apparteneva alla numerosa massa della classe inferiore del­l'Impero Azteco, ma non alla classe degli schiavi.

Nel 1524, tre anni dopo la conquista del Messico, giunsero i primi missio­nari francescani. Tra questi vi era fra Pietro da Gand, dal quale, secondo le testimonianze, Diego ricevette le prime nozioni della dottrina cristiana. All'età di cinquant'anni, nel 1524, ricevette il battesimo col nome cristiano di Juan Diego, insieme alla sua moglie Malintzin, che prese a sua volta il nome di Maria Lucia. Secondo le « Informaciones Guadalupanas » del 1666, basate sulle prime ricerche ecclesiastiche riguardanti gli avvenimenti di Guadalupe, sembra che Juan Diego già prima della sua conversione fosse un uomo religioso, molto riservato e meditativo. Egli percorreva a piedi i venti chilometri dalla sua casa a Tenochtitlán per ricevervi una formazione religiosa.

lunedì 8 dicembre 2014

“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1, 28) - OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II - Basilica di S. Maria Maggiore, 8 dicembre 1982



1. Mentre queste parole del saluto dell’Angelo riecheggiano soavemente nel nostro animo, desidero rivolgere lo sguardo, insieme con voi, cari fratelli e sorelle, sul mistero dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria con l’occhio spirituale di san Massimiliano Kolbe. Egli ha legato tutte le opere della sua vita e della sua vocazione all’Immacolata. E perciò, in quest’anno, in cui è stato elevato alla gloria dei Santi, egli ha molto da dirci nella solennità dell’Immacolata, di cui amò definirsi devoto “militante”.
L’amore all’Immacolata fu infatti il centro della sua vita spirituale, il fecondo principio animatore della sua attività apostolica. Il modello sublime dell’Immacolata illuminò e guidò la sua intera esistenza sulle strade del mondo e fece della sua morte eroica nel campo di sterminio di Auschwitz una splendida testimonianza cristiana e sacerdotale. Con l’intuizione del santo e la finezza del teologo, Massimiliano Kolbe meditò con acume straordinario il mistero della Concezione Immacolata di Maria alla luce della Sacra Scrittura, del Magistero e della Liturgia della Chiesa, ricavandone mirabili lezioni di vita. Egli è apparso nel nostro tempo profeta e apostolo di una nuova “era mariana”, destinata a far brillare di vivida luce nel mondo intero Gesù Cristo e il suo Vangelo.

L’Immacolata : ecco il nostro ideale. Avvicinarci a Lei per renderci simili a Lei. (SK 1210) di San Massimiliano Maria Kolbe




Il vertice dell’amore della creazione che torna a Dio è l’Immacolata, l’essere senza macchia di peccato, tutta bella, tutta di Dio. Neppure per un istante la Sua volontà si è allontanata dalla volontà di Dio. Ella è appartenuta sempre ed liberamente a Dio. E in lei avviene il miracolo dell’unione di Dio con la creazione. A Lei, come alla propria sposa il Padre affida il Figlio, il Figlio discende nel Suo grembo verginale, divenendo Figlio di Lei, mentre lo Spirito Santo forma in Lei in modo prodigioso il corpo di Gesù e prende dimora nella Sua anima, la compenetra in modo così ineffabile che la definizione di “Sposa dello Spirito Santo” è una somiglianza assai lontana della vita dello Spirito Santo in lei e attraverso di Lei. In Gesù vi sono due nature (la divina e l’umana) e un’unica persona (quella divina), mentre qui vi sono due nature e due sono pure le persone, lo Spirito Santo e l’Immacolata, tuttavia l’unione della divinità con l’umanità supera qualsiasi comprensione. (SK 1310) ...Maria, per il fatto di essere la madre di Gesù Salvatore, è divenuta la corredentrice del genere umano, mentre per il fatto di essere la Sposa dello Spirito Santo, prende parte alla distribuzione di tutte le grazie. (SK 1229) ... non abbiano affatto paura di amare troppo l’Immacolata, dato che (...) non l’ameremo mai nel modo come l’ha amata Gesù. Ebbene tutta la nostra santità consiste nell’imitare Gesù. Chi si avvicina a Lei per ciò stesso si avvicina a Dio, solo che lo fa percorrendo una strada più breve, più sicura , più facile. (SK 542) 

L'Immacolata concezione – dal Catechismo della Chiesa Cattolica



490 Per essere la Madre del Salvatore, Maria « da Dio è stata arricchita di doni degni di una così grande missione ». 137 L'angelo Gabriele, al momento dell'annunciazione, la saluta come « piena di grazia » (Lc 1,28). In realtà, per poter dare il libero assenso della sua fede all'annunzio della sua vocazione, era necessario che fosse tutta sorretta dalla grazia di Dio.
491 Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, « colmata di grazia » da Dio, 138 era stata redenta fin dal suo concepimento. È quanto afferma il dogma dell'immacolata concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854:
« La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale ». 139
492 Questi « splendori di una santità del tutto singolare » di cui Maria è « adornata fin dal primo istante della sua concezione » 140 le vengono interamente da Cristo: ella è « redenta in modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo ». 141 Più di ogni altra persona creata, il Padre l'ha « benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo » (Ef 1,3). In lui l'ha scelta « prima della creazione del mondo, per essere » santa e immacolata « al suo cospetto nella carità » (Ef 1,4).
493 I Padri della Tradizione orientale chiamano la Madre di Dio « la Tutta Santa » , la onorano come « immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa una nuova creatura ». 142 Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura da ogni peccato personale durante tutta la sua esistenza.
«Avvenga di me quello che hai detto...»
494 All'annunzio che avrebbe dato alla luce « il Figlio dell'Altissimo » senza conoscere uomo, per la potenza dello Spirito Santo, 143 Maria ha risposto con « l'obbedienza della fede » (Rm 1,5), certa che nulla è impossibile a Dio: « Io sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto » (Lc 1,38). Così, dando il proprio assenso alla parola di Dio, Maria è diventata Madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza essere ritardata da nessun peccato la volontà divina di salvezza, si è offerta totalmente alla persona e all'opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione, sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente: 144
« Come dice sant'Ireneo, "obbedendo divenne causa della salvezza per sé e per tutto il genere umano". 145 Con lui, non pochi antichi Padri affermano: "Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la Vergine Maria ha sciolto con la sua fede", 146 e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria "la Madre dei viventi" e affermano spesso: "La morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria" ». 147


(137) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 56: AAS 57 (1965) 60.
(138) Cf Lc 1,28.
(139) Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus: DS 2803.
(140) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 56: AAS 57 (1965) 60.
(141) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 53: AAS 57 (1965) 58.
(142) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 56: AAS 57 (1965) 60.
(143) Cf Lc 1,28-37.
(144) Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 56: AAS 57 (1965) 60-61.
(145) Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 22, 4: SC 211, 440 (PG 7, 959).
(146) Cf Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 22, 4: SC 211, 442-444 (PG 7, 959-960).
(147) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 56: AAS 57 (1965) 60-61.

sabato 6 dicembre 2014

Dal Vangelo secondo Marco - Mc 1, 1-8 - Raddrizzate le vie del Signore




Mc 1, 1-8

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Parola del Signore

Riflessione


Il messaggio che Gesù ci regala oggi dovrebbe essere fonte di tanta gioia e speranza per ogni cristiano.
Il comportamento, un pochetto strano di Giovanni Battista, non ci deve spaventare. E' vero, è un personaggio particolare, ma la sua austerità ci deve spingere a cambiare mentalità, ci deve stimolare a diventare migliori, ci deve insomma incoraggiare per accettare i cambiamenti di cui ha bisogno il nostro cuore.
Lui, che viveva dell'essenziale... ”era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico”... (roba da fare invidia ai migliori chef del momento... Gordon Ramsay, chef e conduttore del programma: “Cucine da incubo” - in inglese: "Ramsay's Kitchen Nightmares" -  lo avrebbe subito ingaggiato!!!...) ci insegna che il compito di ogni buon cristiano non è solo evitare tanti fronzoli, ma è soprattutto far spazio alla venuta del Signore. Dobbiamo insomma fare un po' di pulizia per rimuovere gli ostacoli che rallentano la crescita della nostra amicizia con il Signore.
E' vero anche che viviamo in una società piena di problemi, di violenza, di corruzioni, di ipocrisie, di incertezze, di angosce e spesso la delusione o la disperazione si impadroniscono del nostro cuore; ma oggi, Gesù ci offre una speranza... Lui infatti sta per venire, e viene proprio per salvarci dal non senso, dalla disperazione, dalla morte... Proviamo allora ad accoglierlo con gioia e amore, perché solo l'amore da fiducia e ci libera; è l'esperienza del suo amore che ci permetterà di ricominciare e di dare finalmente un senso alla nostra esistenza.
La disperazione infatti, come sappiamo, è la malattia peggiore... ma Gesù ci vuole salvare. Prepariamoci dunque a questo incontro d'amore con cuore puro e sincero... solo così infatti potremo beneficiare della sua salvezza e, una volta salvati, forse, a poco a poco, attireremo l'attenzione su Gesù nei nostri fratelli. Diventare veri testimoni di Gesù, trasmettere il suo amore, fare sospettare la sua gioia... non è lavoro di un giorno, e non penso che basti questo Natale per finirlo!!!...
Chiediamo al buon Dio di rafforzare la nostra fede in modo da far germogliare nel nostro cuore, a volte arido come un deserto, delle piante rigogliose che possano consolare, aiutare e proteggere chi attorno a noi ha perso la speranza.
Pace e bene

“Preparate la strada del Signore” - San Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra, dottore della Chiesa



Cosa bisogna fare per prepararci all’avvento del divino Salvatore che si avvicina? Ce lo insegna San Giovanni Battista: “Fate penitenza – egli dice – abbassate i monti dell’orgoglio e riempite le valli di tiepidezza e pusillanimità, poiché la salvezza si avvicina”. Queste valli non sono altro che la paura che, quando è troppo grande, ci porta allo scoraggiamento. Lo sguardo alle gravi colpe commesse porta con sé lo sgomento e la paura che abbatte il cuore. Sono le valli che bisogna riempire di fiducia e speranza, per l’avvento del Signore.

“Abbassate monti e colli”: cosa sono se non la presunzione, l’orgoglio e la stima di sé, che è un grandissimo impedimento alla venuta del Signore, il quale è solito umiliare e abbassare i superbi, poiché è capace di penetrare in fondo al cuore per scoprire l’orgoglio che vi è nascosto. “I passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati”.  E’ come se dicesse: “Raddrizzate le intenzioni sbagliate per avere solo quella che piace a Dio, facendo penitenza, unico scopo a cui tutti dobbiamo tendere”.

Raddrizzate i sentieri, spianate i vostri umori con la mortificazione delle passioni e inclinazioni e avversioni. Che cosa desiderabile l’uguaglianza fra spirito e umore; ma quanto dobbiamo lavorare con fedeltà per conquistarla! Poiché siamo variabili e incostanti da non potersi dire quanto! Si troveranno persone che sono ora di buon umore e quindi si conversa con loro piacevolmente e con gioia; ma subito dopo le troverete  afflitte e inquiete. Insomma, i sentieri tortuosi e impervi da raddrizzare per l’avvento del Signore.

Una fede gioiosa......Dalla esortazione apostolica “ Rallegratevi nel Signore “ del papa Paolo VI



Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. La grande gioia annunciata dall'Angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il popolo , per quello d'Israele che attendeva allora ansiosamente un Salvatore, come per il popolo innumerevole di tutti coloro che, nella successione dei tempi, ne accoglieranno il messaggio e si sforzeranno di viverlo. Per prima, la Vergine Maria ne aveva ricevuto l'annunzio dall'angelo Gabriele e il suo Magnificat era già l'inno di esultanza di tutti gli umili.
Disponibile all'annuncio venuto dall'alto, essa, la serva del Signore, la sposa dello Spirito Santo, la Madre dell'eterno Figlio, fa esplodere la sua gioia dinanzi alla cugina Elisabetta, che ne esalta la fede: «L'anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore . . . D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» . Essa, meglio di ogni altra creatura, ha compreso che Dio compie azioni meravigliose: santo è il suo Nome, egli mostra la sua misericordia, egli innalza gli umili, egli è fedele alle sue promesse. Non che l'apparente corso della vita di Maria esca dalla trama ordinaria: ma essa riflette sui più piccoli segni di Dio, meditandoli nel suo cuore. Non che le sofferenze le siano state risparmiate: essa sta in piedi accanto alla croce, associata in modo eminente al sacrificio del Servo innocente, Lei ch'è madre dei dolori.
Ma essa è anche aperta senza alcun limite alla gioia della Risurrezione; ed essa è anche elevata, corpo e anima, alla gloria del Cielo. Prima creatura redenta, Immacolata fin dalla concezione, dimora incomparabile dello Spirito, abitacolo purissimo del Redentore degli uomini, essa è al tempo stesso la Figlia prediletta di Dio e, nel Cristo, la Madre universale.
Essa è il tipo perfetto della Chiesa terrena e glorificata. Quale mirabile risonanza acquistano, nella sua esistenza singolare di Vergine d'Israele, le parole profetiche rivolte alla nuova Gerusalemme: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto col manto della giustizia, come uno sposo che si cinge di diadema e come una sposa che si adorna di gioielli» .Vicina al Cristo, essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa: Mater piena sanctae laetitiae; e giustamente i suoi figli qui in terra, volgendosi verso colei che è madre della speranza e madre della grazia, la invocano come la causa della loro gioia: Causa nostrae laetitiae
 

6 Dicembre San Nicola Patrono di Sassari

Per la festa del patrono della città solenni cerimonie religiose al termine delle quali si rinnova la tradizione della "Dote di San Nicola". La dote di San Nicola, con la quale viene attribuita una quota in denaro a favore di tre future spose, è una tradizione che si riferisce a un atto di liberalità di San Nicola, vissuto nel IV secolo e vescovo di Mira, nei confronti di tre orfane di questa città dell'Asia Minore.
La storia di San Nicola
La leggenda di San Nicola affascinò il medioevo dei cristiani e dei pagani. Durante la vita si prese carico di orfani, vedove e gente perseguitata. Oggi, assieme ai suoi "alter ego", Babbo Natale e Santa Claus, continua a portare serenità a tutte le genti del mondo. Ma chi era davvero San Nicola?

La figura di San Nicola, come quella di molti santi è avvolta nel mistero: le uniche notizie che ci sono arrivate, narrano che nacque nella città di Pàtara, nella regione occidentale dell’antica Grecia, oggi al sud della Turchia, intorno agli anni 260-280 d. C. La leggenda narra che ereditò una grossa fortuna dai genitori e che la sua bontà lo indusse a distribuirla ai poveri del suo paese.

Non si entra in una casa senza rivolgersi al portiere! Ebbene, la Santa Vergine è la portinaia del cielo! - Tutto ciò che il Figlio chiede al Padre gli viene concesso. Tutto ciò che la Madre chiede al Figlio le viene ugualmente concesso. ( Curato d'Ars )



CINQUE PIÙ CINQUE – Tratto da “ MONDO PICCOLO” di Giovannino Guareschi

Le cose si erano guastate forte per via della politica e, pur senza che fosse successo niente di speciale, Peppone, quando incontrava don Camillo, faceva una smorfia di disgusto e voltava la faccia da un'altra parte. Poi, durante un discorso in piazza, Peppone aveva fatto delle allusioni offensive a don Camillo e lo aveva chiamato «il corvaccio del cancelliere». In seguito, avendo don Camillo risposto per le rime sul giornaletto della parrocchia, una notte gli scaricarono davanti alla porta della canonica un biroccio di letame, sì che alla mattina dovette uscire con una scala dalla finestra. E sul mucchio c'era un cartello: «Don Camillo, concimati la zucca». Di qui cominciò una polemica verbale, giornalistica e murale così accesa e violenta che c'era in giro sempre più un maledetto odor di legnate. E dopo l'ultima replica di don Camillo attraverso il giornaletto, la gente disse: «Se quelli di Peppone non rispondono ci siamo».
E quelli di Peppone non risposero, anzi si chiusero in un silenzio preoccupante e pareva l'attimo che precede il temporale.
Una sera don Camillo stava in chiesa assorto nelle sue preghiere, quando udì cigolare la porticina del campanile e non fece neppure a tempo a levarsi in piedi che Peppone gli stava dinanzi. Peppone aveva il viso tetro e teneva una mano dietro la schiena. Pareva ubriaco e i capelli gli ciondolavano sulla fronte. Don Camillo con la coda dell'occhio mirò un candelabro che gli stava a fianco e, calcolata bene la distanza, si alzò in piedi con un balzo all'indietro e si trovò con la mano stretta attorno al pesante arnese di bronzo. Peppone strinse le mascelle e guardò negli occhi don Camillo e don Camillo aveva tutti i nervi tesi ed era sicuro che, appena Peppone avesse mostrato quello che celava dietro le spalle, il candelabro sarebbe partito come una saetta. Lentamente Peppone trasse la mano da dietro la schiena e porse a don Camillo un grosso pacco stretto e lungo. Don Camillo pieno di sospetto non accennò ad allungare la mano e allora Peppone, deposto il pacco sulla balaustra dell'altare, strappò la carta blu, e apparvero cinque lunghe torce di cera grosse come un palo da vigna. «Sta morendo» spiegò con voce cupa Peppone. Allora don Camillo si ricordò che qualcuno gli aveva detto che il bambino di Peppone da quattro o cinque giorni stava male, ma don Camillo non ci aveva fatto molto caso credendo si trattasse di cosa da poco.
E ora capiva il silenzio di Peppone e la mancata replica. «Sta morendo» disse Peppone. «Accendetele subito.» Don Camillo andò in sagrestia a prendere dei candelabri e, infilate le cinque grosse torce di cera, si accinse a disporle davanti al Cristo. «No» disse con rancore Peppone «quello lì è uno della vostra congrega. Accendetele davanti a quella là che non fa della politica.» Don Camillo a sentir chiamare «quella là» la Madonna strinse i denti e sentì una voglia matta di rompere la testa a Peppone. Ma tacque e andò a disporre le candele accese davanti alla statua della Vergine, nella cappelletta a sinistra. Si volse verso Peppone. «Diteglielo!» ordinò con voce dura Peppone. Allora don Camillo si inginocchiò e sottovoce disse alla Madonna che quelle cinque grosse candele gliele offriva Peppone perché aiutasse il suo bambino che stava male. Quando si rialzò Peppone era scomparso. Passando davanti all'altar maggiore don Camillo si segnò rapidamente e tentò di sgattaiolare via, ma la voce del Cristo lo fermò. «Don Camillo, cos'hai?» Don Camillo allargò le braccia umiliatissimo. «Mi dispiace» disse «che abbia bestemmiato così, quel disgraziato. Né io ho trovato la forza di dirgli niente. Come si fa a fare delle discussioni con un uomo che ha perso la testa perché gli muore il figlio?» «Hai fatto benissimo» rispose il Cristo. «La politica è una maledetta faccenda» spiegò don Camillo. «Voi non dovete avervene a male, non dovete essere severo con lui.» «E perché dovrei giudicarlo male?» sussurrò il Cristo. «Egli onorando la Madre mia mi riempie il cuore di dolcezza. Mi spiace un po' che l'abbia chiamata "quella là".» Don Camillo scosse il capo. «Avete inteso male» protestò. «Egli ha detto: "Accendetele tutte davanti alla Beata Vergine Santissima che sta in quella cappella là". Figuratevi! Se avesse avuto il coraggio di dire una cosa simile, figli o non figli, lo avrei cacciato fuori a pedate!» «Ho proprio piacere che sia così» rispose sorridendo il Cristo «Proprio piacere. Però parlando di me ha detto "quello lì".» «Non lo si può negare» disse don Camillo. «A ogni modo io sono convinto che egli lo ha detto per fare un affronto a me, non a Voi. Lo giurerei, tanto ne sono convinto.» Don Camillo uscì e dopo tre quarti d'ora rientrò pieno di orgasmo. «Ve l'avevo detto?» gridò sciorinando un pacco sulla balaustra. «Mi ha portato cinque candele da accendere anche a Voi! Cosa ne dite?» «È molto bello tutto questo» rispose sorridendo il Cristo. «Sono più piccolette delle altre» spiegò don Camillo «ma in queste cose quella che conta è l'intenzione. E poi dovete tener presente che Peppone non è ricco e, con tutte le spese di medicine e dottori, si è inguaiato fino agli occhi.» «Tutto ciò è molto bello» ripetè il Cristo. Presto le cinque candele furono accese e pareva che fossero cinquanta tanto splendevano. «Si direbbe persino che mandino più luce delle altre» osservò don Camillo.
E veramente mandavano molta più luce delle altre perché erano cinque candele che don Camillo era corso a comprare in paese facendo venir giù dal letto il droghiere e dando soltanto un acconto perché don Camillo era povero in canna. E tutto questo il Cristo lo sapeva benissimo e non disse niente, ma una lagrima scivolò giù dai suoi occhi e rigò di un filo d'argento il legno nero della croce e questo voleva dire che il bambino di Peppone era salvo.
E così fu.